Catechesi 79-2005 50685

Mercoledì, 5 giugno 1985

50685


1. La fede cristiana s’incontra nel mondo con varie religioni che si ispirano ad altri maestri e ad altre tradizioni, fuori del filone della rivelazione. Esse costituiscono un fatto di cui bisogna tener conto. Come dice il Concilio, gli uomini attendono dalle varie religioni “la risposta a oscuri enigmi della condizione umana che, ieri come oggi, turbano profondamente il cuore dell’uomo: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e il fine del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, dal quale noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo” (Nostra aetate
NAE 1).

Da questo fatto parte il Concilio nella dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane. È molto significativo che il Concilio si sia pronunciato su questo tema. Se credere in modo cristiano vuol dire rispondere all’autorivelazione di Dio, la pienezza della quale è in Gesù Cristo, questa fede però non sfugge, specialmente nel mondo contemporaneo, a un rapporto consapevole con le religioni non-cristiane, in quanto in ognuna di esse si esprime in qualche modo “ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino” (Ivi NAE 1). La Chiesa non sfugge a tale rapporto, anzi, lo desidera e lo cerca.

Sullo sfondo di una vasta comunione in valori positivi di spiritualità e di moralità, si delinea anzitutto il rapporto della “fede” con la “religione” in genere, che è una particolare componente dell’esistenza terrena dell’uomo. L’uomo cerca nella religione la risposta agli interrogativi sopra elencati e in diverso modo stabilisce il proprio rapporto col “mistero che circonda la nostra esistenza”. Ora le diverse religioni non-cristiane sono innanzitutto l’espressione di questa ricerca da parte dell’uomo, mentre la fede cristiana ha la propria base nella rivelazione da parte di Dio. E in questo consiste - nonostante alcune affinità con altre religioni - la sua essenziale diversità nei loro riguardi.

2. La dichiarazione Nostra aetate tuttavia cerca di sottolineare le affinità. Leggiamo: “Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i popoli si trova una certa sensibilità di quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, e anzi talvolta si riconosce la Divinità suprema o anche il Padre. Sensibilità e conoscenza, che compenetrano la loro vita di un senso religioso” (Nostra aetate NAE 2). A questo proposito possiamo ricordare che fin dai primi secoli del cristianesimo si è amato vedere la presenza ineffabile del Verbo nelle menti umane e nelle realizzazioni di cultura e civiltà: “Tutti gli scrittori infatti, mediante l’innato seme del Logos, insito in essi, poterono oscuramente intravedere la realtà”, ha rivelato San Giustino (S. Giustino, Apologia II, 13, 3), che, con altri Padri, non ha esitato a vedere nella filosofia una sorta di “rivelazione minore”.

Qui però bisogna intendersi. Quel “senso religioso”, cioè la conoscenza religiosa di Dio da parte dei popoli, si riconduce alla conoscenza razionale di cui è capace l’uomo con le forze della sua natura, come abbiamo visto a suo luogo; nello stesso tempo si distingue dalle speculazioni puramente razionali dei filosofi e pensatori sul tema dell’esistenza di Dio. Essa coinvolge tutto l’uomo e diventa in lui un impulso di vita. Si distingue soprattutto dalla fede cristiana, sia come conoscenza fondata sulla rivelazione, sia come risposta consapevole al dono di Dio presente e operante in Gesù Cristo. Questa necessaria distinzione non esclude, ripeto, un’affinità e una concordanza di valori positivi, come non impedisce di riconoscere, col Concilio, che le varie religioni non-cristiane (tra le quali nel documento conciliare sono ricordate specialmente l’Induismo e il Buddismo, di cui viene tracciato un breve profilo) “si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano, proponendo delle vie, cioè delle dottrine, dei precetti di vita e dei riti sacri” (Nostra aetate NAE 2).

3. “La Chiesa cattolica - continua il documento - considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (Ivi NAE 2). Il mio predecessore Paolo VI di venerata memoria, ha sottolineato in modo suggestivo questa posizione della Chiesa nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Ecco le sue parole, che riprendono testi degli antichi Padri: “Esse [le religioni non-cristiane] portano in sé l’eco dei millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di innumerevoli “germi del Verbo” e possono costituire un’autentica «preparazione evangelica»” (Paolo VI, Evangelii nuntiandi EN 53).


