Catechesi 79-2005 7384

Mercoledì, 7 marzo 1984: Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra

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1. “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra”.

L’esortazione dell’apostolo Paolo risuona con particolare attualità in questo giorno nel quale, con l’austero rito dell’imposizione delle Ceneri, si apre il periodo di Quaresima: un tempo che è singolarmente contrassegnato dalla penitenza; un tempo in cui la Chiesa sollecita i fedeli ad accostarsi più frequentemente e più fervidamente al sacramento della Penitenza.

L’intera vita cristiana è vita di mortificazione. La Chiesa con le sue norme di saggezza materna stabilisce “giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l’astinenza” (Codex Iuris Canonici
CIC 1249).

Durante la Quaresima, poi, oltre all’“astinenza dalle carni o da altro cibo, secondo le disposizioni della Conferenza episcopale” del luogo (Ivi, can. CIC 1251) ogni venerdì, la Chiesa impone a nostro vantaggio spirituale “l’astinenza e il digiuno il mercoledì delle Ceneri (cioè oggi) e il venerdì della passione e morte di Cristo” (Ivi, can. CIC 1251). E si tratta di precetti che dovrebbero essere considerati come il minimo indispensabile: tutto uno stile di penitenza dovrebbe accompagnare lo svolgersi dell’esistenza di fede e concretizzarsi in gesti precisi, frutto di generosità.

2. Proseguendo la riflessione che siamo andati svolgendo negli scorsi mercoledì, vorrei attirare l’attenzione su quella particolare penitenza che è legata al sacramento del perdono e che comunemente viene chiamata “soddisfazione”. Questa pratica va riscoperta nel suo senso più profondo. Forse va anche resa più significativa e più densa di quanto non lo sia spesso nell’uso corrente.

Sollecitato dall’interpellazione di Dio, il peccatore si è accostato al sacramento della misericordia e ha ricevuto il perdono dei propri peccati. Prima dell’assoluzione, però, egli ha accolto l’indicazione di pratiche penitenziali che, con la grazia del Signore, dovrà attuare nella sua vita.

Non si è di fronte a una sorta di “prezzo” mediante il quale si “pagherebbe” l’inestimabile dono che Dio ci fa con la liberazione dalle colpe. La “soddisfazione” è piuttosto l’esprimersi di un’esistenza rinnovata che, con un rinnovato aiuto di Dio, si avvia alla propria attuazione concreta. Dovrebbe perciò, nelle sue manifestazioni determinate, non limitarsi al solo campo della preghiera, ma agire nei diversi settori in cui il peccato ha devastato l’uomo. San Paolo ci parla di “fornicazioni, impurità, passioni, desideri cattivi e quell’avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono” (Col 3,5-6).

3. Di più: la “soddisfazione”, proprio nel suo collegamento e nella sua derivazione dal sacramento della Penitenza, non solo acquista un’efficacia singolare, ma rivela la ricchezza di significati che la mortificazione ha nella prospettiva di fede. Non si ripeterà mai a sufficienza che il cristianesimo non è un “dolorismo” fine a se stesso. Il cristianesimo è, invece, una gioia e una “pace” (cf. Col 3,15) che includono ed esigono il sacrificio.

Il peccato originale, infatti, pur cancellato dal Battesimo, lascia normalmente nell’intimo dell’uomo un disordine che va superato, una propensione al peccato, che va frenata con lo sforzo umano, oltre che con la grazia del Signore (cf. Conc. Trid., Decretum De iustificatione, cap. 10; Denz.-Schön., DS 1535). Lo stesso sacramento della Riconciliazione, pur offrendo il perdono delle colpe, non toglie completamente la difficoltà che il credente incontra nell’attuazione della legge inscritta nel cuore dell’uomo e perfezionata dalla rivelazione: tale legge, anche se interiorizzata dal dono dello Spirito Santo, lascia, di norma, la possibilità di peccato e anzi una qualche inclinazione ad esso (cf. Conc. Trid., Decretum De iustificatione, cap. 11; Denz.-Schön., DS 1536 DS 1568-1573). Di conseguenza, anche la vita umana e cristiana si rivela sempre come una “lotta” contro il male (cf. Gaudium et Spes GS 13 GS 15). Si richiede così un serio impegno ascetico perché il fedele si renda sempre più capace di amare Dio e il prossimo, in coerente sintonia con la propria condizione di rinato in Cristo.

