Catechesi 79-2005 21885

Mercoledì, 21 agosto 1985

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1. Desidero, oggi, rendere grazie a Dio e al Signore nostro Gesù Cristo, che è Pastore dei popoli e degli uomini, per il recente pellegrinaggio in terra africana. Il motivo immediato di questa mia terza visita nel Continente nero è stato il Congresso eucaristico internazionale (il 43°), che si è svolto a Nairobi, in Kenya, nei giorni 11-18 agosto.

I congressi eucaristici internazionali - come sapete - sono espressione di una particolare venerazione e amore della Chiesa universale verso il santissimo Sacramento. Per la prima volta un tale Congresso si è svolto nel cuore dell’Africa. Per questo motivo desidero manifestare la mia grande gioia, perché il Congresso ha dato testimonianza alla maturità cristiana e pastorale della Chiesa in Africa, e soprattutto della Chiesa a Nairobi e in Kenya. Di vero cuore mi congratulo con questa Chiesa e con i suoi pastori, in particolare con l’arcivescovo di Nairobi, il cardinal Otunga. Rivolto queste congratulazioni, in pari tempo, a tutta la società, al presidente e alle autorità statali del Kenya.

Il Congresso si è concentrato attorno al tema: “L’Eucaristia e la famiglia cristiana” e attorno ai valori fondamentali di natura morale e sociale che si formano nella vita cristiana, appoggiandosi sull’Eucaristia.

2. Questo pellegrinaggio al Congresso eucaristico svoltosi a Nairobi ha offerto l’occasione per l’incontro con la Chiesa in diversi Paesi africani iniziando dal Togo, e proseguendo poi nella Costa d’Avorio, nel Camerun, nella Repubblica Centroafricana e nello Zaire. Ognuna di queste tappe ha avuto un suo programma al quale voglio fare qui riferimento in modo sintetico, mettendo in evidenza gli elementi principali e, in un certo senso, comuni.

3. La Chiesa in Africa è la Chiesa missionaria e di missione. Essa si incontra in ognuno di quei Paesi, prima di tutto, con la popolazione di religione tradizionale “animista” e va incontro ad essa con il Vangelo. Frutto di questa “prima” evangelizzazione sono le conversioni e i battesimi. A Garoua in Camerun, dove il lavoro missionario si è iniziato relativamente da poco tempo, ho avuto la gioia di amministrare tale sacramento. Gli abitanti del Continente nero, e in particolare i cristiani, sentono una profonda gratitudine verso i missionari anche per la loro attività sociale (scuole, ospedali, tutto il lavoro educativo e caritativo). Questo intenso lavoro missionario continua ad essere indispensabile. I vescovi, le Chiese e le società africane desiderano avere missionari (sacerdoti e laici) e li chiedono.


4. In pari tempo questa Chiesa “comincia” ad avere gradatamente le proprie vocazioni sacerdotali e religiose. È stata grande gioia per me l’aver potuto ordinare un gruppo di sacerdoti a Kara (nel nord del Togo) e a Yaoundé, la capitale del Camerun. Ugualmente sono state motivo di grande gioia le professioni religiose delle suore e dei fratelli autoctoni nella cattedrale di Yaoundé e in quella di Kinshasa.

In questo modo la Chiesa africana acquista la propria identità indigena e si fa “autonoma” gradualmente.Comincia pure a pensare ai missionari che essa stessa manderà nei Paesi in cui c’è bisogno. Vuole restituire il dono che ha ricevuto.

Di pari passo con le vocazioni sacerdotali e religiose, si sviluppa pure la consapevolezza della vocazione all’apostolato dei laici, sia nella famiglia che nei vari settori della vita sociale. A ciò fu orientato il Congresso eucaristico e anche altre iniziative e incontri (come, per esempio, a Bamenda nel Camerun) con la partecipazione dei laici e in particolare dei giovani. Desidero al riguardo menzionare l’incontro a Douala.

5. Pienezza di questa vocazione cristiana è la santità. La santità è pure il frutto principale dell’Eucaristia. E perciò una tappa singolare del pellegrinaggio “africano” è stata la beatificazione della prima figlia dello Zaire, suor Anuarite Nengapeta che nell’anno 1964 subì il martirio per difendere la sua verginità, consacrata a Cristo. Essa è dunque una figura a noi vicina nel tempo. Vivono ancora i suoi genitori, e lo stesso martirio di Anuarite è collegato con gli avvenimenti che hanno avuto luogo all’inizio dell’indipendenza dello Zaire. Tale beatificazione è un avvenimento storico negli annali del Paese e della Chiesa in terra zairese, anzi nella storia dell’intera Africa, dove la figura di questa beata è unita ai martiri dell’Uganda e in pari tempo alla tradizione multisecolare dei santi martiri e vergini, della storia della Chiesa universale.

