Catechesi 79-2005 30485

Mercoledì, 3 aprile 1985

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1. La fede - ciò che si racchiude nell’espressione “credo” - rimane in un rapporto essenziale con la rivelazione. La risposta al fatto che Dio rivela “se stesso” all’uomo, e contemporaneamente svela davanti a lui il mistero dell’eterna volontà di salvare l’uomo mediante “la partecipazione della divina natura”, è l’“abbandono a Dio” da parte dell’uomo, nel quale si esprime “l’obbedienza della fede”. La fede è l’obbedienza della ragione e della volontà a Dio che rivela. Questa “obbedienza” consiste innanzitutto nell’accettare “come verità” ciò che Dio rivela: l’uomo rimane in armonia con la propria natura razionale in questo accogliere il contenuto della rivelazione. Ma mediante la fede l’uomo s’abbandona tutt’intero a questo Dio che gli rivela se stesso, e allora, mentre riceve il dono “dall’alto”, risponde a Dio con il dono della propria umanità. Così con l’obbedienza della ragione e della volontà a Dio che rivela, prende inizio un modo nuovo di esistere dell’intera persona umana in rapporto a Dio.

La rivelazione - e di conseguenza anche la fede - “supera” l’uomo, perché apre davanti a lui le prospettive soprannaturali. Ma in queste prospettive è posto il più profondo compimento delle aspirazioni e dei desideri radicati nella natura spirituale dell’uomo: la verità, il bene, l’amore, la gioia, la pace. Sant’Agostino ha dato espressione a questa realtà nella frase famosa: “Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (S. Agostino, Confessiones, I, 1). San Tommaso dedica le prime questioni della seconda parte della “Somma teologica” a dimostrare, quasi sviluppando il pensiero di Sant’Agostino, che solo nella visione e nell’amore di Dio si trova la pienezza di realizzazione della perfezione umana, e dunque il fine dell’uomo. Per questo la divina rivelazione s’incontra, nella fede, con la trascendente capacità di apertura dello spirito umano alla parola di Dio.

2. La costituzione conciliare Dei Verbum fa notare che questa “economia della rivelazione” si sviluppa sin dall’inizio della storia dell’umanità. Essa “avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum
DV 2). Si può dire che quell’economia della rivelazione contiene in sé una particolare “pedagogia divina”. Dio “si comunica” gradualmente all’uomo, introducendolo successivamente nella sua soprannaturale “autorivelazione”, fino all’apice che è Gesù Cristo.

Nello stesso tempo, l’intera economia della rivelazione si realizza come storia della salvezza, il cui processo permea la storia dell’umanità sin dall’inizio. “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cf. Jn 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf. Rm 1,19-20). Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori” (Dei Verbum DV 3).

Così dunque, come sin dall’inizio la “testimonianza delle cose create” parla all’uomo attirando la sua mente verso l’invisibile Creatore, così pure sin dal principio perdura nella storia dell’uomo l’autorivelazione di Dio, che esige una giusta risposta nel “credo” dell’uomo. Questa rivelazione non è stata interrotta dal peccato dei primi uomini. Dio infatti “dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza (cf. Gn 3,15), ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cf. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cf. Gn 12,2-3), che dopo i patriarchi ammaestrò per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscessero come il solo Dio vivo e vero, padre provvido e giusto giudice, e stessero in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via al Vangelo” (Dei Verbum DV 3). La fede come risposta dell’uomo alla parola della divina rivelazione è entrata nella fase definitiva con la venuta di Cristo, allorquando “alla fine” Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (He 1,1-2).

3. “Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne mandato come “uomo agli uomini”, “parla le parole di Dio” (Jn 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf. Jn 5,36 Jn 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cf. Jn 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione dai morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna” (Dei Verbum DV 4).

Credere in senso cristiano vuol dire accogliere la definitiva autorivelazione di Dio in Gesù Cristo, rispondendo ad essa con un “abbandono a Dio”, del quale Cristo stesso è fondamento, vivo esempio e mediatore salvifico.

