Catechesi 79-2005 50984

Mercoledì, 5 settembre 1984

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1. Abbiamo precedentemente parlato dell’onesta regolazione della fertilità, secondo la dottrina contenuta nell’enciclica Humanae Vitae (Pauli VI, Humane Vitae, n.
HV 19), e nell’esortazione Familiaris Consortio. La qualifica di “naturale”, che si attribuisce alla regolazione moralmente retta della fertilità (seguendo i ritmi naturali, cf. Humanae Vitae HV 16), si spiega con il fatto che il relativo modo di comportarsi corrisponde alla verità della persona e quindi alla sua dignità: una dignità che “per natura” spetta all’uomo quale essere ragionevole e libero. L’uomo, come essere ragionevole e libero, può e deve rileggere con perspicacia quel ritmo biologico che appartiene all’ordine naturale. Può e deve conformarsi ad esso, al fine di esercitare quella “paternità-maternità responsabile”, che, secondo il disegno del Creatore, è iscritta nell’ordine naturale della fecondità umana. Il concetto di regolazione moralmente retta della fertilità non è altro che la rilettura del “linguaggio del corpo” nella verità. Gli stessi “ritmi naturali immanenti alle funzioni generative” appartengono alla verità oggettiva di quel linguaggio, che le persone interessate dovrebbero rileggere nel suo pieno contenuto oggettivo. Bisogna aver presente che il “corpo parla” non soltanto con tutta l’eterna espressione della mascolinità e della femminilità, ma anche con le strutture interne dell’organismo, della reattività somatica e psicosomatica. Tutto ciò che deve trovare il posto che gli spetta in quel linguaggio, con cui dialogano i coniugi, come persone chiamate alla comunione nell’“unione del corpo”.

2. Tutti gli sforzi che tendono alla conoscenza sempre più precisa di quei “ritmi naturali”, che si manifestano in rapporto alla procreazione umana, tutti gli sforzi poi dei consultori familiari e infine degli stessi coniugi interessati, non mirano a “biologizzare” il linguaggio del corpo (a “biologizzare l’etica”, come erroneamente ritengono alcuni), ma esclusivamente ad assicurare l’integrale verità a quel “linguaggio del corpo”, con cui i coniugi debbono esprimersi in modo maturo di fronte alle esigenze della paternità e maternità responsabili.

L’enciclica Humanae Vitae sottolinea a più riprese che la “paternità responsabile” è connessa a un continuo sforzo e impegno, e che essa viene attuata a prezzo di una precisa ascesi (cf. Pauli VI, Humanae Vitae HV 21). Tutte queste e altre simili espressioni mostrano che nel caso della “paternità responsabile” ossia della regolazione della fertilità moralmente retta, si tratta di ciò che è il vero bene delle persone umane e di ciò che corrisponde alla vera dignità della persona.

3. L’usufruire dei “periodi infecondi” nella convivenza coniugale può diventare sorgente di abusi, se i coniugi cercano in tal modo di eludere senza giuste ragioni la procreazione, abbassandola sotto il livello moralmente giusto delle nascite nella loro famiglia. Occorre che questo giusto livello sia stabilito tenendo conto non soltanto del bene della propria famiglia, come pure dello stato di salute e delle possibilità degli stessi coniugi, ma anche del bene della società a cui appartengono, della Chiesa, e perfino dell’umanità intera.

L’enciclica Humanae Vitae presenta la “paternità responsabile” come espressione di un alto valore etico. In nessun modo essa è unilateralmente diretta alla limitazione e ancor meno all’esclusione della prole; essa significa anche la disponibilità ad accogliere una prole più numerosa. Soprattutto, secondo l’enciclica Humanae Vitae, la “paternità responsabile” attua “un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è fedele interprete” (Pauli VI, Humanae Vitae HV 10).

4. La verità della paternità e maternità responsabile, e la sua messa in atto, è unita alla maturità morale della persona, ed è qui che molto spesso si rivela la divergenza tra ciò a cui l’enciclica attribuisce esplicitamente il primato e ciò a cui questo viene attribuito nella mentalità comune.

Nell’enciclica viene messa in primo piano la dimensione etica del problema, sottolineando il ruolo della virtù della temperanza, rettamente intesa. Nell’ambito di questa dimensione c’è anche un adeguato “metodo” secondo cui agire. Nel comune modo di pensare capita spesso che il “metodo”, staccato dalla dimensione etica che gli è proprio, viene messo in atto in modo meramente funzionale, e perfino utilitario. Separando il “metodo naturale” dalla dimensione etica, si cessa di percepire la differenza che intercorre tra esso e gli altri “metodi” (mezzi artificiali) e si arriva a parlarne come se si trattasse soltanto di una diversa forma di contraccezione.


