Catechesi 79-2005 17104

Mercoledì, 17 ottobre 1984

17104
1. Il mio pensiero va oggi con particolare affetto alle tappe del mio breve, ma intenso viaggio sulla rotta di Cristoforo Colombo e dei primi missionari del continente latinoamericano: viaggio iniziato mercoledì scorso e terminato sabato, durato poco meno di tre giorni. Come è noto, l’episcopato dell’America Latina, mediante il Celam, ha deciso di celebrare il quinto centenario dell’inizio dell’annuncio del Vangelo in quel continente con un “novenario di anni” di preparazione.

Lo scopo di questo mio pellegrinaggio era - accogliendo l’invito dal Celam - quello di partecipare all’inaugurazione, nello stadio olimpico di Santo Domingo, di tale novenario di preparazione, alle celebrazioni della scoperta e dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo: fu quello infatti un evento che ha aperto una tappa decisiva nella storia della civiltà, tanto da chiuderne un’epoca e da aprirne una nuova; ma un evento soprattutto di importanza incalcolabile per il Vangelo di Cristo e per la Chiesa, che dal Maestro divino ha ricevuto la missione di annunziarlo a tutte le genti.

2. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, che annunzia la salvezza” (
Is 52,7).

Con queste parole del profeta Isaia ho ringraziato a Saragozza i familiari dei missionari, che contribuiscono ad annunciare il Vangelo in quell’immenso continente, che è l’America. Con loro ho pregato Dio nella basilica della Vergine del Pilar; rendendo grazie perché Toribio di Mongrovejo, Pedro Claver, Francisco Solano, Martin de Porres, Rosa da Lima, Juan Macías, Miguel Febres Cordero e tante altre persone sconosciute, che vissero con eroismo la loro vocazione cristiana, sono fiorite e fioriscono nel continente americano. Ho lodato Dio perché tanti figli di Spagna come quelli del vicino Portogallo e di altre nazioni hanno abbandonato tutto, per dedicarsi interamente alla causa del Vangelo.

La mia sosta in terra spagnola non è stata una semplice tappa tecnica, ma un riconoscimento dell’apporto dato da quella nazione all’evangelizzazione del Nuovo Mondo e un invito, ripetuto con intensità affettuosa, a continuare nel contribuire con le sue migliori energie alla prosecuzione di questo compito, che la provvidenza di Dio le ha assegnato.

3. Arrivato a Santo Domingo nel pomeriggio del giorno 11 ottobre, ho celebrato la messa per l’evangelizzazione dei popoli, sottolineando fra l’altro nell’omelia che la mia presenza in terra dominicana voleva testimoniare il mio apprezzamento e la rilevanza dell’iniziativa di commemorare con un’adeguata preparazione, un avvenimento storico di notevolissima importanza, il quale deve impegnare la Chiesa latinoamericana a intraprendere un maggiore sforzo nell’annuncio del Vangelo, ad iniziare una più estesa missione, una più intensa mobilitazione (cf. Ioannis Pauli PP. II, Homilia in urbe «Santo Domingo» habita, die 12 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2 [1984] 876ss.).

Nell’isola dove quasi cinquecento anni fa fu piantata la croce e venne pronunciato per la prima volta il nome di Gesù Cristo, come Vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro, insieme con i vescovi di tutta la Chiesa dell’America Latina e alcuni rappresentanti dell’episcopato della Spagna, del Portogallo, delle Filippine, degli Stati Uniti e del Canada, ho iniziato la novena d’anni che vuole festeggiare, oltre che una delle date più importanti per l’umanità, l’inizio della fede cristiana e della Chiesa cattolica in una terra carica di speranza.

Nell’incontro con i vescovi del Celam la mattina del 12 ottobre - giorno in cui nel lontano 1492 Cristoforo Colombo vi poneva piede - ho consegnato a tutti i presidenti delle conferenze episcopali dell’America Latina, accompagnati ciascuno da un giovane e da una giovane, una grande croce, fatta col legno degli alberi della terra dominicana e riproducente quella che venne piantata agli albori del XVI secolo nel luogo dove sarebbe poi stata costruita la cattedrale primaziale delle Americhe. Tale croce vuole essere il simbolo della nuova storia del continente della speranza, da costruire con la forza della croce nella verità, nella giustizia e nell’amore.

