Catechesi 79-2005 24785

Mercoledì, 24 luglio 1985

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1. Nelle catechesi del ciclo precedente ho cercato di spiegare che cosa significa la frase: “io credo”, che cosa vuol dire: “credere da cristiani”. Nel ciclo che ora iniziamo, desidero concentrare la catechesi sul primo articolo della fede: “Io credo in Dio” o, più pienamente: “Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore . . .”.Così suona questa prima e fondamentale verità della fede nel simbolo apostolico. E quasi identicamente nel simbolo niceno-costantinopolitano: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore . . .”. Così, il tema delle catechesi di questo ciclo sarà Dio: il Dio della nostra fede. E poiché la fede è la risposta alla rivelazione, il tema delle catechesi che seguiranno sarà quel Dio, che si è fatto conoscere all’uomo, al quale “ha rivelato se stesso e manifestato il mistero della sua volontà” (cf. Dei Verbum
DV 2).

2. Di questo Dio tratta il primo articolo del “Credo”, di lui parlano indirettamente tutti i successivi articoli dei simboli della fede. Essi infatti sono tutti uniti in modo organico alla prima e fondamentale verità su Dio, che è la fonte dalla quale derivano. Dio è “l’Alfa e l’Omega” (Ap 1,8); egli è anche l’inizio e il termine della nostra fede. Possiamo dire, infatti, che tutte le successive verità enunciate nel “Credo” ci permettono di conoscere sempre più pienamente il Dio della nostra fede, di cui parla il primo articolo: ci fanno conoscere meglio chi è Dio in se stesso e nella sua vita intima. Conoscendo infatti le sue opere - l’opera della creazione e della redenzione - conoscendo tutto il suo piano di salvezza riguardante l’uomo, ci addentriamo sempre più a fondo nella verità di Dio, quale si svela nell’antica e nella nuova alleanza. Si tratta di una rivelazione progressiva, il cui contenuto è stato formulato sinteticamente nei simboli di fede. Nel dispiegarsi degli articoli dei simboli, acquista pienezza di significato la verità espressa dalle prime parole: “Io credo in Dio”. Naturalmente, nei limiti entro i quali il mistero di Dio è accessibile a noi mediante la rivelazione.

3. Il Dio della nostra fede, colui che professiamo nel “Credo”, è il Dio di Abramo, nostro padre nella fede (cf. Rm 4,12-16). È “il Dio di Isacco e di Giacobbe” cioè d’Israele (Mc 12,26), il Dio di Mosè e infine e soprattutto è “Dio, Padre di Gesù Cristo” (cf. Rm 15,6). Questo affermiamo quando diciamo: “Io credo in Dio Padre . . .”. È l’unico e identico Dio, del quale ci dice la Lettera agli Ebrei che avendo già “parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (He 1,1-2). Egli, che è la fonte della parola, che descrive la sua progressiva automanifestazione nella storia, si rivela pienamente nel Verbo incarnato, Figlio eterno del Padre. In questo Figlio - Gesù Cristo - il Dio della nostra fede si conferma definitivamente come Padre. Come tale lo riconosce e glorifica Gesù che prega: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra . . .” (Mt 11,25), insegnando chiaramente anche a noi a scoprire in questo Dio, Signore del cielo e della terra, il “nostro” Padre (Mt 6,9).

4. Così il Dio della rivelazione, “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 15,6), si pone di fronte alla nostra fede come un Dio personale, come un inscrutabile “Io” divino davanti ai nostri “io” umani, davanti a ciascuno e davanti a tutti. È un “Io” inscrutabile sì, nel suo profondo mistero, ma che si è “aperto” a noi nella rivelazione così che possiamo rivolgerci a lui come al santissimo “Tu” divino. Ciascuno di noi è in grado di farlo, perché il nostro Dio, che abbraccia in sé e supera e trascende in modo infinito tutto ciò che esiste, è vicinissimo a tutti e anzi intimo al nostro più intimo essere: “interior intimo meo”, come scrive Sant’Agostino (S. Agostino, Confessiones, lib. III, cap. VI, 11: PL 32,687).

5. Questo Dio, il Dio della nostra fede, Dio e Padre di Gesù Cristo, Dio e Padre nostro, è contemporaneamente il “Signore del cielo e della terra”, come Gesù stesso l’ha invocato (Mt 11,25).

Egli infatti è il Creatore. Quando l’apostolo Paolo di Tarso si presenta davanti agli ateniesi nell’Areopago, proclama: “Cittadini ateniesi . . . osservando i monumenti del vostro culto [le statue degli dèi venerati nella religione dell’antica Grecia], ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa. Egli . . . ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio [degli uomini], perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo . . .” (Ac 17,23-28).