5. Dal punto di vista dell’autentica dottrina, espressa dall’enciclica Humanae Vitae è dunque importante una corretta presentazione del metodo stesso, di cui fa cenno il medesimo documento (cf. Pauli VI, Humanae Vitae HV 16); soprattutto è importante l’approfondimento della dimensione etica, nel cui ambito il metodo, come “naturale”, acquista il significato di metodo onesto, “moralmente retto”. E perciò, nel quadro della presente analisi, ci converrà volgere principalmente l’attenzione a ciò che l’enciclica asserisce sul tema della padronanza di sé e sulla continenza. Senza un’interpretazione penetrante di quel tema non giungeremo né al nucleo della verità morale, né al nucleo della verità antropologica del problema. Già prima è stato rilevato che le radici di questo problema affondano nella teologia del corpo: è questa (quando diviene, come deve, pedagogia del corpo) che costituisce in realtà il “metodo” moralmente onesto della regolazione della natalità, inteso nel suo senso più profondo e più pieno.

6. Caratterizzando in seguito i valori specificamente morali della regolazione della natalità “naturale” (cioè onesta, ossia moralmente retta), l’autore della Humanae Vitae così si esprime: “Questa disciplina . . . apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, e approfondisce il loro senso di responsabilità. I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l’educazione dei figli; la fanciullezza e la gioventù crescono nella giusta stima dei valori umani e nello sviluppo sereno e armonioso delle loro facoltà spirituali e sensibili” (Pauli VI, Humanae Vitae HV 21).

7. Le frasi citate completano il quadro di ciò che l’enciclica Humanae Vitae (Pauli VI, Humane Vitae, n. HV 21) intende per “onesta pratica di regolazione della natalità”. Questa è, come si vede, non soltanto un “modo di comportarsi” in un determinato campo, ma un atteggiamento che si fonda sull’integrale maturità morale delle persone e insieme la completa.

Ai pellegrini provenienti dalla Francia

Ai gruppi di espressione inglese


Ai gruppi di pellegrini provenienti dal Giappone


Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi universitari della “Nanzan-University” e carissimi pellegrini del “Marian Center Rosary Tour”.

Vi ringrazio di cuore per avermi fatto visita durante questo vostro pellegrinaggio per la pace del mondo e l’amicizia fra i popoli.

Volentieri invoco su di voi la protezione della Madonna, affinché lo scopo che vi siete proposti ottenga il risultato sperato, mentre con tutto l’affetto vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad un gruppo tirolese

Ai gruppi di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli provenienti dalla Polonia

Ai fedeli italiani


Desidero salutare anche tutti i Gruppi di lingua italiana, presenti a questa Udienza: i pellegrinaggi diocesani, quelli parrocchiali; i singoli fedeli, i sacerdoti e i religiosi, che li accompagnano.

In particolare, rivolgo il mio pensiero ai superiori e agli alunni del Seminario Minore di Bergamo e ai loro familiari; agli alunni della Terza Classe Media del Seminario Vescovile di Vicenza; al gruppo dei sacerdoti e religiosi appartenenti alla “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, fondata dal Beato Don Orione, e provenienti da diversi Paesi del mondo.

Nell’esprimere a voi tutti il mio compiacimento, faccio voti che il vostro pellegrinaggio alla Sede di San Pietro sia sprone per un maggiore, costante impegno nella generosa risposta alla chiamata di Gesù ad una vita sempre più aderente al suo messaggio di donazione a Dio ed ai fratelli.
* * *


Il mio saluto affettuoso si rivolge ora ai numerosi pellegrini della diocesi di Chiavari, i quali, insieme con il loro Vescovo Monsignor Daniele Ferrari, hanno voluto trasportare a Roma la preziosa e venerata Icona di Nostra Signora dell’Orto, Patrona della Città e della Diocesi.

Cari Fratelli e Sorelle di Chiavari! Affido al cuore materno di Maria Santissima, per la quale voi nutrite una tenera e forte devozione, il vostro Pastore, il clero, i religiosi, le religiose, tutti i fedeli della diocesi, i pellegrini presenti, tra i quali mi piace ricordare le Suore Gianelline e i benemeriti Ortolani con le loro famiglie!

A tutti la mia Benedizione Apostolica.
* * *


Saluto ora i ragazzi e i giovani, presenti in questa piazza. Carissimi, il periodo delle vacanze sta volgendo al termine. Molti di voi hanno avuto la possibilità di viaggiare, di ammirare quanto la grandezza e la mano provvida del Signore hanno generosamente donato all’uomo, di intessere nuove e gratificanti amicizie. Tali esperienze, dopo aver reso più ricco il patrimonio della vostra cultura, più matura la vostra personalità, più intense le trame dei vostri affetti, divengano ora stimolo per un impegno di gioiosa testimonianza nel mondo odierno.

Sono accanto a voi con la mia preghiera, e di cuore vi benedico.
* * *



Intendo poi rivolgere il mio saluto più affettuoso a tutti gli ammalati qui presenti. Carissimi, la sofferenza dell’uomo non è inutile né assurda, ma, unita a quella di Cristo, è garanzia e certezza di premio e di risurrezione.