Una tale fede include dunque l’accettazione dell’intera “cristiana economia” della salvezza come una nuova e definitiva alleanza, che “non passerà mai”. Come dice il Concilio: “. . . Non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (Ivi DV 4).

Così il Concilio, che nella costituzione Dei Verbum ci presenta in modo conciso ma completo tutta la “pedagogia” della divina rivelazione, ci insegna al tempo stesso che cosa è la fede, che cosa significa “credere”, e in particolare “credere cristianamente”, quasi rispondendo alla richiesta di Gesù stesso: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Jn 14,1).

Ai pellegrini di espressione francese

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Ai pellegrini di lingua inglese

Ad alcuni gruppi di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

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A gruppi di pellegrini polacchi

A un gruppo giunto dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettisimi pellegrini di “Don Bosco”, di Tokyo.

La Pasqua è ormai imminente. Vorrei perciò augurarvi una buona Pasqua: la “campana dell’Alleluia” risuoni sempre nella vostra vita quotidiana.

E di cuore vi imparto la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo.

Ai fedeli italiani

Sono lieto di salutare il gruppo dei neodiaconi gesuiti, venuti a questa udienza insieme con i loro familiari, che hanno assistito all’ordinazione.

Carissimi, mi rallegro con voi per il passo che avete compiuto nel ricevere l’Ordine sacro. Esso vi abilita a titolo speciale al servizio di Dio e del suo popolo. Conoscete le profonde esigenze della spiritualità che il diaconato comporta: unione con Dio, amore alla croce, spirito di preghiera e dedizione totale al servizio del prossimo. Offrite con coerenza la testimonianza evangelica che oggi la Chiesa vi chiede, e seguite con fedeltà l’esempio lasciatovi dal vostro fondatore, sant’Ignazio.


Vi assicuro la mia preghiera perché i vostri propositi non vengano mai meno e vi esprimo la mia benevolenza, impartendo a voi e ai vostri familiari la mia benedizione.

Agli ammalati

Anche a voi, carissimi ammalati, va il mio affettuoso e confortante saluto.

In questa Settimana santa, in cui riviviamo i misteri della passione, morte e risurrezione del Signore, unite le vostre sofferenze a quelle redentrici di Cristo: così contribuirete alla dilatazione dell’opera salvifica portata nel mondo dal Crocifisso. Con la vostra fortezza d’animo, con il vostro spirito di pazienza e di serenità siate un continuo richiamo ai valori spirituali e alle realtà del Cristo risorto.

Ai novelli sposi

Una parola beneaugurante vada anche agli sposi novelli, che hanno da poco consacrato il loro indefettibile amore con il sacramento del Matrimonio.

Il Signore vi ha chiamati a vivere il mistero del suo amore in un reciproca donazione e ad essere suoi collaboratori nella trasmissione di nuove vite umane: rispondete sempre con gioia a questa sublime missione! Siate sicuri che egli vi assisterà con la sua grazia e vi darà la forza di perseverare nel bene. Il gaudio della Pasqua ormai vicina illumini i vostri affetti e i vostri propositi in questi primi passi del vostro nuovo cammino a due.

Ai giovani dopo il raduno internazionale

Ora a voi, carissimi giovani, vada un saluto particolarmente vibrante, nel gioioso ricordo dei significativi incontri, appena trascorsi, di sabato e domenica.

Con le stesse parole della lettera apostolica che vi ho indirizzato, in questo Anno internazionale della gioventù, vi ripeto oggi: “Voi siete la giovinezza di ogni famiglia e dell’intera umanità; voi siete anche la giovinezza della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Epistula Apostolica ad iuvenes, Internazionali vertente Anno Iuventuti dicato, 1, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 758).

La Chiesa conta molto su di voi e su questa vostra giovinezza per guardare al futuro con crescente speranza. Voi, a vostra volta, rispondete con l’entusiasmo che vi è proprio a questa attesa della Chiesa. Impegnatevi seriamente a proclamare con una testimonianza di vita coerente e incisiva i valori in cui credete e siate, dovunque veniate a trovarvi, i segni visibili e attendibili della fede e della speranza, che non delude.





