Catechesi 79-2005 10585

Mercoledì, 1° maggio 1985

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1. Ripetiamo oggi ancora una volta quelle belle parole della costituzione conciliare Dei Verbum: “Così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto (che è la Chiesa) e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cf.
Col 3,16)” (Dei Verbum DV 8).

Riassumiamo di nuovo che cosa significa “credere”. Credere in modo cristiano significa precisamente: essere introdotti dallo Spirito Santo in tutta intera la verità della divina rivelazione. Vuol dire: essere una comunità di fedeli aperti alla parola del Vangelo di Cristo. L’una e l’altra cosa è possibile in ogni generazione, poiché la viva trasmissione della divina rivelazione, contenuta nella tradizione e nella Sacra Scrittura, perdura integra nella Chiesa grazie allo speciale servizio del magistero, in armonia col senso soprannaturale della fede del popolo di Dio.

2. Per completare questa concezione del legame tra il nostro “credo” cattolico e la sua fonte, è importante anche la dottrina sulla divina ispirazione della Sacra Scrittura e dell’autentica interpretazione di questa. Nel presentare questa dottrina seguiamo (come nelle catechesi precedenti) prima di tutto la costituzione Dei Verbum.

Dice il Concilio: “La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo (cf. Jn 20,31 2Tm 3,16 2P 1,19-21 2P 3,15-16), hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa” (Dei Verbum DV 11).

Dio – come invisibile e trascendente autore – “scelse degli uomini di cui si servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché... scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva”. A questo scopo lo Spirito Santo agiva in essi e per loro mezzo (cf. Dei Verbum DV 11).

3. Data questa origine, si deve ritenere “che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità, che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere” (Dei Verbum DV 11). Lo confermano le parole di San Paolo nella lettera a Timoteo: “Ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona” (2Tm 3,16-17).

La costituzione sulla divina rivelazione esprime, seguendo San Giovanni Crisostomo, ammirazione per quella particolare “condiscendenza”, quasi un “chinarsi” dell’eterna sapienza. “Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile agli uomini” (Dei Verbum DV 13).

4. Dalla verità sulla divina ispirazione della Sacra Scrittura derivano logicamente alcune norme riguardanti la sua interpretazione. La costituzione Dei Verbum le riassume brevemente: un primo principio è che “poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, l’interprete della Sacra Scrittura, per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà abbiano inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole” (Dei Verbum DV 12).

A questo scopo bisogna – questo è il secondo punto – prendere in considerazione tra l’altro “i generi letterari”. “La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri generi di espressione” (Dei Verbum DV 12). Il senso di ciò che l’autore esprime dipende proprio da questi generi letterari che si devono quindi considerare sullo sfondo di tutte le circostanze di una data epoca e di una determinata cultura.

E perciò ecco il terzo principio per una retta interpretazione della Sacra Scrittura: “Infatti per comprendere esattamente ciò che l’autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originari modi di intendere, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora erano in uso qua e là nei rapporti umani” (Dei Verbum DV 12).

5. Queste indicazioni abbastanza dettagliate, date per l’interpretazione di carattere storico-letterario, richiedono un rapporto approfondito con le premesse della dottrina sulla divina ispirazione della Sacra Scrittura. Essa deve essere “letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (Dei Verbum DV 12). Perciò “si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede” (Dei Verbum DV 12). Per “analogia della fede” intendiamo la coesione delle singole verità di fede tra di loro e con il piano complessivo della rivelazione e la pienezza della divina economia in esso racchiusa.


6. Il compito degli esegeti, cioè dei ricercatori che studiano con metodi opportuni la Sacra Scrittura, è di contribuire secondo i suddetti principi, “alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché, con studi in qualche modo preparatori, si maturi il giudizio della Chiesa” (Dei Verbum DV 12).

Dato che la Chiesa ha “il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio”, quanto riguarda “il modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa” (Dei Verbum DV 12). Questa norma è importante e decisiva per precisare il reciproco rapporto tra l’esegesi (la teologia) e il magistero della Chiesa. È una norma che rimane nel più stretto rapporto con ciò che abbiamo detto precedentemente a proposito della trasmissione della divina rivelazione.

Bisogna ancora una volta sottolineare che il magistero utilizza il lavoro dei teologi-esegeti e, al tempo stesso, opportunamente vigila sui risultati dei loro studi. Il magistero infatti è chiamato a custodire la verità tutta intera, contenuta nella divina rivelazione.

