Catechesi 79-2005 7114

Mercoledì, 7 novembre 1984

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1. Proseguiamo l’analisi della virtù della continenza alla luce della dottrina contenuta nell’enciclica Humanae Vitae. Conviene ricordare che i grandi classici del pensiero etico (e antropologico), sia precristiani sia cristiani (Tommaso d’Aquino), vedono nella virtù della continenza non soltanto la capacità di “contenere” le reazioni corporali e sensuali, ma ancor più la capacità di controllare e guidare tutta la sfera sensuale ed emotiva dell’uomo. Nel caso in questione si tratta della capacità di dirigere sia la linea dell’eccitazione verso il suo corretto sviluppo, sia anche la linea dell’emozione stessa, orientandola verso l’approfondimento e l’intensificazione interiore del suo carattere “puro” e, in un certo senso, “disinteressato”.

2. Questa differenziazione tra la linea dell’eccitazione e la linea dell’emozione non è una contrapposizione. Essa non significa che l’atto coniugale, come effetto dell’eccitazione, non comporti nello stesso tempo la commozione dell’altra persona. Certamente è così, o comunque, non dovrebbe essere altrimenti.

Nell’atto coniugale, l’unione intima dovrebbe comportare una particolare intensificazione dell’emozione, anzi, la commozione dell’altra persona. Ciò è anche contenuto nella Lettera agli Efesini, sotto forma di esortazione, diretta ai coniugi: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (
Ep 5,21).


La distinzione tra “eccitazione” ed “emozione”, rilevata in questa analisi, comprova soltanto la soggettiva ricchezza reattivo-emotiva dell’“io” umano; questa ricchezza esclude qualunque riduzione unilaterale e fa sì che la virtù della continenza possa essere attuata come capacità di dirigere il manifestarsi sia dell’eccitazione sia dell’emozione, suscitate dalla reciproca reattività della mascolinità e della femminilità.

3. La virtù della continenza, così intesa, ha un ruolo essenziale per mantenere l’equilibrio interiore tra i due significati, l’unitivo e il procreativo, dell’atto coniugale (cf. Pauli VI, Humanae Vitae HV 12), in vista di una paternità e maternità veramente responsabili.

L’enciclica Humanae Vitae dedica la dovuta attenzione all’aspetto biologico del problema, vale a dire, al carattere ritmico della fecondità umana. Sebbene tale periodicità possa essere chiamata, alla luce dell’enciclica, indice provvidenziale per una paternità e maternità responsabili, tuttavia non solo a questo livello si risolve un problema come questo, che ha un significato così profondamente personalistico e sacramentale (teologico).

L’enciclica insegna la paternità e maternità responsabili “come verifica di un maturo amore coniugale” e perciò contiene non soltanto la risposta al concreto interrogativo che si pone nell’ambito dell’etica della vita coniugale, ma, come è già stato detto, indica altresì un tracciato della spiritualità coniugale, che desideriamo almeno delineare.

4. Il corretto modo di intendere e praticare la continenza periodica quale virtù (ossia, secondo la Humanae Vitae HV 21, la “padronanza di sé”) decide anche essenzialmente della “naturalità” del metodo, denominato anch’esso “metodo naturale”: questa è “naturalità” a livello della persona. Non si può quindi pensare a un’applicazione meccanica delle leggi biologiche. La conoscenza stessa dei “ritmi di fecondità” – anche se indispensabile – non crea ancora quella libertà interiore del dono, che è di natura esplicitamente spirituale e dipende dalla maturità dell’uomo interiore. Questa libertà suppone una capacità tale di dirigere le reazioni sensuali ed emotive, da rendere possibile la donazione di sé all’altro “io” in base al possesso maturo del proprio “io” nella sua soggettività corporea ed emotiva.

5. Come è noto dalle analisi bibliche e teologiche fatte in precedenza, il corpo umano nella sua mascolinità e femminilità è interiormente ordinato alla comunione delle persone (“communio personarum”). In questo consiste il suo significato sponsale.

Proprio il significato sponsale del corpo è stato deformato, quasi alle sue stesse basi, dalla concupiscenza (in particolare dalla concupiscenza della carne, nell’ambito della “triplice concupiscenza”). La virtù della continenza nella sua forma matura svela gradatamente l’aspetto “puro” del significato sponsale del corpo. In tal modo la continenza sviluppa la comunione personale dell’uomo e della donna, comunione che non è in grado di formarsi e di svilupparsi nella piena verità delle sue possibilità unicamente sul terreno della concupiscenza.Appunto ciò afferma l’enciclica Humanae Vitae. Tale verità ha due aspetti: quello personalistico e quello teologico.

Ai pellegrinaggi provenienti dalla Francia e dal Belgio

Ai fedeli di lingua inglese



Ai pellegrini di lingua tedesca provenienti dall’Austria, Svizzera e Germania

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai polacchi


Ai pellegrinaggi italiani

Saluto molto cordialmente gli italiani presenti a questa Udienza, tutti e ciascuno.

In particolare desidero rivolgere un cordiale saluto a due gruppi appartenenti alle Parrocchie rispettivamente di Madonna di Buia, nell’arcidiocesi di Udine; e di Palata Pepoli, nell’arcidiocesi di Bologna.