La cerimonia di beatificazione è stata vissuta ardentemente dai connazionali di suor Anuarite. Ha avuto luogo a Kinshasa, nella festa dell’Assunzione della beata Maria Vergine. All’indomani, a Lubumbashi, fu celebrata la santa messa votiva della nuova beata per invocare la sua intercessione presso Dio in favore del Paese e della Chiesa che l’ha data.

6. In tutte le tappe del recente pellegrinaggio africano l’Eucaristia è stato il principale luogo di incontro col popolo di Dio e con la società.Così fu a Lomé, in Togo, nelle quattro località menzionate del Camerun, a Bangui, nella Repubblica Centroafricana, e poi nello Zaire e in Kenya.

Fra i momenti caratterizzanti di questa “peregrinazione” insieme con il popolo di Dio in Africa verso l’Eucaristia, si deve ricordare la consacrazione della nuova cattedrale ad Abidjan (in Costa d’Avorio). Cinque anni fa mi fu dato di benedire la prima pietra di questa cattedrale; hp potuto consacrarla, con una grande partecipazione di fedeli e con la presenza del presidente della Repubblica, durante una liturgia di consacrazione molto bene preparata.

L’accurata preparazione liturgica, la bella partecipazione all’Eucaristia, la spontaneità del canto, la finezza dei gesti di danza africana, l’ardente preghiera meritano di essere sottolineati durante tutte le tappe del viaggio.

7. Sta pure maturando la consapevolezza degli ambienti intellettuali e il loro legame con la religione e con la Chiesa. Ne è una manifestazione l’incontro a Yaoundé. In pari tempo cresce la necessità di avere dei centri ecclesiastici superiori di cultura, i quali finora sono pochi nel continente africano. Da questo punto di vista è importante l’iniziativa degli episcopati dell’Africa orientale, che ha dato origine a un proprio Istituto teologico a Nairobi.Ho avuto la gioia di inaugurare questo Istituto in occasione del Congresso eucaristico, alla presenza di numerosi cardinali e vescovi, promotori e ospiti del Congresso.


8. Ho avuto la gioia anche di vari incontri con i fratelli appartenenti alle Chiese cristiane non cattoliche, e anche con i musulmani e i seguaci delle religioni tradizionali. Così è avvenuto a Lomé, capitale del Togo; a Garoua, in Camerun, dove, durante la cerimonia del conferimento dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, nell’omelia ho rivolto la parola ai figli dell’Islam, ai seguaci della religiosità tradizionale e ai protestanti; a Yaoundé, capitale del Camerun, è avvenuto l’incontro ecumenico con le rappresentanze delle Chiese cristiane e dei musulmani, come pure poi a Nairobi. Caratteristico è stato, in particolare, l’incontro di preghiera al santuario di Nostra Signora della misericordia, a Lago Togo, dove ho pregato per la prima volta anche con gli animisti.

9. In tutte le tappe del viaggio ho avuto incontri anche con le autorità statali e col corpo diplomatico. Ai presidenti del Togo, della Costa d’Avorio, del Camerun, della Repubblica Centroafricana, dello Zaire e del Kenya rivolgo un deferente ringraziamento per tutte le manifestazioni di cortesia, per le facilitazioni del viaggio, e per la buona collaborazione con la Chiesa nel rispetto della sua attività.

Merita una menzione particolare la visita alle Istituzioni delle Nazioni Unite a Nairobi, gli organismi dedicati alla salvaguardia dell’ambiente naturale e all’habitat: essi si occupano quindi di problemi che sono collegati con la missione pastorale della Chiesa.

Ringrazio per l’invito e per la calorosa accoglienza.

10. Sulla via del ritorno dal Congresso eucaristico, mi è stato dato ancora di visitare Casablanca, accogliendo l’invito del re dei Marocco Hassan II. Ciò mi ha dato la possibilità di incontrarmi con la comunità cattolica, poco numerosa, che vive in quella nazione e che è raggruppata attorno agli arcivescovi di Rabat e di Tangeri. In pari tempo, per esplicito desiderio del re del Marocco, ho potuto parlare alla gioventù musulmana di quel Paese. Questo avvenimento merita speciale attenzione perché è una forma di realizzazione del dialogo con le religioni non cristiane chiesto dal Concilio Vaticano II (Nostra aetate ). Ai fratelli musulmani del Marocco, al loro re, esprimo un ringraziamento cordiale e sentito. La loro accoglienza è stata segnata da una nota di grande apertura e di grande entusiasmo da parte dei giovani, che si sono mostrati molto sensibili ai valori religiosi.