7. Credere in modo cristiano significa perciò aderire a questa verità usufruendo della garanzia di verità che per istituzione di Cristo stesso viene dalla Chiesa. Ciò vale per tutti i credenti: e quindi – al giusto livello e in grado adatto – anche per i teologi e gli esegeti. Per tutti si rivela in questo campo la misericordiosa Provvidenza di Dio che ha voluto concederci non solo il dono della sua autorivelazione, ma anche la garanzia della sua fedele conservazione, interpretazione e spiegazione, affidandola alle mani della Chiesa.
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Per la festa del 1° maggio

Carissimi fratelli e sorelle! Oggi una categoria molto importante della società, i cari lavoratori, sono in festa: il primo maggio è la giornata del lavoro. La Chiesa è solidale con i problemi dei lavoratori: essa è loro vicina, ne condivide le ansie e le aspirazioni, le gioie e le trepidazioni. La Chiesa soprattutto presenta ai lavoratori Cristo nella casa di Giuseppe, il carpentiere di Nazaret. In quella casa, Gesù ha imparato da Giuseppe a guadagnarsi il pane col sudore della fronte. La Chiesa pertanto presenta ai lavoratori l’esempio di San Giuseppe artigiano, sposo di Maria santissima e patrono della Chiesa universale, il quale ebbe da Dio l’altissima e singolare missione di accogliere con amore, di proteggere con affetto, di sostenere col suo lavoro e di aiutare con la sua prudenza nella crescita umana Gesù, il Verbo di Dio incarnato. Rivolgo pertanto fin dall’inizio di questa udienza un particolare saluto, pieno d’affetto, a tutti i lavoratori. Chiediamo a San Giuseppe e alla Madonna, alla quale è dedicato il mese di maggio che oggi incomincia, che ci ottengano la grazia di realizzare nella nostra vita quotidiana il messaggio di amore e di donazione, proclamato da Cristo.


Mercoledì, 8 maggio 1985

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1. Come è noto, la Sacra Scrittura si compone di due grandi raccolte di libri: l’Antico e il Nuovo Testamento. L’Antico Testamento, redatto tutto prima dell’avvento di Cristo, è una raccolta di 46 libri di diverso carattere. Li elencheremo qui raggruppandoli in modo da distinguere, almeno genericamente, l’indole di ciascuno di essi.

2. Il primo gruppo che incontriamo è il cosiddetto “Pentateuco” composto da: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri eDeuteronomio. Quasi a prolungamento del Pentateuco si trova il libro di Giosuè e, poi, quello dei Giudici. Il conciso libro di Rut costituisce in certo qual modo l’introduzione al gruppo successivo di carattere storico, composto dai due libri di Samuele e dai due libri dei Re.Tra questi libri si devono includere anche i due delle Cronache, il libro di Esdra e quello di Neemia, che riguardano il periodo della storia di Israele posteriore alla cattività di Babilonia.

Il libro di Tobia, quello di Giuditta e quello di Ester, sebbene riguardanti la storia della nazione eletta, hanno carattere di narrazione allegorica e morale piuttosto che di storia vera e propria. Invece i due libri dei Maccabei hanno carattere storico (di cronaca).

3. I cosiddetti “libri didattici” costituiscono un gruppo a sé, nel quale vengono incluse opere di diverso carattere. Vi appartengono: il libro di Giobbe, i Salmi, e il Cantico dei cantici e parimenti alcune opere di carattere sapienziale-educativo: il libro dei Proverbi, quello del Qoelet (cioè l’Ecclesiaste), il libro della Sapienza e la Sapienza di Siracide (cioè l’Ecclesiastico).

4. Infine, l’ultimo gruppo dell’Antico Testamento è costituito dai “libri profetici”. Si distinguono i quattro cosiddetti profeti “maggiori”: Isaia, Geremia, Ezechiele eDaniele. Al libro di Geremia sono aggiunte le Lamentazioni e il libro di Baruc. Poi vengono i cosiddetti profeti “minori”: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.