4. La celebrazione inaugurata a Santo Domingo muove dalla convinzione che il guardare a questi secoli della sua storia permette alla Chiesa di approfondire la propria identità; di alimentare la corrente viva della missione e della santità, che mosse e muove il suo cammino; di comprendere più profondamente i problemi del presente e di proiettarsi più realisticamente verso il futuro (cf. Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad Episcopos Conferentiae Episcopalis Americae Latinae, die 12 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2 [1984].

Pertanto, celebrare la memoria di ciò che fece iniziare un nuovo e significativo periodo storico, non è solo ricordare gli avvenimenti più importanti, ma farli diventare fonte ispiratrice del nostro vivere oggi, del nostro modo di aderire alla fede di Cristo. L’esempio dei numerosi santi americani deve stimolarci a porre al centro della vita Gesù, come presenza dalla quale la cristianità trae sempre nuova luce e forza per la costruzione di una “civiltà dell’amore”, basata sui principi della verità, della libertà, della giustizia e della pace.

Ricordando l’inizio di questa pagina della storia dell’uomo e della Chiesa, sono certo che i latinoamericani cresceranno nella coscienza di essere cristiani. Coglieranno nella sua pienezza il messaggio della redenzione: la salvezza è diventata realtà e si compie con il farsi carne, nella storia, del Dio trascendente.


5. Questo viaggio, che ha avuto un particolare carattere missionario, è stato posto sotto la protezione di Maria santissima. Con il materno sostegno della Vergine ho reso grazie a Dio per la fede delle diverse generazioni. Ho invitato a meditare sul mistero della visitazione di Maria a santa Elisabetta, a riflettere sull’avvenimento provvidenziale, con il quale Dio ha trasformato l’America Latina “nella terra della nuova visitazione” (cf. Ioannis Pauli PP. II, Homilia in urbe «Santo Domingo» habita, die 12 oct. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2 [1984] 876ss.).

È sul modello e sull’esempio della Madonna che dobbiamo portare al prossimo, a chi è nel bisogno, la presenza reale e letificante di Cristo, andando in aiuto delle necessità che si incontrano.

Non c’è dubbio che la Chiesa, come la Madre di Cristo, deve essere integralmente fedele al suo Signore, mettendo in pratica l’opzione preferenziale per i poveri, che però non deve essere né esclusiva, né escludente. Ho riaffermato a Santo Domingo e lo ripeto nuovamente oggi: “Il Papa, la Chiesa e la sua gerarchia vogliono continuare ad essere presenti nella causa del povero, della sua dignità, della sua elevazione, dei suoi diritti come persona, della sua aspirazione a un’improrogabile giustizia sociale” (Ivi). Purché si sia coscienti che la più grande carità che si può fare all’uomo è di annunciargli, condividendo il suo bisogno, che Cristo è risorto ed è il Signore.

Per questo chi evangelizza deve avere chiara consapevolezza che adempie la sua missione di annunciare il Vangelo e di elevare l’uomo, quando gli fa incontrare Cristo, quando gli porta innanzitutto la fede, la quale fa riconoscere nel fratello un essere con una dignità senza pari, con dei diritti da rispettare, perché creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26).

Preghiamo perché il novenario iniziato il 12 ottobre scorso porti sia frutti di fede che di amore e di giustizia sociale nella vita della Chiesa e di tutte le nazioni dell’America Latina.

6. Alla partecipazione all’inaugurazione dei nove anni di preparazione al quinto centenario dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo, ho unito una breve visita a Porto Rico. La mia sosta nell’arcidiocesi di San Juan era rivolta a tutti i cattolici di quell’isola: era rivolta anche alle altre diocesi di Arecibo, Caguas, Mayagüez, Ponce, al clero, all’università e a tutti i fedeli.

La visita era stata preparata dai vescovi con grande sollecitudine pastorale. Una parte notevole della popolazione dell’isola era accorsa con entusiasmo all’incontro.

La messa che ho celebrato nella piazza “Las Americas” era dedicata alla Vergine Maria, Madre della divina Provvidenza, titolo col quale ella viene venerata come patrona dell’isola.

L’ultimo appuntamento è stato dedicato agli operatori della pastorale e dell’evangelizzazione, presso il palazzetto dello sport dell’università. Tra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi, i presenti, provenienti da tutto Porto Rico, erano circa duemila.

Come è noto, il nome di san Giovanni Battista fu dato a quella città da Cristoforo Colombo. A san Giovanni Battista fu pure dedicata la prima basilica cristiana costruita in terra americana: basilica che ho avuto la gioia di visitare, sostandovi in preghiera, a Santo Domingo.