Carissimi Fratelli e Sorelle, volentieri benedico la prima pietra per la erigenda chiesa di Madonna di Buia, come pure la lapide destinata a ricordare il primo centenario della costruzione della chiesa di San Giovanni Battista, in Palata Pepoli. E mi è caro esprimervi i più sinceri auguri per la buona riuscita di questi avvenimenti ecclesiali che state vivendo nelle vostre parrocchie. Vi esorto ad amare le vostre Comunità Parrocchiali e a stringervi sempre più attorno ai vostri Pastori. E’ nella parrocchia, infatti, che voi potete vivere in pienezza il concetto di fratellanza cristiana, di unità e di fusione delle anime e dei cuori; è là che si attua la presenza di Cristo in mezzo ai fedeli; è là che si svolge principalmente l’opera di evangelizzazione e di formazione spirituale; è là che vengono amministrati i Sacramenti della salvezza.

Questo pellegrinaggio sulla Tomba di Pietro rinsaldi i vostri vincoli all’interno della comunità parrocchiale e rinnovi la vostra fede nel Signore Gesù. A questo fine vi benedico con grande affetto.
* * *


Rivolgo ora un pensiero ai giovani che sono l’immagine del futuro dell’umanità e della Chiesa.

Carissimi, vi invito oggi a considerare il valore del tempo in ordine alla fede: il tempo che è nelle vostre mani. Il tempo avvicina a Cristo, e permette all’uomo di assimilare gradualmente “tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis RH 10). La giovinezza è per questo tempo prezioso, poiché vi permette di confermare la vostra fede in una progressiva scoperta di Dio, e vi consente di confrontare le prospettive del vostro progetto di vita con la esaltante e viva conoscenza di Cristo.

Vi accompagni la mia Benedizione.
* * *


Carissimi ammalati, il mio incontro con voi in queste udienze del Mercoledì è sempre carico di commozione, di solidarietà, di affettuoso desiderio di conforto e di sostegno nella vostra sofferenza. Voi, membra doloranti del corpo di Cristo che è la Chiesa, sapete unire con fede la vostra croce a quella di Gesù per compiere così generosamente e fedelmente, come in una faticosa ma grande vocazione, un ministero di grazia per la salvezza del mondo. Sappiate che il Papa è vicino a voi nella vostra sofferenza, con sentimenti di profonda comprensione ed affetto, e vi benedice perché troviate nel Signore la consolazione che desiderate.
* * *



Carissimi sposi novelli, un fervido augurio a voi che iniziate a vivere il prezioso dono della grazia del sacramento nuziale. Proponetevi di riconoscere e di considerare sempre, specialmente nella comune preghiera, il mistero e la vocazione che il Signore ha donato a voi come famiglia. Voi siete chiamati a partecipare insieme all’edificazione del Regno di Dio, compiendo, nella vostra casa, la missione profetica, sacerdotale e regale che in Cristo vi è stata donata e che vi unisce a Lui. Domandate a Dio di vivere fedelmente questa missione e di comprenderla sempre più. Così sarete testimoni nel mondo della gioia che viene dalla benedizione del Signore.

Questo il mio augurio, accompagnato dalla mia Benedizione.




Mercoledì, 14 novembre 1984

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1. Alla luce dell’enciclica Humanae Vitae l’elemento fondamentale della spiritualità coniugale è l’amore effuso nei cuori degli sposi come dono dello Spirito Santo (cf.
Rm 5,5). Gli sposi ricevono nel sacramento questo dono insieme a una particolare “consacrazione”. L’amore è unito alla castità coniugale che, manifestandosi come continenza, realizza l’ordine interiore della convivenza coniugale.

La castità è vivere nell’ordine del cuore. Questo ordine consente lo sviluppo delle “manifestazioni affettive” nella proporzione e nel significato loro propri. In tal modo viene confermata anche la castità coniugale come “vita dello Spirito” (cf. Ga 5,25), secondo l’espressione di san Paolo. L’apostolo aveva in mente non soltanto le energie immanenti dello spirito umano, ma soprattutto l’influsso santificante dello Spirito Santo e i suoi doni particolari.

2. Al centro della spiritualità coniugale sta dunque la castità, non solo come virtù morale (formata dall’amore), ma parimente come virtù connessa con i doni dello Spirito Santo - anzitutto con il dono del rispetto di ciò che viene da Dio (“donum pietatis”). Questo dono è nella mente dell’autore della Lettera agli Efesini, quando esorta i coniugi ad essere “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21). Così dunque l’ordine interiore della convivenza coniugale, che consente alle “manifestazioni affettive” di svilupparsi secondo la loro giusta proporzione e significato, è frutto non solo della virtù in cui i coniugi si esercitano, ma anche dei doni dello Spirito Santo con cui collaborano.

L’enciclica Humanae Vitae in alcuni passi del testo (particolarmente HV 21 HV 26), trattando della specifica ascesi coniugale, ossia dell’impegno per acquistare la virtù dell’amore, della castità e della continenza, parla indirettamente dei doni dello Spirito Santo, ai quali i coniugi divengono sensibili nella misura della maturazione nella virtù.

3. Ciò corrisponde alla vocazione dell’uomo al matrimonio. Quei “due”, i quali - secondo l’espressione più antica della Bibbia - “saranno una sola carne” (Gn 2,24), non possono attuare tale unione al livello delle persone (“communio personarum”), se non mediante le forze provenienti dallo spirito, e precisamente, dallo Spirito Santo che purifica, vivifica, corrobora e perfeziona le forze dello spirito umano. “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Jn 6,63).