Perciò anche la Chiesa esorta i cristiani e i cattolici affinché “per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socioculturali che si trovano in essi” (Nostra aetate NAE 2).

4. Si potrebbe dunque dire che credere in modo cristiano significa accettare, professare e annunziare Cristo che è “la via, la verità e la vita” (Jn 14,6), tanto più pienamente quanto più si rilevano nei valori delle altre religioni dei segni, dei riflessi e quasi dei presagi di lui.

5. Tra le religioni non-cristiane merita una particolare attenzione la religione dei seguaci di Maometto, a motivo del suo carattere monoteistico e del suo legame con la fede di Abramo, che San Paolo ha definito il “padre . . . della nostra fede [cristiana]” (cf. Rm 4,16).

I musulmani “adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce”. Ma c’è di più; i seguaci di Maometto onorano anche Gesù: “Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano però come profeta; onorano la sua madre vergine Maria e talvolta la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio quando Dio ricompenserà tutti gli uomini risuscitati.Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno” (Nostra aetate NAE 3).

6. Un rapporto particolare - tra le religioni non-cristiane - è quello che la Chiesa ha con coloro che professano la fede dell’antica alleanza, gli eredi dei patriarchi e dei profeti di Israele. Il Concilio ricorda infatti “il vincolo con cui il Popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo” (Ivi, NAE 4).

Questo vincolo, al quale abbiamo già accennato nella catechesi dedicata all’Antico Testamento, e che ci avvicina agli ebrei, è messo ancora una volta in rilievo dalla dichiarazione Nostra aetate, quando si riferisce a quei comuni inizi della fede, che si trovano presso i patriarchi, Mosè e i profeti. La Chiesa “afferma che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca . . . La Chiesa non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’antica alleanza” (Nostra aetate NAE 4). Da questo stesso Popolo proviene “Cristo secondo la carne” (Rm 9,5), figlio di Maria Vergine, come pure ne sono figli i suoi apostoli.

Tutta questa eredità spirituale, comune ai cristiani e agli ebrei, costituisce quasi un fondamento organico per un reciproco rapporto, anche se gran parte dei figli di Israele “non accettarono il Vangelo”. La Chiesa tuttavia (insieme ai profeti e all’apostolo Paolo) “attende il giorno che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e “lo serviranno appoggiandosi spalla a spalla” (So 3,9)” (Nostra aetate NAE 4).

7. Come sapete, dopo il Concilio Vaticano II è stato costituito un apposito Segretariato per i rapporti con le religioni non-cristiane. Paolo VI vide in questi rapporti una delle vie del “dialogo della salvezza”, che la Chiesa deve portare avanti con tutti gli uomini nel mondo d’oggi (cf. Paolo VI, Ecclesiam suam: AAS LVI [1964] 654). Noi tutti siamo chiamati a pregare e ad operare perché la rete di questi rapporti si infittisca e si allarghi, suscitando in misura sempre più ampia la volontà di mutua conoscenza, di collaborazione e di ricerca della pienezza della verità nella carità e nella pace. A questo ci spinge proprio la nostra fede.

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di lingua inglese

* * *


* * *


Ai fedeli tedeschi

Ai fedeli di espressione spagnola

* * *


* * *


Ad un pellegrinaggio brasiliano

Ad un gruppo di pellegrini ungheresi


Diletti pellegrini ungheresi.

Vi saluto con affetto a Roma.

La mia benedizione apostolica a voi e a tutti i cattolici ungheresi.

Ai fedeli giunti dalla Polonia

Ai pellegrini italiani

Esprimo il mio cordiale saluto a tutti i gruppi di lingua italiana che partecipano a questa udienza.

Tra essi sono alcuni ciclisti, i quali, insieme col padre Battista Mondin, intraprenderanno in questi giorni una marcia in bicicletta al santuario della Madonna di Czestochowa.