Mercoledì, 10 aprile 1985

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1. Abbiamo detto più volte in queste considerazioni, che la fede è una particolare risposta dell’uomo alla parola di Dio che rivela se stesso fino alla rivelazione definitiva in Gesù Cristo. Questa risposta ha senza dubbio un carattere conoscitivo, dà infatti all’uomo la possibilità di accogliere questa conoscenza (autoconoscenza) che Dio “condivide” con lui.

L’accettazione di questa conoscenza di Dio, che nella vita presente è sempre parziale, provvisoria e imperfetta, dà però all’uomo la possibilità di partecipare fin d’ora alla verità definitiva e totale, che gli sarà un giorno pienamente svelata nella visione immediata di Dio. “Abbandonandosi tutt’intero a Dio” in risposta alla sua autorivelazione, l’uomo partecipa a questa verità. Da una tale partecipazione prende inizio una nuova vita soprannaturale, che Gesù chiama “vita eterna” (
Jn 17,3) e che, con la Lettera agli Ebrei, si può definire “vita mediante la fede”: “Il mio giusto vivrà mediante la fede” (He 10,38).

2. Se dunque vogliamo approfondire la comprensione di ciò che è la fede, di ciò che vuol dire “credere”, la prima cosa che ci appare è l’originalità della fede nei confronti della conoscenza razionale di Dio partendo “dalle cose create”.

L’originalità della fede sta prima di tutto nel suo carattere soprannaturale. Se l’uomo nella fede dà la risposta all’“autorivelazione di Dio” e accetta il piano divino della salvezza, che consiste nella partecipazione alla natura e alla vita intima di Dio stesso, una tale risposta deve condurre l’uomo al di sopra di tutto ciò che l’essere umano stesso raggiunge con le facoltà e le forze della propria natura, sia quanto a conoscenza che quanto a volontà: si tratta infatti della conoscenza di una verità infinita e dell’adempimento trascendente delle aspirazioni al bene e alla felicità, che sono radicate nella volontà, nel cuore: si tratta, appunto, di “vita eterna”.

“Con la divina rivelazione - leggiamo nella costituzione Dei Verbum - Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, per renderli cioè partecipi dei beni divini, che trascendono assolutamente la comprensione della mente umana” (Dei Verbum DV 6). La costituzione riporta qui le parole del Concilio Vaticano I (Conc. Vat. I, Dei Filius, 12), che sottolineano il carattere soprannaturale della fede.

Così dunque la risposta umana all’autorivelazione di Dio, e in particolare alla sua definitiva autorivelazione in Gesù Cristo, si forma interiormente sotto la potenza luminosa di Dio stesso operante nel profondo delle facoltà spirituali dell’uomo, e in qualche modo in tutto l’insieme delle sue energie e disposizioni. Quella forza divina si chiama grazia, in particolare: la grazia della fede.

3. Leggiamo ancora nella stessa costituzione del Vaticano II: “Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (parole del secondo Concilio di Orange ripetute dal Vaticano I). Affinché poi l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni” (Dei Verbum DV 5 Dei Verbum )

La costituzione Dei Verbum si pronuncia in modo succinto sul tema della grazia della fede; tuttavia questa formulazione sintetica è completa e rispecchia l’insegnamento di Gesù stesso, che ha detto: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Jn 6,44). La grazia della fede è proprio una tale “attrazione” da parte di Dio esercitata nei confronti dell’essenza interiore dell’uomo, e indirettamente di tutta la soggettività umana, perché l’uomo risponda plenariamente all’“autorivelazione” di Dio in Gesù Cristo, abbandonandosi a lui. Quella grazia previene l’atto di fede, lo suscita, sostiene e guida: suo frutto è che l’uomo diventa capace prima di tutto di “credere a Dio” e crede di fatto. Così in virtù della grazia preveniente e cooperante si instaura una “comunione” soprannaturale interpersonale che è la stessa viva struttura portante della fede, mediante la quale l’uomo che crede a Dio, partecipa della sua “vita eterna”: “conosce il Padre e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo” (cf. Jn 17,3) e, mediante la carità, entra in un rapporto di amicizia con loro (cf. Jn 14,23 Jn 15,15).