Ne risulta che le linee essenziali della spiritualità coniugale sono “dal principio” iscritte nella verità biblica sul matrimonio. Tale spiritualità è anche “da principio” aperta ai doni dello Spirito Santo. Se l’enciclica Humanae Vitae esorta i coniugi ad una “perseverante preghiera” e alla vita sacramentale (dicendo: “attingano soprattutto nell’Eucaristia la sorgente della grazia e della carità”; “ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita nel sacramento della Penitenza”, Pauli VI, Humanae Vitae HV 25), essa lo fa in quanto è memore dello Spirito che “dà vita” (2Co 3,6).

4. I doni dello Spirito Santo, e in particolare il dono del rispetto di ciò che è sacro, sembrano avere qui un significato fondamentale. Tale dono sostiene infatti e sviluppa nei coniugi una singolare sensibilità a tutto ciò che nella loro vocazione e convivenza porta il segno del mistero della creazione e redenzione: a tutto ciò che è un riflesso creato della sapienza e dell’amore di Dio. Pertanto quel dono sembra iniziare l’uomo e la donna in modo particolarmente profondo al rispetto dei due significati inscindibili dell’atto coniugale, di cui parla l’enciclica (Humanae Vitae HV 12) in rapporto al sacramento del matrimonio. Il rispetto dei due significati dell’atto coniugale può svilupparsi pienamente solo in base ad un profondo riferimento alla dignità personale di ciò che nella persona umana è intrinseco alla mascolinità e femminilità, e inscindibilmente in riferimento alla dignità personale della nuova vita, che può sorgere dall’unione coniugale dell’uomo e della donna. Il dono del rispetto di quanto è creato da Dio si esprime appunto in tale riferimento.

5. Il rispetto del duplice significato dell’atto coniugale nel matrimonio, che nasce dal dono del rispetto per la creazione di Dio, si manifesta anche come timore salvifico: timore di infrangere o di degradare ciò che porta in sé il segno del mistero divino della creazione e redenzione. Di tale timore parla appunto l’autore della Lettera agli efesini: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ep 5,21).


Se tale timore salvifico si associa immediatamente alla funzione “negativa” della continenza (ossia alla resistenza nei riguardi della concupiscenza della carne), esso si manifesta pure - e in misura crescente, via via che tale virtù matura - come sensibilità piena di venerazione per i valori essenziali dell’unione coniugale: per i “due significati dell’atto coniugale (ovvero, parlando nel linguaggio delle analisi precedenti, per la verità interiore del mutuo “linguaggio del corpo”).

In base a un profondo riferimento a questi due valori essenziali, ciò che significa unione dei coniugi viene armonizzato nel soggetto con ciò che significa paternità e maternità responsabili. Il dono del rispetto di ciò che è creato da Dio fa sì che l’apparente “contraddizione” in questa sfera sparisca e la difficoltà derivante dalla concupiscenza venga gradatamente superata, grazie alla maturità della virtù e alla forza del dono dello Spirito Santo.

6. Se si tratta della problematica della cosiddetta continenza periodica (ossia del ricorso ai “metodi naturali”), il dono del rispetto per l’opera di Dio aiuta, in linea di massima, a conciliare la dignità umana con i “ritmi naturali di fecondità”, cioè con la dimensione biologica della femminilità e mascolinità dei coniugi; dimensione che ha anche un proprio significato per la verità del mutuo “linguaggio del corpo” nella convivenza coniugale.

In tal modo, anche ciò che - non tanto nel senso biblico, quanto addirittura in quello “biologico” - si riferisce all’“unione coniugale del corpo”, trova la sua forma umanamente matura grazie alla vita “secondo lo spirito”.

Tutta la pratica dell’onesta regolazione della fertilità, così strettamente unita alla paternità e maternità responsabili, fa parte della cristiana spiritualità coniugale e familiare; e soltanto vivendo “secondo lo Spirito” diventa interiormente vera e autentica.

A gruppi di lingua francese



Ai gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai polacchi



Ai pellegrini provenienti dalle diocesi italiane

Rivolgo ora il mio saluto agli italiani presenti all’Udienza. A tutti ed a ciascuno il mio cordiale augurio di ogni bene nel Signore.

Un particolare saluto desidero rivolgere ai pellegrini di Treviso, i quali sono venuti a Roma per ricordare, insieme con alcuni rappresentanti della diocesi di Mantova, il centenario della Consacrazione Episcopale di San Pio X, avvenuta in questa Città per le mani dell’allora Cardinale Vicario Lucidio Parocchi.

Carissimi, nelle forti e genuine tradizioni di fede della vostra terra, Giuseppe Sarto ha assimilato ed alimentato quei doni che lo hanno aiutato ad essere Pastore Buono, Guida sicura e Padre delle importanti Comunità diocesane di Mantova e Venezia prima, e della Chiesa Universale poi. Sappiate mantenere viva e rendere sempre più solida, pur nelle mutate circostanze dei tempi, quella tradizione di vita cristiana che ha dato alla Chiesa il dono di un Pontefice tanto grande.
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Una particolare parola riservo anche agli allevatori italiani convenuti a Roma per celebrare i 40 anni della loro Associazione. La vostra dedizione agli animali ed al loro allevamento, cari fratelli e sorelle, fa di voi dei solerti collaboratori della Provvidenza che ha donato gli animali all’uomo perché lo aiutino nel lavoro e gli assicurino le risorse per nutrirsi. Voglio quindi incoraggiare i vostri sforzi per ottenere produzioni più abbondanti, così da poter venire incontro a chi ha bisogno di nutrimento, aprendovi ad una permanente gara di solidarietà verso chi soffre e ha fame.

