Catechesi 79-2005 25484

Mercoledì, 25 aprile 1984

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Carissimi fratelli e sorelle!

1. In questa udienza in cui tutto ci invita a rivivere in letizia l’irradiazione spirituale della Pasqua vorrei esortarvi a riflettere su una frase degli Atti degli apostoli: “Dio ha risuscitato Gesù dai morti e noi tutti ne siamo testimoni” (
Ac 2,32).

Questa vigorosa proclamazione di Pietro all’alba della predicazione apostolica acquista infatti un significato particolare nel clima dell’Alleluia pasquale, di cui la liturgia scandisce per cinquanta giorni i ritmi festosi.

Cristo, veramente morto, è veramente risorto! Nel corso di venti secoli la Chiesa ha continuato a rendere di fronte al mondo questa sconvolgente testimonianza: lo ha fatto in ogni contesto culturale e sociale, sotto qualunque cielo, con la voce dei suoi pastori, col sacrifizio dei suoi martiri, con la dedizione della schiera innumerevole dei suoi santi.

Questo annuncio essa ha ripetuto anche quest’anno, al culmine del Giubileo straordinario della Redenzione, che ha suscitato nei nostri cuori sentimenti e propositi salutari.

2. La testimonianza al Risorto è un impegno che vincola concretamente tutti i membri del popolo di Dio. Il Concilio ne ha fatto oggetto di un esplicito richiamo per i fedeli laici, ricapitolando la missione che ad essi è propria in virtù della loro incorporazione a Cristo mediante il Battesimo, con queste impegnative parole: “Ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del signore Gesù” (Lumen Gentium LG 38).

Testimoniare significa essenzialmente attestare un fatto sulla base di una certezza che, in qualche modo, è frutto di esperienza personale. Le pie donne furono le prime testimoni del ritorno del Signore alla vita (cf. Mt 28,5-8). Esse non videro, allora, Gesù, ma acquistarono la certezza della sua risurrezione sulla base della scoperta del sepolcro vuoto e della spiegazione, che venne loro fornita dall’angelo, dello strabiliante evento. Questa fu l’iniziale esperienza che ebbero del mistero, avvalorata successivamente dalle apparizioni del Risorto.

Ogni cristiano, attingendo alla tradizione storica e soprattutto alle certezze della fede, esperimenta che Cristo è il Risorto e, perciò, il perennemente vivente. È un’esperienza profonda e completa, che non può restare chiusa nell’ambito esclusivamente personale, ma richiede necessariamente di effondersi: come la luce che si irradia; come il fermento che fa lievitare la massa della pasta.

Il vero cristiano è costituzionalmente un “Vangelo vivo”. Non, quindi, il tardo discepolo di una dottrina lontana nel tempo ed estranea alla realtà vissuta: non il mediocre ripetitore di formule prive di mordente, ma il convinto e tenace assertore della contemporaneità di Cristo e della incessante novità del Vangelo, sempre pronto, di fronte a chiunque e in qualunque momento, a rendere ragione della speranza che alimenta nel cuore (cf. 1P 3,15).

3. La testimonianza, come sottolinea il mio predecessore Paolo VI, “è un elemento essenziale, generalmente il primo, della evangelizzazione” (Pauli VI , Evangelii Nuntiandi EN 21). Essa è particolarmente urgente nella nostra epoca, nel disorientamento degli spiriti e nell’eclissi dei valori, che vanno configurando una crisi, la quale si rivela sempre più chiaramente come crisi totale di civiltà.


L’uomo contemporaneo, inebriato dalle conquiste materiali e tuttavia preoccupato per le conseguenze distruttive che minacciano di derivarne, ha bisogno di certezze assolute, di orizzonti capaci di resistere alla corrosione del tempo. Inappagato o deluso dal vagabondaggio tra i meandri di sistemi ideologici che lo allontanano dalle sue più profonde aspirazioni, cerca la verità, cerca la luce. Spesso, forse senza averne piena consapevolezza, cerca Cristo.

Con l’amarezza di chi ha camminato invano sui sentieri di svariate formule culturali, l’uomo del nostro tempo, secondo un’acuta osservazione di Paolo VI, “ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni” (Pauli VI, Allocutio Moderatoribus ac Membris e «Consilio de Laicis», qui plenario Coetui Romae interfuerunt, die 2 oct. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 895s.).