4. Questa grazia è la fonte dell’illuminazione soprannaturale che “apre gli occhi della mente”: e quindi la grazia della fede abbraccia particolarmente la sfera conoscitiva dell’uomo e su di essa si concentra. Ne consegue l’accettazione di tutti i contenuti della rivelazione nei quali si svelano i misteri di Dio e gli elementi del piano salvifico riguardo all’uomo. Ma nello stesso tempo la facoltà conoscitiva dell’uomo sotto l’azione della grazia della fede tende alla comprensione sempre più profonda dei contenuti rivelati, protesa com’è verso la verità totale promessa da Gesù (cf. Jn 16,13), verso la “vita eterna”. E in questo sforzo di comprensione crescente trova sostegno nei doni dello Spirito Santo, specialmente in quelli che perfezionano la conoscenza soprannaturale della fede: scienza, intelletto, sapienza . . .

Da questo breve abbozzo, l’originalità della fede si presenta come una vita soprannaturale, mediante la quale l’“autorivelazione” di Dio attecchisce nel terreno dell’intelligenza umana, diventando la fonte della luce soprannaturale, per la quale l’uomo partecipa, a misura umana ma a un livello di comunione divina, a quella conoscenza, con la quale Dio conosce eternamente se stesso e ogni altra realtà in se stesso.


Ai fedeli di espressione inglese

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Ai gruppi di lingua francese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai numerosi pellegrini di lingua spagnola

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Ai seminaristi croati dell’arcidiocesi di Split

Cordialmente saluto i seminaristi di Spalato. Gesù Cristo risorto vi aiuti sulla vostra strada verso il sacerdozio e siate i suoi coraggiosi testimoni.

Ai fedeli di espressione polacca


Ai giovani

Il mio cordiale saluto va ora a tutti i gruppi italiani, rivolgendo un pensiero speciale a voi giovani seminaristi che, convenuti da varie parti d’Europa, state partecipando al Congresso internazionale dei seminaristi presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa.

Approfondendo il tema-guida del vostro raduno: “Gesù crocifisso e abbandonato - La via dell’unità”, certamente capirete che prepararsi al sacerdozio vuol dire seguire Cristo, portando la croce ogni giorno (cf. Mt 16,24), per collaborare alla redenzione dell’uomo.

Vi accompagno con la mia benedizione assicurandovi del mio ricordo nella preghiera affinché perseveriate nella vocazione ricevuta e possiate servire Dio con generosità e dedizione.
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Desidero rivolgere il mio particolare saluto ai giovani che stanno vivendo a Roma la settimana di Pasqua.

Carissimi, sull’esempio e per l’intercessione dei beati Apostoli e martiri Pietro e Paolo, sappiate testimoniare con entusiasmo e fino al sacrificio che il Signore, risorto e vivo, è la vera sorgente di quella pace che nasce dal cuore e ha in sé la capacità di diffondersi negli ambienti, superando ogni ostacolo creato dall’egoismo delle persone.

Agli ammalati

Saluto con particolare affetto gli ammalati qui presenti.

Voi siete i prediletti di Colui che, con la sua sofferenza, ha salvato il mondo. Sappiate sempre operare per il bene dell’umanità intera e della Chiesa in unione con il Signore risorto e rendendo efficaci le croci della vostra vita, abbracciandole con quello spirito d’amore e di obbedienza alla volontà del Padre, di cui il Salvatore ci ha dato l’esempio più luminoso.

Agli sposi novelli

Infine saluto di cuore gli sposi novelli.

Proprio nei giorni in cui abbiamo rivissuto l’atto supremo di amore di Cristo, voi avete iniziato nel sacramento del Matrimonio la vostra nuova vita come coniugi. Vi auguro di saper riprodurre ogni giorno quella scelta di amore, che scaturisce dall’amore di Cristo per la Chiesa, di cui voi ora fate parte come famiglia cristiana.