A ciò si aggiunga che il dolore - quello subìto con rassegnazione e quello liberamente voluto in vista di una piena adeguazione alla proposta evangelica - deve essere vissuto in unione con Cristo per partecipare alla sua passione, morte e risurrezione. In questo modo il credente può ripetere con san Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

Ai gruppi italiani

Sono presenti a questa Udienza i pellegrinaggi di alcune diocesi italiane: dal Piemonte, quello di Torino, sotto la guida del Cardinale Anastasio Ballestrero; quello di Susa, con il Vescovo Monsignor Vittorio Bernardetto; quello di Acqui, guidato da Monsignor Livio Maritano. Dalla Calabria, il pellegrinaggio della diocesi di Crotone, con il Vescovo Monsignor Giuseppe Agostino.

Il pellegrinaggio giubilare che vi ha portato, carissimi Fratelli e Sorelle, presso le tombe degli Apostoli e dei martiri per farvi rivivere il mistero della Redenzione, acquista un particolare significato in questa giornata liturgica, con cui inizia il periodo della Quaresima, dedicato in modo speciale a realizzare le grandi finalità dell’Anno Santo straordinario in vista della Pasqua: la conversione del cuore e della mente e la riconciliazione con Dio.

La conversione comporterà indubbiamente un continuo impegno perché accogliamo la Parola di Dio con profonda umiltà e con piena disponibilità, con l’atteggiamento di Maria Santissima sempre pronta a conservare e a meditare nel suo cuore sul senso autentico e spirituale degli eventi, in cui la inseriva la Provvidenza divina, ed altresì sempre preparata a dire il suo “fiat” con una esemplare serenità, fondata sulla forza del Signore.

Occorrerà che anche noi ci lasciamo riconciliare con Dio in Cristo (Cf. 2Co 5,19-20), sia riconoscendo con sincerità la nostra debolezza, la nostra fragilità in campo morale, sia adoperando tutti i mezzi che l’infinita misericordia ha messo a nostra disposizione per purificarci, primo fra tutti il sacramento della Penitenza, il grande segno efficace del perdono paterno di Dio.
* * *



Un cordiale saluto rivolgo anche al Gruppo delle “Volontarie” del Movimento dei Focolari, che stanno seguendo un convegno di formazione sul tema: “Gesù Crocifisso e abbandonato chiave dell’unità con Dio”; come pure al pellegrinaggio dell’Associazione Imprenditori e Donne Dirigenti d’Agenzia (AIDDA), e quello delle Casse Rurali e Artigiane e delle Banche Cooperative della Toscana.

A tutti e a tutte il sincero augurio che l’Anno Giubilare della Redenzione porti frutti fecondi di rinnovamento interiore e propositi di fervida vita cristiana.

Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.
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Saluto ora i carissimi infermi, invitandoli a vivere la Quaresima come momento prezioso per riflettere sul valore della sofferenza, accolta con spirito di fede ad imitazione di Cristo Redentore. Essa diviene motivo di perfezionamento morale e prende significato di generosa offerta per il bene delle anime. Carissimi ammalati, siano i vostri cuori come altrettanti altari, dai quali salga a Dio il profumo della vostra preghiera e del sacrificio per la pace del mondo intero. Vi conforti la mia Benedizione Apostolica.
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Carissimi sposi! La grazia del sacramento del matrimonio ha reso santo il vostro amore ed ha posto, al tempo stesso, in maggior risalto la dignità di figli di Dio, acquisita col battesimo. Per custodire questi doni ineffabili, sostegno della vostra missione di continuatori dell’opera di Dio, sono necessarie continua vigilanza ed assidua lotta contro le tentazioni dell’orgoglio e dell’infedeltà. Anche per voi, come ricorda l’Apostolo S. Paolo, la Quaresima è “momento favorevole”; Dio ascolta la vostra preghiera per una esistenza feconda di bene. Vi segue nel vostro fervido impegno la mia Benedizione Apostolica, che estendo ai vostri rispettivi familiari.




Ad un pellegrinaggio proveniente dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri del “Rosary Center” della Diocesi di Nagoya, vi ringrazio tanto del vostro rosario giornaliero per me.

Continuate così per me e per il mondo.