Con queste parole Paolo di Tarso, l’apostolo di Gesù Cristo, annuncia nell’Areopago di Atene la prima e fondamentale verità della fede cristiana. È la verità che anche noi confessiamo con le parole: “Io credo in Dio (in un solo Dio), Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. Questo Dio - il Dio della rivelazione - oggi come allora rimane per molti “un Dio ignoto”. È quel Dio che molti oggi come allora “cercano”, “andando come a tentoni” (Ac 17,27). Egli è il Dio inscrutabile e ineffabile. Ma è colui che tutto comprende: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Ac 17,28). A questo Dio cercheremo di accostarci gradualmente nei prossimi incontri.


Ad alcuni gruppi di espressione inglese

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ad un gruppo di pellegrini ungheresi

Saluto con affetto i pellegrini ungheresi.

Pregate che i comuni santi del popolo polacco e ungherese: Hedvig, Jolánta e Kinga, in polacco: Jadwiga, Jolanta e Kunegonda, aiutino la conservazione della fede di questi popoli.


Dal cuore do la mia benedizione apostolica a voi e a tutto il popolo ungherese.

Ad un gruppo di pellegrini ucraini

Saluto cordialmente i maestri e gli studenti ucraini venuti dall’America Settentrionale ripercorrendo le “orme dei padri” e li benedico di tutto cuore.

Sia lodato Gesù Cristo.

A studenti universitari sloveni

Tra noi saluto gli studenti universitari della Slovenia. Durante il loro viaggio hanno voluto visitare le tombe dei santi Pietro e Paolo e di san Cirillo. Vi siano i principi degli apostoli e i santi fratelli Cirillo e Metodio l’esempio e l’ideale della vostra vita intellettuale come pure della vostra vita privata.

Ad un gruppo di giovani slovacchi

Saluto il gruppo della gioventù slovacca partecipante ai campi estivi organizzati anche quest’anno dall’Istituto slovacco dei santi Cirillo e Metodio.

Cari giovani amici! Quest’anno è particolarmente dedicato al ricordo dell’XI centenario della morte del vostro primo arcivescovo Metodio. Le vostre radici religiose, culturali e nazionali sono segnate dall’opera dei due santi fratelli di Salonicco. Il loro ricordo e il loro messaggio spirituale sono rimasti sempre vivi nella vostra nazione. Vi esorto pertanto con insistenza: sforzatevi di conoscere sempre meglio questo vostro passato per trovarvi luce, direzione e forza anche nel presente e per l’avvenire. Vi guidi l’esempio dei santi Cirillo e Metodio, vi protegga la Vergine Addolorata, vi accompagni la mia benedizione paterna!

Ai pellegrini polacchi


Ai pellegrini italiani

Il cordiale mio saluto va a tutti i pellegrini di lingua italiana, singoli o in gruppi, che sono oggi qui presenti.

In particolare ricordo: i partecipanti al Corso internazionale organizzato dall’Istituto Patristico Agostiniano sul tema “Sant’Agostino e l’evangelizzazione”; i partecipanti al Corso per animatori e animatrici vocazionali, promosso dai Padri Rogazionisti del Centro di spiritualità “Rogate”; il gruppo di sacerdoti e aderenti al Movimento dei Focolari, che in questi giorni stanno svolgendo un ritiro spirituale; le Suore della Congregazione Carmelitane Missionarie di santa Teresa del Bambin Gesù, riunite per l’ottavo capitolo generale; l’arciprete e i fedeli della chiesa-madre di Modica, diocesi di Noto, che celebrano quest’anno il centenario della proclamazione di san Pietro come celeste patrono della loro città. Infine i missionari Comboniani, partecipanti al tredicesimo capitolo generale dell’Istituto. A tutti voi la mia speciale benedizione.

Ai giovani

Mi rivolgo ora ai numerosi giovani, convenuti a questa udienza. Vi ringrazio della vostra presenza, a me tanto cara! Questo periodo di vacanza è tempo opportuno per nutrire meglio lo spirito: vi raccomando nuovamente di valorizzarlo bene, leggendo libri formativi, riflettendo maggiormente sui grandi ideali della vita, dando più spazio alla preghiera. Le parrocchie e le istituzioni religiose organizzano in questi mesi capiscuola o incontri di fraternità, spesso anche a carattere vocazionale: è cosa saggia approfittarne. Non potrebbe essere l’occasione attraverso la quale il Signore vi comunica qualcosa di bello e di impegnativo per la vostra vita?

Vi accompagni la mia benedizione.