5. Ad eccezione dei primi capitoli della Genesi, che riguardano l’origine del mondo e dell’umanità, i libri dell’Antico Testamento, iniziando dalla chiamata di Abramo, riguardano una nazione che è stata scelta da Dio. Ecco che cosa leggiamo nella costituzione Dei Verbum: “Nel suo grande amore Dio, progettando e preparando con sollecitudine la salvezza di tutto il genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo, al quale confidare le promesse. Infatti, una volta conclusa l’alleanza con Abramo (cf.
Gn 15,18) e col popolo di Israele per mezzo di Mosè (cf . Ex 24,8), egli si rivelò con parole e azioni al popolo che s’era acquistato, come l’unico Dio vero e vivo, così che Israele sperimentasse quali fossero le vie divine con gli uomini e, parlando Dio per bocca dei profeti, le comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e le facesse conoscere con maggiore ampiezza fra le genti (cf. Ps 22,28-29 Ps 96,1-3 Is 2,1-4 Jr 3,17). L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova come vera parola di Dio nei libri dell’Antico Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne . . .” (Dei Verbum DV 14).

6. La costituzione conciliare indica poi quello che è stato lo scopo principale dell’economia della salvezza nell’Antico Testamento: “preparare”, annunziare profeticamente (cf. Lc 24,44 Jn 5,39 1P 1,10) e significare con vari tipi (cf. 1Co 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico (cf. Dei Verbum DV 15).

Al tempo stesso i libri dell’Antico Testamento, secondo la condizione del genere umano di Cristo, manifestino a tutti la conoscenza di Dio e l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina” (Dei Verbum DV 15). Sono espressi in essi “un vivo senso di Dio”, “una sapienza salutare per la vita dell’uomo” e infine “mirabili tesori di preghiere, nei quali . . . è nascosto il mistero della nostra salvezza” (Ivi DV 15). E perciò anche i libri dell’Antico Testamento devono essere ricevuti dai cristiani con devozione.

7. Il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento viene poi dalla costituzione conciliare illustrato in questo modo: “Dio dunque, ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro Testamento, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nell’Antico e l’Antico diventasse chiaro nel Nuovo” (Secondo le parole di Sant’Agostino: “Novum in Vetere latet, Vetus in Novo patet . . .”). “Poiché anche se Cristo ha fondato la nuova alleanza nel sangue suo (cf. Lc 22,20 1Co 11,25), tuttavia i libri dell’Antico Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel Nuovo Testamento (cf. Mt 5,17 Lc 24,27 Rm 16,25-26 2Co 3,14 2Co 3,16), e a loro volta lo illuminano e lo spiegano” (Dei Verbum DV 16).

Come vedete, il Concilio ci offre una dottrina precisa e chiara, sufficiente per la nostra catechesi. Essa ci permette di fare un nuovo passo nella determinazione del significato della nostra fede. “Credere in modo cristiano” significa attingere, secondo lo spirito che abbiamo detto, la luce della divina rivelazione anche dai libri dell’antica alleanza.

Ad alcuni gruppi di lingua francese

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Ai visitatori di lingua inglese

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Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

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Ad un gruppo ungherese

È presente all’odierna udienza un gruppo di pellegrini ungheresi. Sono arrivati da Csorna, diocesi di Gyr, guidati dal loro parroco il padre scolopio Lrincz Imre.

Amate Cristo e la sua Chiesa! Riconciliatevi con Dio nel sacramento della penitenza. La mia benedizione apostolica a voi e a tutti i fedeli ungheresi.

Ai fedeli polacchi

Ai giovani

Rivolgo un affettuoso saluto a tutti i bambini e alle bambine, qui presenti, che in questi giorni hanno fatto la prima Comunione. Carissimi e carissime! Rimanete sempre fedeli, per tutta la vita, al vostro grande amico Gesù, accogliendo e meditando la sua parola contenuta nel Vangelo e a riceverlo spesso nel sacramento dell’Eucaristia.

Un saluto cordiale anche a tutti i giovani e alle giovani, in particolare alle studentesse degli Istituti retti dalle Suore domenicane del Sacro Cuore di Gesù, che hanno la casa generalizia a Catania, venute in pellegrinaggio a Roma con le loro insegnanti e i loro genitori.


All’inizio del mese dedicato alla Vergine santissima desidero affidare a lei i vostri ideali e i vostri propositi, perché ella vi ottenga la forza necessaria per offrire all’ambiente del vostro studio o del vostro lavoro quotidiano una lieta testimonianza di profonda adesione al messaggio che Cristo ha lasciato all’umanità.

Come Maria, sappiate accogliere nel vostro cuore la parola di Dio per farla crescere e sviluppare abbondantemente in frutti di amore verso Dio e verso il prossimo.