Vorrei invitarvi ad offrire le vostre sofferenze e le vostre preghiere per la Chiesa.

In particolare, vi invito a pregare perché apporti copiosi frutti di bene il Congresso Eucaristico Nazionale Croato, che avrà luogo Sabato e Domenica prossima in Jugoslavia, presso il Santuario di Marija Bistrica nell’Arcidiocesi di Zagabria.

Vi ricordo ogni giorno nella celebrazione eucaristica, e vi dono il conforto della mia Benedizione.
* * *


Rivolgo poi un caloroso augurio alle numerose coppie di sposi novelli che, sostando nella Città eterna, hanno voluto dare un significato particolare di fede al loro viaggio di nozze.

Carissimi, la promessa che vi siete recentemente scambiati davanti all’altare, vi ha abilitato, mediante la grazia sacramentale, ad essere testimoni di un amore che sgorga dall’impegno quotidiano di fedeltà, di mutuo rispetto, di donazione reciproca, di disponibilità al volere di Dio nel trasmettere la vita.

Camminando uniti a Cristo, attraverso la preghiera quotidiana, saprete quindi vincere ogni tentazione di egoismo, di divisione, vivendo la regalità vera di Figli di Dio, che rende liberi.

Tornando ora nelle vostre nuove case, portate con voi la mia Benedizione.





Castel Gandolfo - Mercoledì, 26 settembre 1984




1. “Célébrons notre foi”: celebriamo la nostra fede!

È questo il motto scelto dall’episcopato canadese per la preparazione della visita del Papa in quel grande Paese nei giorni 9-20 settembre.

Desidero ringraziare cordialmente tutti i miei fratelli nell’episcopato e anche tutta la Chiesa in Canada per l’intensa preparazione e per l’invito rivoltomi. Sono molto numerose le persone e le istituzioni a cui va in modo particolare questo ringraziamento. Ho presente nel mio pensiero tutti coloro che attivamente hanno partecipato alla preparazione e allo svolgimento del ricco programma della visita.

In pari tempo, desidero manifestare la mia gratitudine anche alle Autorità canadesi, sia locali, sia provinciali che federali. Le parole pronunziate al momento dell’arrivo dalla signora Jeanne Sauvé, governatore generale del Canada, sono rimaste profondamente impresse nella mia memoria.

2. L’esortazione “celebriamo insieme la nostra fede” si è manifestata nell’intero programma della visita, iniziata a Québec, prima storica sede episcopale del Canada e terminata a Ottawa, attuale sede delle autorità federali.

Nel corso di dodici giorni la via di questa pellegrinazione ha avuto il seguente percorso:

da Québec, sono passato a Sainte-Anne de Beaupré, Trois Rivières, Montréal, St. John’s, Moncton, Halifax, Toronto, Midland, Unionville, Winnipeg/Saint Boniface, Edmonton. Avrei desiderato raggiungere Fort Simpson, ma la nebbia lo ha impedito. Così, dopo un atterraggio a Yellow Knife nella speranza di una schiarita, che non c’è stata, ho proseguito per Vancouver e poi Ottawa-Hull.

3. L’idea-guida della visita ci ha permesso di far riferimento agli inizi dell’evangelizzazione della Chiesa in Canada. Il motto “celebriamo la nostra fede” implicava un sentimento di gratitudine per tali inizi, che risalgono all’inizio del XVII secolo.

I missionari, venendo nel continente canadese, hanno incontrato qui la popolazione indiana indigena e la religione tradizionale di questa popolazione. Questa ha accolto con gioia il Vangelo: una parte infatti di tale popolazione appartiene alla Chiesa cattolica, e un’altra parte alle varie comunità della cristianità non cattolica.

Le singole comunità e tribù indiane, accogliendo Cristo, hanno conservato un legame con alcune tradizioni e riti primitivi, nei quali si possono rintracciare senza difficoltà certi elementi della profonda religiosità naturale, dei quali parlano i Padri della Chiesa, e che sono ricordati anche dal Concilio Vaticano II.

Sotto questo aspetto, è stato particolarmente significativo l’incontro a Huronia, nell’Ontario, presso il santuario dei martiri canadesi. Essi sono san Giovanni de Brébeuf e altri membri della Compagnia di Gesù, missionari: insieme con loro hanno dato testimonianza a Cristo anche numerosi cristiani indigeni.

La fede della Chiesa in Canada si ricollega a questa testimonianza del sangue che fu data alle sue origini. Non meno eloquente testimone del Vangelo è l’indigena indiana, la beata Kateri Tekakwitha, che per amore di Cristo scelse la verginità per il regno dei cieli.