Accanto a loro vi sono i componenti della società ciclistica “Gruppo 1 San Massimo” di Verona, venuti fino a Roma in bicicletta per prendere parte a questo incontro.

Carissimi, vi ringrazio per questo vostro atto gentile e vi esprimo il mio plauso per lo spirito sportivo e insieme religioso da cui siete animati. Lo sport che voi compite da dilettanti vi alleni anche a meglio conseguire quegli ideali umani e cristiani che sono necessari al controllo e dominio di sé e al rispetto della persona altrui.
* * *



Rivolgo ora un pensiero alla Corale San Gregorio VII di Salerno, della quale ho avuto occasione di apprezzare il canto pochi giorni fa nella loro città.

Ne saluto tutti i componenti, ringraziandoli per la loro presenza e auspicando ogni bene per essi e per le loro famiglie.

Ai giovani

Un paterno saluto rivolgo con compiacimento a voi, giovani. Siate i benvenuti, figli carissimi.

L’imminenza della solennità del Corpo e del Sangue di Cristo mi offre occasione di esortarvi ad avere una familiarità sempre più piena di fede col Redentore ed essere, così, in lui, con lui e per lui, “segno di unità”. Donate all’uomo la ricchezza spirituale che vi è offerta permanentemente alla mensa eucaristica, diventando apostoli tra quanti cercano la verità e hanno bisogno di amore e di aiuto.

Di cuore vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica, perché vi accompagni sempre la grazia del Signore.

Ai malati

Mi volgo ora, con particolare affetto e attenzione, ai malati. Carissimi, giunga a ciascuno di voi il mio particolare saluto. Siate certi che Cristo è accanto a voi sempre, soprattutto con quel “sacramento di pietà” che è l’Eucaristia, mediante la quale egli vi sostiene e vi consola, chiamandovi ad essere con lui sacrificio di lode e di intercessione per il mondo.

Abbraccio con la mia benedizione apostolica voi e quanti con amore e dedizione vi assistono.

Agli sposi novelli

Voglio, infine, indirizzare il mio saluto a voi, sposi novelli, che desiderosi di incontrare il Papa, siete qui convenuti, per ascoltarne la parola e riceverne la benedizione.

Vi invito ad alimentare il vostro amore, che il sacramento del matrimonio ha redento e reso santo, col cibo eucaristico, “vincolo di carità”, ed essere testimoni di una vita lieta, capace di condivisione, di perdono e di indefettibile fedeltà.

Nel cammino intrapreso, vi accompagno con la mia preghiera e di cuore vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica.




Mercoledì, 12 giugno 1985

12685


1. Credere in modo cristiano significa “accettare l’invito al colloquio con Dio”, abbandonandosi al proprio Creatore. Una tale fede consapevole ci predispone anche a quel “dialogo della salvezza” che la Chiesa deve portare avanti con tutti gli uomini del mondo di oggi (cf. Paolo VI, Ecclesiam suam: AAS 56 [1964] 654), anche con i non credenti. “Molti nostri contemporanei . . . non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio” (Gaudium et spes
GS 19), costituito dalla fede. Perciò nella costituzione pastorale Gaudium et spes il Concilio ha preso posizione anche sul tema dell’incredulità e dell’ateismo. Esso ci dice inoltre quanto consapevole e matura dovrebbe essere la nostra fede, di cui ci capita spesso di dover dare testimonianza davanti agli increduli e agli atei. Proprio nell’epoca attuale la fede deve esser educata alla “capacità di guardare in faccia con lucidità alle difficoltà per superarle” (Ivi, GS 21). Questa è la condizione essenziale del dialogo della salvezza.

2. La costituzione conciliare fa un’analisi breve, ma esauriente, dell’ateismo. Essa osserva anzitutto che con questo termine “vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni negano esplicitamente Dio (ateismo); altri ritengono che l’uomo non possa dir nulla di lui (agnosticismo); altri poi prendono in esame il problema relativo a Dio con un metodo tale per cui questo sembra privo di senso (positivismo, scientismo). Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l’uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono . . . ad affermare l’uomo più che a negare Dio. Altri si rappresentano Dio in modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano in nessun modo è il Dio del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa . . . L’ateismo . . . ha origine non di rado o dalla protesta violenta contro il male del mondo o dall’aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell’assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio . . . La civiltà moderna, non per se stessa, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena (secolarismo), può rendere spesso più difficile l’accesso a Dio” (Gaudium et spes GS 19).