Vi accompagni la mia Benedizione, che estendo ai vostri colleghi ed alle rispettive famiglie.
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Voglio rivolgermi ora ai giovani qui convenuti. Carissimi, voi siete nella primavera della vita, quella primavera che, nella sua freschezza e nel suo splendore, tutti vorremmo durasse eternamente. E di fatti, un’eterna e meravigliosa primavera di vita ci attende: quella che la nostra fede chiama la vita eterna, che però non è di quaggiù, ma di lassù, al di là di questa vita, per tutti coloro che adesso amano Dio e ne mettono in pratica i santi comandamenti. L’orizzonte della vita, in tale visuale, si fa vasto, profondo e misterioso. E’ un’esplorazione stupenda, della vita celeste eterna, è quella che rende l’uomo grande ed immortale. Accompagno questo auspicio con la mia Benedizione.
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Carissimi malati, a voi ora il mio affettuoso saluto. Voi state sperimentando la fragilità della vita presente, ed il vostro cuore - come quello di ogni uomo -, assetato di vita, di una vita serena e felice, si sente a volte forse smarrire. Non perdetevi d’animo! Se voi vivete le vostre attuali sofferenze in unione alla beata Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, i vostri dolori annunciano la vita che non avrà mai fine, priva di ogni miseria e dolore: quella vita gloriosa e celeste che Cristo ci ha meritato con la sua Croce. Egli dunque vi sostenga e vi conforti, e la mia Benedizione sia con voi.
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A voi infine, sposi novelli, il mio pensiero. Il presente vi sorride con la pienezza delle sue speranze, delle sue promesse, delle sue realtà: tutti doni preziosi del Signore. Dio stesso vi invita a goderne con quella sapienza che nasce dall’applicazione della sua santa volontà. Così facendo, voi orientate gli ideali terreni al conseguimento di quelli superiori e celesti. Sia la fecondità della famiglia che vi accingete a fondare, una fecondità non solo per questo mondo, ma anche e soprattutto per il Regno dei Cieli! Con tutto il cuore vi benedico in questo compito nobile e santo.

Un saluto cordiale al gruppo di Parroci che in questi giorni sono riuniti presso il Centro Nazareth per i loro esercizi spirituali. Carissimi, vi sono vicino con la mia preghiera e vi accompagno con la mia Benedizione.




Mercoledì, 21 novembre 1984

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1. Sullo sfondo della dottrina contenuta nell’enciclica Humanae Vitae intendiamo tracciare un abbozzo della spiritualità coniugale. Nella vita spirituale dei coniugi operano anche i doni dello Spirito Santo e, in particolare, il “donum pietatis”, cioè il dono del rispetto per ciò che è opera di Dio.

2. Questo dono, unito all’amore e alla castità, aiuta a identificare, nell’insieme della convivenza coniugale, quell’atto in cui, almeno potenzialmente, il significato sponsale del corpo si collega col significato procreativo. Esso orienta a capire, tra le possibili “manifestazioni di affetto”, il significato singolare, anzi, eccezionale di quell’atto: la sua dignità e la conseguente grave responsabilità ad esso connessa. Pertanto, l’antitesi della spiritualità coniugale è costituita, in certo senso, dalla soggettiva mancanza di tale comprensione, legata alla pratica e alla mentalità anticoncezionali. Oltre a tutto, ciò è un enorme danno dal punto di vista dell’interiore cultura dell’uomo. La virtù della castità coniugale, e ancor più il dono del rispetto per ciò che viene da Dio, modellano la spiritualità dei coniugi al fine di proteggere la particolare dignità di questo atto, di questa “manifestazione di affetto”, in cui la verità del “linguaggio del corpo” può essere espressa solo salvaguardando la potenzialità procreativa.

La paternità e maternità responsabili significano la spirituale valutazione - conforme alla verità - dell’atto coniugale nella coscienza e nella volontà di entrambi i coniugi, che in questa “manifestazione di affetto”, dopo aver considerato le circostanze interiori ed esterne, in particolare quelle biologiche, esprimono la loro matura disponibilità alla paternità e maternità.

3. Il rispetto per l’opera di Dio contribuisce a far sì che l’atto coniugale non venga sminuito e privato d’interiorità nell’insieme della convivenza coniugale - che non divenga “abitudine” - e che in esso si esprima un’adeguata pienezza di contenuti personali ed etici, e anche di contenuti religiosi, cioè la venerazione alla maestà del Creatore, unico e ultimo depositario della sorgente della vita, e all’amore sponsale del Redentore. Tutto ciò crea e allarga, per così dire, lo spazio interiore della mutua libertà del dono, in cui si manifesta pienamente il significato sponsale della mascolinità e femminilità.

L’ostacolo a questa libertà è dato dall’interiore costrizione della concupiscenza, diretta verso l’altro “io” quale oggetto di godimento. Il rispetto di ciò che è creato da Dio libera da questa costrizione, libera da tutto ciò che riduce l’altro “io” a semplice oggetto: corrobora la libertà interiore del dono.

