Catechesi 79-2005 28384

Mercoledì, 28 marzo 1984

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1. “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (
Jn 20,23). Gesù risorto trasmette agli Apostoli il potere di perdonare in suo nome.

Nello sforzo di cogliere il significato dei gesti che siamo chiamati a compiere quando ci accostiamo al sacramento della Penitenza, mercoledì scorso abbiamo considerato il senso e il valore dell’accusa delle colpe come momento che chiarisce il peccatore a se stesso di fronte al Dio di Gesù Cristo che perdona. L’assoluzione - il momento che vogliamo oggi prendere in esame - è appunto, la “risposta” di Dio all’uomo che riconosce e dichiara il proprio peccato, ne prova dolore e si dispone al mutamento di vita derivante dalla misericordia ricevuta.

Da parte del sacerdote, infatti, che agisce in seno alla Chiesa, l’assoluzione esprime il “giudizio” di Dio sull’agire cattivo dell’uomo. E il penitente, che sta davanti a Dio accusandosi quale colpevole, riconosce il Creatore come proprio Signore e accoglie il suo “giudizio” come quello di un Padre che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cf. Ez 33,11).

2. Tale “giudizio” si manifesta nella morte e risurrezione di Cristo: benché non conoscesse il peccato, “Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (cf. 2Co 5,21). Il Signore Gesù è divenuto così “nostra riconciliazione” (cf. Rm 5,11) e nostra “pace” (cf. Ep 2,14). La Chiesa, dunque, attraverso il sacerdote in modo singolare, non agisce quasi fosse una realtà autonoma: essa è strutturalmente dipendente dal Signore Gesù che l’ha fondata, la abita e agisce in essa, così da rendere presente nei diversi tempi e nei diversi ambienti il mistero della redenzione. La parola evangelica chiarisce questo “essere mandata” della Chiesa nei suoi apostoli da parte di Cristo per la remissione dei peccati. Come il Padre ha mandato me - afferma il Signore Gesù risorto - anch’io mando voi”. E dopo aver detto questo, alitando su di loro, soggiunse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Jn 20,21-22). Dietro - o dentro - la realtà umana del sacerdote, dunque, si nasconde e opera lo stesso Signore che “ha il potere di rimettere i peccati” (cf. Lc 5,24) e che a tale scopo ha “meritato” (cf. Jn 7,39) e “inviato” (cf. Jn 20,22) il “suo Spirito” (cf. Rm 8,9) dopo il sacrificio del Calvario e la vittoria della Pasqua.

3. Non si insisterà mai a sufficienza nel sottolineare la gratuità di questo intervenire di Dio per riscattarci dalla nostra miseria e dalla nostra disperazione. L’assoluzione non è certo un “diritto”, che il peccatore può accampare di fronte a Dio: è radicalmente dono, di cui occorre esprimere la gratitudine con le parole e con la vita.

E così pure: non si insisterà mai a sufficienza nel sottolineare il carattere concreto e personale del perdono offerto dalla Chiesa al singolo peccatore. Non basta un qualsiasi riferirsi dell’uomo a un “Dio” lontano e astratto. È un’esigenza umana, che collima col disegno storico, attuato da Dio in Cristo e perdurante nella Chiesa, quella di poterci incontrare con un uomo concreto come noi che, sostenuto dalle preghiere e dalle buone opere dei fratelli, e agendo “in persona Christi”, ci assicuri della misericordia che a noi viene concessa. Quanto, poi, al carattere personale del perdono, seguendo la tradizione incessante della Chiesa, già dalla mia prima enciclica (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis RH 20) e assai spesso in seguito ho insistito non solo sul dovere dell’assoluzione personale, ma anche sul diritto che il singolo peccatore ha di essere accolto e raggiunto nella sua originalità insostituibile e irripetibile. Nulla è tanto personale e indelegabile quanto la responsabilità della colpa. E nulla è tanto personale e indelegabile quanto il pentimento e l’attesa e l’invocazione della misericordia di Dio. Ogni sacramento, del resto, non si rivolge a una generalità di persone, ma alla singolarità di una persona: “Io ti battezzo”, si dice per il Battesimo; “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo”, si afferma per la Confermazione; ecc. Nella stessa logica sta l’“Io ti assolvo dai tuoi peccati”.


Bisognerà, pertanto, rimanere costantemente in guardia perché ad un certo “ritualismo individualistico” non succeda un ancor più deleterio “ritualismo di anonimia”. La dimensione comunitaria del peccato e del perdono non coincide né necessariamente viene provocata soltanto da riti comunitari. Si può avere l’animo aperto alla cattolicità e all’universo confessandosi singolarmente, e si può essere in atteggiamento individualistico quando si è come persi in una massa indistinta.