Agli ammalati

Un pensiero particolare va a voi, fratelli e sorelle infermi, che portate nel vostro corpo e nel vostro animo i segni della passione di Gesù: la Chiesa sa che voi siete le sue membra privilegiate per tale speciale conformazione di dolore al suo sposo divino. Per questo vi chiedo di voler offrire, con semplicità e generosità, la vostra sofferenza a Dio, in unione con Cristo, per il bene dell’umanità e della Chiesa stessa.

Agli sposi novelli

E a voi, sposi novelli, che in questi giorni avete consacrato nel matrimonio il vostro amore dinanzi a Dio e alla Chiesa, auguro che sulla vostra nascente famiglia cristiana aleggi sempre la presenza premurosa e materna di Maria santissima. Colei che concepì nel suo grembo verginale il Verbo di Dio incarnato.

Sappiate rendervi sempre discepoli attenti alla “scuola” della Santa Famiglia di Nazaret: da Gesù, da Maria e da Giuseppe imparate su quali fondamenti di salda fede, di fervida speranza e di operosa carità dovrete edificare la vostra comunanza di amore, perché sappiate vivere una vita coniugale profondamente serena e gioiosa nella grazia del Signore.

Su voi tutti e voi tutte la mia benedizione apostolica!


Mercoledì, 22 maggio 1985

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Riprendiamo i consueti incontri settimanali del mercoledì, interrotti, la scorsa settimana, a motivo del viaggio pastorale nel Benelux; durante quella visita ho potuto mettermi in diretto contatto con le molteplici componenti ecclesiali dei Paesi Bassi, del Lussemburgo e del Belgio, dei quali ho costatato e ammirato la profonda vitalità. Mentre mi riprometto di manifestare alcune mie impressioni sul viaggio alla prossima occasione, sento ora il dovere di indirizzare pubblicamente il mio cordiale saluto e sincero ringraziamento alle autorità di quelle nobili nazioni, ai confratelli nell’episcopato, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi, ai laici impegnati nelle varie associazioni, movimenti, iniziative, rinnovando i miei voti augurali e invocando su di essi l’assistenza divina. Dopo questa premessa, diamo inizio alla catechesi di questo mercoledì.

1. Il Nuovo Testamento è di dimensioni minori dell’Antico. Sotto l’aspetto della redazione storica, i libri che lo formano sono stati scritti in un arco di tempo molto più breve che non quelli dell’antica alleanza. Si compone di ventisette libri, alcuni molto brevi.

In primo luogo elenchiamo i quattro Vangeli: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Segue il libro degli Atti degli apostoli, l’autore del quale è ancora Luca. Il gruppo più numeroso è costituito dalle lettere apostoliche, le più numerose delle quali sono le lettere di San Paolo: una ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, una agli Efesini, una ai Filippesi, una ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, una a Tito e una a Filemone. Il cosiddetto “corpus Paulinum” termina con la lettera agli Ebrei, scritta nell’ambito di influenza di Paolo. Seguono: la lettera di San Giacomo, due lettere di San Pietro, tre lettere di San Giovanni e la lettera di San Giuda. L’ultimo libro del Nuovo Testamento è l’Apocalisse di San Giovanni.

2. Così si esprime a riguardo di questi libri la costituzione Dei Verbum: “A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche del Nuovo Testamento, i Vangeli meritatamente eccellono, in quanto sono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa sempre e in ogni luogo ha ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito divino, essi stessi e gli uomini della loro cerchia tramandarono a noi in scritti, come fondamento della fede, cioè il Vangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni” (Dei Verbum
DV 18).

3. La costituzione conciliare sottolinea in modo particolare la storicità dei quattro Vangeli. Essa scrive che la Chiesa ne “afferma senza esitazione la storicità” ritenendo con costanza, che “i quattro Vangeli . . . trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò, per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cf. Ac 1,1-2)” (Dei Verbum DV 19).

Se si tratta del modo in cui sono nati i quattro Vangeli, la costituzione conciliare li collega innanzitutto con l’insegnamento apostolico, che ebbe inizio dopo la discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste. Ecco quanto leggiamo: “Gli apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva loro detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano” (Dei Verbum DV 19). Questi “eventi gloriosi” sono costituiti principalmente dalla risurrezione del Signore e dalla discesa dello Spirito Santo. Si comprende che, alla luce della risurrezione, gli apostoli credettero definitivamente in Cristo. La risurrezione gettò una luce fondamentale sulla sua morte in croce, e anche su tutto ciò che aveva fatto e proclamato prima della sua passione. Nel giorno della Pentecoste, poi, avvenne che gli apostoli furono “illuminati dallo Spirito di verità”.