4. Ciò può realizzarsi soltanto attraverso una profonda comprensione della dignità personale, sia dell’“io” femminile che di quello maschile, nella reciproca convivenza. Tale comprensione spirituale è il frutto fondamentale del dono dello Spirito che spinge la persona a rispettare l’opera di Dio. Da tale comprensione, e dunque indirettamente da quel dono, attingono il vero significato sponsale tutte le “manifestazioni affettive”, che costituiscono la trama del perdurare dell’unione coniugale. Questa unione si esprime attraverso l’atto coniugale solo in circostanze determinate, ma può e deve manifestarsi continuamente, ogni giorno, attraverso varie “manifestazioni affettive”, le quali sono determinate dalla capacità di una “disinteressata” emozione dell’“io” in rapporto alla femminilità e - reciprocamente - in rapporto alla mascolinità.


L’atteggiamento di rispetto per l’opera di Dio, che lo Spirito suscita nei coniugi, ha un enorme significato per quelle “manifestazioni affettive”, poiché di pari passo con esso va la capacità del profondo compiacimento, dell’ammirazione, della disinteressata attenzione alla “visibile” bellezza della femminilità e mascolinità, e infine un profondo apprezzamento del dono disinteressato dell’“altro”.

5. Tutto ciò decide della identificazione spirituale di ciò che è maschile o femminile, di ciò che è “corporeo” e insieme spirituale. Da questa spirituale identificazione emerge la consapevolezza dell’unione “attraverso il corpo”, nella tutela della libertà interiore del dono. Mediante le “manifestazioni affettive” i coniugi si aiutano vicendevolmente a perdurare nell’unione, e al tempo stesso queste “manifestazioni” proteggono in ciascuno quella “pace del profondo” che è, in certo senso, la risonanza interiore della castità guidata dal dono del rispetto per ciò che è creato da Dio.

Questo dono comporta una profonda e universale attenzione alla persona nella sua mascolinità e femminilità, creando così il clima interiore idoneo alla comunione personale. Solo in tale clima di comunione personale dei coniugi matura correttamente quella procreazione, che qualifichiamo come “responsabile”.

6. L’enciclica Humanae Vitae ci consente di tracciare un abbozzo della spiritualità coniugale. Questo è il clima umano e soprannaturale in cui - tenendo conto dell’ordine “biologico” e, ad un tempo, in base alla castità sostenuta dal “donum pietatis” - si plasma l’interiore armonia del matrimonio, nel rispetto di ciò che l’enciclica chiama “duplice significato dell’atto coniugale” (Pauli VI, Humanae Vitae
HV 12). Questa armonia significa che i coniugi convivono insieme nell’interiore verità del “linguaggio del corpo”. L’enciclica Humanae Vitae proclama inscindibile la connessione tra questa “verità” e l’amore.

La Giornata “pro Orantibus”

Oggi è la Giornata “pro orantibus”: una ricorrenza annuale, indetta dalla Chiesa ormai da trent’anni, nella quale il popolo di Dio è invitato a ricordarsi dell’alta e indispensabile funzione svolta nella Chiesa dalle “oranti”, cioè dalle religiose interamente dedite alla vita contemplativa. In modo speciale siamo invitati a ricordarci delle comunità più povere, per sovvenire alle loro necessità.

Auspico che questa ricorrenza sia per tutti stimolo a riflettere sul valore della preghiera e della vita contemplativa.

Ai fedeli di espressione francese

Al Metropolita Ortodosso di Romania, Nestor


Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai polacchi

Ai pellegrini italiani

Esprimo il mio saluto a tutti i fedeli di lingua italiana provenienti da varie località della Penisola.

In particolare, desidero rivolgere un pensiero beneaugurante al gruppo di sacerdoti, nominati recentemente Consiglieri ecclesiastici della Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti; saluto i membri del Centro Nazionale della Bontà nella Scuola, i quali hanno accompagnato qui la vincitrice del premio “Livio Tempesta”: sono lieto di accogliere la piccola Katiuscia Avventuriero, e di additarla all’esempio di tutti i ragazzi delle scuole, affinché sappiano come lei distinguersi nella bontà e nella fede verso il Signore. Un saluto speciale va anche al gruppo dei cantori ed orchestrali della Cappella Musicale di Urbino, venuti a rallegrare questa Udienza alla vigilia della festa di S. Cecilia Patrona della Musica Sacra. Vi ringrazio per questo gesto cortese e vi auguro ogni successo nella vostra attività artistica.
* * *



Sono anche presenti i Sindaci e i Parroci dei Comuni della Valle di Comino, i quali hanno guidato a questo incontro un gruppo di anziani e pensionati. Mi rallegro per questa iniziativa che rivela una sensibilità per le persone anziane, le quali meritano il nostro affetto e la nostra gratitudine per quello che sono ed hanno fatto nella vita. Tale gesto è tanto più apprezzato, in quanto si assiste oggi al triste fenomeno dell’emarginazione e della solitudine, in cui spesso esse si trovano a vivere. Vi ringrazio perciò vivamente per questa meritoria iniziativa.
* * *


Un saluto speciale va infine al gruppo degli Albergatori di Montecatini Terme, venuti a Roma in gita turistica. Vi auguro che il vostro soggiorno romano sia una tappa distensiva, ma anche un’occasione per riflettere sulle radici della vostra fede cristiana, che qui a Roma ha il suo centro e le sue memorie più sacre.
* * *


Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai ragazzi e ai giovani presenti a questa Udienza.