Possano i fedeli di oggi riscoprire il valore del sacramento del perdono, per poter rivivere in esso la gioiosa esperienza di quella “pace”, di cui il Cristo risorto fece dono alla sua Chiesa nel giorno di Pasqua (cf. Jn 20,19-20).

Ai pellegrini francesi



Ai pellegrini di lingua inglese

Ad un gruppo giapponese

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di Seibo no Kishi, vi esorto a continuare la vostra vita secondo lo spirito di San Massimiliano Kolbe e dell’anno Santo, anche dopo la sua chiusura.

Vi benedico di cuore con la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrinaggi diocesani provenienti dalla Germania Federale



Ai pellegrinaggi provenienti dalla Spagna

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli italiani

Rivolgo ora il mio saluto particolarmente affettuoso ai folti gruppi di numerosi pellegrinaggi diocesani provenienti da varie parti d’Italia per celebrare il Giubileo della Redenzione. Sono i fedeli delle diocesi di Belluno e Feltre, Salerno, Acerno e Campagna, Tivoli, Trivento, Oppido Mamertina-Palmi, Chioggia, La Spezia, Sovana-Pitigliano-Orbetello, Bobbio e della Prelatura di Pompei. Tali gruppi rappresentano le rispettive comunità diocesane e sono guidati dai loro zelanti Pastori, i Monsignori Maffeo Ducoli, Gaetano Pollio, Guerrino Grimaldi, Guglielmo Giaquinta, Antonio Valentini, Benigno Luigi Papa, Sennen Corrà, Siro Silvestri, Eugenio Binini, Giacomo Barabino e Domenico Vacchiano.

Carissimi Fratelli e Sorelle, vi ringrazio vivamente per questa vostra testimonianza di fede e vi auguro che la celebrazione giubilare vi rinnovi nello spirito e vi porti un incremento di fede e di speranza nel Redentore divino. La grazia speciale che la Chiesa vi concede in quest’Anno Santo vi serva anche a rivedere la vostra vita spirituale, a compiere una verifica alla luce del Vangelo, a riconoscere le proprie colpe e ad accettare la mano salvatrice che Cristo non cessa di offrirvi nella sua misericordiosa bontà.

La Vergine Santissima, nelle cui mani abbiamo affidato Domenica scorsa le sorti della nostra vita presente e futura, vi custodisca dal male e vi faccia superare le difficoltà che immancabilmente si presentano sul cammino di ogni militante cristiano.


Accogliete questa mia esortazione come attestato del mio apprezzamento per l’attività che svolgete in seno alle vostre comunità diocesane e parrocchiali e del mio incoraggiamento a ben continuare nella vostra fedeltà alla Chiesa.

Con questi sentimenti volentieri imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.
* * *


Accolgo con gioia il saluto dei giovani, che con la loro presenza animano festosamente questo incontro; lo ricambio e lo rinnovo di cuore.

Sono lieto di vedere che voi, cari giovani, comprendete lo spirito ed il programma dell’Anno Santo, ne traete stimolo per il rinnovamento della vostra formazione ad una vita intelligente, buona, operosa, e soprattutto onesta e cristiana. A coronamento di questo Giubileo, mettete anche il proposito di rianimare con la preghiera la vostra vita, carica di speranza.

Il mio affetto e la mia benedizione vi siano sempre di aiuto nel custodire e comunicare la fede che dimora nei vostri cuori.
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Saluto poi gli ammalati qui presenti. Carissimi, tenete sempre nella mente e nel cuore la consapevolezza che la sofferenza, permeata nel sacrificio di Cristo, è insostituibile veicolo di beni spirituali, perché essa, più di ogni altra cosa, può far strada alla grazia che trasforma le anime umane. Accettate la prova che il Signore esige da voi e trasformatela in annuncio di amore devoto.

Da parte mia vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore vi sostenga con la luce del suo Volto.
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Vada un saluto anche agli sposi novelli, ai quali auguro ogni bene. La Chiesa riconosce con letizia l’onestà, il valore e la santità della vostra unione coniugale. Vivetela, perciò, come dono pieno e reciproco, con un amore al quale partecipi tutta la persona e che esprima un legame fedele, esclusivo ed indissolubile. La mia Benedizione Apostolica vi accompagni sempre, e vi renda capaci di fare della vostra nuova famiglia un luogo di carità autentica e continua.
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Appello alla preghiera per la pace tra Iran e Iraq

Più di una volta ho voluto attirare l’attenzione del mondo e invitato alla preghiera per due popoli, l’iraniano e l’iracheno, coinvolti in una guerra che dura da più di tre anni, e diviene sempre più aspra e sanguinosa.