4. In queste giornate pasquali, che hanno sigillato il Giubileo straordinario della Redenzione, assume un valore di grande attualità l’ammonimento di san Paolo: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Co 5,7).

Quanto più si rivelano i caratteri contrastanti del tempo presente, tanto più ci si rende conto che questa è l’ora dei cristiani autentici, forti nella fede, audaci nella speranza, generosi nella carità, ardenti, perciò, nel “rendere testimonianza a Cristo”, come è detto anche nel nuovo Codice di diritto canonico (Codex Iuris Canonici CIC 225 § 2), a proposito dei doveri dei laici.

Questa è l’ora in cui molti dei nostri fratelli di fede pagano a caro prezzo la loro testimonianza. Sono i martiri dei tempi moderni, colpiti da sistemi totalitari nell’esercizio della più elementare libertà di professare apertamente la fede religiosa. Col loro cumulo di sacrifici e di privazioni, col loro ardimento, essi costituiscono un monito e un esempio. Vorrei che, come loro, ognuno di voi, presenti a questo incontro della settimana di Pasqua, facesse propria, con rinnovato fervore, la proclamazione di Pietro: Cristo è risorto e io ne sono testimone.

Questo è l’augurio che mi è caro porgere a tutti di cuore, con la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

Ai fedeli di lingua francese

Ai gruppi di lingua inglese



Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli provenienti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli di lingua portoghese


Ai pellegrini polacchi

Ai gruppi italiani

Saluto cordialmente i rappresentati dell’Ospedale Fatebenefratelli dell’isola Tiberina di Roma e gli organizzatori e artisti della Serata di beneficenza per la “Prevenzione dei tumori”, organizzata per festeggiare, con altre manifestazioni culturali e religiose, il quarto Centenario della Fondazione del noto nosocomio romano. Mentre esprimo il mio apprezzamento per l’opera svolta da tale Ospedale nel corso dei suoi 400 anni di vita, faccio voti per la buona riuscita delle varie iniziative promosse per commemorare questa ricorrenza.
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Rivolgo poi un saluto ai Rappresentati della FIAT Trattori di Modena, dell’Emilceramica di Sassuolo, della Valpadana di San Martino in Rio. Come pure saluto di cuore i Camionisti del Consorzio autotrasportatori San Francesco di Sassuolo che hanno portato in dono un trattore da inviare in Nigeria e una motozappatrice per il “Villaggio Ghirlandina” della Missione Cappuccina nella Repubblica Centroafricana. Carissimi, vi ringrazio vivamente per il vostro gesto anche a nome dei Missionari di quelle terre a cui va il vostro dono e, con affettuoso pensiero, benedico voi e le vostre famiglie, auspicando ogni bene nel Signore.
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Una parola di saluto e di augurio dirigo infine ai seminaristi provenienti da numerose nazioni d’Europa e partecipanti ad un corso di spiritualità presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa, ed alle Religiose appartenenti a diverse Congregazioni, aderenti al “Movimento dei Focolari” riunite nel medesimo Centro per l’approfondimento del proprio impegno di consacrazione a Cristo. Auguro a tutti una vita di intensa dedizione a Cristo ed ai fratelli.
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Desidero ora rivolgere il mio saluto ai giovani qui riuniti.

I beati apostoli Pietro e Paolo, le cui tombe siete venuti a venerare, hanno testimoniato fino al sacrificio supremo la realtà di Cristo Risorto. Sul loro esempio e con il loro aiuto, anche voi, carissimi giovani, dovete cercare, con la generosità e l’entusiasmo propri della giovinezza, continue occasioni di incontro con Gesù Risorto, al fine di renderLo presente, con testimonianze significative, nei vari ambienti in cui vivete.
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Un pensiero del tutto particolare per voi, carissimi ammalati.