E’ questa la stagione dell’impegno, nella scuola e nel lavoro. Ciò nonostante avete trovato il tempo per una visita a questa città eterna, che vi gratifica delle sue bellezze artistiche e culturali, ma soprattutto delle sue testimonianze di fede cristiana.

Domani faremo memoria di Santa Cecilia: questa martire rappresenta uno dei tanti esempi di come si possa arrivare all’eroismo per seguire fedelmente Cristo. Attingete dunque qui, sulla tomba dell’Apostolo Pietro, la forza per un impegno concreto di fede e di servizio ai fratelli. Io vi ricordo nella mia preghiera, e di cuore vi benedico.
* * *


La presenza di numerosi ammalati mi offre l’occasione per porgere ad ognuno di essi un particolare benvenuto.

Carissimi, oggi la Chiesa, attraverso la liturgia della Presentazione della Beata Vergine, fa memoria della “dedicazione” che Maria, fin dall’infanzia, ha fatto di se stessa, mossa dallo Spirito Santo, dalla cui grazia era stata ricolma nella sua immacolata concezione. Il Vangelo attesta che tale offerta ha significato per la Vergine la sofferenza della sua partecipazione alla Redenzione. Ma è per questo che tutte le genti l’hanno chiamata beata.

Anche a voi, cari ammalati, soffrendo con Cristo, per Cristo e in Cristo, è riservato il premio certo della divina ricompensa, della quale è pegno la mia Benedizione.
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Rivolgo infine un augurio particolare agli sposi novelli, qui presenti.

Ripensiamo all'incanto della pagina di Rivelazione che descrive come Dio, all’alba dell’umanità, ha benedetto il primo amore fra l’uomo e la donna. Questo stesso amore, che vi ha portato ad incontrarvi e ad amarvi per sempre nel sacramento del matrimonio, vi raffini giorno per giorno in un esercizio di pazienza, di dialogo, di comprensione vicendevole.

Siate sempre protesi, attraverso momenti di preghiera comune, a fare della vostra vita una comunione continua, e portate nella vostra nuova casa anche la mia Benedizione.




Mercoledì, 28 novembre 1984

28114

1. L’insieme delle catechesi che ho iniziato da oltre quattro anni e che oggi concludo, può essere compreso sotto il titolo: “L’amore umano nel piano divino”, o con maggior precisione: “La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio”. Esse si dividono in due parti.

La prima parte è dedicata all’analisi delle parole di Cristo, che risultano adatte ad aprire il tema presente. Queste parole sono state analizzate a lungo nella globalità del testo evangelico: e in seguito alla pluriennale riflessione si è convenuto di porre in rilievo i tre testi, che sono sottoposti all’analisi appunto nella prima parte delle catechesi. C’è anzitutto il testo in cui Cristo si riferisce “al principio” nel colloquio con i farisei sull’unità e indissolubilità del matrimonio (cf.
Mt 19,8 Mc 10,6-9). Proseguendo, ci sono le parole pronunziate da Cristo nel discorso della montagna sulla “concupiscenza” come “adulterio commesso nel cuore” (cf. Mt 5,28). Infine, ci sono le parole trasmesse da tutti i sinottici, in cui Cristo si richiama alla risurrezione dei corpi nell’“altro mondo” (cf. Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,35).

La parte seconda della catechesi è stata dedicata all’analisi del sacramento in base alla Lettera agli Efesini (Ep 5,22-33) che si riporta al biblico “principio” del matrimonio espresso nelle parole del libro della Genesi: “. . . l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24).

Le catechesi della prima e della seconda parte si servono ripetutamente del termine teologia del corpo. Questo, in certo senso, è un termine “di lavoro”. L’introduzione del termine e del concetto di “teologia del corpo” era necessaria per fondare il tema: “La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio” su una base più ampia. Bisogna infatti osservare subito che il termine “teologia del corpo” oltrepassa ampiamente il contenuto delle riflessioni fatte. Queste riflessioni non comprendono molteplici problemi che, riguardo al loro oggetto, appartengono alla teologia del corpo (come per esempio il problema della sofferenza e della morte, così rilevante nel messaggio biblico). Occorre dirlo chiaramente. Nondimeno, bisogna anche riconoscere in modo esplicito che le riflessioni sul tema: “La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio” possono essere svolte correttamente, partendo dal momento in cui la luce della rivelazione tocca la realtà del corpo umano (ossia sulla base della “teologia del corpo”). Ciò è confermato, tra l’altro, dalle parole del libro della Genesi: “I due saranno una sola carne”, parole che originariamente e tematicamente stanno alla base del nostro argomento.

2. Le riflessioni sul sacramento del matrimonio sono state condotte nella considerazione delle due dimensioni essenziali a questo sacramento (come ad ogni altro), cioè la dimensione dell’alleanza e della grazia e la dimensione del segno.

Attraverso queste due dimensioni siamo risaliti continuamente alle riflessioni sulla teologia del corpo, unite alle parole-chiave di Cristo. A queste riflessioni siamo risaliti anche intraprendendo, alla fine di tutto questo ciclo di catechesi, l’analisi dell’enciclica Humanae Vitae.