Purtroppo una soluzione di pace appare sempre lontana, nonostante le offerte di buoni offici, mentre aumentano, in una spirale crescente, le violenze, le distruzioni, senza risparmio di vite umane, di ogni condizione e di ogni età.

Il pensiero di tanti orrori mi ha continuamente assillato, e si fa ora di motivo ancora più grave preoccupazione, dopo che inchieste autorevoli sono giunte alla conclusione che in questa guerra risultano usati mezzi di lotta contrari agli accordi internazionali sulla esclusione di armi crudeli e indiscriminate di distruzione.

Mi riferisco in particolare all’impiego di armi chimiche, proibite dal protocollo di Ginevra del 1925, che moltissimi Paesi hanno sottoscritto e al quale anche la Santa Sede ha aderito. L’uso di armi del genere non può sfuggire al severo giudizio espresso dal Concilio Vaticano II nella costituzione Gaudium et Spes, contro quella che è stata chiamata “guerra totale” (cf. Gaudium et Spes GS 80).

Dobbiamo augurare che una tale terribile realtà non abbia più a ripetersi, per il bene di quei popoli e per il rispetto dei valori fondamentali che trovano ossequio nella coscienza di ogni uomo.

Dobbiamo pregare Dio Onnipotente, Padre degli uomini e dei popoli, affinché l'Iran e l'Iraq, con l'aiuto dei Paesi amici e della Comunità internazionale, possano raggiungere al più presto una tregua e negoziare una pace equa.

chiediamo il dono della pace anche per gli altri Popoli del Medio Oriente, e di altre regioni del mondo, dove le armi continuano a seminare vittime, sofferenze e distruzioni.




Mercoledì, 4 aprile 1984

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1. “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (
Ga 5,25).


Carissimi fratelli e sorelle, nei momenti di preghiera degli scorsi mercoledì ci siamo sforzati di riflettere sul significato cristiano e umano delle varie tappe in cui si struttura il sacramento della Penitenza. Oggi vogliamo appuntare l’attenzione sui frutti, sugli esiti, sugli effetti del perdono ricevuto.

Quando il sacramento della Riconciliazione ci trova in peccato grave e viene accolto con le disposizioni necessarie, allora esso ci libera dalle colpe e ci ridona la vita di grazia. Certamente l’assoluzione, offertaci a nome di Dio in Cristo attraverso la mediazione della Chiesa, non fa sì che i peccati commessi non siano stati commessi nella loro fatticità storica. Ma, per suo tramite, la potenza della misericordia divina ci riconduce a quella dignità di figli di Dio, che abbiamo ricevuto nel Battesimo.

Il catechismo ci ha insegnato a parlare di “grazia abituale”, cioè di una vita nuova e divina che ci viene donata: questa rende presente in noi lo “Spirito di Cristo” (Rm 8,9), il quale ci “conforma” al Signore Gesù (cf. Rm 8,29), affinché nella fraternità ecclesiale ritrovata (cf. 1Co 2,11), abbiamo a “ripetere” in noi (cf. Ep 2,3-6) il mistero della morte e della risurrezione del Redentore, recuperando e rivalutando così in modo nuovo la componente autenticamente umana dell’esistenza.

2. Non si tratta, dunque, di “qualcosa” che ci sia applicato come dall’esterno. Nel credente peccatore e perdonato ritorna ad “abitare” lo Spirito Santo (cf. Rm 8,11 1Co 2,12 1Co 3,16 1Co 16,19 2Co 3,3 2Co 5,5 Ga 3,2-5 Ga 4,6) come il Signore Gesù ci aveva promesso (cf. Jn 14,15-17); anzi, torna a “dimorare” Cristo stesso con il Padre (cf. Jn 14,3 Ap 3,20).

E una simile presenza non è senza felici conseguenze sull’essere e sull’agire del fedele. Questi viene di nuovo trasformato intimamente, ontologicamente mutato, così da ridiventare “creatura nuova” (Ga 6,15), “partecipe della natura divina” (cf. 2P 1,3-4), singolarmente “segnata” e modellata a immagine e somiglianza del Figlio di Dio (cf. 1Co 12,13 2Co 1,21-22 Ep 1,13 Ep 4,30).