4. Dall’insegnamento apostolico orale si passò alla stesura dei Vangeli, riguardo alla quale la costituzione conciliare così si esprime: “. . . gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere. Essi, infatti, attingendo sia dalla propria memoria e dai propri ricordi, sia dalla testimonianza di coloro che “fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola”, scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” (cf. Lc 1,2-4) degli insegnamenti sui quali siamo stati istruiti” (Dei Verbum DV 19). Questo conciso enunziato del Concilio riflette e sintetizza brevemente tutta la ricchezza delle indagini e degli studi, che i biblisti non hanno cessato di dedicare alla questione dell’origine dei quattro Vangeli. Per la nostra catechesi è sufficiente questo riassunto.

5. Quanto ai rimanenti libri del Nuovo Testamento, la costituzione conciliare Dei Verbum si pronuncia nel modo seguente: “. . . Per sapiente disposizione di Dio, è confermato tutto ciò che riguarda Cristo Signore, è ulteriormente spiegata la sua autentica dottrina, è predicata la potenza salvifica dell’opera divina di Cristo, sono narrati gli inizi e la mirabile diffusione della Chiesa ed è annunziata la sua gloriosa consumazione” (Dei Verbum DV 20). È una presentazione breve e sintetica del contenuto di quei libri, indipendentemente da questioni cronologiche, che qui meno interessano. Solo ricorderemo che gli studiosi fissano per la loro composizione la seconda metà del primo secolo.

Ciò che per noi più conta è la presenza del Signore Gesù e del suo Spirito negli autori del Nuovo Testamento, che sono dunque i tramiti attraverso i quali Dio ci introduce nella novità rivelata. “Il Signore Gesù, infatti, assisté i suoi apostoli come aveva promesso e inviò loro lo Spirito Paraclito, il quale doveva introdurli alla pienezza della verità. I libri del Nuovo Testamento ci introducono proprio sulla via che porta alla pienezza della verità della divina rivelazione.

6. Ed ecco un’altra conclusione per una più completa concezione della fede. Credere in modo cristiano significa accettare l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo, che costituisce il contenuto essenziale del Nuovo Testamento.

Ce lo dice il Concilio: “Quando infatti venne la pienezza del tempo (cf. Ga 4,4), il Verbo si fece carne e abitò tra noi pieno di grazia e di verità (cf. Jn 1,14). Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, e l’invio dello Spirito Santo. Innalzato da terra attira tutti a sé (cf. Jn 12,32), lui, che solo ha parole di vita eterna (cf. Jn 6,69)” (Dei Verbum DV 17). “Di tutto ciò gli scritti del Nuovo Testamento sono testimonianza perenne e divina” (Dei Verbum DV 17). E perciò essi costituiscono un particolare sostegno alla nostra fede.

Uccisione di un sacerdote nelle Filippine

Un sacerdote, il reverendo Alberto Romero, della diocesi di Dipolog nell’isola di Mindanao, è stato assassinato all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico. Desidero parteciparvi il mio dolore per questo tragico fatto, ancor più grave perché l’uccisione è avvenuta in un momento sacro di così grande valore per la fede, e invitarvi a rivolgere una fervida preghiera al Signore risorto e alla sua Madre santissima per l’anima di questo sacerdote. Associamo nel ricordo orante anche i suoi familiari, il vescovo, il clero e il popolo fedele della diocesi di Dipolog e in particolare coloro che appartengono alla parrocchia affidata alle cure pastorali del sacerdote ucciso.





Mercoledì, 29 maggio 1985

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1. A Gesù Cristo, pastore e guardiano delle nostre anime (cf.
1P 2,25), desidero rendere il debito omaggio di ringraziamento, raccomandandogli, mediante la Madre della Chiesa, l’insieme del mio servizio pastorale nei Paesi del Benelux. Questo servizio era collegato con una visita e ha costituito una risposta al comune invito degli episcopati del Belgio, dei Paesi Bassi e del vescovo di Lussemburgo.