Vi benedico con tutto il mio cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli provenienti dalla Germania

Ai gruppi di lingua spagnola


Al pellegrinaggio proveniente dalla diocesi di Leiria, in Portogallo

Ai polacchi

Ai giovani italiani

Ed ora desidero salutare tutti i giovani presenti a questo incontro, e porgo in particolare un cordiale benvenuto ai vari gruppi di studenti, accompagnati dai loro benemeriti insegnanti. Carissimi giovani! Oggi, come già sapete, la Chiesa con l’austero rito delle ceneri, severo ma salutare monito a considerare la provvisorietà delle cose umane, c’invita a riflettere sull’insegnamento di Gesù, presentatoci dall’Evangelista S. Matteo: “Guardatevi dall’ostentare la giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non avrete merito davanti al padre vostro che è nei cieli” (Mt 6,1). Vi esorto, pertanto, a compiere il vostro cammino penitenziale durante questa preparazione alla Pasqua, rifuggendo da ogni forma di esteriore ostentazione e di vuota pubblicità, preoccupati anzitutto di alimentare l’amore di Dio con assidua e fervorosa preghiera, con la partecipazione frequente ai sacramenti della confessione e dell’eucaristia, con l’accettazione dei quotidiani sacrifici ed infine con la piena disponibilità a seguire il divino valore.

La Quaresima è, poi, momento di più larga apertura verso tutti i fratelli e, specialmente, verso quelli in qualsiasi modo meno provveduti: emarginati, handicappati, e quanti sono afflitti dal triste fenomeno della droga, che non cessa di mietere vittime tra i più deboli e gli inesperti. Fate sentire la vostra vicinanza, la vostra solidarietà, il vostro confidente interessamento, circondateli con le vostre premure, col vostro sorriso. Siate per tutti segni visibili di stimolante conforto e di speranza cristiana.
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Rivolgo infine una parola d’incoraggiamento per le loro iniziative, insieme col mio beneaugurante saluto, ai componenti il gruppo internazionale del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, che ha sede a Duino presso la gloriosa Città di Trieste.

Imparto di gran cuore a tutti i presenti la mia Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 14 marzo 1984

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1. “Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà da ogni colpa” (
1Jn 1,9).

Carissimi fratelli e sorelle, alla luce delle parole dell’apostolo Giovanni vogliamo, in questa meditazione, continuare la riscoperta dei significati sottesi ai gesti che siamo chiamati a compiere, secondo la dinamica del sacramento e la pedagogia della Chiesa, quando ci accostiamo alla Confessione. Oggi la nostra attenzione si appunta su quel momento che l’ascetica cristiana è solita chiamare esame di coscienza per il riconoscimento dei nostri peccati.

Già è impresa impegnativa ammettere che il peccato in sé è decisione che contrasta con la norma etica che l’uomo reca inscritta nel proprio essere; è difficile riconoscere nella scelta che si pone contro Dio, vero nostro fine in Cristo, la causa di una dissociazione intollerabile del nostro intimo tra la tendenza necessaria verso l’Assoluto e la nostra volontà di “bloccarci” su beni finiti. L’uomo stenta ad ammettere che l’opzione cattiva rompe l’armonia che deve regnare tra lui e i fratelli e tra lui e le realtà del cosmo.

La difficoltà aumenta a dismisura quando è da riconoscere non il peccato nella sua astrattezza teorica e generale, ma nella sua densità di atto compiuto da una persona precisa o di condizione in cui si trova quella determinata persona. Allora si passa dalla comprensione di una dottrina all’ammissione di un’esperienza che ci concerne direttamente e indelegabilmente, poiché è frutto della nostra responsabilità: si è chiamati non a dire: “esiste il peccato”, ma a confessare; “io ho peccato”, “io sono nel peccato”. A tale difficoltà allude san Giovanni quando, nella sua prima lettera, ci ammonisce: “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1Jn 1,8).

2. Forse occorre insistere: riconoscere le proprie colpe non significa soltanto ricordare degli avvenimenti nella loro nuda fatticità, lasciando che riemergano in seno alla memoria dei semplici comportamenti, dei gesti quasi staccati dalla libertà, e magari in qualche modo “rimossi” dalla coscienza. Riconoscere le proprie colpe implica piuttosto il mettere in luce lintenzionalità che sta dietro e dentro i singoli atti che abbiamo consumato.