4. Da questi inizi della fede, la via della Chiesa in Canada conduce a una grande “epopea” missionaria, il cui primo centro fu la sede vescovile di Québec. Questi fatti trovano il loro riscontro nei nomi dei santi e dei beati, che in questa nuova terra hanno svolto, con totale dedizione, compiti apostolici della Chiesa, sia verso gli indigeni, sia verso coloro che erano da poco giunti dall’Europa. Essi si sono serviti prima soprattutto della lingua francese e poi di quella inglese.

Ecco i nomi dei santi e dei beati che in modo particolare venera la Chiesa in terra canadese:

- i martiri Gesuiti;

- santa Margherita Bourgeoys;

- il beato François de Montmorency-Laval, primo vescovo di Québec;

- la beata madre Maria dell’Incarnazione;

- la giovane beata Kateri Tekakwitha;

- la beata madre Margherita d’Youville;

- la beata madre Marie-Rose Durocher; il beato fratel André Bessette;

- il beato André Grasset e madre Marie Léonie Paradis, che ho avuto la gioia di beatificare a Montréal.

“L’epopea missionaria” in terra canadese si è estesa nei secoli successivi raggiungendo terreni sempre più lontani verso l’Occidente e verso il Nord.


Desidero sottolineare i grandi meriti di alcuni ordini e congregazioni religiose. Accanto ai Gesuiti, già menzionati, vanno ricordati, tra gli altri, gli Agostiniani Recolletti, le Orsoline, le Ospedaliere Agostiniane della misericordia, la congregazione di Notre-Dame, le suore Grigie della carità, i Redentoristi e particolarmente i padri Sulpiziani e i missionari Oblati di Maria Immacolata.

5. Su tale sfondo storico sono stati convocati, col motto “celebriamo la nostra fede”, tutti coloro che attualmente costituiscono il popolo di Dio della Chiesa canadese sull’enorme territorio che va dall’Atlantico fino al Pacifico.

La Chiesa che vive in tale società, caratterizzata dall’immigrazione di persone provenienti da varie nazioni, si richiama alle molteplici tradizioni culturali e religiose, che compongono, in diversi luoghi, il vivo organismo della cristianità e del cattolicesimo canadese.

Questa diversità e molteplicità è sorgente di arricchimento sia della società, sia della Chiesa. Esse costituiscono una costante sfida all’attività apostolica e pastorale di questa Chiesa. I contenuti fondamentali di questa sfida sono stati formulati dal Concilio Vaticano II.

La professione di fede che abbiamo fatto assieme nel corso della visita in Canada, è stata carica di questi contenuti, risalendo allo stesso tempo a tutto ciò che costituisce l’eterno deposito della fede nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa. Ciò ha una grande importanza soprattutto in relazione all’attuale secolarizzazione, propria di questa società canadese, ricca e avanzata dal punto di vista della civilizzazione.

6. Alla luce del Vaticano II la fede della Chiesa in Canada ha una particolare dimensione ecumenica legata all’appartenenza confessionale dei cristiani in questo Paese, nel quale i membri della Chiesa cattolica costituiscono pressappoco la metà della popolazione.

Perciò, anche la visita papale in Canada ha avuto un carattere “ecumenico”, che si è manifestato soprattutto nella preghiera comune con i fratelli separati.

A questa comune preghiera si sono uniti in qualche luogo (come, per esempio, a Toronto) anche i credenti delle religioni non-cristiane. Il clima sociale del Canada è utile allo sviluppo del dialogo con i rappresentanti di tutte le religioni, e con gli uomini e gli ambienti che non si identificano esplicitamente con alcun “credo”, ma allo stesso tempo conservano una grande stima per la religione e per la cristianità per motivi innanzitutto di natura etica.

7. “Celebriamo la nostra fede”. La chiamata, racchiusa in queste parole, alla realizzazione della missione evangelica della Chiesa, ha una sua eloquenza all’“interno” della stessa comunità cattolica e in seguito “all’esterno”.

All’interno” (“ad intra”), si collega direttamente con quella chiamata il problema delle vocazioni: soprattutto quelle sacerdotali e religiose - maschili e femminili - e parimenti con il problema dell’apostolato dei laici, che ha molte possibili direzioni, compiti e bisogni.

All’esterno” (“ad extra”), la Chiesa canadese ha un vivo senso della sua missione dinanzi ai problemi che travagliano l’intera umanità contemporanea. E se questi problemi sembrano toccare meno la società stessa del Canada, tuttavia i cristiani in questo Paese sono consapevoli di non poter chiudere gli occhi dinanzi alle minacce alla pace nel mondo contemporaneo.


Questi problemi si sono quindi ripresentati anche nel programma della visita pastorale, trovando viva eco nella grande opinione pubblica.