L’invito mi era stato rivolto già un paio di anni fa. Da allora furono messi in atto molteplici preparativi, per i quali desidero ringraziare sia i miei fratelli nell’episcopato, sia tutto il clero e i laici che in grande numero e con generosità vi hanno partecipato in diversi modi. Rivolgo il mio ringraziamento in pari tempo alle molte componenti dell’amministrazione civile, che ovunque hanno dato prova di grande comprensione, benevolenza e competenza.

2. In particolare, desidero manifestare un doveroso ossequio al re del Belgio, alla regina dei Paesi Bassi e al granduca del Lussemburgo, insieme con le rispettive famiglie, ringraziandoli per gli incontri e per la partecipazione.

Dall’11 al 12 maggio mi è stato dato di dedicare tre giorni e mezzo alla Chiesa che è nei Paesi Bassi, un giorno e mezzo a quella che è in Lussemburgo e cinque giorni a quella che è in Belgio. I cattolici nei Paesi Bassi costituiscono numericamente una minoranza (sono 5 milioni su 14 milioni di abitanti). Il Belgio e il Lussemburgo sono invece Paesi in forte maggioranza cattolici.

3. Tutti e tre questi Paesi furono segnati molti secoli fa dalla prima evangelizzazione. Essa è legata prima di tutto alla figura di San Servazio, che colà operò alla fine del secolo IV. La tomba del santo vescovo si trova a Maastricht, nei Paesi Bassi meridionali. L’ulteriore processo di propagazione della fede di Cristo avviene nel VI e VII secolo ed è legato a San Willibrordo, vescovo di Utrecht, la cui tomba si trova a Echternach nel territorio del Lussemburgo. Tra i padri della cristianità si annovera pure San Bonifacio, l’apostolo della Germania. E la cattedrale a Mechelen, in Belgio, è dedicata a San Romboud.

4. Il cristianesimo, così profondamente radicato nel corso del primo millennio dopo Cristo, diede frutti particolari nel periodo del Medioevo. Le Chiese nel bacino del Reno furono caratterizzate, in quel tempo, da una grande fioritura della vita monastica e della vita mistica, che costituisce una corrente singolare nella storia della spiritualità cristiana. I grandi mistici di tale periodo furono donne e uomini, come Hadewych, come il beato Jan van Ruysbroeck, come Geert Groote e Thomas a Kempis. Da tale ambiente è uscito il libro “Imitazione di Cristo”, che da tante generazioni costituisce una lettura classica per la vita spirituale.

Un’altra espressione della cultura cristiana nel Medioevo si manifesta nelle splendide chiese in stile gotico caratteristico di quelle regioni; nelle opere di pittori famosi come Van Eyck, Rembrandt, Memlinc e altri non meno celebrati.

5. La riforma del XVI secolo ha diviso i cristiani, soprattutto nel territorio dei Paesi Bassi. Per un lungo tempo vi è venuta a mancare la gerarchia cattolica. Solo a partire dal 1853 la Sede apostolica ha potuto nominare i vescovi nella provincia ecclesiastica neerlandese, la cui sede metropolitana si trova a Utrecht.

Così dunque la questione dell’ecumenismo si è posta in modo particolare nei territori dei Paesi Bassi, come pure nel limitrofo Belgio, dove essa ha trovato un grande pioniere nella persona del cardinale Mercier, primate del Belgio, a cui dobbiamo i famosi “Colloqui di Mechelen” con i rappresentanti della comunità anglicana negli anni Venti di questo secolo.

Dai tempi del Vaticano II la questione dell’ecumenismo ha assunto una nuova attualità, la cui conferma, in questa circostanza, sono stati gli incontri ecumenici e di preghiera da me avuti a Mechelen e a Utrecht. L’incontro di Utrecht ha avuto luogo nella casa di Adriano VI (morto nel 1523), il papa che i Paesi Bassi hanno dato nella storia, e proprio agli inizi stessi del periodo della Riforma.


6. La visita ai Paesi del Benelux ha riconfermato l’enorme sforzo là compiuto dalla Chiesa, particolarmente nella prima metà di questo secolo, in diversi campi.

Prima di tutto nel campo missionario. Religiosi e religiose, sacerdoti del clero diocesano e laici, uomini e donne, hanno lavorato e continuano a lavorare fino a oggi in molte Chiese giovani. Questa vasta opera missionaria, che si manifesta in un grande numero di vocazioni, dà testimonianza di grande amore alla Chiesa e alla causa dell’evangelizzazione.