Agli ammalati

E ora il mio pensiero e la mia parola a voi, cari ammalati, che il Signore ha chiamato a condividere più da vicino la sua missione oblativa. La vostra croce, già dura da portare, può diventare in questi mesi, per ragioni diverse, ancora più pesante. Sono certo che ripeterete a Dio il vostro “sì” con disponibilità più grande e generosa. Siate pienamente coscienti della validità del vostro sacrificio quotidiano: il Signore lo apprezza e lo presenta al Padre con il suo. Affido a questo vostro apostolato anche le mie intenzioni, per il bene della Chiesa e di tutto il mondo.

Che il buon Dio vi conceda il suo conforto. Con la mia benedizione.

Agli sposi novelli

A voi, infine, carissimi sposi novelli, il mio augurio più cordiale e sincero. Sono lieto di vedervi qui, raggianti per il dono che il Signore vi ha fatto e desiderosi di vivere in pienezza il vostro amore. Vorrei che questo vostro amore vicendevole fosse modellato su quello che il Signore Gesù ha manifestato nei vostri confronti: amore fedele, pieno, gratuito, più forte della morte. Presentate a Dio, nella preghiera comune, questo desiderio: che la vostra nuova vita sia sempre coerente con quegli impegni di vita cristiana che avete preso sposandovi nel nome del Signore.


Vi benedico tutti di cuore.

Giovanni Paolo II ricorda ancora una volta, durante l’Udienza generale, la sciagura della Val di Fiemme, con queste parole.

Nel pensiero e nel cuore di tutti è ancora vivo lo strazio dell’immensa sciagura, che ha causato tante vittime e tante lacrime in quel sereno luogo di lavoro e di riposo che è la Val di Fiemme.

Rinnovo anche oggi l’espressione del mio cordoglio ai parenti delle vittime, l’incoraggiamento e il conforto ai feriti, l’apprezzamento più sentito per l’opera di soccorso e di solidarietà svolta dai competenti organi civili e da tutti i “volontari”; e soprattutto invito ancora alla preghiera, affinché il Signore tutti illumini e sostenga con la luce della sua parola rivelatrice e consolatrice.

Attraverso la televisione il Santo Padre vuole inviare “un cordiale saluto alla nobile nazione cinese”. L’occasione è offerta da una ripresa che una troupe televisiva gira per un servizio destinato alla Cina. Questo il testo del breve discorso del Papa.

Ecco le parole del Papa in una nostra traduzione italiana.

Sono felice di dare il benvenuto alla troupe televisiva, presente a Roma per preparare un programma destinato alla Cina e mi reca grande gioia poter inviare, attraverso di voi, il mio cordiale saluto alla nobile nazione cinese.

La Chiesa cattolica guarda alla Cina come a una grande famiglia, il luogo d’origine di elevate tradizioni e di vitali energie, radicate nell’antichità della sua storia e della sua cultura.

La Chiesa è solidale con l’impegno del popolo cinese per la modernizzazione e il progresso.

Fu questo l’atteggiamento del famoso padre Matteo Ricci quando entrò in contatto con la Cina.

Sono certo che i cinesi che sono discepoli di Gesù Cristo, come lo fu Matteo Ricci, contribuiranno al bene comune del loro popolo, mediante la pratica delle virtù insegnate dal Vangelo, virtù che sono altamente stimate dalla secolare tradizione cinese, come la giustizia, la carità, la moderazione, la saggezza e il senso di fedeltà e di lealtà.

Con questi pensieri, prego perché Dio onnipotente benedica abbondantemente il popolo cinese e le sue degne aspirazioni al progresso e alla pace.




Mercoledì, 31 luglio 1985

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1. Pronunciando le parole “credo in Dio”, noi esprimiamo innanzitutto la convinzione che Dio esiste. È questo un tema che abbiamo toccato nelle catechesi del precedente ciclo, riguardante il significato della parola “credo”. Secondo l’insegnamento della Chiesa la verità sull’esistenza di Dio è accessibile anche alla sola ragione umana, se libera da pregiudizi, come testimoniano i passi del libro della Sapienza (
Sg 13,1-9) e della Lettera ai Romani (cf. Rm 1,19-20) riportati in precedenza. Essi parlano della conoscenza di Dio come creatore (o prima causa). Questa verità ricorre anche in altre pagine della Sacra Scrittura. Il Dio invisibile diventa in un certo senso “visibile” attraverso le sue opere.

“I cieli narrano la gloria di Dio, / e l’opra delle sue mani annunzia il firmamento. / Il giorno al giorno ne affida il messaggio / e la notte alla notte ne trasmette notizia” (Ps 19,2-3).

Questo inno cosmico di esaltazione delle creature è un canto di lode a Dio come creatore. Ecco qualche altro testo:

“Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! / Tutto hai fatto con saggezza, / la terra è piena delle tue creature” (Ps 104,24).