3. Il testo conciliare indica, come si vede, la varietà e la molteplicità di ciò che si nasconde sotto il termine “ateismo”.

Indubbiamente molto spesso questo è un atteggiamento pragmatico risultante dalla trascuratezza o dalla mancanza di “inquietudine religiosa”. In molti casi, tuttavia, tale atteggiamento trova le sue radici in tutto il modo di pensare del mondo, specialmente del pensare scientifico. Se infatti si accetta come unica fonte di certezza conoscitiva soltanto l’esperienza sensibile, allora viene escluso l’accesso ad ogni realtà sovrasensibile, trascendente. Un tale atteggiamento conoscitivo si trova anche alla base di quella particolare concezione che nella nostra epoca ha preso il nome di “teologia della morte di Dio”.

Così dunque i motivi dell’ateismo e più spesso ancora dell’agnosticismo d’oggi sono anche di natura teorico-conoscitiva, non solo pragmatica.

4. Il secondo gruppo di motivi messi in rilievo dal Concilio è connesso a quell’esagerata esaltazione dell’uomo, che induce non pochi a dimenticare una verità tanto ovvia, come quella che l’uomo è un essere contingente e limitato nell’esistenza. La realtà della vita e della storia s’incarica di farci constatare in modo sempre nuovo che, se esistono motivi per riconoscere la grande dignità e il primato dell’uomo nel mondo visibile, tuttavia non vi è fondamento per vedere in lui l’assoluto, respingendo Dio.

Leggiamo nella Gaudium et spes che nell’ateismo moderno “l’aspirazione all’autonomia dell’uomo viene spinta così avanti da fare difficoltà nei riguardi di qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano tale ateismo pretendono che la libertà consista nel fatto che l’uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione. Può favorire una tale dottrina quel senso di potenza che l’odierno progresso tecnico immette nell’uomo” (Gaudium et spes GS 20).

Oggi infatti l’ateismo sistematico attende la “liberazione dell’uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale”. Esso combatte la religione in modo programmatico, affermando che essa ostacola una tale liberazione, “in quanto elevando la speranza dell’uomo verso la vita futura e fallace, lo distoglie dall’edificazione della città terrena”. Quando i fautori di questo ateismo arrivano al governo di uno Stato - aggiunge il testo conciliare - “combattono con violenza la religione, e diffondono l’ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione, di cui dispone il pubblico potere, specialmente nel campo dell’educazione dei giovani” (Ivi GS 20).


Quest’ultimo problema esige che sia illustrato in modo chiaro e fermo il principio della libertà religiosa, ribadito dal Concilio in una dichiarazione apposita, la Dignitatis humanae.

5. Se vogliamo ora dire qual è l’atteggiamento fondamentale della Chiesa di fronte all’ateismo, è chiaro che essa lo rifiuta “con tutta fermezza” (Ivi, GS 21), perché esso è in contrasto con l’essenza stessa della fede cristiana, la quale include la convinzione che l’esistenza di Dio può essere raggiunta dalla ragione. Tuttavia la Chiesa, “pur respingendo in maniera assoluta l’ateismo . . . riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbono contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire certamente senza un sincero e prudente dialogo” (Gaudium et spes GS 21).

Occorre aggiungere che la Chiesa rimane particolarmente sensibile all’atteggiamento di quegli uomini che non riescono a conciliare l’esistenza di Dio con la molteplice esperienza del male e della sofferenza.

Allo stesso tempo la Chiesa è consapevole che ciò che essa annunzia - cioè il Vangelo e la fede cristiana - “è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano, quando difende la causa della dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti disperano ormai di un destino più alto” (Ivi GS 21).

“Inoltre, essa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione di essi. Al contrario, invece, se manca il fondamento divino e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave . . . e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione” (Ivi GS 21).