8. Ringraziando ancora un volta tutti coloro che mi è stato dato di incontrare sul percorso del mio “pellegrinaggio” in Canada, desidero, insieme con loro e con tutta la Chiesa, rendere grazie al Buon Pastore mediante l’immacolato cuore della sua Madre per questo ministero, che ho potuto compiere, realizzando il motto dell’episcopato canadese racchiuso nelle parole “celebriamo la nostra fede”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli portoghesi

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli italiani


Rivolgo un affettuoso saluto a tutti i gruppi di lingua italiana presenti. Saluto in particolare il gruppo di sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche, che in questi giorni stanno seguendo un corso di preparazione prima di raggiungere l’Africa, dove, in diverse Nazioni, svolgeranno il loro meritorio apostolato.

Nell’esprimervi, carissimi fratelli e sorelle, il mio grato compiacimento e quello della Chiesa tutta per la vostra scelta missionaria, invoco dal Signore sul vostro impegno di evangelizzazione larga effusione di favori e conforti celesti.
* * *


Un cordiale pensiero desidero indirizzare anche a tutte le Suore Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali sono riunite per il loro Capitolo Generale.

Auspico che in questo periodo di preghiere e di riflessione, alla luce dell’insegnamento di Don Bosco e di Madre Mazzarello, approfondiate il significato e il valore della vostra presenza nella Chiesa.

La Vergine Santissima vi ottenga la grazia della fedeltà gioiosa all’impegno religioso quotidiano.

Su tutti e tutte la mia Benedizione Apostolica.
* * *


Voglio ora rivolgere un saluto particolare ai giovani. Oggi è l’anniversario della nascita di papa Paolo VI e non possiamo non ricordarlo, in questo giorno in cui nella sua diocesi di origine, Brescia, sarà inaugurato un monumento eretto nella cattedrale. Paolo VI ha tanto amato i giovani, cercando di comprenderli nella loro caratteristica ricerca umana e spirituale. La testimonianza da lui data in vita e in morte, sia per tutti stimolo a vivere con generoso impegno di vita cristiana. Venerdì pomeriggio celebrerò nella basilica Vaticana la messa in suffragio di Paolo VI e di Giovanni Paolo I.
* * *


Ed ora a voi, carissimi malati, il mio affettuoso saluto e benvenuto. Anche nella mia recente visita in Canada ho avuto modo di incontrare tanti fratelli sofferenti, ed ho potuto rilevare quanto il dolore serva a fare scoprire che tutti gli uomini sono fratelli. La sofferenza, inoltre, unita alla Croce di Cristo diventa strumento di redenzione per noi e per i fratelli. Nel pregare il Signore di darvi il suo conforto e la sua consolazione, cari ammalati, cordialmente vi benedico.
* * *



Desidero salutare infine gli sposi novelli. La vostra presenza, cari sposi, è sempre fonte per me di intima gioia. Voi sapete quanta stima ha la Chiesa per il matrimonio, quante energie, quanti sforzi essa dedica, oggi in particolare, per promuoverne la santità e difenderlo da ogni pericolo che lo minaccia. La vostra presenza, qui, è la testimonianza della vostra gratitudine e della vostra gioiosa risposta, piena di speranza, alla suddetta missione della Chiesa. Siate sempre membra vive, mediante il vostro amore fedele e fecondo, di questo Corpo Mistico del Signore. A tutti voi la mia affettuosa Benedizione!



Mercoledì, 3 ottobre 1984

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1. Riferendoci alla dottrina contenuta nell’enciclica Humanae Vitae, cercheremo di delineare ulteriormente la vita spirituale dei coniugi.

Eccone le grandi parole: “La Chiesa, mentre insegna le esigenze inviolabili della legge divina, annunzia la salvezza e apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno supremo del suo Creatore e Salvatore e di trovare dolce il giogo di Cristo.

Gli sposi cristiani, dunque, docili alla sua voce, ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col Battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del matrimonio. Per esso i coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l’adempimento fedele dei propri doveri, per l’attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro propria di fronte al mondo. Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana” (Pauli VI, Humanae Vitae
HV 25).

2. Mostrando il male morale dell’atto contraccettivo, e delineando al tempo stesso un quadro possibilmente integrale della pratica “onesta” della regolazione della fertilità, ossia della paternità e maternità responsabili, l’enciclica Humanae Vitae crea le premesse che consentono di tracciare le grandi linee della spiritualità cristiana della vocazione e della vita coniugale, e, parimente, di quella dei genitori e della famiglia.

Si può anzi dire che l’enciclica presuppone l’intera tradizione di questa spiritualità, la quale affonda le radici nelle sorgenti bibliche, già in precedenza analizzate, offrendo l’occasione di riflettere nuovamente su di esse e di costruire un’adeguata sintesi.

Conviene ricordare qui ciò ch’è stato detto sul rapporto organico tra la teologia del corpo e la pedagogia del corpo. Tale “teologia-pedagogia”, infatti, costituisce già di per se stessa il nucleo essenziale della spiritualità coniugale. E ciò è indicato anche dalle frasi sopraccitate dell’enciclica.