“Egli ha formato la terra con potenza, / ha fissato il mondo con sapienza, / con intelligenza ha disteso i cieli . . . / Rimane inebetito ogni uomo, senza comprendere” (Jr 10,12 Jr 10,14).

“Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo . . . / Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile; / non c’è nulla da aggiungere, nulla da togliere” (Qo 3,11 Qo 3,14).

2. Sono solamente alcuni passi, nei quali gli autori ispirati esprimono la verità religiosa su Dio-Creatore, utilizzando l’immagine del mondo a loro contemporanea. È certo un’immagine prescientifica, ma religiosamente vera e poeticamente squisita. L’immagine di cui dispone l’uomo del nostro tempo grazie allo sviluppo della cosmologia filosofica e scientifica è incomparabilmente più significativa ed efficace per chi procede con spirito alieno da pregiudizi.

Le meraviglie che le varie scienze specifiche ci svelano sull’uomo e sul mondo, sul microcosmo e sul macrocosmo, sulla struttura interna della materia e sulle profondità della psiche umana, sono tali da confermare le parole degli autori sacri, inducendo a riconoscere l’esistenza di una suprema intelligenza creatrice e ordinatrice dell’universo.


3. Le parole “credo in Dio” si riferiscono prima di tutto a colui che ha rivelato se stesso. Dio che si rivela è colui che esiste: può infatti rivelare se stesso solo uno che realmente esiste. Del problema dell’esistenza di Dio la rivelazione si occupa in un certo qual senso marginalmente e in modo indiretto. E anche nel simbolo di fede l’esistenza di Dio non è presentata come un interrogativo o un problema a sé stante. Come abbiamo già detto, la Sacra Scrittura, la tradizione e il magistero affermano la possibilità di una conoscenza certa di Dio mediante la sola ragione (cf. Sg 13,1-9 Rm 1,19-20 Denz.-S. DS 3004, Vatic. I, cap. DS 2 Dei Verbum DS 6). Indirettamente tale affermazione racchiude il postulato che la conoscenza dell’esistenza di Dio mediante la fede che esprimiamo con le parole “credo in Dio” ha un carattere razionale, che la ragione può approfondire. “Credo, ut intelligam” come pure “intelligo, ut credam”: questo è il cammino dalla fede alla teologia.

4. Quando diciamo “credo in Dio”, le nostre parole hanno un preciso carattere di “confessione”.Confessando rispondiamo a Dio che ha rivelato se stesso. Confessando diventiamo partecipi della verità che Dio ha rivelato e la esprimiamo come contenuto della nostra convinzione. Colui che rivela se stesso non ci rende solo possibile conoscere che egli esiste, ma ci permette anche di conoscere chi lui è, e anche come lui è. Così l’autorivelarsi di Dio ci conduce all’interrogativo sull’essenza di Dio: chi è Dio?

5. Facciamo qui riferimento all’evento biblico narrato nel libro dell’Esodo (Ex 3,1-14). Mosè che pascola il gregge nelle vicinanze del monte Oreb nota un fenomeno straordinario. “Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Ex 3,2). Si accostò e “Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio” (Ex 3,4-6).

L’evento descritto dal libro dell’Esodo è definito una “teofania” cioè una manifestazione di Dio in un segno straordinario e appare, tra tutte le teofanie dell’Antico Testamento, particolarmente suggestiva come segno della presenza di Dio. La teofania non è una diretta rivelazione di Dio, ma solo la manifestazione di una sua particolare presenza. Nel nostro caso questa presenza si fa conoscere sia mediante le parole pronunciate dall’interno del roveto ardente, sia mediante lo stesso roveto che arde senza consumarsi.

6. Dio rivela a Mosè la missione che intende affidargli: deve sottrarre gli israeliti dalla schiavitù egizia e condurli alla terra promessa. Dio gli promette anche il suo potente aiuto nel compimento di questa missione: “Io sarò con te”. Allora Mosè si rivolge a Dio: “Ecco, io arrivo dagli israeliti e dico loro: il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli israeliti: Io-sono mi ha mandato a voi” (Ex 3,12-14).

Così dunque il Dio della nostra fede - il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe - rivela il suo nome. Esso suona “Io sono colui che sono!”. Secondo la tradizione di Israele, il nome esprime l’essenza.

La Sacra Scrittura dà a Dio diversi “nomi”; tra questi: “Signore” (per esempio Sg 1,1), “Amore” (1Jn 4,16), “Compassionevole” (per esempio Ps 15), “Fedele” (1Co 1,9), “Santo” (Is 6,3). Ma il nome che Mosè ha udito dal profondo del roveto ardente costituisce quasi la radice di tutti gli altri. Colui che è dice l’essenza stessa di Dio, che è l’Essere per se stesso, l’Essere sussistente, come precisano i teologi e i filosofi. Dinanzi a lui non possiamo non prosternarci e adorare.