Ciò richiede il coraggio di ammettere la propria libertà che si è giocata nel male. Ciò impone di confrontarsi con le esigenze morali, che Dio ha disegnato nel nostro intimo come imperativi che conducono alla perfezione, quando ci ha creati “a sua immagine e somiglianza” (cf. Gn 1,26) e ci ha “predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio” (cf. Rm 8,29). Ciò impone, in particolare, di “rientrare in noi stessi” (cf. Lc 15,17) per lasciar parlare l’evidenza: le nostre scelte cattive non ci passano accanto; non esistono prima di noi; non ci attraversano quasi fossero accadimenti che non ci coinvolgono. Le nostre scelte perverse, in quanto perverse, nascono in noi, unicamente da noi.

Dio ci dà il suo “concorso” perché noi possiamo agire; ma la connotazione negativa del nostro agire dipende soltanto da noi. Siamo noi che decidiamo il nostro destino per Dio o contro Dio, mediante la libertà che Dio ci ha affidato come dono e come compito. Di più: quando, a fatica, giungiamo a riconoscere i nostri peccati, avvertiamo pure, con fatica anche maggiore, che noi non possiamo liberarcene da soli, esclusivamente con le nostre forze. Paradosso di questa avventura della colpa umana: sappiamo porre degli atti che non possiamo riparare. Ci ribelliamo a un Dio che non possiamo poi costringere a offrirci il suo perdono.

3. L’“esame di coscienza” ci si rivela così non tanto come sforzo di introspezione psicologica o come gesto intimistico che si circoscrive al perimetro della nostra coscienza, abbandonata a se stessa. Esso è soprattutto confronto: confronto con la legge morale che Dio ci ha dato nel momento creativo, che Cristo ha assunto e perfezionato nel suo precetto dell’amore (cf. 1Jn 3,23), e che la Chiesa non cessa di approfondire e di attualizzare col suo insegnamento; confronto con lo stesso Signore Gesù che, Figlio di Dio, ha voluto assumersi la nostra condizione umana (cf. Ph 2,7) per caricarsi dei nostri peccati (cf. Is 53,12) e vincerli mediante la sua morte e la sua risurrezione. Soltanto alla luce di Dio che si rivela in Cristo e che vive nella Chiesa sappiamo scorgere con chiarezza le nostre colpe.

Soltanto di fronte al Signore Gesù che offre la vita “per noi e per la nostra salvezza” riusciamo a confessare i nostri peccati. Ci riusciamo anche perché li sappiamo già perdonati, se noi ci apriamo alla sua misericordia. Possiamo lasciare che il nostro cuore “ci rimproveri”, perché siamo certi che “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Jn 3,20). E per ogni colpa ci offre la sua benevolenza e la sua grazia.

Allora emerge dentro di noi anche la volontà di emendarci. Pascal osserverebbe: “Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti perderesti d’animo . . . Via via che li espierai, li conoscerai, e ti sarà detto: "Ecco i peccati che ti sono rimessi"” (B. Pascal, Pensées, 553, éd Brunschvicg).

Ai gruppi italiani

Desidero ora indirizzare una parola di affettuoso saluto ad alcuni gruppi particolarmente numerosi. Mi rivolgo anzitutto ai duemila pellegrini della Diocesi di Treviso, a quelli della Diocesi di Diano-Teggiano, Policastro e Tursi-Lagonegro, come pure a quelli di San Severo e di Ischia. Carissimi fratelli e sorelle, sono lieto di accogliervi insieme con i vostri zelanti Pastori, pieni di sollecitudine per la vostra formazione cristiana e che vi hanno guidati a Roma per poter acquistare l’Indulgenza giubilare ed approfondire, al tempo stesso, i motivi della vostra fede e rendere così una testimonianza cristiana sempre più luminosa e convincente.

Durante la Quaresima, e segnatamente in questo Anno Santo, dobbiamo vivere “con gli occhi fissi su Gesù” (He 12,2). D’altra parte, Gesù ci dice che se vogliamo vederlo dobbiamo guardare i suoi fratelli più piccoli: “Ogni volta che avete fatto qualcosa a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Ecco delineato il cammino quaresimale: conversione a Gesù; carità verso il prossimo. La preghiera poi è il centro delle pratiche della Quaresima.