3. Certamente rileggerebbe ed interpreterebbe in modo erroneo l’enciclica Humanae vitae colui che vedesse in essa soltanto la riduzione della “paternità e maternità responsabile” ai soli “ritmi biologici di fecondità”. L’autore dell’enciclica energicamente disapprova e contraddice ogni forma di interpretazione riduttiva (e in tal senso “parziale”), e ripropone con insistenza l’intendimento integrale. La paternità-maternità responsabile, intesa integralmente, non è altro che un’importante componente di tutta la spiritualità coniugale e familiare, di quella vocazione cioè di cui parla il testo citato della Humanae Vitae, quando afferma che i coniugi debbono attuare la “propria vocazione fino alla perfezione” (Pauli VI, Humanae Vitae HV 25). È il sacramento del matrimonio che li corrobora e quasi consacra a raggiungerla (cf. Humanae Vitae HV 25).

Alla luce della dottrina, espressa nell’enciclica, conviene renderci maggiormente conto di quella “forza corroborante” che è unita alla “consacrazione sui generis” del sacramento del matrimonio.


Poiché l’analisi della problematica etica del documento di Paolo VI era centrata soprattutto sulla giustezza della rispettiva norma, l’abbozzo della spiritualità coniugale, che vi si trova, intende porre in rilievo proprio queste “forze” che rendono possibile l’autentica testimonianza cristiana della vita coniugale.

4. “Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, "è stretta la porta e angusta la via che conduce alla vita" (cf. Mt 7,14). Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di questo mondo passa” (Humanae Vitae HV 25).

Nell’enciclica, la visione della vita coniugale è, ad ogni passo, contrassegnata da realismo cristiano, ed è proprio questo che giova maggiormente a raggiungere quelle “forze” che consentono di formare la spiritualità dei coniugi e dei genitori nello spirito di un’autentica pedagogia del cuore e del corpo.

La stessa coscienza “della vita futura” apre, per così dire, un ampio orizzonte ai quelle forze che debbono guidarli per la via angusta (cf. Humanae Vitae HV 25) e condurli per la porta stretta della vocazione evangelica.

L’enciclica dice: “Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza che "non delude, perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori con lo Spirito Santo, che ci è stato dato"” (Pauli VI, Humanae Vitae HV 25).

5. Ecco la “forza” essenziale e fondamentale: l’amore innestato nel cuore (“effuso nei cuori”) dallo Spirito Santo. In seguito l’enciclica indica come i coniugi debbano implorare tale “forza” essenziale e ogni altro “aiuto divino” con la preghiera; come debbano attingere la grazia e l’amore alla sorgente sempre viva dell’Eucaristia; come debbano superare “con umile perseveranza” le proprie mancanze e i propri peccati nel sacramento della Penitenza.

Questi sono i mezzi - infallibili e indispensabili - per formare la spiritualità cristiana della vita coniugale e familiare. Con essi quella essenziale e spiritualmente creativa “forza” d’amore giunge ai cuori umani e, nello stesso tempo, ai corpi umani nella loro soggettiva mascolinità e femminilità. Questo amore, infatti, consente di costruire tutta la convivenza dei coniugi secondo quella “verità del segno”, per mezzo della quale viene costruito il matrimonio nella sua dignità sacramentale, come rivela il punto centrale dell’enciclica (cf. Humanae Vitae HV 12).

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione francese



Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai polacchi


Ai fedeli italiani

Saluto cordialmente tutti i pellegrini di lingua italiana: in particolare saluto il gruppo delle Suore Missionarie studentesse del Foyer Paolo VI. Esse provengono da vari Paesi del Terzo Mondo e sono accompagnate dal loro Cappellano. A loro va il mio augurio di iniziare il nuovo anno accademico con una decisa volontà di aumentare il loro sapere nella luce del Vangelo!
* * *


Ora il mio saluto va ai giovani, presenti a questa Udienza. Carissimi, mi sento vicino alle vostre aspirazioni e alle vostre gioie, ai vostri problemi ed alle difficoltà proprie della vostra età. Ricordatevi che il buon Dio vi è sempre accanto, con la luce e la forza sufficiente per superare le prove. Ma voi, a vostra volta, non cessate di lodarlo e di invocarlo con le parole del Cantico di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, del quale domani celebreremo la festa, “Altissimo, onnipotente, bon Signore”, perché solo in lui ritroverete l’energia per camminare ogni giorno con nuovo entusiasmo.
* * *


Il mio pensiero si rivolge soprattutto agli ammalati, che saluto affettuosamente. Carissimi, in questo mese di ottobre consacrato alla pia pratica del santo Rosario, non tralasciate, per quanto vi è possibile, di elevare la vostra mente alla beata Vergine con la recita del Rosario. Ella, la Madre di Dio e la Madre nostra, non mancherà di presentare le vostre invocazioni e le vostre sofferenze a Gesù, nostro Redentore e nostro conforto.
* * *


Infine voglio ricordare gli sposi novelli. Volentieri vi esprimo i miei voti, raccomandandovi alla celeste protezione del Signore e della Madre sua e nostra Maria Ss.ma, sotto il cui patrocinio desidero porre la vostra nascente famiglia. Vi esorto ad onorarla ed invocarla soprattutto con la recita del Rosario in famiglia. Vi accompagni la mia Benedizione.