La dottrina contenuta in questo documento dell’insegnamento contemporaneo della Chiesa resta in rapporto organico sia con la sacramentalità del matrimonio sia con tutta la problematica biblica della teologia del corpo, centrata sulle “parole-chiave” di Cristo. In un certo senso si può perfino dire che tutte le riflessioni che trattano della “redenzione del corpo e della sacramentalità del matrimonio”, sembrano costituire un ampio commento alla dottrina contenuta appunto nell’enciclica Humanae Vitae.


Tale commento sembra assai necessario. L’enciclica infatti, nel dare risposta ad alcuni interrogativi di oggi nell’ambito della morale coniugale e familiare, al tempo stesso ha suscitato anche altri interrogativi, come sappiamo, di natura bio-medica. Ma anche (e anzitutto) essi sono di natura teologica; appartengono a quell’ambito dell’antropologia e teologia, che abbiamo denominato “teologia del corpo”.

Le riflessioni fatte consistono nell’affrontare gli interrogativi sorti in rapporto all’enciclica Humanae Vitae. La reazione, che ha suscitato l’enciclica, conferma l’importanza e la difficoltà di questi interrogativi. Essi sono riaffermati anche dagli ulteriori enunciati di Paolo VI, ove egli rilevava la possibilità di approfondire l’esposizione della verità cristiana in questo settore.

Lo ha ribadito inoltre l’esortazione Familiaris Consortio, frutto del Sinodo dei vescovi del 1980: “De muneribus familiae christianae”. Il documento contiene un appello, diretto particolarmente ai teologi, a elaborare in modo più completo gli aspetti biblici e personalistici della dottrina contenuta nella Humanae Vitae.

Cogliere gli interrogativi suscitati dall’enciclica vuol dire formularli e al tempo stesso ricercarne la risposta. La dottrina contenuta nella Familiaris Consortio chiede che sia la formulazione degli interrogativi, sia la ricerca di un’adeguata risposta si concentrino sugli aspetti biblici e personalistici. Tale dottrina indica anche l’indirizzo di sviluppo della teologia del corpo, la direzione dello sviluppo e pertanto anche la direzione del suo progressivo completarsi e approfondirsi.

3. L’analisi degli aspetti biblici parla del modo di radicare la dottrina proclamata dalla Chiesa contemporanea nella rivelazione. Ciò è importante per lo sviluppo della teologia. Lo sviluppo, ossia il progresso nella teologia, si attua infatti attraverso un continuo riprendere lo studio del deposito rivelato.

Il radicamento della dottrina proclamata dalla Chiesa in tutta la tradizione e nella stessa rivelazione divina è sempre aperto agli interrogativi posti dall’uomo e si serve anche degli strumenti più conformi alla scienza moderna e alla cultura di oggi. Sembra che in questo settore l’intenso sviluppo dell’antropologia filosofica (in particolare dell’antropologia che sta alla base dell’etica) s’incontri molto da vicino con gli interrogativi suscitati dall’enciclica Humanae Vitae nei riguardi della teologia e specialmente dell’etica teologica.

L’analisi degli aspetti personalistici della dottrina contenuta in questo documento ha un significato esistenziale per stabilire in che cosa consista il vero progresso, cioè lo sviluppo dell’uomo. Esiste infatti in tutta la civiltà contemporanea - specie nella civiltà occidentale - un’occulta e insieme abbastanza esplicita tendenza a misurare questo progresso con la misura delle “cose”, cioè dei beni materiali.

L’analisi degli aspetti personalistici della dottrina della Chiesa, contenuta nell’enciclica di Paolo VI, mette in evidenza un appello risoluto a misurare il progresso dell’uomo con la misura della “persona”, ossia di ciò che è un bene dell’uomo come uomo, che corrisponde alla sua essenziale dignità. L’analisi degli aspetti personalistici porta alla convinzione che l’enciclica presenta come problema fondamentale il punto di vista dell’autentico sviluppo dell’uomo; tale sviluppo si misura infatti, in linea di massima, con la misura dell’etica e non soltanto della “tecnica”.

4. Le catechesi dedicate all’enciclica Humanae Vitae costituiscono solo una parte, la parte finale, di quelle che hanno trattato della redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio.

Se richiamo particolarmente l’attenzione proprio a queste ultime catechesi, lo faccio non solo perché il tema da esse trattato è più strettamente unito alla nostra contemporaneità, ma anzitutto per il fatto che da esso provengono gli interrogativi, che permeano, in certo senso, l’insieme delle nostre riflessioni. Ne consegue che questa parte finale non è artificiosamente aggiunta all’insieme, ma è unita con esso in modo organico e omogeneo. In certo senso, quella parte che nella disposizione complessiva è collocata alla fine, si trova in pari tempo all’inizio di quest’insieme. Ciò è importante dal punto di vista della struttura e del metodo.

Anche il momento storico sembra avere il suo significato: difatti, le presenti catechesi sono state iniziate nel periodo dei preparativi al Sinodo dei vescovi 1980 sul tema del matrimonio e della famiglia (“De muneribus familiae christianae”), e terminano dopo la pubblicazione dell’esortazione Familiaris Consortio, che è frutto di lavori di questo Sinodo. È a tutti noto che il Sinodo del 1980 ha fatto riferimento anche all’enciclica Humanae Vitae e ne ha riconfermato pienamente la dottrina.