Il fiorire di queste vocazioni deve essere attribuito sia alla famiglia, sia a una pastorale missionaria, sia a una rete ben sviluppata di scuole cattoliche che continuano a svolgere la loro funzione anche oggi, godendo in vari modi dell’appoggio delle autorità statali.

7. Un altro successo, già nel periodo preconciliare, è stata l’azione ampiamente sviluppata del laicato, che si manifesta nelle numerose organizzazioni. È noto che l’apostolato dei laici ha trovato un forte appoggio nell’insegnamento del Vaticano II.

Attualmente esso si fa notare sia nel campo “ad intra”, cioè dentro la Chiesa: una notevole partecipazione di laici nella catechesi e nei consigli pastorali, sia anche “ad extra”, verso il mondo: un interessamento particolarmente vivo ai problemi della società, particolarmente del cosiddetto Terzo mondo.

Fra i successi in epoca recente della Chiesa in Belgio è da menzionare l’opera del padre Joseph Cardijn, chiamato da Paolo VI a far parte del Collegio cardinalizio: essa ha ispirato le organizzazioni cristiane della gioventù operaia e il metodo di apostolato (“voir, juger, agir”) ad esse collegato. Di pari passo è andato lo sforzo che mirava a introdurre nella vita la dottrina sociale cristiana.

8. Va ricordato anche il grande sforzo nel campo della cultura cristiana e della scienza universitaria. Durante la visita mi è stato dato di essere ospite dell’università a Leuven e a Louvain-la-Neuve. Ho inoltre avuto la gioia di celebrare una santa messa “per gli artisti” a Bruxelles.

Inoltre numerosi sono stati gli incontri con i giovani: a Amersfoort, a Echternach, a Namur. Gli incontri con i malati a Utrecht e a Banneux. Ho incontrato anche i rappresentanti del mondo del lavoro, per esempio a Utrecht, in Lussemburgo, a Laecken e Liegi.

Per quanto riguarda gli incontri con la gioventù, un ricordo particolare merita quello a Ieper, cioè nel luogo dove riposano mezzo milione di vittime della prima guerra mondiale. La visita avveniva nel 40° anniversario della fine della seconda guerra mondiale e della liberazione del Belgio, dei Paesi Bassi e del Lussemburgo. L’incontro a Ieper ha voluto essere un ricordo delle vittime della guerra e insieme una fervente preghiera per la pace.

9. Una parte del programma è stata dedicata anche agli incontri di carattere internazionale: quello con la Corte internazionale di giustizia de L’Aia, quello con le istituzioni della Comunità europea in Lussemburgo e a Bruxelles e quello col Corpo diplomatico.

10. È difficile riassumere in un breve discorso tutti i particolari di un programma che è stato molto ricco.


In mezzo a quel popolo cristiano, sono stato lieto di pregare a lungo, di ricordare la speranza e le esigenze del Vangelo e della dottrina della Chiesa, di dare gli incoraggiamenti pastoralmente opportuni perché le iniziative si sviluppino secondo criteri cristiani e portino i frutti migliori. Ho anche potuto avere parecchi contatti interessanti, constatando spesso il desiderio di testimoniare la fede nel rispetto della coscienza degli altri. In ogni tappa ho ascoltato le testimonianze, le difficoltà o le interrogazioni che mi erano presentate da alcuni laici, a nome di differenti gruppi, comunità o movimenti. Tengo presenti quelle domande, ad alcune delle quali la Chiesa ha già risposto, in modo preciso, con il suo magistero o dopo matura riflessione durante i sinodi dei vescovi; e tali risposte in materia di fede, di morale o di disciplina ecclesiale valgono evidentemente per l’intera Chiesa. Altre domande erano degli appelli a una presenza della Chiesa o a un apostolato più adeguato ai bisogni attuali, oppure a una partecipazione più responsabile di ciascun membro della Chiesa, uomini e donne, giovani e adulti, a una collaborazione più profonda tra vescovi, preti, religiosi e laici. Tali appelli potranno essere utili, e auspico che i cattolici restino toccati dalle esortazioni che ho loro rivolto. È il Signore stesso, come all’inizio e a ogni tappa della storia cristiana, che li chiama a convertirsi, a meglio rispondere al Vangelo in comunione con tutta la Chiesa, a progredire spiritualmente. Infatti, se bisogna affrontare condizioni esterne difficili, in un clima di secolarizzazione, bisogna soprattutto porre rimedio alle cause d’ordine spirituale che ostacolano la fedeltà o il vigore della fede. Bisogna formare e fortificare l’uomo interiore.