Siate dunque coerenti con la vostra fede ed accogliete, in pegno dell’assistenza divina, l’Apostolica Benedizione. Per la Diocesi di San Severo essa sia anche propiziatrice di copiose grazie per le Missioni Diocesane appena iniziate e che dureranno per un intero anno.
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Voglio ancora salutare l’Associazione Cattolica “Fiaccola della Carità” che celebra il XXV di Fondazione. Carissimi fedeli, che desiderate imitare l’amore di Sa. Camillo de Lellis per ogni povero ed ogni ammalato, incoraggiatevi a vicenda nell’operare il bene senza mai stancarvi e siate la gioia di quanti hanno bisogno di voi. Vi benedico di cuore.
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Ed ora il mio benvenuto si dirige cordialissimo e festoso ai Superiori ed ai cari Giovani del Seminario Arcivescovile di Ferrara che celebra il IV centenario di Fondazione. Conosco la saldezza delle vostre radici storiche ed ecclesiali. So che il vostro Seminario fu fondato da Monsignor Giovanni Fontana, prima Vicario di San Carlo Borromeo a Milano e poi Vescovo di Ferrara. penetrate, quindi, sempre più nel terreno fertile della tradizione della Chiesa e dell’insegnamento dei suoi Pastori, per offrire frutti abbondanti di grazia. Siate domani Sacerdoti generosi, gioiosi, fiduciosi. Vi benedico con tutto l’affetto.
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Il mio pensiero si rivolge pure a voi, cari ammalati, che siete sempre i benvenuti in queste Udienze Generali. La vostra presenza mi è particolarmente cara, perché voi rappresentate la misteriosa realtà della sofferenza santificata e santificante.

Oggi vorrei chiedervi di offrire le vostre preghiere e i vostri sacrifici specialmente per il Papa e per i Cardinali e Prelati della Curia Romana, che stanno facendo in questa settimana gli Esercizi spirituali. Implorate dal Signore che questo momento di riflessione e di preghiera sia per tutti i partecipanti fecondo di grazia e di salvezza.
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Un fervido augurio rivolgo anche a voi, Sposi novelli, che avete da poco santificato il vostro reciproco amore con il sacramento del Matrimonio. Il Signore vi assista e vi renda sempre più forti nell’amore e nella mutua comprensione in modo da saper vincere tutte le difficoltà che potranno presentarsi sul vostro cammino a due. La benedizione di Dio vi accompagni e vi sostenga per tutti i giorni della vostra vita.

Al pellegrinaggio della diocesi di Tulle

A gruppi di lingua inglese


Ai membri del “Japan Religious Committee”

Sia lodato Gesù Cristo!

Ringrazio vivamente tutti i Reverendissimi Membri del “Japan Religious Committee”, guidato dal Direttore del Santuario Meiji di Tokyo, che hanno desiderato vivamente questo incontro.

So che lavorate con dedizione per la Pace nel mondo. Un lavoro prezioso anche perché nasce da un forte desiderio di unione con tutti gli uomini di buona volontà.

Mi auguro che continuiate sempre con entusiasmo e fiducia su questo cammino. E’ la strada buona per chiunque senta che il Dono della Pace è un bene insostituibile!

Io accompagno di cuore ogni vostro sforzo implorando dal Signore una piena benedizione su tutti Voi.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad un gruppo di fedeli tedeschi e olandesi

Ai membri dei folti pellegrinaggi provenienti dall’Angola, dal Brasile, e dal Portogallo

Ai pellegrini polacchi

Al gruppo di studenti italiani

Un saluto speciale va al numeroso e festoso gruppo di ragazzi e giovani italiani, venuti a Roma per pregare sulla tomba di san Pietro e per vedere il suo successore. Vi ringrazio, carissimi giovani e carissimi studenti, di questa gradita visita, augurandovi di trarne un ricordo e uno stimolo che vi aiutino a vivere sempre più in profondità la vostra vocazione cristiana.

Siamo nella prima settimana di Quaresima, cioè siamo entrati in quel periodo particolare dell’anno liturgico, che è chiamato un “tempo forte”, perché ci fa riflettere con maggiore impegno sul mistero della salvezza recataci da nostro Signore con la sua passione, morte e risurrezione. In queste settimane di Quaresima contempliamo il Cristo, il quale “umiliò se stesso, facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,8).