7. Ringrazio Dio, per intercessione di Maria santissima, per tutto ciò che è stato fatto per preparare questa visita e per tutto ciò che, con l’aiuto di Dio, ne è diventato il frutto.


Rinnovo l’espressione della mia gratitudine alle autorità civili e religiose della Spagna, della Repubblica Dominicana, degli Stati Uniti e di Porto Rico per l’accoglienza riservatami. Ringrazio la presidenza del Celam che ha il merito di aver promosso questa iniziativa; ringrazio i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e le numerose popolazioni incontrate, assicurando tutti del mio riconoscente affetto e auspicando che la preparazione al quinto centenario dell’inizio della fede e della Chiesa nel continente americano porti copiosi frutti di bene nell’impegno di santificazione personale e nello sforzo di animare la società con la luce e la forza del Vangelo.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini provenienti dalla Francia e dalla Svizzera

Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Saluto con viva cordialità voi tutti, pellegrini italiani, venuti da diverse parti con i gruppi nominati, o singolarmente, e tutti ringrazio cordialmente per la loro presenza.

Rivolgendomi in particolare, come sempre, ai giovani, ricordo ad essi che oggi è la festa del santo Martire Ignazio d’Antiochia, che ha accettato di offrire la testimonianza suprema del martirio a Roma, centro della cattolicità, con espressioni che profondamente colpiscono e commuovono per la loro intima forza spirituale. Sull’esempio e con l’aiuto del grande Santo, anche voi siate testimoni forti, generosi ed entusiasti dell’amore a Cristo e alla Chiesa, perseguito senza riserve e con gioia.
* * *


Un pensiero del tutto particolare è ora per voi, cari ammalati. Più di ogni altro, voi, con la quotidiana accettazione ed offerta a Dio della sofferenza, potete essere vicini a Cristo, che per obbedienza ed amore ha donato la vita al Padre e all’intera umanità. Giorno dopo giorno, sappiate testimoniare che l’obbedienza alla volontà di Dio, accettata per amore, è l’autentica strada della vita e della gioia.
* * *


Infine saluto di cuore gli sposi novelli qui presenti.

Il vostro amore, benedetto dal Signore nel sacramento del matrimonio, si consolidi sempre più mediante una vita coniugale improntata al Vangelo, e si apra senza riserve nell’amore dei fratelli, in modo che la famiglia da voi costruita sia davvero una piccola Chiesa che contribuisce alla crescita della grande famiglia che è la Chiesa Cattolica.




Mercoledì, 24 ottobre 1984

24104


1. In conformità a quanto preannunciato, intraprendiamo oggi l’analisi della virtù della continenza.

La “continenza”, che fa parte della virtù più generale della temperanza, consiste nella capacità di dominare, controllare e orientare le pulsioni di carattere sessuale (concupiscenza della carne) e le loro conseguenze, nella soggettività psico-somatica dell’uomo. Tale capacità, in quanto disposizione costante della volontà, merita di essere chiamata virtù.

Sappiamo dalle precedenti analisi che la concupiscenza della carne, e il relativo “desiderio” di carattere sessuale da essa suscitato, si esprime con una specifica pulsione nella sfera della reattività somatica e inoltre con un’eccitazione psico-emotiva dell’impulso sessuale.

Il soggetto personale per giungere a padroneggiare tale pulsione ed eccitazione deve impegnarsi in una progressiva educazione all’autocontrollo della volontà, dei sentimenti, delle emozioni, che deve svilupparsi a partire dai gesti più semplici, nei quali è relativamente facile tradurre in atto la decisione interiore. Ciò suppone, com’è ovvio, la chiara percezione dei valori espressi nella norma e la conseguente maturazione di salde convinzioni che, se accompagnate dalla rispettiva disposizione della volontà, danno origine alla corrispondente virtù. Tale è appunto la virtù della continenza (padronanza di sé), che si rivela fondamentale condizione sia perché il reciproco linguaggio del corpo rimanga nella verità, e sia perché i coniugi “siano sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo”, secondo le parole bibliche (
Ep 5,21). Questa “sottomissione reciproca” significa la comune sollecitudine per la verità del “linguaggio del corpo”, la sottomissione invece “nel timore di Cristo” indica il dono del timore di Dio (dono dello Spirito Santo) che accompagna la virtù della continenza.