Voi potete esserei testimoni più credibili della fede, dell’amore e della speranza cristiana, se, uniti al Cristo della Pasqua, sapete offrire le vostre Croci a Dio Padre, per amore dei fratelli, nella certezza che in tal modo le vostre sofferenze diventano strumento di bene e di vita, per voi e per tutti.
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Agli sposi novelli, infine, rivolgo il mio affettuoso saluto, accompagnato da un fervido augurio. La famiglia che da poco avete costituito nell’incontro sacramentale con il Cristo Risorto sia sempre una piccola Chiesa: un ambiente, cioè, in cui si sperimenta, nell’amore di Dio e nella dedizione reciproca, la presenza dello stesso Cristo, che ci ha insegnato ad amare Dio e il prossimo, senza riserva alcuna. Vi accompagni la mia benedizione.
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Anche se la liturgia pasquale ci invita alla gioia, non possiamo dimenticare quanti soffrono e, in particolare, quanti sono vittime di avvenimenti drammatici: per essi questi giorni, che avrebbero dovuto essere di letizia, sono stati accompagnati da sentimenti di intima tristezza e di angosciosa trepidazione.

Il mio pensiero va a persone vicine e lontane. Va innanzitutto alla famiglia Orlandi, che ho ricordato particolarmente nella preghiera insieme con la loro cara Emanuela, della quale non si è più saputo nulla. I genitori di Emanuela non perdono la speranza di poter riabbracciare la loro figlia. Attendono con ansia di avere almeno qualche sicura notizia che allevii la loro terribile angoscia.

Penso poi a tutte le persone rapite, supplicando i sequestratori di avere pietà di così disumane sofferenze. Fra i numerosi sequestrati, accogliendo la richiesta rivoltami, elevo la mia voce per invocare la liberazione di Bruno Adami di Volta Mantovana.

Invito i presenti a questa udienza generale alla preghiera per tutti i sequestrati e per le loro afflitte famiglie. Esorto a pregare perché si ponga fine a questa piaga che disonora la società. E supplico i responsabili dei sequestri di volere ascoltare la voce della coscienza, che non può essere del tutto spenta nei loro cuori. Un giorno essi dovranno rendere conto a Dio del proprio operato.



Maggio 1984





Martedì, 1° maggio 1984




Carissimi fedeli!

1. Oggi, primo maggio, l’argomento del nostro incontro non può che essere la festa del lavoro. Desidero oggi onorare tutti i lavoratori.

Dal secolo scorso questa giornata del primo maggio ha sempre avuto un profondo significato di unità e di comunione tra tutti i lavoratori, per sottolineare il loro ruolo nella struttura della società e per difendere i loro diritti. Nel 1955, Pio XII, di venerata memoria, volle dare al primo maggio anche un’impronta religiosa, dedicandolo a san Giuseppe lavoratore, e da allora la festa civile del lavoro è diventata anche una festa cristiana.

Sono molto lieto di poter esprimere con voi oggi i sentimenti della più viva e cordiale partecipazione a questa festa, ricordando l’affetto che la Chiesa ha sempre avuto per i lavoratori e la sollecitudine con cui ha cercato e cerca di promuovere i loro diritti. È noto come specialmente dall’inizio dell’era industriale, la Chiesa, seguendo lo svolgersi della situazione e lo svilupparsi delle nuove scoperte e delle nuove esigenze, ha presentato un “corpus” di insegnamenti in campo sociale, che certamente hanno avuto e hanno tuttora il loro influsso illuminante, a cominciare dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891).

Chi onestamente cerca di conoscere e di seguire l’insegnamento della Chiesa, vede come in realtà essa abbia sempre amato i lavoratori, e abbia indicato e sostenuto la dignità della persona umana come fondamento e ideale di ogni soluzione dei problemi riguardanti il lavoro, la sua retribuzione, la sua protezione, il suo perfezionamento e la sua umanizzazione. Attraverso i vari documenti del magistero della Chiesa emergono gli aspetti fondamentali del lavoro, inteso come mezzo per guadagnarsi da vivere, come dominio sulla natura con le attività scientifiche e tecniche, come espressione creativa dell’uomo, come servizio per il bene comune e come impegno per la costruzione del futuro della storia.

Come ho detto nell’enciclica Laborem Exercens (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens LE 9), “il lavoro è un bene dell’uomo, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo”.