“Umiliò se stesso” e “si fece obbediente”: queste due espressioni, anche se ad alcuni possono oggi apparire non attuali, rivelano in realtà sia il segreto che portò il Cristo al successo nella sua missione salvifica, sia la chiave di lettura di tutto il messaggio evangelico e della prassi ascetica instaurata dalla Chiesa. Imparate alla scuola del Maestro divino a essere umili e obbedienti per diventare un giorno uomini e donne liberi e responsabili.Esercitatevi in queste virtù durante la Quaresima e avrete così la gioia di giungere alla Pasqua rinnovati nella mente e nel cuore e trasformati nel Cristo risorto.





Mercoledì, 21 marzo 1984

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1. “Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà” (
1Jn 1,9). Riascoltiamo ancora una volta la consolante affermazione di san Giovanni.


Negli scorsi mercoledì siamo andati riscoprendo il significato profondo dei gesti che il penitente compie quando si accosta e celebra il sacramento della Riconciliazione, e segnatamente il significato dell’incontro con la mediazione ecclesiale soprattutto nella persona del ministro, il significato dell’avviarsi a ricevere il perdono di Dio e il significato dell’“esame di coscienza” e della “soddisfazione”.

Oggi vorrei riflettere con voi su un atto richiesto per il sacramento, che non infrequentemente crea più d’un disagio ai fedeli non attenti alla dinamica del sacramento stesso e alle esigenze vere del cuore umano: voglio dire l’accusa dei peccati. E insisto sull’accusa personale - come insisterò sull’assoluzione personale delle colpe - poiché, per la dottrina cattolica, la confessione individuale rimane l’unico modo ordinario della Penitenza sacramentale.

È noto l’insegnamento della Chiesa al riguardo. L’assoluzione esige, soprattutto quando si tratta di peccati mortali, che il sacerdote chiaramente comprenda e valuti la qualità e il numero dei peccati e al tempo stesso se vi sia un pentimento sincero.

Perché la richiesta di un simile atto?

2. Si potrebbe rispondere con motivazioni di ordine psicologico e antropologico, le quali già mostrerebbero - di là da ogni superficialità di analisi - una qualche “esigenza” di “dirsi”, da parte del peccatore: di “dirsi” a qualcuno che ascolti con attenzione e fiducia, perché il peccatore stesso si chiarisca e in certo modo si senta sollevato e liberato dal peso delle proprie colpe.

Ma la prospettiva umana non coglie la radice della conversione, e soprattutto non concede una vita nuova quale è donata dal sacramento.

Ecco, allora, che l’accusa dei peccati acquista il suo più vero senso e il suo più autentico valore nel sacramento della Penitenza, dove l’uomo è chiamato a scoprirsi pienamente come uomo che ha tradito Dio e ha bisogno di misericordia.

Occorre affermare con molta risolutezza che l’accusa dei peccati non è soltanto un momento di pretesa autoliberazione psicologica o di necessità umana di rivelarsi nella propria condizione di colpa. L’accusa dei peccati è principalmente gesto che in qualche modo entra a far parte del contesto liturgico e sacramentale della Penitenza, e ne condivide le caratteristiche, la dignità e l’efficacia.

Il credente peccatore, in seno alla comunità cristiana, si presenta al ministro della Riconciliazione che in modo tutto particolare agisce “in nome” e “nella persona” del Signore Gesù, ed esprime le proprie colpe per riceverne il perdono, ed essere così riammesso nella fraternità di grazia.

La connotazione “giudiziale”, propria di questo rapporto, non deve essere intesa secondo le categorie dell’esercizio della giustizia umana. Il sacerdote confessore deve esprimere, in seno alla Chiesa, la “giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono” (Rm 3,22): una giustizia che non è condanna se non per coloro che non si lasciano salvare; ma che in sé è perdono e misericordia.

3. Alla luce di questo concetto fondamentale si comprende come l’accusa delle colpe sia il chiarirsi del peccatore a se stesso di fronte a Dio che lo perdona.


Il peccatore, infatti, si riconosce estraneo e ostile a Dio per una scelta fondamentale che ha compiuto contro Dio. Ma tale scelta non si pone come un atto di libertà destoricizzata; si concretizza, piuttosto, in comportamenti precisi che sono, appunto, le singole colpe. A partire da ciò che ha fatto, il peccatore riesce veramente a capire chi è: si conosce quasi per induzione.