D’altra parte, pur respingendo l’ateismo, la Chiesa “si sforza però di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall’ateismo e mossa da carità verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e profondo” (Ivi GS 21). In particolare, essa si preoccupa di progredire “rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo” (cf. Ivi GS 21), per rimuovere dalla propria vita tutto ciò che può giustamente urtare chi non crede.

6. Con una tale impostazione la Chiesa ci viene ancora una volta in aiuto per rispondere all’interrogativo: “Che cosa è la fede? Che cosa significa credere?”, proprio sullo sfondo dell’incredulità e dell’ateismo, il quale a volte assume forme di lotta programmata contro la religione, e specialmente contro il cristianesimo. Proprio in considerazione di tale ostilità, la fede deve crescere particolarmente cosciente, penetrante e matura, caratterizzata da un profondo senso di responsabilità e di amore verso tutti gli uomini. La consapevolezza delle difficoltà, delle obiezioni e delle persecuzioni deve risvegliare una disponibilità ancora più piena a rendere testimonianza “della speranza che è in noi” (1P 3,15).

Ai pellegrini di espressione francese

Ai fedeli di lingua inglese

* * *



Ai numerosi pellegrini tedeschi

Ai fedeli di lingua spagnola

* * *


* * *


Ai numerosi fedeli giunti dalla Polonia


Ai pellegrini italiani

Un cordiale saluto desidero rivolgere a tutti i pellegrini provenienti dall’Italia, singoli o in gruppi, e in particolare ai partecipanti al XXIII Corso di perfezionamento, promosso dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale, e che raccoglie giovani dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e dell’Europa, insieme con i loro docenti e i familiari.

A voi tutti l’augurio che tale cooperazione tecnica contribuisca a diffondere sempre più lo spirito di solidarietà, di comprensione e di amicizia fra tutti gli uomini, in modo che raggiunga quell’ideale di giustizia e di pace, proclamato dal messaggio di Gesù Cristo.

Con la mia benedizione apostolica.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto a tutti i giovani qui presenti.

In questa settimana la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Tale solennità ci richiama alla mente, nella fede, l’amore infinito e misericordioso di Dio, e ci riconduce al centro dell’Incarnazione: il Verbo di Dio si è fatto carne per offrire all’uomo un segno sublime della sua carità. Quale luce, per voi giovani, scaturisce dalla conoscenza dell’amore infinito di Dio e di Cristo! Le cose acquistano un nuovo senso, una ragione d’essere, una sapienza d’altro genere e così, nella vita quotidiana prevalgono non l’aspetto pratico dei valori, non l’esigenza della tecnica, non la supremazia dell’efficienza e della riuscita, ma il dono della verità e dello spirito: il dono dell’amore!

La festa del Sacro Cuore di Gesù annuncia questo primato dell’amore, perché Dio è amore che raggiunge ogni uomo con un atto supremo di amicizia e di misericordia. Sappiate sempre comprendere la grandezza di questo messaggio e fatevene annunciatori convinti ed efficaci.

Su tutti la mia benedizione.

Agli ammalati

La medesima solennità del Sacro Cuore di Gesù mi ispira un pensiero per voi, cari ammalati qui presenti.

Noi riassumiamo in un’unica celebrazione il mistero dell’amore di Cristo, che durante l’anno liturgico abbiamo riconosciuto presente in tutti i singoli eventi della vita del Signore. In ogni festa del Signore voi avvertite la vicinanza di Gesù, la sua presenza nella preghiera, nei sacrifici, negli interrogativi profondi del vostro cuore allorché la sofferenza si fa più acuta.

Questa festa vi dica ancor più chiaramente che Gesù vi ama e vi chiede di amarlo, di ricorrere sempre al suo Cuore per trovare risposta e conforto.

La mia benedizione su di voi, con l’augurio che l’amore infinito di Cristo vi sostenga e vi conforti.

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli.