Mercoledì, 17 aprile 1985

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1. Se l’originalità della fede consiste nel carattere di conoscenza essenzialmente soprannaturale, che le proviene dalla grazia di Dio e dai doni dello Spirito Santo, parimenti si deve affermare che la fede possiede una sua originalità autenticamente umana.Infatti troviamo in essa tutte le caratteristiche della convinzione razionale e ragionevole sulla verità contenuta nella divina rivelazione. Tale convinzione - ovverosia certezza - corrisponde perfettamente alla dignità della persona come essere razionale e libero.

Circa questo problema è assai illuminante, tra i documenti del Concilio Vaticano II, la dichiarazione sulla libertà religiosa, che inizia con le parole “Dignitatis humanae”. Vi leggiamo tra l’altro:

“Un capitolo fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri è che l’uomo deve rispondere a Dio credendo volontariamente; che nessuno quindi può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura, giacché l’uomo, redento da Cristo salvatore e chiamato in Cristo Gesù ad essere figlio adottivo, non può aderire a Dio che si rivela, se attratto dal Padre non presta a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni genere di coercizione da parte degli uomini” (Dignitatis humanae
DH 10).

“Dio chiama certo gli uomini a servire lui in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza, ma non coartati. Infatti ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve essere guidata da decisione personale e godere di libertà. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù . . .” (Dignitatis humanae DH 11).

2. E qui il documento conciliare illustra in quale modo Cristo cercò di “suscitare e fortificare la fede negli uditori” escludendo ogni coercizione. Egli infatti ha reso definitivamente testimonianza alla verità del suo Vangelo mediante la croce e la risurrezione, “però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano . . . Il suo regno si costituisce testimoniando e ascoltando la verità, e cresce in virtù dell’amore, con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli uomini” (Ivi DH 11). Cristo ha poi trasmesso agli apostoli lo stesso modo di convincere sulla verità del Vangelo.

Proprio grazie a questa libertà la fede - ciò che esprimiamo con la parola “credo” - possiede la sua autenticità e originalità umana, oltre che divina. Infatti essa esprime la convinzione e la certezza sulla verità della rivelazione, in forza di un atto di libera volontà. Questa volontarietà strutturale della fede non significa in alcun modo che il credere sia “facoltativo”, e sia quindi giustificabile un atteggiamento di fondamentale indifferentismo; significa soltanto che all’invito e al dono di Dio l’uomo è chiamato a rispondere con l’adesione libera di tutto se stesso.

3. Lo stesso documento conciliare dedicato al problema della libertà religiosa sottolinea molto chiaramente che la fede è una questione di coscienza.


“A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di responsabilità personale, sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità” (Ivi, DH 2). Se questo è l’argomento essenziale a favore del diritto alla libertà religiosa, esso è anche il motivo fondamentale per il quale questa stessa libertà deve essere correttamente compresa e osservata nella vita sociale.

4. Quanto alle decisioni personali, “ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa per formarsi, utilizzando i mezzi idonei, giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.

La verità poi va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e della sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l’aiuto del magistero o dell’insegnamento, della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperto, o che ritengono di avere scoperto; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale” (Dignitatis humanae DH 3).

In queste parole troviamo una caratteristica molto accentuata del nostro “credo” come atto profondamente umano, rispondente alla dignità dell’uomo come persona. Questa rispondenza si esprime nel rapporto con la verità mediante la libertà interiore e la responsabilità di coscienza del soggetto credente.

Questa dottrina, attinta alla dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, serve anche a far capire quanto è importante una catechesi sistematica, sia perché essa rende possibile la conoscenza della verità sul progetto d’amore di Dio contenuto nella divina rivelazione, sia perché aiuta ad aderire sempre più alla verità già conosciuta e accettata mediante la fede.