2. Questo è molto importante per un’adeguata comprensione della virtù della continenza e, in particolare, della cosiddetta “continenza periodica”, di cui tratta l’enciclica Humanae Vitae. La convinzione che la virtù della continenza “si oppone” alla concupiscenza della carne è giusta, ma non è del tutto completa. Non è completa, specialmente quando teniamo conto del fatto che questa virtù non appare e non agisce astrattamente e quindi isolatamente, ma sempre in connessione con le altre (“nexus virtutum”), dunque in connessione con la prudenza, giustizia, fortezza e soprattutto con la carità.

Alla luce di queste considerazioni, è facile intendere che la continenza non si limita a opporre resistenza alla concupiscenza della carne, ma mediante questa resistenza si apre ugualmente a quei valori, più profondi e più maturi, che ineriscono al significato sponsale del corpo nella sua femminilità e mascolinità, come anche all’autentica libertà del dono nel reciproco rapporto delle persone. La concupiscenza stessa della carne, in quanto cerca anzitutto il godimento carnale e sensuale, rende l’uomo, in certo senso, cieco e insensibile ai valori più profondi che scaturiscono dall’amore e che nello stesso tempo costituiscono l’amore nella verità interiore che gli è propria.

3. In tal modo si manifesta anche il carattere essenziale della castità coniugale nel suo legame organico con la “forza” dell’amore, che è effuso nei cuori degli sposi insieme alla “consacrazione” del sacramento del matrimonio. Diviene inoltre evidente che l’invito diretto ai coniugi, affinché siano “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21), sembra aprire quello spazio interiore in cui entrambi divengono sempre più sensibili ai valori più profondi e più maturi, che sono connessi con il significato sponsale del corpo e con la vera libertà del dono.

Se la castità coniugale (e la castità in generale) si manifesta dapprima come capacità di resistere alla concupiscenza della carne, in seguito essa gradualmente si rivela quale singolare capacità di percepire, amare e attuare quei significati del “linguaggio del corpo”, che rimangono del tutto sconosciuti alla concupiscenza stessa e che progressivamente arricchiscono il dialogo sponsale dei coniugi, purificandolo, approfondendolo e insieme semplificandolo.

Perciò quell’ascesi della continenza, di cui parla l’enciclica (Pauli VI, Humanae Vitae HV 21) non comporta l’impoverimento delle “manifestazioni affettive”, anzi le rende più intense spiritualmente, e quindi ne comporta l’arricchimento.


4. Analizzando in tal modo la continenza, nella dinamica propria di questa virtù (antropologica, etica e teologica), ci accorgiamo che sparisce quell’apparente “contraddizione” che viene spesso obiettata all’enciclica Humanae Vitae e alla dottrina della Chiesa sulla morale coniugale. Esisterebbe cioè “contraddizione” (secondo coloro che muovono questa obiezione) tra i due significati dell’atto coniugale, il significato unitivo e quello procreativo (cf. Humanae Vitae HV 12), così che se non fosse lecito dissociarli i coniugi verrebbero privati del diritto all’unione coniugale, quando non potessero responsabilmente permettersi di procreare.

A questa apparente “contraddizione” dà risposta l’enciclica Humanae Vitae se studiata profondamente. Papa Paolo VI conferma, infatti, che non esiste tale “contraddizione”, ma soltanto una “difficoltà” collegata con tutta la situazione interiore dell’“uomo della concupiscenza”. Invece, precisamente in ragione di questa “difficoltà”, viene assegnato all’impegno interiore e ascetico dei coniugi il vero ordine della convivenza coniugale, in vista del quale essi vengono “corroborati e quasi consacrati” (Humanae Vitae HV 25) dal sacramento del matrimonio.

5. Quell’ordine della convivenza coniugale significa inoltre l’armonia soggettiva tra la paternità (responsabile) e la comunione personale, armonia creata dalla castità coniugale. In essa, di fatto, maturano i frutti interiori della continenza. Attraverso questa maturazione interiore lo stesso atto coniugale acquista l’importanza e dignità che gli è propria nel suo significato potenzialmente procreativo; contemporaneamente acquistano un adeguato significato tutte le “manifestazioni affettive” (Humanae Vitae HV 21), che servono a esprimere la comunione personale dei coniugi proporzionalmente alla ricchezza soggettiva della femminilità e mascolinità.

6. Conformemente all’esperienza e alla tradizione, l’enciclica rivela che l’atto coniugale è anche una “manifestazione di affetto” (Humanae Vitae HV 16), ma una “manifestazione di affetto” particolare, perché, al tempo stesso ha un significato potenzialmente procreativo, Di conseguenza, esso è orientato ad esprimere l’unione personale, ma non soltanto quella. Contemporaneamente l’enciclica, sia pure in modo indiretto, indica molteplici “manifestazioni di affetto”, efficaci esclusivamente ad esprimere l’unione personale dei coniugi.