La festa del primo maggio è molto opportuna per ribadire il valore del lavoro e della “civiltà” fondata sul lavoro, contro le ideologie che sostengono invece la “civiltà del piacere” o dell’indifferenza e della fuga. Ogni lavoro è degno di stima, anche il lavoro manuale, anche il lavoro ignoto e nascosto, umile e faticoso, perché ogni lavoro, se interpretato nel modo esatto, è un atto di alleanza con Dio per il perfezionamento del mondo; è un impegno di liberazione dalla schiavitù delle forze della natura; è un gesto di comunione e di fraternità con gli uomini; è una forma di elevazione, in cui si applicano le capacità intellettive e volitive. Gesù stesso, il Verbo divino incarnatosi per la nostra salvezza, volle prima di tutto e per tanti anni essere un umile e solerte lavoratore!

2. Nonostante la verità fondamentale del valore perenne del lavoro, sappiamo che molte sono le problematiche nella società di oggi. Già l’aveva notato il Concilio Vaticano II, quando così si esprimeva: “L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti, che progressivamente si estendono all’intero universo. Provocati dall’intelligenza e dall’attività creativa dell’uomo, su di lui si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di agire sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa (Gaudium et Spes GS 4).

Il problema primo e più grave è certamente quello della disoccupazione, causato da tanti fattori, come l’introduzione su vasta scala dell’informatica, che per mezzo dei robot e dei computer elimina molta manodopera; la saturazione di alcuni prodotti; l’inflazione che arresta il consumo e quindi la produzione; la necessità della riconversione di macchine e di tecniche; la competizione.

Un altro problema è il pericolo che l’uomo diventi schiavo delle macchine da lui stesso inventate e costruite. È necessario infatti dominare e guidare la tecnologia, altrimenti essa si mette contro l’uomo.

Infine possiamo citare anche la grave questione dell’alienazione professionale, per cui si perde il significato autentico del lavoro, lo si intende solo come merce, in una fredda logica di guadagno per poter acquistare benessere, consumare e così ancora produrre, cedendo alla tentazione della disaffezione, dell’assenteismo, dell’egoismo individualista, dell’avvilimento, della frustrazione e facendo prevalere le caratteristiche del cosiddetto “uomo ad una dimensione”, vittima della tecnica, della pubblicità e della produzione.

Sono problemi assai complessi sui quali manca il tempo per soffermarsi. Ma oggi, primo maggio, vogliamo accennare alla necessità della “solidarietà” umana e cristiana, a livello nazionale e universale, per risolvere tali difficoltà in modo esauriente e convincente. Paolo VI diceva nella Populorum Progressio (Pauli VI, Populorum Progressio PP 17): “Ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità tutta intera. Non soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario... La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere”. Parlando a Ginevra alla Conferenza internazionale del lavoro, io stesso dissi che “la soluzione positiva del problema dell’impiego presuppone una grande solidarietà nell’insieme della popolazione e nell’insieme dei popoli: che ciascuno sia disposto ad accettare i sacrifici necessari, che ciascuno collabori all’attuazione dei programmi e degli accordi miranti a fare della politica economica e sociale un’espressione tangibile della solidarietà” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad eos qui LXVIII conventui Conferentiae ab omnibus de humano labore interfuere habita, 10, die 15 iunii 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/2 [1982] 2261).


3. Oggi, festa del lavoro, memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore, invoco di cuore la sua celeste protezione su quanti lavorando trascorrono la loro vita e su quanti purtroppo si trovano senza lavoro, ed esorto tutti a pregare ogni giorno il padre putativo di Gesù, umile e semplice lavoratore, affinché sul suo esempio e con il suo aiuto ogni cristiano porti nella vita il suo contributo di diligente impegno e di gioiosa comunione.