L’amore, che è il fondamento della vita coniugale, la sua più profonda ragion d’essere, è un dono di Dio. Un dono inserito nel cuore di ogni persona umana dal Creatore, e riportato alla sua originaria santità e grandezza dall’amore di Cristo. È Gesù che nel sacramento del matrimonio ha condotto il vostro affetto a divenire segno vivo di sacramentale presenza in voi dell’amore eterno e infinito del Cuore di Gesù. Ispiratevi a questo modello per vivere intensamente il mistero della vostra vocazione.

Sulle vostre nuove famiglie, con il più vivo e fervido augurio, la mia benedizione apostolica.




Mercoledì, 19 giugno 1985

19685


1. Riprendiamo il discorso sulla fede. Secondo la dottrina contenuta nella costituzione Dei Verbum, la fede cristiana è la risposta consapevole e libera dell’uomo all’autorivelazione di Dio, che ha raggiunto in Gesù Cristo la sua pienezza. Mediante ciò che San Paolo chiama “l’obbedienza della fede” (cf.
Rm 16,26 Rm 1,5 2Co 10,5-6), tutto l’uomo si abbandona a Dio, accettando come verità ciò che è contenuto nella parola della divina rivelazione. La fede è opera della grazia che agisce nell’intelligenza e nella volontà dell’uomo, e al tempo stesso è un atto consapevole e libero del soggetto umano.

La fede, dono di Dio all’uomo, è anche una virtù teologale, e contemporaneamente una disposizione stabile dell’animo, cioè un ambito o atteggiamento interiore durevole. Essa esige perciò che l’uomo credente la coltivi continuamente, cooperando attivamente e consapevolmente con la grazia che Dio gli offre.

2. Poiché la fede trova la sua fonte nella rivelazione divina, un aspetto essenziale della collaborazione con la grazia della fede è dato dal costante e per quanto possibile sistematico contatto con la Sacra Scrittura, nella quale ci è trasmessa la verità rivelata da Dio nella sua forma più genuina. Ciò trova espressione molteplice nella vita della Chiesa, come leggiamo anche nella costituzione Dei Verbum:

“È necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura . . . Nei libri sacri è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si applica in modo eccellente alla Sacra Scrittura l’affermazione: “Vivente ed efficace è la parola di Dio” (He 4,12), che ha la forza di edificare e di dare l’eredità tra tutti i santificati (Ac 20,32 cf. 1Th 2,14)” (Dei Verbum DV 21).

3. Ecco perché la costituzione Dei Verbum, facendo riferimento all’insegnamento dei Padri della Chiesa, non esita a mettere insieme le “due mense”, cioè la mensa della parola di Dio e quella del corpo del Signore, e fa notare che la Chiesa non cessa “soprattutto nella sacra liturgia di nutrirsi del pane della vita” da ambedue le mense, “e di porgerlo ai fedeli” (cf. Ivi DV 21). Infatti la Chiesa ha sempre considerato e continua a considerare la Sacra Scrittura, insieme con la sacra tradizione, “come la regola suprema della propria fede” (Ivi DV 21) e come tale la offre ai fedeli per la loro vita di ogni giorno.


4. Di qui derivano alcune indicazioni pratiche che rivestono una grande importanza per il consolidamento della fede nella parola del Dio vivo. Esse si applicano in modo particolare ai vescovi “depositari della dottrina apostolica” (S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 32,1: PG 7,1071), i quali “sono stati posti dallo Spirito Santo a pascere la Chiesa di Dio” (Ac 20,28); ma rispettivamente anche a tutte le altre componenti del popolo di Dio: i presbiteri, specialmente i parroci, i diaconi, i religiosi, i laici, le famiglie.

Prima di tutto “è necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura” (Dei Verbum DV 22). Qui sorge la questione delle traduzioni dei libri sacri. “La Chiesa fin dagli inizi accolse come sua l’antichissima traduzione greca del Vecchio Testamento detta dei Settanta; e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine” (Ivi DV 22). La Chiesa si adopera anche incessantemente affinché “si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri (Dei Verbum DV 22).

La Chiesa non è contraria all’iniziativa di traduzioni “in collaborazione con i fratelli separati” (Ivi DV 22). le cosiddette traduzioni ecumeniche. Esse, dietro opportuno permesso della Chiesa, possono essere usate anche dai cattolici.