Ai fedeli di espressione francese

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Ai fedeli di lingua inglese

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Ad un gruppo di pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di “Y. B. U.”, “Don Bosco” e gli studenti dell’università di “Nazan”.

Il vostro pellegrinaggio assomiglia ad una catena del rosario. Avete approfondito il vostro studio.

Ora vi imparto la mia benedizione apostolica affinché i frutti, sia quello del pellegrinaggio che quello dello studio, diventino un appello per la pace.

Desidero pure estendere la mia benedizione ai vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini tedeschi


Ai fedeli di espressione spagnola

Ad un gruppo di giovani jugoslavi

Saluto di cuore i giovani provenienti dalla parrocchia di Santa Maria Maddalena di Maribor in Slovenia.

Sono lieto che abbiate voluto visitare nella città eterna le tombe dei principi degli apostoli Pietro e Paolo e la tomba del grande evangelizzatore dei popoli slavi, san Cirillo. Avete visitato altri monumenti cristiani e culturali del passato e ciò vi aiuterà senza dubbio ad approfondire la comprensione della fede cristiana e della Chiesa di Cristo.

La mia benedizione apostolica vi accompagni nella vostra vita, che estendo anche a tutti i vostri cari e ai vostri compagni.

Ai fedeli polacchi


Ai giovani

Saluto con viva cordialità tutti gli italiani presenti, singoli e gruppi. In particolare mi rivolgo, come sempre, ai giovani con una speciale esortazione.

Carissimi, oggi la Chiesa festeggia sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Quanto amore ha avuto sant’Ignazio per i giovani! Come li ha stimolati alla santa causa di Dio e delle anime! In lui voi potete trovare anche oggi un grande aiuto e un grande esempio. Alla scuola di questo grande santo voi vi sentirete accendere di entusiasmo per il Vangelo, vi sentirete capaci di affrontare con decisione e ardimento la buona battaglia della fede, proverete la gioia ineffabile di aver donato la vostra vita a Cristo, oltre ogni ostacolo, oltre ogni difficoltà. Sant’Ignazio interceda per voi dal cielo in modo speciale, e io vi accompagno con la mia benedizione.

Agli ammalati

È a voi che ora vuole andare il mio saluto e il mio benvenuto, carissimi malati. La vostra presenza mi riempie sempre di gioia perché sento, in questi incontri, la presenza viva e misteriosa di Gesù sofferente. Sant’Ignazio, cari fratelli, ha da dire una parola anche per voi: anch’egli ha conosciuto la sofferenza fisica e morale. Ma non si è mai arreso; non ha mai disperato. La sofferenza lo ha purificato, lo ha fortificato. Così possa essere per voi. Pregatelo, oggi in modo particolare, perché vi conceda di imitare la sua fortezza, la sua pazienza, la sua speranza. Anch’io vi ricorderò nella mia preghiera e intanto vi benedico con tutto il cuore.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli, oggi qui convenuti, a voi va infine il mio saluto! Anche la vita coniugale, come ogni serio impegno di vita, richiede chiarezza d’intenti, decisione nel volere, spirito di sacrificio, generosità nel donarsi, ascolto della Parola di Dio e abbandono nelle mani della Provvidenza: tutte virtù che troviamo in modo eminente in sant’Ignazio: egli dunque, seppur religioso, è maestro e patrono anche per voi; ricordatelo perciò anche voi in modo speciale, oggi, nelle vostre preghiere, affinché per la sua intercessione il Padre celeste faccia scendere abbondanti i suoi favori sul cammino che avete intrapreso nel suo nome, mentre io di cuore vi benedico.

Il X anniversario della firma ad Helsinki dell’Atto Finale della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa è ricordato dal Papa, al termine dell’Udienza generale in Piazza San Pietro.
Sottolineando l’importanza attribuita all’avvenimento e il contributo offerto dalla Santa Sede alla redazione dell’Atto, Giovanni Paolo II sottolinea come oggi restino ancora “specialmente nel campo dei diritti umani tante attese e desideri, la cui realizzazione è auspicata e possibile”.
Queste le parole pronunciate dal Papa.


Da ieri sono riuniti a Helsinki i rappresentanti dei Paesi europei, degli Stati Uniti d’America, del Canada e della Santa Sede. Si sono dati appuntamento, su invito del governo finlandese, per celebrare il X anniversario della firma da parte dei capi di Stato o di governo dell’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, avvenuta il 1° agosto 1975 in quella capitale.