11. Durante il soggiorno nel Togo, presso il santuario mariano di Togoville ho affidato alla Madre di Cristo sia quella nazione sia tutta l’Africa che da diverse generazioni si è aperta al suo Figlio divino: che questa disponibilità e quest’impegno permangano e si approfondiscano mediante l’Eucaristia e il ministero della parola e dei sacramenti.

A tutti i pastori di questo ministero, i miei fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, alle famiglie religiose maschili e femminili, a tutti i figli e le figlie dell’Africa rinnovo ancora una volta il mio ringraziamento e tutti benedico di cuore!


Ai pellegrini di lingua inglese

Ad alcuni pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissime studentesse del collegio di “Junshin-Tandai” (collegio del Cuore Immacolato di Maria), Suore dell’Istituto del Bambino Gesù, pellegrini giapponesi qui presenti.

Desidero che i vostri studi di aggiornamento e il vostro pellegrinaggio promuovano la vostra carità verso il prossimo e la pace del mondo.

Con questo augurio vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai gruppi di espressione portoghese

Ai giovani della parrocchia Rogaška Slátina di Maribor in Jugoslavia

Sono lieto di salutare i giovani provenienti dalla parrocchia di Rogaška Slátina, nella diocesi di Maribor. Voi avete voluto arricchirvi spiritualmente con la visita al centro della cristianità e con la preghiera sulle tombe dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo e sulla tomba del grande evangelizzatore degli slavi san Cirillo. Il contatto con i tesori più preziosi della Chiesa di Cristo vi confermi nella fede e negli sforzi generosi per una coerente vita cristiana. A questo fine a voi qui presenti, ai vostri compagni, ai vostri genitori e a tutti i vostri cari di cuore imparto la benedizione apostolica.

Ai pellegrini polacchi


Ai pellegrini italiani

Rivolgo un saluto affettuoso ai pellegrini italiani, con speciale pensiero ai gruppi parrocchiali e alle associazioni, ma anche ai singoli qui convenuti di loro iniziativa. A tutti va il mio più cordiale benvenuto.

In particolare desidero salutare il gruppo degli studenti dell’università per stranieri di Perugia. Essi provengono da diverse nazioni di Europa, dall’Asia, dall’Africa.

Carissimi, vi auguro che l’esperienza di studio sia anche occasione valida per una reciproca conoscenza e diventi utile spunto per una vera amicizia e fraternità tra di voi.

Ai giovani

Ma anche a tutti gli altri giovani, come sempre numerosi, rivolgo una parola: anzitutto benvenuti! Nell’augurarvi ogni bene, domando al Signore che questo incontro sia un momento di comunione profonda, che incida nella vostra vita, e vi aiuti a guardare ad essa con occhi di cristiana speranza. Tenete fisso lo sguardo al Redentore e rispondete con generosa donazione alla chiamata che Egli vi rivolge, per essere sempre più strumenti del suo disegno di amore e di unità.

Vi benedico, perché restiate con perseveranza in quell’amicizia con Gesù che, unica, salva i fratelli.

Agli ammalati

Il mio saluto va ora a voi, malati, la cui vita è resa matura e profonda dall’esperienza del dolore.

Desidero ricordarvi che il male e la sofferenza non distruggono la speranza dei credenti in Cristo. Essa, infatti, poggia e fiorisce sulla fede in quella vicinanza, in quella tenera presenza di Dio, che ha posto la sua dimora fra gli uomini. Non venite mai meno, anche quando la prova si fa gravosa, nell’aderire al Signore con tutto il vostro essere, perché “quelli che sono fedeli riposano in lui nell’amore” (
Sg 3,9).


Vi sia di conforto e di sostegno la mia particolare benedizione.

Agli sposi novelli

Infine, un pensiero e un’esortazione a voi, sposi novelli, gioiosi per la reciproca donazione compiuta nel sacramento del matrimonio.

Con tale sacramento non solo vi è stata donata la grazia, per cui l’amore naturale, redento da Cristo, permane, in voi e tra voi, fedele e fecondo; ma siete resi maggiormente capaci di amore soprannaturale, di carità, quali membra vive del corpo mistico di Cristo e segno visibile della profonda unione tra il Salvatore e la sua Chiesa.

Invoco sulla vostra nuova vita, copiosa l’assistenza di Dio, e imparto di cuore a voi e ai vostri cari la benedizione apostolica.