Tuttavia il momento più importante sembra quello essenziale, che, nell’insieme delle riflessioni compiute, si può precisare nel modo seguente: per affrontare gli interrogativi che suscita l’enciclica Humanae Vitae, soprattutto in teologia, per formulare tali interrogativi e cercarne la risposta, occorre trovare quell’ambito biblico teologico, a cui si allude quando parliamo di “redenzione del corpo e di sacramentalità del matrimonio”. In questo ambito si trovano le risposte ai perenni interrogativi della coscienza di uomini e donne, e anche ai difficili interrogativi del nostro mondo contemporaneo a riguardo del matrimonio e della procreazione.

Al gruppo di sacerdoti che preparano il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale

Ad altri pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di espressione spagnola



Ai fedeli giunti dalla Polonia

Ai gruppi italiani

Rivolgo un saluto agli italiani, tutti e ciascuno ringraziando per la loro presenza.

In special modo, al numeroso gruppo di Sacerdoti, Rettori dei Santuari d’Italia, i quali partecipano in questi giorni a Roma ad un loro Convegno, avente per tema: “Il giorno del Signore nei Santuari”.

Carissimi, vi esprimo il mio vivo apprezzamento per questa vostra iniziativa, con la quale intendete mettere in evidenza l’importanza del “giorno del Signore” nel contesto religioso che si irradia da quei centri di spiritualità che sono i Santuari. In un momento in cui il fenomeno della secolarizzazione tenta di svuotare la Domenica del suo significato originario, favorendo la fuga nel privato e la cultura del “week-end”, fate sì che il vostro ministero pastorale all’ombra dei Santuari - pur sempre meta di intensi pellegrinaggi, personali e collettivi - sia sempre più efficiente e adeguato alle odierne necessità della pastorale, come della vista sociale. Siate degni ministri di grazia e di santificazione.

Vi assista soprattutto la Vergine Maria, che dai suoi celebri Santuari d’Italia non cessa di chiamare i suoi figli alla conversione del cuore.
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Saluto con particolare affetto i partecipanti al Corso per Coordinatori di Pastorale Ospedaliera, organizzato dall’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Auguro che dai vostri incontri e dibattiti possiate trarre un nuovo impulso nel vostro impegno di animazione cristiana nei luoghi di dolore, a cui la vostra specifica vocazione vi chiama. Il Signore, che considera fatto a se stesso quello che voi fate agli ammalati, vi assista e vi conforti con il suo amore di predilezione. Da parte mia vi benedico di cuore.
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Mi rivolgo ora ai numerosi giovani qui presenti. Domenica scorsa, celebrando la solennità di Gesù Cristo Re, abbiamo meditato che una delle qualifiche più significative del regno di Cristo è la pace. In quella circostanza ho ricordato il ruolo decisivo che voi potete avere nell’edificazione di questo “regno di pace” e ho invitato i giovani di tutto il mondo ad approfondire la propria responsabilità in tale campo e a venire a Roma, l’anno prossimo, per proclamare insieme che “Cristo è la nostra Pace”. Eccovi convocati in prima persona! E’ necessario formarsi bene, e presto, alla pace, mediante il rispetto degli altri, il senso della giustizia, l’educazione alla libertà, il perdono, l’accoglienza vicendevole. E’ un programma molto impegnativo, ma sono certo che non vi tirerete indietro. Vi aiuti la mia Benedizione.
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Desidero anche rivolgere un’affettuosa parola di saluto ai malati. Carissimi, vi sono vicino e vi assicuro che ogni giorno prego per voi. Offrite a Dio le vostre sofferenze, sapendo che così esse diventano meritorie e fonte di benedizioni per la Chiesa. Vi sia di conforto quanto scrive san Paolo: “Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18). Meditate e lasciatevi confortare da queste parole, soprattutto in questi giorni conclusivi dell’Anno Liturgico, nei quali siamo richiamati tanto fortemente alle realtà del Cielo e al premio eterno.
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Ache a voi, sposi novelli, giunga la mia parola di felicitazione e di augurio. Vorrei che i vostri volti fossero sempre così sorridenti e luminosi come sono in questo momento. Questa è anche una missione, perché il cristiano si caratterizza, in un mondo tanto ottenebrato, per la serenità con cui sa accettare le diverse situazioni e anche per la gioia di sentirsi amato e benedetto dal Padre. Sono sicuro che voi volete realizzare tale vocazione e che, per questo, comincerete ad essere di edificazione continua, nell’amore, nella preghiera quotidiana, nella carità premurosa verso chi è nel bisogno. Vi benedico di cuore.

Durante l'udienza il Santo Padre annuncia la partecipazione della Delegazione della Chiesa cattolica alla celebrazione della Festa di Sant'Andrea, ad Istanbul, venerdì 30 novembre.

Dopodomani, 30 novembre, si celebrerà la festa liturgica di sant’Andrea apostolo, il primo “chiamato” da Gesù alla sua sequela, fratello di Simon Pietro e patrono della Chiesa di Costantinopoli.

Per tale significativa circostanza una delegazione della Chiesa cattolica, guidata dal presidente del Segretariato per l’unione dei cristiani, cardinale Giovanni Willebrands, farà visita al patriarcato ecumenico di Costantinopoli per partecipare alla letizia di quella Chiesa sorella, la quale, ogni anno, invia una propria delegazione a Roma per la solennità degli apostoli Pietro e Paolo.

Invito tutti i presenti a pregare e a operare perché si possa giungere presto alla piena unione di tutti coloro che credono in Cristo.




Catechesi 79-2005 7114