Ai fedeli di espressione francese

Chers Frères et Soeurs,

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola



Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i gruppi di pellegrini italiani, qui presenti, e desidero ricordare in particolare i membri del “Comitato per i Santi Patroni della Venezia Giulia e Dalmazia”, che hanno offerto alla chiesa parrocchiale di San Marco in Agro Laurentino di Roma alcuni pannelli in mosaico, che raffigurano i Santi Protettori delle Città Giuliane. A voi, a tutti i vostri fratelli e a tutti i rappresentanti delle comunità giuliano-dalmate dell’Urbe indirizzo l’augurio che conserviate gelosamente le preziose tradizioni di fede cristiana, ricevute nelle vostre terre di origine!
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Un affettuoso saluto va anche agli Atleti, che partecipano alla “Staffetta della Pace”, organizzata dalla Società Polisportiva Desenzanese, di Albino (Bergamo). Carissimi giovani, che dalla vostra città avete voluto portare a Roma la fiaccola accesa, segno della luce e del calore, che la vera pace può portare all’umanità, siate sempre nella vostra vita annunciatori ed operatori di pace, secondo l’impegno dato da Cristo ai suoi seguaci!
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Intendo anche salutare vari gruppi scolastici, fra i quali ricordo il pellegrinaggio della Scuola Media Statale di Montà, della diocesi di Alba. Preparatevi, carissimi studenti, con serietà ed impegno in questo anni della vostra adolescenza, per poter un giorno affrontare i grandi problemi della vita con la forza della fede cristiana! A voi tutti la mia Benedizione Apostolica.
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Carissimi giovani,

pochi giorni fa, alla chiusura dell’Anno Santo ho affidato ai vostri coetanei la Croce di Cristo da portare nel mondo come segno e principio di salvezza per l’umanità. Intendevo rivolgermi a tutti i giovani cristiani del mondo. Anche a voi oggi mi è caro ripetere lo stesso invito, nel nome di Gesù e della Vergine Santissima: sia la Croce di Cristo il vostro vanto e la vostra fierezza! Sia la vostra certezza e la vostra luce! Portatela nel mondo come germe fecondo del vero amore e della vera dignità dell’uomo. Vi sono accanto nel nome di Cristo con la mia affettuosa benedizione.
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Carissimi ammalati,

a voi ora vuole andare il mio cordiale saluto e benvenuto. oggi festeggiamo San Giuseppe lavoratore. Anche per voi tale festa ha un particolare significato. La sofferenza, il disagio, la difficoltà vissuti in unione con Cristo sono, da un punto di vista soprannaturale, un grande ed importantissimo “lavoro”, estremamente fecondo e fruttuoso per la salvezza del mondo, anche se spesso conosciuto solo da Dio: ma questo, in fondo, è ciò che conta. Certamente, si tratta di un “lavoro” che io vorrei risparmiarvi: ma se il Signore lo permette, non scoraggiatevi, ed anzi, voglio dirvi: se lo considerate con occhio di fede, ne sentirete una santa ed umile fierezza. La mia affettuosa benedizione vi sia di sostegno e di conforto.
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Carissimi sposi novelli,

oggi inizia il mese di maggio. Vi esorto a mettere la vostra nuova vita che avete iniziato e la vostra famiglia sotto la protezione della Madonna affinché vi accompagni sempre. Vi accompagni anche la mia benedizione.
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È con profondo dolore che ho appreso le notizie circa il terremoto che ha colpito l’Umbria, provocando feriti e ingenti danni.

Desidero assicurare le buone popolazioni umbre che sono loro vicino, condividendo le loro sofferenze e unendomi nella preghiera.

Incoraggio di cuore le iniziative che sono state intraprese per portare soccorso ai feriti e per venire incontro a quanti hanno perso la casa o hanno visto distrutti i propri beni, frutto di anni di lavoro e di sacrificio.

La solidarietà di tutti sia ad essi di conforto e di effettivo aiuto. La Vergine santissima li assista e li sostenga.




Mercoledì, 16 maggio 1984

16584

1. Desidero oggi - insieme con voi, cari pellegrini e partecipanti a quest’udienza - manifestare la mia gratitudine alla divina Provvidenza, per il servizio apostolico che ho avuto la gioia di compiere in mezzo ad alcune Chiese dell’Asia e dell’Oceania: in Corea, in Papua Nuova Guinea, nelle isole Salomone e infine in Thailandia.

2. Due secoli di fede e di vita della Chiesa in Corea, ecco l’avvenimento che ci induce a inginocchiarci nell’adorazione delle “grandi opere di Dio” (cf.
Ac 2,11), che si sono compiute in mezzo a quel popolo antico, che vivendo tra la Cina e il Giappone ha conservato la sua autonomia, la lingua, la cultura e l’identità nazionale.

Quell’inizio della fede cristiana, che ebbe luogo proprio due secoli fa, ci fa riflettere. Come data di tale evento viene considerato l’anno 1784, poiché allora il primo coreano Yi Sunghun divenne cristiano e diede inizio alla prima comunità cristiana. Era un laico, un uomo colto. La fede cristiana crebbe come frutto di una riflessione sul tradizionale Confucianesimo in Corea, e si plasmò mediante il contatto con la Chiesa che esisteva già in Cina e in particolare a Pechino.