Nell’insieme, ritengo il servizio svolto particolarmente importante non soltanto in relazione a ciascuna delle Chiese visitate, ma anche nei riguardi della Chiesa universale.

Un particolare ringraziamento indirizzo ai miei fratelli nell’episcopato, ai sacerdoti e alle famiglie religiose maschili e femminili.

La preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose è stata uno dei fili conduttori di tutti i nostri incontri, così come ci ha sempre accompagnato il tema tanto significativo e bello del “Pater noster”.

Inoltre ogni giorno, gruppi considerevoli di fedeli hanno potuto partecipare alla celebrazione della fede comune con la parola e con l’Eucaristia. Tali celebrazioni tutte ben preparate, si sono svolte in un’atmosfera di intensa preghiera, di dignità, di partecipazione attiva di tutti, soprattutto mediante la musica e i canti, gregoriani e contemporanei.

Dinanzi a Gesù Cristo, pastore e guardiano delle nostre anime, che ha compiuto opere così grandi in passato e anche in tempi recenti in mezzo al popolo di Dio che è nei Paesi Bassi, in Belgio e nel Lussemburgo, rinnovo - per intercessione della Madre della Chiesa - una fervente preghiera per l’evangelizzazione nei Paesi visitati, affinché essa corrisponda alle esigenze odierne e del futuro. Infatti Cristo è “Padre del secolo futuro”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese


Ai gruppi di pellegrini tedeschi

Ai pellegrini di lingua spagnola

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Ai fedeli polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

Saluto molto cordialmente i pellegrini italiani presenti, le singole persone e i vari gruppi.

Desidero ricordare in modo particolare le Suore Angeliche di San Paolo, che commemorano quest’anno il 450° anniversario di fondazione, e partecipano all’udienza con una folta rappresentanza dei loro Istituti d’Italia.

Carissime religiose! Sono lieto di poter esprimere a voi, e a tutti coloro che vi accompagnano, il mio vivo compiacimento per il traguardo che la vostra Congregazione ha raggiunto: 450 anni di ininterrotto e infaticabile lavoro a servizio della Chiesa e della società in nome e per amore di Cristo sono una realtà preziosa e meravigliosa, che ricolma di gioia e invita alla riconoscenza verso quante vi hanno preceduto nel lungo e fecondo cammino. Questa solenne commemorazione e questo incontro presso la tomba di san Pietro siano per voi di stimolo ad un sempre più fervoroso impegno nella vostra missione: continuate ad annunziare e a testimoniare con ardore la vostra fede in Cristo e il vostro amore ai fratelli! E voi, alunni, insegnanti, familiari e collaboratori nelle attività apostoliche, rinnovate i vostri propositi di coerente e coraggiosa vita cristiana, vivendo a fondo, nel vostro tempo, le esigenze del Vangelo.

Ai giovani

Rivolgo il mio più cordiale saluto ai giovani qui raccolti, i quali provengono da ogni parte del mondo.

Carissimi, Maria Santissima, che abbiamo invocato in modo del tutto particolare durante il mese di maggio, vi aiuti ad essere sempre più, all’interno della Chiesa, fautori di comunione, pur nella diversità delle lingue e delle patrie di origine, in risposta all’invito dello spirito di Amore che è stato donato ai nostri cuori nel giorno della Pentecoste.

Agli ammalati

Saluto ora gli ammalati che sono convenuti, in preghiera, presso le tombe dei beati apostoli Pietro e Paolo.

Auguro a tutti voi, che per le croci che portate siete i prediletti del Signore, di dare una testimonianza luminosa di questa grande realtà: che cioè, con spirito di fede e di preghiera, si può stare ai piedi della croce, come Maria Santissima, conservando la serenità del cuore e facendosi collaboratori preziosi di Gesù Cristo, redentore del mondo.

Agli sposi novelli

Infine mi rivolgo a voi, carissimi sposi novelli.

La Beata Vergine del Rosario faccia sì che la famiglia da voi costituita col vincolo sacramentale del matrimonio, sia sempre una immagine viva della grande famiglia che è la Chiesa, e, forte della presenza dello Spirito donato nella Pentecoste, si rinnovi e cresca continuamente nella fede, nell’amore e nella speranza.




Catechesi 79-2005 10585