Di più: il fedele, liberato dalla colpa mortale, riacquista un nuovo principio d’azione che è il medesimo Spirito, così che diviene capace di una conoscenza e di una volontà nuova secondo Dio (cf. 1Jn 3,1-2 1Jn 4,7-8): vive per il Padre come Cristo (cf. Jn 6,58), prega (cf. Rm 8,26-27), ama i fratelli (cf. 1Co 12,4-11 Jn 13,34), spera l’“eredità” futura (cf. Rm 8,17 Ga 4,7 Tt 3,7) “lasciandosi guidare dallo Spirito”, come ci assicura Paolo nella lettera ai Galati (cf. 5, 18). E questo rinnovamento non si giustappone, ma assorbe, sana e trasfigura la componente umana, così che bisogna “essere lieti nel Signore” (cf. Ph 4,4-8), “esaminare tutto e ritenere ciò che è buono” (cf. 1Th 5,21).

3. Il sacramento della Penitenza, però, non si limita a ridonare la grazia del Battesimo. Offre aspetti nuovi di conformazione a Cristo, che sono propri della conversione, in quanto questa è ratificata e completata dall’assoluzione sacramentale dopo il peccato.

Una solida tradizione spirituale ama esprimere questo dono proprio del sacramento della Riconciliazione in termini di “spirito di compunzione”.

Che cosa significa e che cosa implica questo? Lo “spirito di compunzione”, nel suo fondo, è una particolare unione con Cristo vincitore del peccato, delle passioni e delle tentazioni. Include, dunque, una lucida e singolare conoscenza della colpa, ma non come motivo di angoscia, bensì come motivo di lieta gratitudine, dal momento che la si scopre come perdonata, fino a percepire quasi un istintivo disgusto verso il male. Include ancora una particolare percezione della fragilità umana, che pure permane in parte anche dopo il sacramento ricevuto, e che può nuovamente condurre a “soddisfare i desideri della carne” (Ga 5,16): “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Ga 5,19-20), mentre la grazia ridonata deve portare al “frutto dello Spirito” che è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Ga 5,22).

Lo “spirito di compunzione”, inoltre comporta il dono di una peculiare chiarezza nello scorgere l’impegno della vita cristiana in tutti i suoi settori morali e nella sua applicazione alla singola persona, e insieme comporta il dono di una nuova capacità di attuazione di tali responsabilità. Tutto ciò perché il perdono di Dio, accolto nel sacramento della Penitenza, assimila in modo originalissimo a Gesù Cristo, che è morto ed è risorto per togliere “il peccato del mondo” (Jn 1,29) e per essere “redenzione” (cf. Mt 20,28 Ep 1,7 Col 1,14) dei peccati di ciascuno di noi.

Tale “spirito di compunzione”, dunque, non è per nulla mestizia o paura, ma l’esplodere di un’esultanza derivata dalla potenza e misericordia di Dio, che nel Signore Gesù cancella le colpe, e a cui siamo chiamati a corrispondere con delicatezza di coscienza e fervore di carità.


Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese



Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini giunti a Roma dal Giappone sotto la guida dei Padri Salesiani, in occasione dell’Anno Santo e del 5o° anniversario della canonizzazione di San Giovanni Bosco: ricevete la mia Benedizione Apostolica per voi tutti e per i vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di espressione spagnola


Ai pellegrini dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro e agli altri fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli italiani

Rivolgo ora un affettuoso pensiero a tutti i pellegrini italiani. Saluto i vari pellegrinaggi parrocchiali ed i numerosi gruppi scolastici, riservando una speciale parola per i gruppi diocesani:

- Saluto cordialmente il pellegrinaggio di Pozzuoli, guidato dal Vescovo Monsignor Salvatore Sorrentino e da alcune Autorità Civili. Nell’esprimere la mia viva partecipazione alle attuali preoccupazioni per il rinnovarsi dei fenomeni di bradisismo, assicuro la mia solidarietà e la costante preghiera, mentre esorto alla fiducia ed alla fraterna carità.

- Saluto il pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Foggia e delle diocesi di Bovino e di Troia, guidato dall’Arcivescovo Monsignor Salvatore De Giori e, mentre esprimo il mio sentito compiacimento per le numerose attività spirituali e formative svolte durante l’Anno Santo, auspico di cuore che tali frutti perdurino con una vita di fervorosa testimonianza cristiana.

- Saluto il pellegrinaggio di Alessandria, guidato dal Vescovo Monsignor Ferdinando Maggioni, che ha accompagnato anche i suoi coetanei settantenni: auguro a tutti un impegno sempre più convinto e coraggioso nell’amore alla Verità e nel servizio dei fratelli.


- Saluto infine il pellegrinaggio di Adria, insieme con gli organizzatori, invitando i presenti e tutti i fedeli della cara diocesi alla ferma perseveranza nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con piena fiducia nella preghiera e nella coerenza di vita. A tutti imparto la mia Benedizione, che estendo alle rispettive diocesi.