Il compito della castità coniugale, e ancor più precisamente quello della continenza, non sta solo nel proteggere l’importanza e la dignità dell’atto coniugale in rapporto al suo significato potenzialmente procreativo, ma anche nel tutelare l’importanza e la dignità proprie dell’atto coniugale in quanto espressivo dell’unione interpersonale, svelando alla coscienza e all’esperienza dei coniugi tutte le altre possibili “manifestazioni di affetto”, che esprimano tale loro comunione profonda.


Si tratta infatti di non recare danno alla comunione dei coniugi nel caso in cui per giuste ragioni essi debbano astenersi dall’atto coniugale. E, ancor più, che tale comunione, costruita di continuo, giorno per giorno, mediante conformi “manifestazioni affettive”, costituisca, per così dire, un vasto terreno su cui, nelle condizioni opportune, matura la decisione di un atto coniugale moralmente retto.

A diversi gruppi di lingua tedesca

Unter den gennanten Gruppen grüße ich noch besonders die anwesenden Erzieherinnen aus katholischen Kindergärten den im Bistum Mainz. Den Kindern galt die besondere Vorliebe Christi. Folgt in eurem täglichen Umgang mit ihnen seinem Beispiel. Führt sie vor allem zu ihm, der sie so nachdrücklich einlädt, zu ihm zu kommen. Dabei führe und stärke euch Maria, die Mutter Gottes, der in einer besonderen Weise die Kindheit Jesu anvertraut gewesen ist.

Schließlich richte ich noch einen herzlichen Willkommensgruß an den großen Pilgerzug aus der Diözese Fulda unter der Leitung ihres Bischofs Dr. Johannes Dyba. Diese Begegnung mit euch erinnert mich an meinen Besuch beim Grab des hl. Bonifatius in eurer Bischofsstadt. Die Gräber der heiligen Glat benszeugen in unserer Mitte ermahnen und verpflichten uns, den Glauben an Christus in unseren Familien und Gemeinden lebendig zu erhalten und unverfälscht an die jüngere Generation weiterzuvermitteln. Bekennt euch stets mutig zu Christus und zur Kirche an eurem Arbeitsplatz und in eurer Verantwortung in Staat und Gesellschaft. Verteidigt die sittlichen Werte im privaten und öffentlichen Leben. Darin bestärke euch diese eure Pilgerfahrt in die Ewige Stadt.

Euch und allen anwesenden deutschprachigen Pilgern erteile ich von Herzen meinen besonderen Apostolischen Segen.

Ai pellegrini di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Al pellegrinaggio giapponese

Sia lodato Gesù Cristo!


Dilettissimi cittadini di Hittsu-Nagasaki, so che avete fatto un gemellaggio con una città della Francia. Mentre auguro che questa amicizia divenga sempre più profonda e si allarghi, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini polacchi



Ai pellegrini italiani

Saluto tutti i pellegrini italiani presenti, rivolgendo un particolare pensiero ai giovani.

Carissimi giovani, il Papa guarda a ciascuno di voi con sincero affetto: la Chiesa ha bisogno delle vostre forze e conta sulla vostra capacità di bene. La Chiesa e il Papa vi invitano a lavorare con costanza nella Vigna del Signore, ancorando il vostro impegno a quella roccia ferma che è il Vangelo di Gesù. Il cammino è lungo e non facile, ma con Cristo tutto è possibile. Questo è il mio augurio, accompagnato dalla mia Benedizione.
* * *


Carissimi ammalati, che prolungate nel corpo la passione redentrice di Gesù, vi saluto con amicizia e cordialità. Anche su un letto di dolore la vita, dono di Dio, ha un senso ed un valore. La vostra croce, unita a quella di Cristo, giova anche alla salvezza degli altri uomini. Vorrei assicurarvi, come ammalati, che il Papa di vuole bene, vi è vicino e vi comprende.
* * *


Carissimi novelli sposi, vi saluto cordialmente esortandovi a costruire una famiglia che possa realmente chiamarsi piccola chiesa domestica, dove regni l’amore, la serenità, la cordialità, la pace. Sforzatevi di imitare gli esempi della Santa Famiglia di Nazaret. Vi accompagni la mia Benedizione.