Tuttavia i primi cristiani coreani trovarono resistenza da parte della religiosità tradizionale, il che divenne sorgente di molteplici tormenti, di torture e della morte per martirio di tanti tra di loro. Le persecuzioni iniziarono presto, e durarono in diversi luoghi e con diversa intensità, oltre cento anni. Persecuzioni particolarmente sanguinose ebbero luogo negli anni 1801, 1839, 1846, 1866.

Del numero globale di martiri coreani, che viene calcolato intorno a diecimila, è conosciuto e documentato il martirio di centotré persone, che ho avuto la gioia di iscrivere insieme nell’albo dei santi a Seoul il 6 maggio, terza domenica di Pasqua. Come primo in questo numero è nominato Andrea Kim Taegon, il primo sacerdote coreano, poi vi è Paolo Chong Ha-sang, poi vengono gli altri, qualificati con la denominazione comune di “socii”, ma conosciuti tutti per nome e cognome. Vi sono tra di loro sacerdoti e laici. La persona più anziana contava 79 anni, la più giovane 13 anni.

In mezzo ai martiri coreani vi sono dieci missionari francesi (della “Mission etrangère de Paris”) tra i quali i primi vescovi della Chiesa in Corea.

Leggendo gli “Acta martyrum” del XIX secolo nella terra coreana, ci viene in mente una stretta analogia col “martyrologium romanum”. Le grandi opere di Dio “per martyres” si ripetono in diverse epoche della storia e in diversi luoghi del mondo.

3. Nell’arco di due secoli di esistenza la Chiesa in Corea, crescendo sul terreno reso così profondamente fertile dal sangue dei martiri, si è sviluppata molto. Attualmente conta circa 1.600.000 fedeli. Questo sviluppo continua soprattutto in questi ultimi anni. Ne offrono testimonianza le numerose conversioni e i battesimi.Circa 100.000 ogni anno. Ne offre testimonianza pure il gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose sia maschili che, soprattutto, femminili. Ne offre testimonianza la profonda coscienza cattolica dei laici e il loro vivo impegno apostolico.


Il soggiorno di alcuni giorni in Corea mi ha consentito di rendermene conto da vicino. Il tempo era troppo breve per visitare tutte le diocesi (sono 14), perciò tanto più cari rimarranno per me i singoli incontri a Kwang-Ju (il Battesimo e la Confermazione), a Tac-Gu (le ordinazioni sacerdotali), a Pusan (incontro col mondo del lavoro), la visita all’ospedale per i lebbrosi nell’isola di Sorokdo e, in particolare, l’incontro centrale e la solennità giubilare unita alla canonizzazione dei martiri coreani nella capitale Seoul.

Ai miei fratelli nell’episcopato, con il cardinale Kim a capo, mando un cordiale bacio di pace.

E insieme con tutta la nazione coreana vivo il doloroso fatto della separazione della Corea del Nord da quella del Sud. Purtroppo con i cristiani della Corea del Nord non possiamo allacciare alcun contatto. Perciò li raccomandiamo tanto più alla preghiera di tutta la Chiesa.

4. Desidero anche ringraziare la Santissima Trinità perché mi fu dato di trovarmi, mediante la visita in Papua Nuova Guinea e nelle isole Salomone, in mezzo all’attività missionaria della Chiesa.Questo fu come un secondo capitolo di questo mio pellegrinaggio, che è durato dal 2 al 12 maggio.

Esprimo la mia profonda gioia perché quest’attività missionaria porta frutti abbondanti, di cui fanno prova pure le strutture ecclesiastiche già formate: in Nuova Guinea 14 diocesi e quattro sedi metropolitane; e nelle isole Salomone due diocesi, legate alla sede metropolitana di Honiara.

Nel corso di tre giorni ho potuto incontrarmi con i miei fratelli nell’episcopato e anche con i missionari delle singole diocesi e delle famiglie religiose maschili e femminili. Ringrazio Dio, perché tra i sacerdoti e tra le religiose cominciano gradualmente ad apparire i figli e le figlie dei popoli che abitano quelle isole, dotate di una natura ricca e bella.