Ai giovani

Rivolgo ora il mio saluto a tutti i ragazzi e ai giovani presenti in questa piazza.

Carissimi, la vostra presenza anticipa quella di migliaia di vostri coetanei che, tra pochi giorni, da ogni parte del mondo converranno qui per pregare e celebrare il Giubileo della Redenzione.

I vostri volti, il vostro entusiasmo, la vostra gioia di vivere rappresentano l’espressione stessa di questa bella stagione primaverile.

Dio voglia che, con l’apporto della vostra testimonianza di fede, di limpida speranza in un domani migliore e di generoso impegno di solidarietà, la Chiesa e la società conoscano una nuova primavera di rinnovato impegno cristiano.

Vi accompagni la mia Benedizione.

Agli ammalati

Sono qui presenti anche numerosi ammalati, ai quali rivolgo il mio saluto ed il mio augurio.

So che molti di voi si sono associati all’atto di affidamento alla Madonna del 25 marzo scorso, unendo la propria preghiera e una rinnovata offerta della quotidiana sofferenza.

Vi ringrazio di cuore e vi chiedo di continuare a pregare per la Chiesa e per il mondo.

Vi sono vicino e di cuore vi benedico.

Agli sposi novelli

Saluto infine gli sposi novelli. Carissimi, da poco vi siete scambiati reciproca promessa di fedeltà e di amore, ed ora insieme siete venuti presso la tomba di San Pietro ad attingere la forza per vivere la vostra chiamata alla santità, mediante la grazia del sacramento del matrimonio.

Dio benedica i vostri propositi e il vostro generoso impegno.

Vi accompagnino, nella vostra nuova casa, anche la mia preghiera e la mia Benedizione.






Mercoledì, 11 aprile 1984

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1. “Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (
Ep 4,15).

Carissimi, il sacramento della Penitenza, nel piano di Dio, costituisce un mezzo singolarmente efficace in quell’impegno di crescita spirituale, di cui ci ha parlato l’apostolo Paolo. Esso è mezzo indispensabile per disposizione divina - almeno nel desiderio sincero di riceverlo - per il fedele che, essendo caduto in peccato grave, desideri ritornare nella vita di Dio. La Chiesa, però, lungo i secoli, interpretando il volere di Cristo, ha sempre esortato i credenti ad accostarsi di frequente a questo sacramento (cf. Catechismo Romano del Concilio di Trento, Città del Vaticano 1946, PP 239 242), anche perché siano perdonati i peccati soltanto veniali.

Tale evoluzione rispetto al passato, come ha detto il mio predecessore Pio XII, non è avvenuta senza l’assistenza dello Spirito Santo (cf. Pio XII, Mystici Corporis, AAS 35 [1943] 235). Il Concilio Vaticano II, poi, assicura che “il sacramento della Penitenza è di grandissimo giovamento alla vita cristiana” (Christus Dominus CD 30); e, parlando dei sacerdoti afferma: “Essi, che sono i ministri della grazia sacramentale, si uniscono intimamente al Cristo salvatore e pastore attraverso la fruttuosa recezione dei sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente, poiché essa - che va preparata con un quotidiano esame di coscienza - favorisce in sommo grado la conversione del cuore all’amore del Padre della misericordia” (Presbyterorum ordinis PO 18). E, nelle Premesse al nuovo “Rito della Penitenza”, è detto: “Anche per i peccati veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente al sacramento della Penitenza”. Non si tratta, infatti, di una semplice ripetizione rituale, né di una sorta di esercizio psicologico: è, invece, un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del Battesimo, perché, mentre portiamo nel nostro corpo la mortificazione di Cristo Gesù, sempre più si manifesti in noi la sua vita (cf. 2Co 4,10)” (Rito della Penitenza, «Premesse», 7). Così, per il mio predecessore Paolo VI, “la confessione frequente resta una sorgente privilegiata di santità, di pace e di gioia” (Pauli VI, Gaudete in Domino).

2. Certo, la remissione del peccato veniale può avvenire anche attraverso altri mezzi sacramentali e non. Il peccato veniale, infatti, è un atto di disordinata adesione ai beni creati, compiuto non con piena consapevolezza o non in materia grave, così che l’amicizia con Dio persiste nella persona, anche se in diverso grado viene in qualche modo inquinata. Non si dovrà, tuttavia, dimenticare che le colpe veniali possono infliggere ferite pericolose al peccatore.