E una simile elencazione di colpe non viene compiuta in modo solipsistico e disperato: viene, invece, compiuta a modo di dialogo religioso, nel quale si esprimono i motivi per cui Dio in Cristo non dovrebbe accoglierci - ed ecco il rivelare i peccati commessi - ma con la certezza che Egli ci accoglie e ci rinnova per benevolenza sua e per la sua capacità di ri-crearci. Il peccatore, in tal modo, non solo si conosce quasi per induzione, ma si conosce a modo di riverbero; quando si vede come Dio stesso lo vede nel Signore Gesù; quando si accetta perché Dio stesso nel Signore Gesù lo accetta e lo rende “creatura nuova” (Ga 6,15). Il “giudizio” divino si svela per ciò che è: la gratuità del perdono.

Così si diffonde nel penitente la luce di Dio di cui parla san Giovanni nella sua Prima lettera: “Se diciamo che siamo in comunione con lui (Dio) e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità . . . Se riconosciamo i nostri peccati egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” (1Jn 1,6 1Jn 1,9).

Ai fedeli italiani e svizzeri

Desidero rivolgere una particolare parola di benvenuto ai pellegrini delle diocesi di Concordia-Pordenore, di Valva e Sulmona, di Acerra, di Vallo di Lucania e di Oria. Saluto cordialmente gli zelanti Pastori delle rispettive diocesi: i Monsignori Giuseppe Casale, Salvatore Delogu, Armando Franco, Antonio Riboldi.

Carissimi fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio per l’Anno Giubilare della Redenzione, è un atto di fede, un atto forte, un atto che ha il carattere di rinnovamento morale e spirituale; ha il senso di un impegno importante e felice, quello di unire la nostra vita alla nostra fede religiosa, quello di stabilire il vero e salutare rapporto del nostro piccolo e fragile essere all’Essere infinito e vivente di Dio.

Questo nostro rapporto col Dio vivente esige impegno e dedizione. Non scoraggiatevi per le difficoltà. Siate fedeli alle grandi tradizioni religiose delle vostre diocesi. Ricordatevi che i valori religiosi sono un patrimonio incomparabile da custodire e da vivere.

Nell’assicurarvi il mio ricordo nella preghiera, cordialmente vi benedico.
* * *


Con grande gioia saluto poi i pellegrini della diocesi di Lugano, guidati dal loro Vescovo, Monsignor Ernesto Togni. Cari fratelli e sorelle, questo vostro pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli vi aiuti a sentire sempre più il bisogno di essere convertiti nella penitenza, ritemprati nella carità e uniti con i fratelli nella grazia di Dio.

Con tali voti e nell’attesa della mia visita pastorale alla vostra terra, imploro sulle vostre persone una larga effusione di favori celesti e vi imparto la mia Benedizione.


Agli sposi novelli

Un saluto infine agli sposi novelli, presenti a questa Udienza. Dio vi conceda una vita lunga e generosa verso il vostro prossimo: la porta della vostra casa sia sempre aperta per chi è nel bisogno, affinché il Signore, quando verrà, posa dirvi: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato . . .” (Mt 25,34-35).

A tre gruppi di pellegrini francesi

Chers Frères et Soeurs,

aujourd'hui, je suis heureux d’accueillir les très importants groupes de pèlerins français des diocèses de la région Midi-Pyrénées, des diocèses de Bretagne, du diocèse de Limoges. Chers Frères et Soeurs, ces pèlerinages communautaires, avec vos évêques respectifs, bien organisés malgré les diverses difficultés, durant ce Carême, manifestent votre volonté de vivre ce temps fort de l’Année de la Rédemption, non seulement dans votre diocèse - ce que vous avez sûrement déjà fait - mais au centre de l’Eglise, comme pour mieux marquer l’enracinement de vos communautés dans le témoignage de Pierre, de Paul et des autres martyrs, et l’unité autour de l’Evêque de Rome. Que le Seigneur vous donne, à vous et à tous vos compatriotes qui s’unissent à votre démarche, la grâce d’une foi vivante et rayonnante! Vous tous, ainsi que les autres groupes ici présents, je vous bénis de grand coeur, au nom du Seigneur.