Questi popoli hanno una loro cultura tradizionale, specifici costumi, un singolare senso del bello e le profonde risorse della religiosità originaria. Su un tale terreno il messaggio del Vangelo ha già attecchito in notevole misura grazie al lavoro, talvolta eroico, dei missionari, come pure dei catechisti del luogo e degli apostoli laici. Qui bisogna pure mettere in rilievo il carattere ecumenico dell’evangelizzazione, Così, per esempio, nelle isole Salomone i missionari anglicani e metodisti sono riusciti a ottenere buoni risultati. È da sottolineare in modo particolare il loro merito nel campo della divulgazione della Bibbia. La collaborazione ecumenica in quelle terre si sviluppa alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.

Bisogna rallegrarsi che insieme col progresso dell’evangelizzazione è giunto anche il momento dell’indipendenza dei popoli che abitano in Papua Nuova Guinea e nelle isole Salomone. Le autorità locali hanno dimostrato una particolare benevolenza verso la visita del Papa, e per questo desidero esprimere loro un vivo ringraziamento; in pari tempo abbraccio e ringrazio cordialmente l’intero episcopato.

5. L’ultima tappa - e insieme il terzo capitolo - di questo viaggio pastorale fu la sosta di un giorno e mezzo in Thailandia, prima di tutto a Bangkok. Questa fu in un certo senso la risposta alla visita che il re e la regina fecero un tempo in Vaticano durante il pontificato di Giovanni XXIII, e a quella che fece poi il patriarca buddista di Thailandia a Paolo VI. La Thailandia è infatti il Paese in cui il Buddismo, professato dalla stragrande maggioranza degli abitanti (circa il 95 per cento), costituisce la religione nazionale. Al tempo stesso le leggi dello Stato rispettano la libertà religiosa delle altre confessioni, il che permette anche alla Chiesa cattolica di svilupparsi. La visita in Thailandia si è svolta sotto il segno di una cordiale ospitalità dei padroni di casa. Numericamente questa Chiesa è un “piccolo gregge” (Lc 12,32): conta all’incirca lo 0,5 per cento dell’insieme degli abitanti. Essa tuttavia dimostra una notevole vitalità, impegnandosi nelle dieci diocesi sotto la guida dei vescovi, tra cui l’arcivescovo di Bangkok, che da poco è stato elevato alla dignità cardinalizia. A lui e a tutti i confratelli nell’episcopato va il mio pensiero memore e riconoscente. Una testimonianza di questa vitalità della Chiesa in Thailandia fu la celebrazione dell’Eucaristia la prima sera e il giorno seguente. In tale circostanza hanno avuto luogo anche le ordinazioni sacerdotali di ventitré novelli sacerdoti tailandesi. La Chiesa svolge la sua attività pastorale anche con l’aiuto di un certo numero di istituzioni, fra cui le scuole cattoliche e gli ospedali, ad esempio, l’ospedale San Luigi a Bangkok.

Un punto importante nel programma dell’ultimo giorno in Thailandia fu la visita al campo di rifugiati di Phanat Nikhom. Lo stesso giorno parlando ai rappresentanti del governo, del corpo diplomatico e dell’episcopato (erano presenti anche i vescovi dei Paesi vicini) mi sono rivolto con un accorato appello all’opinione internazionale, perché si possa giungere finalmente alla soluzione della tormentosa questione dei rifugiati, che è di grande attualità su vasta scala non soltanto in Asia, ma anche in altre parti del mondo.

6. Ringrazio Cristo, eterno pastore, per questa multiforme esperienza della Chiesa in Asia e Oceania. Essa mi ha permesso di entrare sulle vie tracciate dal Concilio Vaticano II, e non soltanto nei documenti principali (Lumen Gentium, Gaudium et ), ma anche in documenti specifici, come il Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, oppure la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.Particolarmente eloquente rimane l’incontro con il Buddismo.


Prego la Regina degli apostoli e Madre della Chiesa, perché ottenga che questo servizio pastorale del Vescovo di Roma abbia frutti abbondanti.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi



Ai gruppi italiani

Un affettuoso saluto desidero rivolgere ai ragazzi, alunni delle Scuole Cattoliche, vincitori dei Concorsi sul tema dell’Anno Giubilare della Redenzione, organizzati dalla “Federazione istituti di Attività Educative” (FIDAE).