Un’“azione disumana”, “un atto di prepotenza nei confronti di un sacerdote”, “una violazione della dignità e degli inalienabili diritti della persona umana”: così Giovanni Paolo II definisce il rapimento del sacerdote polacco don Popieluszko del quale non si hanno più notizie dal 19 ottobre. Parlando ai connazionali presenti all’udienza generale nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre fa appello alle coscienze degli autori e dei responsabili della “ignobile azione” ed invita a pregare per l’immediata liberazione del sacerdote. Queste le parole del Papa in una nostra traduzione italiana.

Lunedì scorso la Curia metropolitana di Varsavia ha pubblicato un comunicato nel quale si informa che il 19 ottobre don Jerzy Popieluszko, sacerdote dell’arcidiocesi di Varsavia, mentre tornava da Bydgoszcz, dove aveva svolto un servizio pastorale, è stato fermato sulla strada vicino a Torun. Il sacerdote non ha fatto finora ritorno in parrocchia e non si hanno notizie sulla sua sorte.

“Questo avvenimento ha sconvolto l’opinione pubblica dell’intera Polonia - possiamo leggere nel comunicato - e ha particolarmente inquietato e riempito di dolore i vescovi, il clero e tutti i fedeli dell’arcidiocesi di Varsavia. Esprimendo la sua profonda deplorazione la Curia metropolitana di Varsavia si rivolge all’intero popolo di Dio raccomandando alla sua preghiera - specialmente quella del Rosario - la vicenda di don Popieluszko”.

Profondamente turbato da questo avvenimento, esprimo la mia solidarietà con i pastori e con il popolo di Dio della Chiesa di Varsavia. Condivido la giusta inquietudine di tutta la società riguardo a questa azione disumana che è un atto di prepotenza nei confronti di un sacerdote e costituisce una violazione della dignità e degli inalienabili diritti della persona umana.

Mi appello alle coscienze di coloro che hanno commesso quella ignobile azione e ne sono responsabili.

Mi rivolgo a voi, cari fratelli e sorelle, affinché vi uniate a me nella preghiera per l’immediata liberazione di don Popieluszko e il suo ritorno al lavoro pastorale.




Mercoledì, 31 ottobre 1984

31104

1. Procediamo nell’analisi della continenza, alla luce dell’insegnamento contenuto nell’enciclica Humanae Vitae. Si pensa spesso che la continenza provochi tensioni interiori, dalle quali l’uomo deve liberarsi. Alla luce delle analisi compiute, la continenza, integralmente intesa, è piuttosto l’unica via per liberare l’uomo da tali tensioni. Essa significa nient’altro che lo sforzo spirituale che mira ad esprimere il “linguaggio del corpo” non solo nella verità, ma anche nell’autentica ricchezza delle “manifestazioni di affetto”.

2. È possibile questo sforzo? Con altre parole (e sotto altro aspetto) ritorna qui l’interrogativo circa l’“attuabilità della norma morale”, ricordata e confermata dall’Humanae Vitae. Esso costituisce uno degli interrogativi più essenziali (ed attualmente anche uno dei più urgenti) nell’ambito della spiritualità coniugale.

La Chiesa è pienamente convinta della giustezza del principio che afferma la paternità e maternità responsabili - nel senso spiegato in precedenti catechesi - e questo non soltanto per motivi “demografici”, ma per ragioni più essenziali. Responsabile chiamiamo la paternità e maternità che corrispondono alla dignità personale dei coniugi come genitori, alla verità della loro persona e dell’atto coniugale. Di qui deriva lo stretto e diretto rapporto che collega questa dimensione con tutta la spiritualità coniugale.

Il papa Paolo VI, nella Humanae Vitae, ha espresso ciò che d’altronde avevano affermato molti autorevoli moralisti e scienziati anche non cattolici, e cioè precisamente che in questo campo, tanto profondamente ed essenzialmente umano e personale, occorre anzitutto far riferimento all’uomo come persona, al soggetto che decide di se stesso e non ai “mezzi” che lo fanno “oggetto” (di manipolazioni) e lo “depersonalizzano”. Si tratta dunque qui di un significato autenticamente “umanistico” dello sviluppo e del progresso della civiltà umana.

3. È possibile questo sforzo? Tutta la problematica dell’enciclica Humanae Vitae non si riduce semplicemente alla dimensione biologica della fertilità umana (alla questione dei “ritmi naturali di fecondità”), ma risale alla soggettività stessa dell’uomo, a quell’“io” personale, per cui egli è uomo o è donna.