Molti di voi, e senz’altro tutti coloro che, in Europa e nel mondo, seguono da vicino le vicende della vita internazionale, ricorderanno l’importanza che venne allora attribuita all’avvenimento. L’Atto finale di Helsinki conteneva l’impegno di sviluppare i rapporti fra gli Stati firmatari, aprendo nuove possibilità di cooperazione; in particolare, prendeva in considerazione la possibilità di migliori condizioni di vita per gli uomini e le donne, e quindi per i popoli, con maggiori facilitazioni di comunicazioni e di relazioni. La Santa Sede aveva dato uno speciale contributo alla redazione dell’Atto finale, con una propria proposta sul rispetto della libertà di coscienza e di religione, problema per il quale si è ulteriormente impegnata nelle successive riunioni di Belgrado, di Madrid e di Ottawa.

Sono passati ormai dieci anni da quella data. Ci sono stati, certo, almeno in un primo tempo, alcuni risultati, ma restano ancora - specialmente nel campo dei diritti umani - tante attese e desideri, la cui realizzazione è auspicata e possibile. Perciò, non è da stupirsi che vi siano coloro che si sentono delusi.

Se ci sarà buona volontà, il processo avviato a Helsinki è ancora valido, in quanto vive sono le speranze che l’Atto finale fece nascere. Perciò vorrei che quanti hanno a cuore il bene spirituale e materiale delle persone e dei popoli del continente europeo, si uniscano al mio augurio e alla mia preghiera, affinché coloro che hanno la responsabilità di attuare le disposizioni dell’Atto finale e del documento conclusivo di Madrid operino in modo che le attese e i desideri di tanti uomini e donne vengano soddisfatti.

Dolore per “gli atti di cieca e crudele violenza” perpetrati contro due sacerdoti in Algeria è espresso dal Papa durante l’udienza di oggi. Queste le sue parole.

Continuano purtroppo aggiungere notizie dolorose di violenze contro sacerdoti e religiosi.

Nei giorni scorsi, due episodi gravissimi hanno colpito la Chiesa in Algeria: il sacerdote Jean-Marie Jover, parroco di Ech-Cheliff, è stato assassinato nottetempo nella sua casa canonica; un anziano missionario, padre Paul Martz, dei Padri Bianchi, è stato aggredito nella basilica di Notre-Dame ad Algeri e ha riportato gravi ferite.

Sono profondamente unito al venerato Arcivescovo Cardinale Duval e all’intera comunità cattolica algerina e chiedo a tutti voi di associarvi a me nella preghiera e nell’espressione di solidarietà verso quanti soffrono per questi atti di cieca e crudele violenza: penso in primo luogo al missionario ferito, ai familiari e ai confratelli di entrambe le vittime, ai loro fedeli.

Preghiamo perché il Signore conceda a padre Jover il premio eterno riservato al servitore fedele e perché la Chiesa in Algeria esca da questa dura prova rinvigorita nella fede e nella generosa testimonianza della carità di Cristo, e auspichiamo che la giustizia possa fare piena luce su questi efferati delitti contro degni pastori.




Mercoledì, 7 agosto 1985

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1. “Noi crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni, nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è colui che è, come egli stesso ha rivelato a Mosè; ed egli è Amore, come ci insegna l’apostolo Giovanni; cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui che ha voluto darsi a conoscere a noi e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata” (Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 302).

2. Il papa Paolo VI pronunciava queste parole nel 1900° anniversario del martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo, il 30 giugno 1968, durante la professione di fede chiamata “Il credo del popolo di Dio”. Esse esprimono in modo più esteso degli antichi simboli, ma pur sempre conciso e sintetico, quella verità su Dio che la Chiesa professa sin dall’inizio del simbolo: “Credo in Dio”; è il Dio che ha rivelato se stesso, il Dio della nostra fede. Il suo nome: “Io sono colui che sono”, rivelato a Mosè dall’interno del roveto ardente ai piedi del monte Oreb, risuona quindi ancora nel simbolo di fede di oggi. Paolo VI unisce questo nome - il nome “Essere” - col nome “Amore” (secondo l’espressione della Prima lettera di San Giovanni). Questi due nomi esprimono nel modo più essenziale la verità su Dio. Dovremo ancora ricorrervi quando, interrogandoci sull’Essenza di Dio, cercheremo di rispondere alla domanda: Chi è Dio.

3. Paolo VI fa riferimento al nome di Dio: “Io sono colui che sono”, che si trova nel libro dell’Esodo. Seguendo la tradizione dottrinale e teologica di molti secoli, vede in esso la rivelazione di Dio come “Essere”: l’Essere sussistente, che esprime, nel linguaggio della filosofia dell’essere (ontologia e metafisica) utilizzata da San Tommaso d’Aquino, l’Essenza di Dio. Bisogna aggiungere che l’interpretazione strettamente linguistica delle parole: “lo sono colui che sono” mostra anche altri possibili significati, ai quali accenneremo in seguito. Le parole di Paolo VI mettono sufficientemente in evidenza che la Chiesa nel rispondere all’interrogativo: Chi è Dio? continua a partire dall’essere (“esse”), sulla linea di una tradizione patristica e teologica plurisecolare. Né si vede in quale altro modo si potrebbe formulare una risposta sostenibile e accessibile.