Nuovo accorato appello del Papa per il Libano insanguinato da una tremenda serie di attentati e di conseguenti rappresaglie che negli ultimi giorni non hanno risparmiato case, scuole, mercati e neppure luoghi di preghiera. Prima di terminare l’udienza generale, il Papa pronuncia le seguenti parole.

Come in altre occasioni, vi invito anche oggi a rivolgere al Signore misericordioso una fiduciosa preghiera per il Libano, dal quale giungono notizie dolorose e molto preoccupanti.

Ai tremendi attentati, che nei giorni scorsi hanno colpito i quartieri cristiani di Beirut e poi quelli musulmani e altre città del Paese, hanno fatto seguito intensi bombardamenti e sanguinosi scontri tra le parti opposte.

Non ci sono parole per esprimere i sentimenti di profondo dolore e di ferma condanna per tali azioni di violenza, che colpiscono indiscriminatamente case, scuole, mercati e talvolta luoghi di preghiera, dove persone di ogni età tentano di sopravvivere alla bufera che da tempo avvolge il Paese.

Una simile violenza, freddamente calcolata, che mira a fare strage di popolazioni inermi, da qualunque parte venga, deve essere condannata con forza da chi ha rispetto per l’uomo e crede nella capacità degli uomini di convivere in pace e di collaborare per la libertà, per la giustizia e per il bene comune.

Preghiamo con tutta umiltà Dio onnipotente perché abbia misericordia di tante vittime, conceda consolazione a coloro che hanno perso i loro cari e illumini il cuore dei responsabili, affinché mettano fine alla spirale di ritorsioni e di vendette.

Preghiamo anche perché tutti i libanesi di buona volontà, che cercano con speranza la strada del dialogo, siano efficacemente sostenuti e aiutati dai popoli amanti della pace nei loro sforzi per la ricerca della sospirata intesa.




Mercoledì, 28 agosto 1985

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1. Il Dio della nostra fede, colui che in modo misterioso ha rivelato il suo nome a Mosè ai piedi del Monte Oreb affermando “Io sono colui che sono”, è nei riguardi del mondo completamente trascendente. Egli “. . . è realmente ed essenzialmente distinto dal mondo . . . e ineffabilmente eccelso sopra tutte le cose, che fuori di lui stesso sono e possono essere concepite” (Denz.-S.
DS 3002): “. . . est re et essentia a mundo distinctus, et super omnia, quae praeter ipsum sunt et concipi possunt, ineffabiliter excelsus” (Conc. Vat. I, Dei Filius, I, 1-4). Così insegna il Concilio Vaticano I, professando la fede perenne della Chiesa.

Infatti, anche se l’esistenza di Dio è conoscibile e dimostrabile, e anche se la sua essenza è in qualche modo conoscibile nello specchio della creazione, come lo stesso Concilio ha insegnato, nessun segno, nessuna immagine creata può svelare alla conoscenza umana l’essenza di Dio come tale. Essa oltrepassa tutto ciò che può essere pensato dalla mente umana: Dio è l’“ineffabiliter excelsus”.

2. All’interrogativo: chi è Dio?, se riferito all’essenza di Dio, non possiamo rispondere con una “definizione” nel senso stretto del termine. L’essenza di Dio - cioè la divinità - si trova al di fuori di ogni categoria di genere e specie, che noi utilizziamo per le nostre definizioni, e dunque l’essenza di Dio non può “racchiudersi” in nessuna definizione. Se nel nostro pensare su Dio con le categorie dell’“essere” facciamo uso dell’analogia dell’essere, con ciò mettiamo in evidenza molto di più la “non-somiglianza” che la somiglianza, molto di più la imparagonabilità che la paragonabilità di Dio con le creature (come ha ricordato anche il Concilio Lateranense IV, nel 1215). Quest’affermazione vale per tutte le creature, per quelle del mondo visibile, come per quelle dell’ordine spirituale, e anche per l’uomo, in quanto creato “a immagine e somiglianza” di Dio (cf. Gn 1,26).

Così dunque la conoscibilità di Dio attraverso le creature non rimuove la sua essenziale “incomprensibilità”. Dio è “incomprensibile”, come ha proclamato il Concilio Vaticano I. L’intelletto umano, per quanto possieda un certo concetto di Dio, e sebbene sia stato elevato in modo significativo mediante la rivelazione dell’antica e della nuova alleanza a una conoscenza più completa e profonda del suo mistero, non può comprendere Dio in modo adeguato ed esaustivo. Egli rimane ineffabile e inscrutabile alla mente creata. “I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio” proclama l’apostolo Paolo (1Co 2,11).