Già durante la discussione nel Concilio Vaticano II, in relazione al capitolo della Gaudium et Spes sulla “Dignità del matrimonio e della famiglia e la sua valorizzazione” si parlava della necessità di un’analisi approfondita delle relazioni (e anche delle emozioni) collegate con la reciproca influenza della mascolinità e femminilità sul soggetto umano. Questo problema appartiene non tanto alla biologia quanto alla psicologia: dalla biologia e psicologia passa in seguito nella sfera della spiritualità coniugale e familiare. Qui, infatti, questo problema è in stretto rapporto con il metodo di intendere la virtù della continenza, ossia della padronanza di sé e, in particolare, della continenza periodica.


4. Un’attenta analisi della psicologia umana (che è ad un tempo una soggettiva autoanalisi e in seguito diviene analisi di un “oggetto” accessibile alla scienza umana), consente di giungere ad alcune affermazioni essenziali. Di fatto, nelle relazioni interpersonali in cui si esprime l’influsso reciproco della mascolinità e femminilità, si libera nel soggetto psico-emotivo nell’“io” umano, accanto a una reazione qualificabile come “eccitazione”, un’altra reazione che può e deve essere chiamata “emozione”. Benché questi due generi di reazioni appaiano congiunti, è possibile distinguerli sperimentalmente e “differenziarli” riguardo al contenuto ovvero al loro “oggetto”.

La differenza oggettiva tra l’uno e l’altro genere di reazioni consiste nel fatto che l’eccitazione è anzitutto “corporea” e in questo senso, “sessuale”; l’emozione invece - sebbene suscitata dalla reciproca reazione della mascolinità e femminilità - si riferisce soprattutto all’altra persona intesa nella sua “integralità”. Si può dire che questa è una “emozione causata dalla persona”, in rapporto alla sua mascolinità o femminilità.

5. Ciò che qui affermiamo relativamente alla psicologia delle reciproche reazioni della mascolinità e femminilità aiuta a comprendere la funzione della virtù della continenza, di cui si è parlato in precedenza. Questa non è soltanto - e neppure principalmente - la capacità di “astenersi”, cioè la padronanza delle molteplici reazioni che s’intrecciano nel reciproco influsso della mascolinità e femminilità: una tale funzione potrebbe essere definita come “negativa”. Ma esiste anche un’altra funzione (che possiamo chiamare “positiva”) della padronanza di sé: ed è la capacità di dirigere le rispettive reazioni, sia quanto al loro contenuto sia quanto al loro carattere.

È stato già detto che, nel campo delle reciproche reazioni della mascolinità e femminilità, l’“eccitazione” e l’“emozione” appaiono non soltanto come due distinte e differenti esperienze dell’“io” umano, ma molto spesso appaiono congiunte nell’ambito della stessa esperienza quali due diverse componenti di essa. Da varie circostanze di natura interiore ed esteriore dipende la reciproca proporzione in cui queste due componenti appaiono in una determinata esperienza. Alle volte prevale nettamente una delle componenti, altre volte piuttosto c’è equilibrio tra loro.

6. La continenza, quale capacità di dirigere l’“eccitazione” e l’“emozione” nella sfera dell’influsso reciproco della mascolinità e femminilità, ha il compito essenziale di mantenere l’equilibrio tra la comunione in cui i coniugi desiderano esprimere reciprocamente soltanto la loro unione intima e quella in cui (almeno implicitamente) accolgono la paternità responsabile. Difatti, l’“eccitazione” e l’“emozione” possono pregiudicare, da parte del soggetto, l’orientamento e il carattere del reciproco “linguaggio del corpo”.

L’eccitazione cerca anzitutto di esprimersi nella forma del piacere sensuale e corporeo, ossia tende all’atto coniugale che (dipendente dai “ritmi naturali di fecondità”) comporta la possibilità di procreazione. Invece l’emozione provocata da un altro essere umano come persona, anche se nel suo contenuto emotivo è condizionata dalla femminilità o mascolinità dell’“altro”, non tende di per sé all’atto coniugale, ma si limita ad altre “manifestazioni di affetto”, nelle quali si esprime il significato sponsale del corpo, e che tuttavia non racchiudono il suo significato (potenzialmente) procreativo.

È facile comprendere quali conseguenze derivano da ciò rispetto al problema della paternità e maternità responsabili. Queste conseguenze sono di natura morale.

Ai pellegrini di lingua tedesca



Ai fedeli di lingua inglese


A Buddisti giapponesi

Dilettissimi membri della Etsumikyokai di Tenrikyo, Vi ringrazio di cuore per essere venuti a trovarmi qui in Vaticano.