Mercoledì, 10 ottobre 1984

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1. Continuiamo a delineare la spiritualità coniugale nella luce dell’enciclica Humanae Vitae.

Secondo la dottrina in essa contenuta, conformemente alle fonti bibliche e a tutta la tradizione, l’amore è - dal punto di vista soggettivo - “forza”, cioè capacità dello spirito umano, di carattere “teologico” (o piuttosto “teologale”). Questa è dunque la forza data all’uomo per partecipare a quell’amore con cui Dio stesso ama nel mistero della creazione e della redenzione. È quell’amore che “si compiace della verità” (
1Co 13,6), nel quale cioè si esprime la gioia spirituale (il “frui” agostiniano) di ogni autentico valore: gaudio simile al gaudio dello stesso Creatore, il quale al principio vide che “era cosa molto buona” (Gn 1,31).

Se le forze della concupiscenza tentano di staccare il “linguaggio del corpo” dalla verità, tentano cioè di falsificarlo, la forza dell’amore invece lo corrobora sempre di nuovo in quella verità, affinché il mistero della redenzione del corpo possa fruttificare in essa.

2. Lo stesso amore, che rende possibile e fa sì che il dialogo coniugale si attui secondo la verità piena della vita degli sposi, è a un tempo forza ossia capacità di carattere morale, orientata attivamente verso la pienezza del bene e per ciò stesso verso ogni vero bene. E perciò il suo compito consiste nel salvaguardare l’unità inscindibile dei “due significati dell’atto coniugale”, di cui tratta l’enciclica (Pauli VI, Humanae Vitae HV 12), vale a dire nel proteggere sia il valore della vera unione dei coniugi (cioè della comunione personale) sia quello della paternità e maternità responsabili (nella loro forma matura e degna dell’uomo).

3. Secondo il linguaggio tradizionale, l’amore, quale “forza” superiore, coordina le azioni delle persone, del marito e della moglie, nell’ambito dei fini del matrimonio.Sebbene né la costituzione conciliare né l’enciclica, nell’affrontare l’argomento, usino il linguaggio un tempo consueto, essi trattano, tuttavia, di ciò a cui si riferiscono le espressioni tradizionali.

L’amore, come forza superiore che l’uomo e la donna ricevono da Dio insieme alla particolare “consacrazione” del sacramento del matrimonio, comporta una coordinazione corretta dei fini, secondo i quali - nell’insegnamento tradizionale della Chiesa - si costituisce l’ordine morale (o piuttosto “teologale e morale”) della vita dei coniugi.

La dottrina della costituzione Gaudium et Spes, come pure quella dell’enciclica Humanae Vitae, chiariscono lo stesso ordine morale nel riferimento all’amore, inteso come forza superiore che conferisce adeguato contenuto e valore agli atti coniugali secondo la verità dei due significati, quello unitivo e quello procreativo, nel rispetto della loro inscindibilità.

In questa rinnovata impostazione, il tradizionale insegnamento sui fini del matrimonio (e sulla loro gerarchia) viene confermato e insieme approfondito dal punto di vista della vita interiore dei coniugi, ossia della spiritualità coniugale e familiare.


4. Il compito dell’amore, che è “effuso nei cuori” (Rm 5,5) degli sposi come la fondamentale forza spirituale del loro patto coniugale, consiste - come si è detto - nel proteggere sia il valore della vera comunione dei coniugi, sia quello della paternità-maternità veramente responsabile. La forza dell’amore - autentica nel senso teologico ed etico - si esprime in questo che l’amore unisce correttamente “i due significati dell’atto coniugale”, escludendo non solo nella teoria, ma soprattutto nella pratica, la “contraddizione” che potrebbe verificarsi in questo campo. Tale “contraddizione” è il più frequente motivo di obiezione all’enciclica Humanae Vitae e all’insegnamento della Chiesa. Occorre un’analisi ben approfondita, e non soltanto teologica ma anche antropologica (abbiamo cercato di farla in tutta la presente riflessione), per dimostrare che non bisogna qui parlare di contraddizione”, ma soltanto di “difficoltà”. Orbene, l’enciclica stessa sottolinea tale “difficoltà” in vari passi.

E questa deriva dal fatto che la forza dell’amore è innestata nell’uomo insidiato dalla concupiscenza: nei soggetti umani l’amore s’imbatte con la triplice concupiscenza (cf. 1Jn 2,16), in particolare con la concupiscenza della carne che deforma la verità del “linguaggio del corpo”. E perciò anche l’amore non è in grado di realizzarsi nella verità del “linguaggio del corpo”, se non mediante il dominio sulla concupiscenza.