Alla luce di questi richiami si comprende come sia sommamente opportuno che tali peccati siano perdonati anche mediante il sacramento della Penitenza. La confessione di tali colpe in vista del perdono sacramentale, infatti, aiuta singolarmente a prendere coscienza della propria condizione di peccatori di fronte a Dio per emendarsi; sollecita a riscoprire in modo personalissimo la funzione mediatrice della Chiesa, che agisce come strumento di Cristo presente per la nostra redenzione; offre la “grazia sacramentale”, e cioè un’originale conformazione al Signore Gesù come vincitore del peccato in tutte le sue manifestazioni, insieme con un aiuto perché il penitente scorga e abbia la forza di attuare pienamente le linee etiche di sviluppo che Dio ha inscritto nel suo cuore.


In tal modo il penitente si orienta “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ep 4,13); inoltre, “vivendo secondo la verità nella carità”, egli è stimolato a “crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ep 4,15).

3. A queste motivazioni di ordine teologico, vorrei aggiungerne un’altra di ordine pastorale.

Certo, la “direzione spirituale” (o il “consiglio spirituale” o il “dialogo spirituale”, come talvolta si preferisce esprimersi) può essere svolta anche al di fuori del contesto del sacramento della Penitenza e anche da chi non è insignito dell’ordine sacro. Non si può, però, negare che tale funzione - insufficiente, se attuata soltanto all’interno di un gruppo, senza un rapporto personale - di fatto è frequentemente e felicemente legata al sacramento della Riconciliazione e viene svolta da un “maestro” di vita (cf. Ep 4,11), da uno “spiritualis senior” (S. Benedicti, Regula, c. 4, 50-51), da un “medico”, da una “guida nelle cose di Dio” che è il sacerdote, il quale è reso idoneo a mansioni speciali nella Chiesa per “un dono singolare di grazia” (cf. Summa Theologiae, Supplementum, qq. 18, 36, 35).

In tal modo il penitente supera il pericolo dell’arbitrio e viene aiutato a conoscere e a decidere la propria vocazione alla luce di Dio.

Ai diversi gruppi di fedeli italiani

Rivolgo ora il mio particolare saluto ai pellegrini italiani ed un affettuoso pensiero ai pellegrinaggi parrocchiali e ai numerosi gruppi scolastici. In special modo mi rivolgo alle Superiore Ospedaliere e Caposala di Reparto partecipanti al loro convegno d’aggiornamento. Mentre vi ringrazio per aver desiderato quest’incontro di fede, vi invito a chiedere a Cristo che, in mezzo ai sofferenti tra cui lavorate vi sentiate partecipi della sua passione per sperimentare in voi e in chi curate la forza della sua redenzione. Vi sostenga la mia Benedizione.
* * *


Il mio saluto anche agli associati della Federcoltivatori, che esorto a vivere cristianamente il loro faticoso lavoro della terra e a tener sempre presente la necessità per tutti i laici cattolici, a vario titolo presenti nella società, di impegnarsi attivamente al servizio degli altri sul piano economico, sociale e politico, attingendo luce ed energia dal rapporto con Cristo. Vi accompagni la mia Benedizione.
* * *


Dirigo altresì il mio pensiero ai membri dell’Associazione dei Libanesi Cristiani in Italia, qui presenti insieme con alcuni profughi. Scenda su di voi la mia Benedizione, affinché il Signore vi consoli con la forza del suo amore e faccia sentire accanto a ciascuno di voi e all’intero popolo libanese la solidarietà dei fratelli.
* * *



Saluto ora i giovani presenti a quest’Udienza, nella gioiosa attesa di avere questa sera il primo incontro programmato per il Giubileo dei giovani.

Domenica prossima, la liturgia ci farà rivivere l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, il quale fu accompagnato da uno stuolo di giovani festanti. Anche nella prossima Domenica delle Palme i giovani saranno i protagonisti attorno al Signore.

Carissimi giovani, con viva fede aprite il vostro cuore a Cristo Redentore ed aiutate anche i vostri fratelli ad accogliere Gesù, sperimentando la gioia profonda di sentirsi amati da Lui. Vi benedico di cuore.
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Il mio saluto anche a voi, carissimi fratelli ammalati. Nella Settimana Santa, ormai vicina, la Chiesa, attraverso la liturgia ci invita a posare lo sguardo sul Crocifisso e a riflettere sul significato e sull’intensità delle sofferenze del nostro Redentore.

Nel meditare la passione di Gesù, arriviamo a capire anche il valore delle nostre sofferenze. Vi auguro che, illuminati da Cristo Crocifisso, sappiate trovare il coraggio, la forza e la serenità nel vostro dolore.

In questi ultimi giorni dell’Anno Giubilare della Redenzione, vorrei anche invitarvi ad offrire al Signore le vostre sofferenze, affinché tutti gli uomini aprano il loro cuore al Redentore, si lascino trasformare dal suo amore misericordioso.