Collaboriamo insieme per la pace nel mondo, con la preghiera e con l’azione sociale.

Di nuovo vi ringrazio per la vostra visita. E portate il mio saluto a tutti i giapponesi.


Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli polacchi


Ai pellegrini italiani

Il mio affettuoso saluto a tutti i gruppi e associazioni di lingua italiana, presenti a questa Udienza. In particolare desidero rivolgermi ai membri del pellegrinaggio della parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Afragola, arcidiocesi di Napoli, i quali hanno portato la venerata effigie della Madonna, che avrò la gioia di benedire e di incoronare.

Vi esprimo, carissimi fratelli e sorelle, il mio vivo compiacimento ed affido tutti voi e i fedeli di Afragola al materno patrocinio della Vergine Santissima.
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Il mio pensiero va anche alle Religiose ed ai gruppi del Movimento Eucaristico Riparatore delle Suore del patrocinio di San Giuseppe, presenti a Roma per la chiusura del primo centenario della morte della fondatrice, Madre Victorine Le Dieu de la Ruaudière, la quale coltivò e diffuse una profonda devozione al Santissimo Sacramento e realizzò una feconda opera caritativa a favore dei ragazzi poveri, orfani o abbandonati.

Con l’auspicio che il carisma della Madre Victorine animi sempre la vostra vita, invoco sulle vostre persone e sulle vostre attività l’effusione dei doni celesti.

Con la mia Benedizione Apostolica.
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Saluto carissimi giovani! Alla vigilia della Solennità liturgica di Tutti i Santi il saluto, che vi porgo con grande affetto, è unito alla viva esortazione di riflettere sulla vocazione alla santità. Infatti, il Signore ci ha creati intelligenti e liberi perché vuole il nostro amore totale ed esclusivo, e perciò - dice il Concilio Vaticano II - “tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla perfezione della carità” (Lumen Gentium
LG 40).

Anche per voi risplenda dunque sempre questo sublime ideale! I Santi, che sono già in Paradiso, vi sono di esempio ed intercedono per voi, affinché camminiate con coraggio e con gioia nella via della vostra santificazione! Vi sia di aiuto anche la mia Benedizione.
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Saluto cordialmente anche voi, carissimi malati, insieme con i vostri parenti ed accompagnatori, e a vostro conforto ed incoraggiamento addito i Santi, che godono già in Paradiso la stessa felicità di Dio. La certezza dell’eterna gioia ci dà forza morale per accettare con pazienza e rassegnazione le sofferenze della vita. Vi auguro che la Solennità di Tutti i Santi, a cui ci prepariamo con fervore, porti ad ognuno di voi copiosi doni di serenità e di fiducia! E vi accompagni sempre la mia Benedizione.
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Infine, ricevete anche voi il mio cordiale saluto, carissimi sposi novelli, che vi porgo con l’augurio più affettuoso per la nuova vita, che avete iniziato! La missione di genitori e di educatori che vi attende è stupenda ed impegnativa: Dio vuole per mezzo vostro creare dei Santi, che lo amino in terra e lo godano per sempre in Cielo. Accettate con consapevolezza questa meta sublime; e la devozione ai Santi, particolarmente a quelli di cui portate il nome, vi sia di conforto e di stimolo alla generosità. Con questi voti, benedico di cuore voi e i vostri propositi!

Nel corso dell’udienza generale, il Santo Padre ricorda nell’Aula “Paolo VI”, alla presenza di numerosi pellegrini italiani ed esteri, la tragica morte di Indira Gandhi e del sacerdote polacco P. Jerzy Popieluszko, con le seguenti parole.

Ancora un grave gesto di violenza ha scosso stamane l’opinione pubblica: la Signora Indira Gandhi, Primo Ministro dell’India, è caduta vittima di un attentato. Un nuovo, tristissimo anello si aggiunge alla catena di atrocità che insanguina il mondo, suscitando in tutti orrore e sgomento. Nell’esprimere la mia profonda deplorazione per l’atto criminoso, desidero manifestare la mia sincera partecipazione al dolore dei familiari ed alla costernazione della grande Nazione indiana, alla quale mi sento particolarmente vicino in questo momento difficile, auspicando che sappia affrontare con la dignità e saggezza che le sono proprie questa dura prova.

Affido alla misericordia di Dio Onnipotente lo spirito della Signora Gandhi ed invito anche voi ad unirvi con me nella preghiera.




Catechesi 79-2005 17104