Ai pellegrini di lingua francese

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Ai gruppi di lingua inglese

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Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini provenienti dalla Spagna e dall’America Latina

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Ai fedeli provenienti dalla Polonia

Ai gruppi di lingua italiana

Desidero rivolgere il mio affettuoso saluto ai pellegrini di lingua italiana - in gruppi o singoli - che sono presenti a questa udienza; in modo speciale voglio ricordare i Padri missionari cappuccini, provenienti in gran parte dall’America Latina per un corso di aggiornamento; i partecipanti al XV Convegno degli economi generali e provinciali, organizzato dal “Centro Nazionale Economi di Comunità”, che celebra il 25° anno di fondazione; il parroco e i fedeli della comunità parrocchiale della “Sacra Famiglia” in Venturina, diocesi di Massa Marittima-Piombino, in pellegrinaggio per il 50° di fondazione della parrocchia; le suore, i bambini e gli ospiti dell’Istituto Sant’Antonio di Roma; le religiose appartenenti al “Movimento internazionale delle religiose aderenti al Movimento dei Focolari”.


A voi tutti e tutte esprimo un fervido e sincero augurio, il quale trova la sua ispirazione nel periodo liturgico pasquale, che ci invita ad unirci sempre più profondamente, nel pensiero e nell’azione, al Cristo Risorto.

Che questo vostro pellegrinaggio a Roma e questo vostro incontro presso il sepolcro di Pietro siano uno stimolo per un ulteriore, crescente impegno a dare una testimonianza cristiana nei vari settori, in cui si svolge la nostra vita quotidiana.

La mia benedizione apostolica conforti e confermi i vostri propositi di bene.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto a tutti i giovani presenti a questa udienza.

Cari giovani, è ancora vivo in me il ricordo del vostro raduno, la Domenica delle Palme, con il suo momento di preghiera e di riflessione e la celebrazione liturgica per inneggiare a Cristo, nostro re. È stato un incontro che ha dimostrato la capacità di riflessione dei giovani, insieme con la loro vivacità e la forza di dare testimonianza.

Siate fedeli a questo stile di vita: sappiate, cioè, unire sempre preghiera e azione, trovando il motivo del vostro agire nella potenza della meditazione e della riflessione. Solo così sarà possibile partecipare alle vicende sociali che vi riguardano in modo autentico, diventando portatori di verità con animo sincero e convinto.

Vi benedico tutti di cuore.

Agli ammalati

Una parola per voi, malati, che costituite sempre la porzione eletta di questi incontri.

Se comprendiamo che l’amore condusse Gesù a morire sulla croce, possiamo guardare alla croce come a una realtà che dà senso al dolore, perché su di essa Cristo si è unito all’uomo sofferente per amarlo e redimerlo. La gloria, che nella croce di Cristo era offuscata dall’immensità del dolore, è stata rivelata dalla risurrezione. Sappiate anche voi annunciare che ogni uomo in pena è chiamato a condividere la gloria del Crocifisso risorto.

La mia benedizione, affinché il Signore conforti ogni vostra speranza.

Agli sposi novelli

A tutti gli sposi novelli, qui presenti, desidero rivolgere uno speciale augurio per la felicità della loro famiglia, nata con la benedizione di Dio. Nell’esortazione Familiaris consortio ho scritto che la famiglia cristiana, soprattutto oggi, ha una speciale vocazione ad essere testimone dell’alleanza pasquale di Cristo, mediante la costante irradiazione della gioia dell’amore e della sicurezza della speranza. Possiate essere nel mondo un segno di questi doni che provengono dalla grazia del sacramento.

Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione.


Mercoledì, 24 aprile 1985

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1. Dove possiamo trovare ciò che Dio ha rivelato per aderirvi con la nostra fede convinta e libera? Vi è un “sacro deposito”, al quale la Chiesa attinge comunicandocene i contenuti. Come dice il Concilio Vaticano II: “Questa sacra tradizione dunque e la Scrittura Sacra dell’uno e dell’altro Testamento sono come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo a faccia a faccia, com’egli è (cf.
1Jn 3,2)” (Dei Verbum DV 7).

Con queste parole la costituzione conciliare sintetizza il problema della trasmissione della divina rivelazione, importante per la fede d’ogni cristiano. Il nostro “credo”, che deve preparare l’uomo sulla terra a vedere Dio a faccia a faccia nell’eternità, dipende, in ogni tappa della storia, dalla fedele e inviolabile trasmissione ai questa autorivelazione di Dio, che in Gesù Cristo ha raggiunto il suo apice e la sua pienezza.