Esprimo ai promotori il mio sincero compiacimento per tale iniziativa, che ha impegnato gli studenti a meditare sul grande evento ecclesiale che abbiamo vissuto in questo anno, ed altresì il mio vivo plauso a quanti ricevono oggi il meritato premio.

Ai vincitori, ai numerosi alunni delle Scuole Cattoliche di Roma qui presenti, ai genitori, ai docenti e a tutte le Scuole Cattoliche d’Italia va il mio incoraggiamento insieme con la mia Benedizione Apostolica.
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Un cordiale saluto indirizzo anche ai partecipanti al settimo Corso di Studio per la Tersa Età, promosso dall’Azione Cattolica Italiana sul tema “Azione Cattolica e pastorale degli Anziani in una situazione pluralistica”. Il mio apprezzamento si rivolge a quanti hanno organizzato questo incontro di riflessione su un tema così attuale, quale è quello degli Anziani, ai quali desidero, ancora una volta, rinnovare la stima della Chiesa per il contributo che essi hanno dato con il loro lavoro, con i loro sacrifici e con la loro dedizione per la crescita civile e morale della società.
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Desidero inoltre manifestare il mio apprezzamento ai partecipanti all’incontro ecumenico, organizzato a cura del Centro “Uno” del Movimento dei Focolari, sul tema “La via dell’unità”. Al mio deferente saluto si accompagna l’auspicio che si possa realizzare presto, con la grazia dello Spirito Santo, la piena unione dei cristiani.
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Un saluto augurale anche al gruppo di Esperti, che in questi giorni, presso la Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, stanno riflettendo sui problemi dell’Apostolato del Mare.


Mentre esprimo voti per i loro lavori, rivolgo un fraterno pensiero anche a tutti gli uomini del mare, che accomuno nella mia Benedizione Apostolica.
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Desidero salutare anche il Rettore, i professori e gli alunni del Piccolo Seminario Arcivescovile di Bronte, nell’arcidiocesi di Catania, come pure le Suore, i docenti, gli alunni e i loro genitori, appartenenti alle Scuole Elementari dell’Istituto “Don Bosco” di Catania.

Carissimi, voglio dirvi il mio sentito compiacimento per il vostro pellegrinaggio alla Tomba del Principe degli Apostoli, e altresì il mio augurio che la vostra vita sia sempre animata ed orientata dalla fede in Gesù Cristo, Redentore dell’uomo!

A tutti la mia Benedizione Apostolica.
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Un saluto particolare rivolgo ai giovani qui convenuti. La vostra età vi apre in modo irrompente alla pienezza della vita e vi mostra giorno per giorno la necessità di ancorare saldamente la vostre convinzioni, i vostri sentimenti, i vostri progetti per il futuro. nel bisogno quotidiano di certezze, di sicurezza e di verità che sperimentate, vi invito a fare vostra la risposta che l’Apostolo Pietro diede a Cristo Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Jn 6,68).

Vi accompagni la mia Benedizione.
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Di cuore saluto poi tutti gli ammalati. La vostra presenza nelle famiglie e nelle case di cura ricorda a tutti quanti il dovere dell’attenzione e dell’amore premuroso. Nello stesso tempo la condizione di sofferenza, che sperimentate nel corpo e nello spirito, vi unisce a Cristo in modo certamente misterioso, ma profondo e vero.

Vi esorto quindi, cari ammalati, ad essere sempre più consapevoli della preziosità della vostra missione, che vi costituisce, insieme con Cristo, strumenti di conversione e di vita nuova per tutti i fratelli.

Sia con voi, come pegno della predilezione di Dio, il conforto della mia Benedizione.
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Mi rivolgo infine a voi, sposi novelli, che avete voluto includere, nei primi giorni del vostro matrimonio, una sosta di preghiera in questo luogo che raccoglie la memoria della testimonianza che Pietro ha reso a Cristo Signore. Anche voi avete votato a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, la vostra vita, con la promessa della comunione reciproca di tutto il vostro essere.

Vi accompagni, in questo impegno che siete chiamati a realizzare attraverso “un amore fedele ed inesauribile” (Liturgia del Matrimonio), la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 25484