5. Il compito successivo si connette con la corretta comprensione della parola della divina rivelazione: l’“intellectus fidei”, che culmina nella teologia. A questo scopo il Concilio raccomanda “lo studio dei santi Padri d’Oriente e d’Occidente e delle sacre liturgie” (Ivi, DV 23), e attribuisce una grande importanza al lavoro degli esegeti e dei teologi, sempre in stretto rapporto con la Sacra Scrittura: “La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, insieme con la sacra tradizione e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo . . . Lo studio delle sacre pagine sia dunque come l’anima della sacra teologia” (Ivi, DV 24).

Il Concilio rivolge un appello agli esegeti e a tutti i teologi affinché offrano “al popolo di Dio l’alimento delle Scritture, che illumini la mente, corrobori le volontà, accenda i cuori degli uomini all’amore di Dio” (Ivi, DV 23). Conformemente a ciò che è stato già detto prima sulle regole della trasmissione della rivelazione, gli esegeti e i teologi devono svolgere il loro compito “sotto la vigilanza del sacro magistero” (Ivi DV 23) e allo stesso tempo con l’applicazione degli opportuni sussidi e metodi scientifici (cf. Ivi DV 23).

6. Si apre poi il vasto e molteplice ministero della parola nella Chiesa: “la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana” (particolarmente l’omiletica liturgica) . . . Tutto questo ministero “si nutre con la parola della Scrittura” (cf. Dei Verbum DV 24).

Perciò a tutti coloro che esercitano il servizio della parola viene raccomandato di “partecipare ai fedeli . . . le sovrabbondanti ricchezze della parola divina” (Ivi, DV 25). A questo scopo è indispensabile la lettura, lo studio e la meditazione-preghiera, affinché non diventi un “vano predicatore della parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta dentro di sé” (S. Agostino, Serm.179, 1: PL 38, 966).

7. Una simile esortazione il Concilio la rivolge a tutti i fedeli, facendo riferimento alle parole di San Girolamo: “Ignorare le Scritture, infatti, è ignorare Cristo” (S. Girolamo, Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17). A tutti dunque il Concilio raccomanda non solo la lettura, ma anche la preghiera, che deve accompagnare la lettura della Sacra Scrittura: “con la lettura e lo studio dei libri sacri . . . il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini” (Dei Verbum DV 26). Tale “riempimento del cuore” va di pari passo con il consolidamento del nostro “credo” cristiano nella parola del Dio vivente.

Ai gruppi inglesi


* * *


Ai pellegrini di lingua spagnola

* * *



Ai fedeli tedeschi

Ai pellegrini polacchi

A un gruppo di giapponesi non vedenti, e ai membri della “Federation of Al Japan Buddhist Women”

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini giapponesi, voi state sopportando ciò che manca alla passione di Cristo.

Prego per voi, affinché la Madonna vi assista sempre nelle vostre difficoltà e croci, e paternamente vi imparto la mia benedizione apostolica, che desidero estendere anche ai vostri cari.

Infine, ringrazio di cuore la “Association of Panwomen Buddhist” di avermi fatto visita.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi italiani provenienti da Brescia, da Cremona e da Milano


Mi rivolgo ora ai pellegrini italiani, li saluto tutti e ciascuno, ringraziandoli per la loro gradita presenza.

In particolare il mio cordiale e beneaugurante saluto a voi sacerdoti novelli della diocesi di Brescia, i quali, insieme ai loro familiari, hanno voluto prendere parte a questo incontro.

Sì, carissimi sacerdoti novelli, vi accolgo con grande gioia e vi esprimo i miei auguri di un ministero pastorale fecondo di bene.
* * *


Saluto inoltre i sacerdoti della diocesi di Cremona che celebrano il loro 40° anniversario di ordinazione sacerdotale, e sono qui guidati da S.E. Monsignor Tagliaferri, loro coetaneo, e per alcuni anni già loro vescovo.