4. La parola con la quale Dio rivela se stesso esprimendosi nella “terminologia dell’essere”, indica un particolare avvicinamento tra il linguaggio della rivelazione e il linguaggio di quella conoscenza umana della realtà che fin dall’antichità era qualificata come “filosofia prima”. Il linguaggio di questa filosofia, permette di avvicinarsi in qualche modo al nome di Dio come “Essere”. E tuttavia - come osserva uno dei più distinti rappresentanti della scuola tomista nei nostri tempi, facendo eco allo stesso San Tommaso d’Aquino (cf. S. Tommaso, Contra Gentes, I, cc.
SCG 1,14 SCG 1,30) - anche facendo uso di questo linguaggio possiamo al massimo “sillabare” questo Nome rivelato, che esprime l’Essenza di Dio (cf. E. Gilson, Le thomisme, Paris, 1944, Vrin, PP 33 PP 35 PP 41 PP 155-156). Il linguaggio umano infatti non basta per esprimere, in modo adeguato ed esaustivo, il “chi è” di Dio! I nostri concetti e le nostre parole riguardo a Dio servono a dire quello che egli non è, più di quello che è! (cf. S. Tommaso, Summa theologiae, I 12,12-13).

5. “Io sono colui che sono”. Il Dio, che con queste parole risponde a Mosè, è anche “il Creatore del cielo e della terra”. Anticipando qui per un momento quanto nelle catechesi successive diremo a proposito della verità rivelata sulla creazione, è opportuno notare che, secondo l’interpretazione comune, la parola “creare” significa “chiamare all’essere dal non-essere”, cioè dal “nulla”.Essere creato significa non possedere in se stesso la fonte, la ragione dell’esistenza, ma riceverla “da un altro”. Ciò è espresso sinteticamente in latino dalla frase “ens ab alio”. Colui che crea - il Creatore - possiede invece l’esistenza in sé e da se stesso (“ens a se”).

L’essere appartiene alla sua sostanza: la sua essenza è l’essere. Egli è l’Essere sussistente (“Esse subsistens”). Proprio per questo non può non esistere, è l’essere “necessario”. A differenza di Dio, che è l’“Essere necessario”, gli enti che ricevono l’esistenza da lui, cioè le creature, possono non esistere: l’essere non costituisce la loro essenza; sono enti “contingenti”.

6. Queste considerazioni, riguardanti la verità rivelata sulla creazione del mondo, aiutano a comprendere Dio come l’“Essere”. Permettono anche di collegare questo “Essere” con la risposta avuta da Mosè alla domanda sul nome di Dio: “Io sono colui che sono”. Alla luce di queste riflessioni acquistano piena trasparenza anche le solenni parole udite da santa Caterina da Siena: “Tu sei ciò che non è, io sono colui che è” (S. Caterina da Siena, Legenda maior, I, 10). Questa è l’Essenza di Dio, il nome di Dio, letto in profondità nella fede ispirata dalla sua autorivelazione, confermato alla luce della verità radicale contenuta nel concetto di creazione. Sarebbe opportuno, quando ci riferiamo a Dio, scrivere con la lettera maiuscola quel “sono” e quell’“è”, riservando la minuscola alle creature. Ciò sarebbe anche segno di un corretto modo di riflettere su Dio secondo le categorie dell’“essere”.

In quanto “ipsum Esse subsistens” - cioè assoluta pienezza dell’Essere e quindi di ogni perfezione - Dio è completamente trascendente nei confronti del mondo. Con la sua essenza, con la sua divinità, egli “oltrepassa” e “supera” infinitamente tutto ciò che è creato: tanto ogni singola creatura anche la più perfetta, quanto l’insieme della creazione, gli esseri visibili e invisibili.

Si capisce così che il Dio della nostra fede, colui che è, è il Dio dell’infinita maestà. Questa maestà è la gloria dell’Essere divino, la gloria del nome di Dio, più volte celebrata nella Sacra Scrittura: “O Signore, nostro Dio, / quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (Ps 8,2); “Grande tu sei e compi meraviglie / tu solo sei Dio” (Ps 86,10); “Non sono come te, Signore . . .” (Jr 10,6). Davanti al Dio dell’immensa gloria noi non possiamo che piegare le ginocchia in atteggiamento di umile e gioiosa adorazione ripetendo con la liturgia nel canto del Te Deum: “pleni sunt coeli et terra maiestatis gloriae tuae . . . Te per orbem terrarum, sancta confitetur Ecclesia: Patrem immensae maiestatis”: “I cieli e la terra sono pieni della maestà della tua gloria . . . Per tutta l’estensione del mondo la santa Chiesa ti proclama: Padre di immensa maestà”.