2. Cristo stesso “ordinò agli apostoli di predicare a tutti, comunicando loro i doni divini, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale” (Ivi DV 7). Essi seguirono la missione loro affidata prima di tutto nella predicazione orale, e al tempo stesso alcuni di loro “sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, misero per iscritto l’annuncio della salvezza” (Dei Verbum DV 7). Il che fecero anche alcuni della cerchia degli apostoli (Marco, Luca).

Così si formò la trasmissione della divina rivelazione nella prima generazione dei cristiani. “Gli apostoli poi, affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il proprio posto di magistero»” (secondo l’espressione di Sant’Ireneo) (cf. S. Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 1; Dei Verbum DV 7).

3. Come si vede, secondo il Concilio, nella trasmissione della divina rivelazione nella Chiesa si sostengono reciprocamente e si completano la tradizione e la Sacra Scrittura, con le quali le nuove generazioni dei discepoli e dei testimoni di Gesù Cristo alimentano la loro fede, perché “ciò che fu trasmesso dagli apostoli . . . comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del popolo di Dio” (Dei Verbum DV 8).

Questa tradizione che trae origine dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cf. Lc 2,19 Lc 2,51), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità. La Chiesa, cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio” (Dei Verbum DV 8).


Ma in questa tensione verso la pienezza della verità divina la Chiesa attinge costantemente all’unico “deposito” originario, costituito dalla tradizione apostolica e dalla Sacra Scrittura, le quali “poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, formano in certo qual senso una cosa sola e tendono allo stesso fine” (Ivi, DV 9).

4. A questo proposito conviene precisare e sottolineare, sempre col Concilio, che “. . . la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura” (Dei Verbum DV 9). Questa Scrittura “è parola di Dio in quanto essa è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino”. Ma “la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, viene trasmessa integralmente dalla sacra tradizione ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano” (Ivi DV 9). “La stessa tradizione fa conoscere alla Chiesa il canone integrale dei libri sacri, e in essa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre lettere” (Ivi, DV 8).

“La sacra tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi pastori, persevera costantemente nell’insegnamento degli apostoli . . .” (Ivi, DV 10). Perciò ambedue, la tradizione e la Sacra Scrittura, devono essere circondate dalla stessa venerazione e dello stesso rispetto religioso.

5. Qui nasce il problema dell’interpretazione autentica della parola di Dio, scritta o trasmessa dalla tradizione. Questo compito è stato affidato “al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo” (Ivi DV 10). Questo magistero “non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio” (Ivi DV 10).

6. Ecco dunque una nuova caratteristica della fede: credere in modo cristiano significa anche: accettare la verità rivelata da Dio, così come la insegna la Chiesa. Ma nello stesso tempo il Concilio Vaticano II ricorda che “la totalità dei fedeli . . . non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi. Infatti, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero . . . aderisce indefettibilmente “alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Jud 1,3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita” (Lumen gentium LG 12).

7. La tradizione, la Sacra Scrittura, il magistero della Chiesa e il senso soprannaturale della fede dell’intero popolo di Dio formano quel processo vivificante, nel quale la divina rivelazione viene trasmessa alle nuove generazioni. “Così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti in tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cf. Col 3,16)” (Dei Verbum DV 8). Credere in modo cristiano significa accettare di essere introdotti e condotti dallo Spirito alla pienezza della verità in modo consapevole e volontario.

Ai fedeli di lingua francese

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Ai numerosi pellegrini di lingua inglese

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A pellegrinaggi di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

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Ai pellegrini giunti dal Brasile

Ai fedeli polacchi

A un gruppo di pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo! Dilettissimi pellegrini giapponesi, vi imparto la mia benedizione apostolica, con tutto il mio affetto paterno, affinché il frutto del vostro pellegrinaggio fiorisca nella vostra vita quotidiana, sotto la protezione della Madonna. Sia lodato Gesù Cristo. Ad alcuni gruppi italiani Desidero ora esprimere il mio saluto a tutti i partecipanti a questa udienza che sono di lingua italiana. Rivolgo in modo particolare il mio pensiero ai fedeli della diocesi di Alatri, venuti in grande numero, insieme con il loro Pastore, Monsignor Umberto Florenzani, a restituirmi la visita pastorale da me compiuta a quella comunità diocesana lo scorso mese di settembre.