Vi invito a tener sempre vivo nella memoria il giorno della vostra ordinazione e di prodigarvi con instancabile zelo nell’annuncio del Vangelo e nell’impegno per la salvezza delle anime.
* * *


Saluto anche il gruppo di missionari, sacerdoti e laici, e delle missionarie del Pontificio Istituto delle Missioni Estere, convenuti qui dalle stazioni missionarie dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, per un corso di aggiornamento sul tema: “Inculturazione e messaggio biblico”.

Vi sono vicino e di cuore vi benedico.

Ai giovani

Rivolgo ora il mio saluto cordiale ai numerosi ragazzi e giovani presenti in questa piazza.


Carissimi, molti di voi hanno frequentato con profitto, così voglio pensare, l’anno scolastico da poco concluso.

Sono particolarmente vicino con un augurante pensiero a quanti hanno iniziato in questi giorni le prove d’esame.

A tutti voglio esprimere voti affinché il meritato riposo delle vacanze rappresenti un periodo fecondo di arricchimento interiore, durante il quale non manchi lo spazio per la preghiera e per la contemplazione delle opere meravigliose del Signore, oltre che occasioni per allargare i propri orizzonti culturali, per allacciare gioiose amicizie, per formulare nuovi progetti per l’avvenire.

Vi accompagnino la mia preghiera e la mia benedizione.

Anche numerosi ammalati sono presenti a questo incontro, nonostante i disagi del caldo estivo.

Ai malati

Carissimi, la Liturgia delle Ore odierna, ricordando il santo del giorno, l’abate Romualdo, afferma: “Quella gemma preziosa, il cui valore restava ignoto al mondo, veniva riposta nel tesoro del Sommo Re”. Ogni malattia, si sa, rappresenta stimolo di ricerca e impegno costante per la scienza medica, tesa a garantire a ogni persona il dono grande della salute fisica. Ma il credente sa che la vita del malato è anche una “gemma preziosa” agli occhi del Signore, che ha scelto la strada della croce per redimere l’umanità.

Per questo voi avete un posto privilegiato accanto al Cuore di Cristo, a cui è dedicato dalla pietà dei fedeli il mese di giugno.

Prego con voi e per voi affinché da questo Cuore sgorghi abbondante l’amore misericordioso che vi aiuti a portare la croce quotidiana, nella gioiosa certezza che il Signore ci attende nel suo regno, ove lacrime e sofferenze saranno solo retaggio di un ricordo lontano.

Per questo vi accompagni, propiziatrice di ogni grazia, la mia benedizione.

Agli sposi novelli

Saluto infine gli sposi novelli che hanno voluto condividere con tutti noi, partecipando a questo incontro, la gioia della loro presenza nella città eterna.

Carissimi, avete voluto suggellare davanti all’altare il patto del vostro amore vicendevole, al fine di renderlo santo, indissolubile, divinizzato anzi dalla carità stessa del Signore.

La preghiera quotidiana cementi la vostra unione e l’impegno di reciproca donazione, affinché, collaborando con Dio nella meravigliosa opera della trasmissione della vita, possiate anche comunicare ai figli che Dio vorrà concedervi il dono incommensurabile della fede, facendo delle vostre famiglie una piccola, ma autentica porzione di Chiesa.

Vi accompagni, nella vostra nuova casa, lamia benedizione.

Preghiera per il Libano


Avvenimenti nuovi, e sempre più preoccupanti, continuano a registrarsi nel Libano. Nell’alternarsi di scontri e di tregue instabili, e mentre si rinnovano tensioni e contrapposizioni provocate da mutevoli atteggiamenti delle parti, è costante purtroppo l’aumento delle vittime e il diffondersi della paura nei più vari strati della popolazione e della diffidenza tra i diversi gruppi politici e confessionali. Beirut è ormai un terreno di permanente contesa; le popolazioni di altre città, come Jezzine, vivono in ansia per l’incertezza della loro sorte.

In questi giorni la vicenda delle decine di persone che sono state sequestrate è un nuovo motivo di profonda preoccupazione. Preghiamo il Signore perché la vicenda possa avere una pronta e pacifica soluzione, senza altre vittime e senza più vaste complicazioni che renderebbero più cupe le nubi già oscure nel cielo di un Paese tanto provato.





Catechesi 79-2005 50685