Vi benedico di tutto cuore.
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Saluto infine gli sposi novelli.

Carissimi, con il Sacramento del matrimonio vi siete impegnati a realizzare insieme la sublime missione d’amore e di vita, a cui Dio stesso vi ha chiamati. L’Anno Giubilare della Redenzione, che ha visto sbocciare le vostre nuove famiglie, sia uno sprone a realizzare per voi, giorno per giorno, i frutti della Redenzione, per poterli poi trasmettere con gioia, ai figli che Dio, nel Suo amore, vorrà affidarvi.


Pregate insieme e nutritevi frequentemente alla mensa della Parola e del Corpo del Signore, sperimentando la gioia che viene dal vivere nel Suo amore.

A tutti la mia Benedizione.

Ai fedeli di lingua francese

Ai gruppi di lingua inglese

A gruppi giapponesi


Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini della Diocesi di Nagoya, augurandovi che lo spirito del vostro pellegrinaggio e i frutti dell’Anno Santo rimangano sempre nella vostra vita, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

A pellegrini polacchi





Mercoledì, 18 aprile 1984: vigilia del Giovedì santo

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1. “Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice” (
1Co 11,28). Carissimi fratelli e sorelle, siamo alla vigilia del Giovedì santo: del giorno, cioè, in cui Cristo ha istituito, con il sacerdozio ministeriale, il sacramento dell’Eucaristia, che è come il centro e il cuore della Chiesa e “ripete” il sacrificio della croce perché il Redentore venga offerto con noi al Padre, diventi nostro cibo spirituale e rimanga con noi in modo singolare sino alla fine dei secoli.

La Settimana Santa, che è per eccellenza, in seno e al vertice della Quaresima, tempo di penitenza, ci sollecita a una riflessione circa il rapporto tra il sacramento della Riconciliazione e il sacramento dell’Eucaristia.

Da una parte, si può e si deve affermare che il sacramento dell’Eucaristia perdona i peccati. La celebrazione della messa si pone come momento chiave della sacra liturgia che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa, e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (Sacrosanctum Concilium SC 10). In tale gesto sacramentale il Signore Gesù ripresenta il suo sacrificio di obbedienza e di donazione al Padre a nostro favore e in unione con noi: “per la remissione dei nostri peccati” (cf. Mt 26,28).

2. Il Concilio di Trento in questo senso parla dell’Eucaristia come di “antidoto per mezzo del quale siamo liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali” (Conc. Trid., De SS. Eucharistia, cap. 2, Denz.-S. DS 1638; cf. DS 1740). Anzi, lo stesso Concilio di Trento parla dell’Eucaristia come del sacramento che procura la remissione dei peccati gravi, ma attraverso la grazia e il dono della penitenza (cf. Eiusdem, De SS. Missae sacrificio, cap. 2, Denz.-S. DS 1743), la quale è orientata e include, almeno nell’intenzione - “in voto” -, la Confessione sacramentale. L’Eucaristia, come sacrificio non si sostituisce e non si pone in parallelo rispetto al sacramento della Penitenza: si stabilisce, piuttosto, come l’origine da cui derivano e il fine a cui si orientano tutti gli altri sacramenti, e in particolare la Riconciliazione; “rimette i delitti e i peccati anche gravi” (Ivi DS 1743) innanzitutto perché provoca ed esige la Confessione sacramentale.

Ed ecco l’altro aspetto della dottrina cattolica. L’Eucaristia che, come dicevo nella mia prima enciclica (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis RH 20), e “al centro della vita del popolo di Dio”, richiede che sia rispettata “la piena dimensione del mistero divino, il pieno senso di questo segno sacramentale, nel quale Cristo, realmente presente, è ricevuto, l’anima ricolmata di grazia e a noi vien dato il pegno della gloria futura”.

Perciò il Concilio di Trento - tranne in casi particolarissimi in cui, del resto, come s’è detto, la contrizione deve includere il “votum” del sacramento della Penitenza - richiede che colui il quale ha sulla coscienza un peccato grave non si accosti alla Comunione eucaristica prima di aver ricevuto di fatto il sacramento della Riconciliazione (Conc. Trid.,De SS. Eucaristia, cap. 2, Denz.-S. DS 1647 DS 1661).