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad alcuni gruppi di pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri del coro “Arakawa Shonen-Shojo Gasshodan” e pellegrini di Osaka, auguro ardentemente che la vostra bella voce e la vostra fervente preghiera si uniscano al grido del mio cuore che invoca la pace per il mondo intero.

Con questo augurio vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

A gruppi di lingua tedesca


Ai pellegrini di espressione spagnola

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Ad un gruppo di pellegrini cechi

Saluto anche il gruppo dei pellegrini boemi e moravi arrivati a Roma in questo anno giubilare di san Metodio da diversi paesi d’Europa, America e Australia.

Carissimi, siete venuti per pregare sulla tomba del vostro fratello Cirillo nella basilica di San Clemente. Anche san Metodio vi sostò, quando dopo gravissime prove ritornò a visitare Roma. Là ringraziò Dio per la benedizione che accompagnò la loro comune opera apostolica e per la croce che la rese feconda. E pregò che il popolo al quale avevano annunziato Cristo rimanesse fedele alla sua vocazione anche nelle generazioni future.


Possiate ora voi, sostenuti dalle preghiere e dai sacrifici dei due santi fratelli, conservare e tramandare la loro eredità, nella gioia dello Spirito Santo, che accompagna coloro che credono in Cristo. Perché “questa è la vittoria che sconfigge il mondo: la nostra fede” (1Jn 5,4).

Ai fedeli polacchi

A pellegrini italiani

Rivolgo un saluto speciale e cordiale ai vari gruppi provenienti dall’Italia.

Tra essi sono gli Oblati Benedettini, riuniti a Roma per un loro convengo, e gli appartenenti al movimento “Un futuro per l’Europa” che si sono dati convegno pure a Roma per approfondire alcuni temi riguardanti le radici cristiane dell’Europa.

Carissimi, desidero esprimervi il mio apprezzamento per codeste iniziative culturali e spirituali da voi organizzate. Il vostro soggiorno al centro del cristianesimo vi sia anche di stimolo per rafforzare la vostra fede e per testimoniarla con animo intrepido.

Ai giovani

Voglio ora rivolgermi ai giovani qui presenti.

Carissimi, nel viaggio che sto per intraprendere in alcune nazioni dell’Africa, avrò la gioia di incontrare anche tanti giovani. Per la prima volta avrò pure un incontro con i giovani di religione musulmana. Ho accolto volentieri questo invito perché è da voi giovani che nascono le speranze per la costruzione di un avvenire migliore: voi giovani siete infatti capaci di slanci esultanti di generosità, di impegno senza limiti, di altruismo disinteressato.

Nel ringraziarvi per la presenza, vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e vi benedico.

Agli ammalati

Saluto anche i cari ammalati, che anch’essi non hanno voluto mancare a questo appuntamento.

Carissimi, più volte ci sarà capitato, come al biblico Giobbe, di domandarvi il perché della sofferenza, sinonimo sovente di totale dipendenza dagli altri, di degrado del corpo, di dolorosa indigenza fisica e morale. Ma come crediamo che il tesoro della Chiesa è costituito principalmente dai meriti della passione redentrice di Cristo, così comprenderemo quanto la sofferenza possa tramutarsi in ricchezza ineguagliabile. Per questo, oggi in particolare, chiedo a tutti voi di unirvi a me nella preghiera e nell’offerta dei vostri patimenti, affinché il viaggio pastorale che sto per intraprendere nel continente africano sia portatore di copiosi frutti spirituali per il bene della Chiesa, per la pace nel mondo e per lo sviluppo delle popolazioni che avrò la possibilità di incontrare.

Io ricambio questa vostra preziosa offerta con il dono della mia benedizione.

Agli sposi novelli

Infine il consueto saluto a voi, sposi novelli, che avete da poco pronunciato il vostro sì davanti all’altare.

Dio Padre, che dona ad ogni uomo una scintilla del suo amore, ha disposto che tale scintilla si fondesse in voi in un solo, vicendevole e grande amore, fedele nella prospera sorte come in quella avversa” (cf. Gaudium et spes ). Chiamati, nella fecondità di tale amore, a donare nuovi figli alla Chiesa e a dilatare nel tempo e nello spazio il regno di Dio, siate sempre all’altezza di questo compito così sublime, per il quale vi necessita ogni giorno l’aiuto della preghiera.

Anch’io vi accompagno spirtualmente nella vostra nuova casa con la benedizione di Dio.





Catechesi 79-2005 24785