Ad un gruppo di fedeli di lingua inglese

Dear brothers and sisters,

my greetings in the Lord to all the pilgrims from England, Scotland, Ireland, Sweden and Denmark. I extend a particular welcome to the national Holy Year pilgrimage from Tanzania. During your visit to Rome may you experience the pardon and peace of our Lord Jesus Christ. And may you walk in newness of life. May God bless you all.

Ad un gruppo giapponese proveniente da Tokyo

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini dell’Arcidiocesi di Tokyo!


Fra poco si concluderà l’Anno Giubilare, ma mi auguro che voi proseguiate con lo spirito dell’Anno Santo, spirito di Redenzione, il pellegrinaggio sulla terra.

Sia lodato Gesù Cristo!

Al gruppo di pellegrini provenienti dalla Repubblica Democratica di Germania

Agli spagnoli

Ai polacchi

Ai giovani


Saluto con grande cordialità e affetto tutti i ragazzi e i giovani italiani. Come è noto, l’udienza era prevista in piazza San Pietro, ma la pioggia lo ha impedito e così voi avete dovuto attendere fino ad ora questo incontro con il Papa!

Siamo nel periodo liturgico della Quaresima, che quest’anno acquista un tono particolare trovandoci nell’ambito del Giubileo della Redenzione: da questi eventi così carichi di significato spirituale siamo incessantemente chiamati a una testimonianza cristiana sempre più generosa e anche concretamente fattiva.

A voi, ragazzi e giovani, sempre disponibili a rispondere con entusiasmo agli appelli del Cristo e della Chiesa, raccomando oggi l’impegno della carità verso i poveri, i malati, gli emarginati di ogni categoria, in uno spirito di autentico servizio verso tutti.

Proprio nella liturgia eucaristica odierna abbiamo meditato la frase di Gesù, riportata da san Matteo e da san Marco: “Il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti gli uomini” (cf. Mt 20,28 Mc 10,45). Occorre “servire” gli altri, rispettarli, amarli.

Anche a voi, ragazzi e giovani rivolgo l’invito ad aprire a Cristo redentore le porte del vostro cuore, della vostra intelligenza, perché egli possa essere la vostra via, la vostra verità, la vostra vita!

Tale auspicio si unisce all’appello che ho rivolto ai ragazzi e ai giovani di tutto il mondo a partecipare al pellegrinaggio giubilare internazionale dei giovani, che si svolgerà qui a Roma dall’11 al 15 aprile prossimo!

Vi aspetto tutti per proclamare solennemente e pubblicamente la fede in Gesù Cristo, redentore dell’uomo e del mondo!

Agli ammalati

Desidero rivolgere un saluto affettuoso anche a voi, ammalati, che state portando la croce della sofferenza e del dolore come Gesù sulla via del Calvario. Il Signore vi dia la forza di continuare a portare la croce, ogni giorno, con perseveranza, affinché la vostra vita produca molti frutti di bene (cf. Jn 12,24) e, un giorno, Lo possiate incontrare nella gloria del Suo Paradiso.
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Per la giornata internazionale contro la discriminazione razziale

Per iniziativa delle Nazioni Unite si celebra oggi la Giornata internazionale contro la discriminazione razziale.

In un tempo, in cui l’opinione pubblica è particolarmente sensibile al rispetto e alla promozione dei diritti dell’uomo, la piaga multiforme della discriminazione sfigura ancora la nostra epoca. Essa nega l’uguaglianza fondamentale di tutti gli uomini, proclamata dalle varie dichiarazioni delle Nazioni Unite, ma soprattutto radicata in Dio.

Quando le relazioni tra gli uomini non sono fondate sulla giustizia e sulla fiducia, è facile che esplodano la guerra e la violenza. Di conseguenza, è necessario che ogni uomo tolga dai propri comportamenti ciò che manifesta in lui la tendenza a trattare in maniera discriminante e ingiusta quelli che appartengono a gruppi diversi dal proprio per origine etnica, convinzione religiosa, situazione socio-culturale.

In quest’Anno Giubilare della Redenzione i cristiani hanno, dunque, il dovere del tutto speciale di partecipare a questa Giornata, eliminando dal loro cuore ciò che si oppone alla fraternità e alla solidarietà con tutti gli altri uomini.





Catechesi 79-2005 7384