3. Riprendendo le parole di san Paolo: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice” (1Co 11,28), così affermavo ancora nella stessa enciclica: “Questo invito dell’apostolo indica, almeno indirettamente, lo stretto legame tra l’Eucaristia e la Penitenza. Difatti, se la prima parola dell’insegnamento di Cristo, la prima frase del Vangelo-buona novella era “convertitevi e credete al Vangelo” (“metanoeite”) (Mc 1,15), il sacramento della passione, della croce e risurrezione sembra rafforzare e consolidare questo invito nelle nostre anime. L’Eucaristia e la Penitenza diventano così, in un certo senso, una dimensione duplice e, insieme, intimamente connessa dell’autentica vita secondo lo spirito del Vangelo, della vita veramente cristiana. Cristo, che invita al banchetto eucaristico, è sempre lo stesso Cristo che esorta alla Penitenza, che ripete il “convertitevi”. Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la comprensione, la partecipazione all’Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice, verrebbe meno o, comunque, sarebbe in essa indebolita quella particolare disponibilità di rendere a Dio il sacrificio spirituale (cf. 1P 2,5), in cui si esprime in modo essenziale e universale la nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis, RH 20).

Spesso si sente rilevare con compiacimento il fatto che i credenti oggi si accostano con maggiore frequenza all’Eucaristia. V’è da augurarsi che un simile fenomeno corrisponda a un’autentica maturazione di fede e di carità. Rimane però l’ammonizione di san Paolo: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Co 11,29). “Riconoscere il corpo del Signore” significa, per la dottrina della Chiesa, predisporsi a ricevere l’Eucaristia con una purezza d’animo, che, nel caso del peccato grave, esige la previa recezione del sacramento della Penitenza. Solo così la nostra vita cristiana può trovare nel sacrificio della croce la sua pienezza e giungere a sperimentare quella “perfetta gioia”, che Gesù ha promesso a quanti sono in comunione con lui (cf. Jn 15,11 ecc.).

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di espressione inglese

Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini giapponesi, a voi tutti, specialmente ai non vedenti, auguro che possiate vedere Dio con gli occhi del cuore, sostenuti dalla grazia del pellegrinaggio dell’Anno Santo. Vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca



Ai numerosi pellegrini della Spagna e dell’America Latina

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai fedeli di lingua italiana

Saluto ora i pellegrini italiani, rivolgendo uno speciale pensiero ai vari gruppi.

In particolare, desidero rivolgere un affettuoso saluto agli Scolastici del Collegio Internazionale della Compagnia di Gesù, i quali il giorno 16 aprile hanno ricevuto l’Ordine del Diaconato.

A voi, carissimi giovani, il mio augurio e quello della Chiesa, che nell’imminenza della vostra consacrazione sacerdotale vi prepariate con generoso impegno a diventare, nella piena fedeltà al carisma di S. Ignazio di Loyola, degni ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio.

A voi, ai vostri cari, ai vostri superiori la mia Benedizione Apostolica.
* * *


Saluto inoltre voi, miei cari giovani, accorsi anche oggi numerosi, benché il vostro Giubileo sia terminato da poco. Siete venuti da ogni parte del mondo a Roma portandovi, con la letizia della vostra età e l’entusiasmo della vostra fede, la testimonianza della vostra fede. La ragione della vostra festa è Cristo Gesù, al quale voi avete aperto le porte del cuore e della mente, e che, dopo la prova della Passione, vi comunica la gioia della Risurrezione. Vivete di Lui e in Lui, sempre, e sarete nel mondo fiaccole di certezze e di speranza.
* * *


Un saluto particolarmente affettuoso a voi, carissimi ammalati, oggi, Mercoledì Santo, vigilia del triduo della grande sofferenza di Gesù, alla quale voi avete modo di partecipare così da vicino. Il dolore di Gesù è salvezza per il mondo. La sofferenza della Chiesa è il segno della partecipazione al Sacrificio redentore della Vittima divina. Con la vostra sofferenza, accolta e offerta con spirito cristiano, voi diventate il simbolo vivente della continuità della Redenzione e della salvezza del mondo. Offrite, dunque, con amore il vostro dolore; quanto più esso è nascosto tanto più è prezioso agli occhi e al cuore di Dio.
* * *


Anche a voi, coppie di novelli sposi, il mio saluto cordiale. Il matrimonio cristiano, da voi celebrato in questo giorni, è uno dei segni espressivi del mistero pasquale, intessuto di dolore e di gioia partecipati. Voi siete qui per manifestare la vostra volontà di viverlo pienamente. Gesù prende su di Sé la nostra sofferenza umana e a noi dona la sua gioia di Risorto. E’ questo il senso più vero del matrimonio cristiano: ognuno dei due sposi assume su di sé la croce dell’altro e all’altro comunica la propria gioia. Allora la vita diventa feconda. Vi accompagni la mia Benedizione.






Catechesi 79-2005 28384