Carissimi Alatrini, nel ricordare la splendida testimonianza di fede da voi resa durante la mia breve visita alla vostra antica città, vi rinnovo l’espressione del mio sincero affetto, con particolare pensiero alle autorità civili e religiose che furono tanto premurose nei miei confronti.

Questo pellegrinaggio a Roma sia per voi anche occasione per rafforzare la vostra adesione di fede verso Cristo e la sua Chiesa; vi serva di stimolo a orientare sempre meglio la vostra condotta secondo le esigenze del Vangelo, ad essere sempre più generosi nel rendere ragione della speranza che è in voi e costruire così una comunità cristiana, in cui ogni uomo di buona volontà si senta accolto e amato.

Con questi voti vi benedico tutti nel nome del Signore e vi affido l’incarico di portare la mia benedizione ai vostri cari.
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Un saluto assai cordiale va poi al gruppo dei sacerdoti della diocesi di Lugano della classe del 1920.

Carissimi, vi ringrazio per questa gradita presenza e vi esprimo il mio apprezzamento per l’opera di evangelizzazione e di animazione cristiana che lodevolmente promuovete. Il Signore vi assista nel vostro prodigarvi per la salvezza delle anime; egli ricompensi i vostri sforzi e vi benedica.

Ai giovani

Mi rivolgo ora a tutti voi, giovani e ragazzi, presenti a questa udienza, dicendo a tutti: siate i benvenuti!

Saluto innanzitutto gli studenti; in particolare i numerosi alunni dell’Istituto Tecnico Statale “Masullo” di Nola e il gruppo della parrocchia di San Giulio di Castellanza, per i quali accenderò una fiaccola votiva che essi porteranno a piedi da Roma alla loro città, dove brillerà durante le celebrazioni mariane del mese di maggio.
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Vorrei ricordare, inoltre, la rappresentanza delle scuole elementari e medie di Bergamo.

Carissimi giovani e ragazzi, nella luce di questo fulgido tempo pasquale vi raccomando di accogliere senza riserve l’amore che Gesù vi offre. Esso è dono che vi permette di affrontare le varie circostanze dell’esistenza con la misura del cuore: del cuore di Cristo.

Mentre prego perché il Signore risorto sia sempre per voi testimonianza evidente dell’amore che vince il male e la morte, vi imparto la mia benedizione.

Agli ammalati

Ora, in modo tutto speciale, porgo il mio saluto a voi, cari ammalati, a cui sono sempre molto vicino con la preghiera. La contemplazione del mistero pasquale mi spinge a indicarvi nel Cristo morto e risorto il segno della compassione di Dio verso l’uomo e ad assicurarvi che il Signore della vita non abbandona mai chi confida in lui. Forti di questa consolazione, non cessate di offrire le vostre sofferenze al Padre per essere, uniti al Redentore, fonte di tanta grazia per la Chiesa. Vi accompagno con la mia benedizione apostolica, che volentieri estendo a quanti vi assistono.

Agli sposi novelli

E ora a voi, sposi novelli, va il mio saluto, insieme con le mie felicitazioni e i miei auspici, per la vita nuova che avete da poco iniziato.

Con gioia e trepidazione avete celebrato il sacramento del matrimonio, per porre il vostro affetto in Cristo. Sappiate che egli vi sarà sempre vicino. Accanto a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli ancora più stupendi della sua grazia. Accanto a voi, per rendervi sempre più consapevoli del compito che avete di essere collaboratori della creazione divina, mediante la trasmissione del dono prezioso della vita.

A voi, cordialissima, la mia benedizione.






Catechesi 79-2005 30485