5. Se l’elemento chiave della spiritualità dei coniugi e dei genitori - quella essenziale “forza” che i coniugi debbono di continuo attingere dalla “consacrazione” sacramentale - è l’amore, questo amore, come risulta dal testo dell’enciclica (cf. Pauli VI, Humanae Vitae HV 20), è per sua natura congiunto con la castità che si manifesta come padronanza di sé, ossia come continenza: in particolare, come continenza periodica. Nel linguaggio biblico, sembra alludere a ciò l’autore della Lettera agli Efesini, quando nel suo “classico” testo esorta gli sposi a essere “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21).

Si può dire che l’enciclica Humanae Vitae costituisca appunto lo sviluppo di questa verità biblica sulla spiritualità cristiana coniugale e familiare. Tuttavia per renderlo ancor più manifesto occorre un’analisi più profonda della virtù della continenza e del suo particolare significato per la verità del mutuo “linguaggio del corpo” nella convivenza coniugale e (indirettamente) nell’ampia sfera dei reciproci rapporti tra l’uomo e la donna.


Intraprenderemo questa analisi durante le successive riflessioni del mercoledì.

Ai fedeli tedeschi

Ai partecipanti a pellegrinaggi dal Belgio, dall’Africa, e dal Canada

Ai pellegrini di lingua inglese



Ai pellegrini appartenenti
al Centro del Rosario di Nagoya

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini del “Centro del Rosario” di Nagoya.

Io so bene che ogni giorno voi recitate il Rosario per me. Vi ringrazio di cuore per questo. Da parte mia, invocando su di voi la protezione della Madonna, con paterno affetto vi imparto la mia Benedizione Apostolica.


Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai numerosi pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo ora un saluto ai pellegrini di lingua italiana, venuti dalle varie diocesi d’Italia.

La vostra presenza richiama alla mia mente la visita pastorale che ho compiuto in Calabria negli ultimi tre giorni della scorsa settimana. Rivedo ancora la bellezza di quella terra, ma soprattutto conservo nel cuore, come un ricordo incancellabile, l’entusiasmo di tutto il popolo, generoso e laborioso, accorso nelle strade e nelle piazze delle sue città per accogliermi. In ogni luogo che ho visitato ho visto la forte vitalità di una Chiesa che vuole essere fermento e forza morale per il rinnovamento e la rinascita religiosa, sociale e civile di tutta la regione.

Tornando a Roma mi è giunta la lieta notizia della liberazione del piccolo Vincenzo Diano, che era stato strappato ai suoi genitori nel mese di luglio, e per il quale durante la celebrazione eucaristica di domenica ho intensamente pregato insieme con tutta la comunità cristiana presente. Ne ringrazio il Signore.


Durante la stessa celebrazione eucaristica abbiamo pregato anche per la giovane Liliana Marando, rapita la scorsa estate ad Ardore Marina, in provincia di Reggio Calabria. Anche oggi desidero elevare al Signore la mia fervida preghiera per la sua liberazione e rivolgere un pressante appello ai rapitori perché vogliano desistere da questa strada che calpesta la dignità umana e si muovano a compassione per una giovane donna che ha diritto a ritornare al calore della sua famiglia e al suo lavoro di farmacista.
* * *


Saluto ora i giovani. Carissimi, vi esorto a rispondere con la generosità e l’entusiasmo tipici della vostra età alla chiamata, con cui Dio vi ha creati a sua immagine e somiglianza. Tenete sempre presente che il rapporto con Cristo, il quale merita incondizionata dedizione non annulla la vostra persona, non la sminuisce, anzi l’arricchisce e porta a pienezza la vostra vita. Dio vi benedica, come io nel suo nome vi benedico.
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Desidero poi assicurare ai malati e a quanti soffrono che sono loro particolarmente vicino con il cuore e con la preghiera.

Cari fratelli e sorelle, vi invito a recitare con assiduità, soprattutto in questo mese di ottobre, il Santo Rosario, per essere sempre più in grado di unire le vostre sofferenze a quelle di Cristo e dare così il vostro efficace contributo per la salvezza di tutti gli uomini.

Vi accompagni il mio incoraggiamento e la mia Benedizione, che volentieri estendo ai vostri familiari e a quanti vi assistono.
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Vada infine a voi, sposi novelli, il mio particolare saluto ed il mio cordiale augurio di letizia e di pace nel Signore.

Con l’aiuto della grazia di Cristo, ricevuta nel sacramento del matrimonio, siate sempre capaci di donazione e accettazione. L’amore coniugale non può e non deve esaurirsi all’interno della coppia, ma essere disposto ad una dedizione gratuita, mediante la quale voi, cari sposi novelli, diventate collaboratori di Dio, per donare la vita a una persona nuova.






Catechesi 79-2005 50984