3. Nel mondo moderno il pensiero scientifico è stato orientato soprattutto verso ciò che è “visibile” e in qualche modo “misurabile” alla luce dell’esperienza dei sensi e con gli strumenti di osservazione e di indagine oggi disponibili. In un mondo di metodologie positivistiche e di applicazioni tecnologiche, questa “incomprensibilità” di Dio viene ancor più avvertita da molti, specialmente nell’ambito della cultura occidentale. Sono così sorte particolari condizioni per l’espansione di atteggiamenti agnostici o addirittura atei, dovuti alle premesse del pensare comune a molti uomini di oggi. Alcuni ritengono che questa situazione intellettuale possa a suo modo favorire la convinzione - che appartiene anche alla tradizione religiosa, si può dire universale, e che il cristianesimo ha sotto certi aspetti accentuato - che Dio è incomprensibile. E sarebbe un omaggio all’infinita, trascendente realtà di Dio, che non è catalogabile tra le cose di nostra comune esperienza e conoscenza!

4. Sì, veramente il Dio che ha rivelato se stesso agli uomini, si è manifestato come colui che è incomprensibile, inscrutabile, ineffabile. “Credi tu di scrutare l’intimo di Dio o di penetrare la perfezione dell’Onnipotente? È più alta del cielo; che cosa puoi fare? È più profonda degli inferi: che ne sai?”, si dice nel libro di Giobbe (Jb 11,7-8).

Leggiamo nel libro dell’Esodo un avvenimento che mette in rilievo in modo significativo questa verità. Mosè chiede a Dio: “Mostrami la tua gloria”. Il Signore risponde: “Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome (ciò era già accaduto nella teofania ai piedi del monte Oreb), ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Ex 33,18-20).

Il profeta Isaia, per parte sua, confessa: “Veramente tu sei un Dio misterioso, Dio di Israele, salvatore” (Is 45,15).

5. Quel Dio, che rivelandosi parlò per mezzo dei profeti e infine per mezzo del Figlio, rimane un “Dio nascosto”. Scrive l’apostolo Giovanni all’inizio del suo Vangelo: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Jn 1,18). Attraverso il Figlio, il Dio della rivelazione si è avvicinato in un modo unico all’umanità. Il concetto di Dio che l’uomo acquisisce mediante la fede, raggiunge in questo avvicinamento il suo culmine. Tuttavia, anche se Dio si è fatto ancor più vicino all’uomo con l’incarnazione, egli continua a rimanere, nella sua essenza, il Dio nascosto.“Non che alcuno - leggiamo nello stesso Vangelo di Giovanni - abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre” (Jn 6,46).


Così dunque Dio, che ha rivelato se stesso all’uomo, rimane per lui in questa vita un mistero inscrutabile, Questo è il mistero della fede. Il primo articolo del simbolo “credo in Dio” esprime la prima e fondamentale verità della fede, che è nello stesso tempo il primo e fondamentale mistero della fede. Dio, che ha rivelato se stesso all’uomo, rimane per l’intelletto umano un qualcuno che contemporaneamente è conosciuto ed è incomprensibile. L’uomo nel corso della sua vita terrena entra in contatto con il Dio della rivelazione nelle “oscurità della fede”. Ciò viene spiegato in tutto un filone classico e moderno della teologia che insiste sulla ineffabilità di Dio e trova una conferma particolarmente profonda - e a volte addirittura dolorosa - nell’esperienza dei grandi mistici. Ma proprio questa “oscurità della fede” - come afferma San Giovanni della Croce - è la luce che ineffabilmente conduce a Dio (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo 2S 9,3).

Questo Dio è, secondo le parole di San Paolo, “il re dei regnanti e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (1Tm 6,15-16).

L’oscurità della fede accompagna immancabilmente il pellegrinaggio terreno dello spirito umano verso Dio, nell’attesa di aprirsi alla luce della gloria solamente nella vita futura, nell’eternità. “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia” (1Co 13,12).

“In lumine tuo videbimus lumen”: “Alla tua luce vediamo la luce” (Ps 36,10).

Ai pellegrini di espressione francese

Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini tedeschi

Ai fedeli giunti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli portoghesi

Ad un gruppo di giovani croati

Cordialmente saluto voi, cari giovani croati dell’arcidiocesi di Split, di Hvar, Šibenik, Slavonski Brod e Dubrovnik. Nell’anno della gioventù e nell’anno di san Metodio siete venuti nella città eterna, Roma, per rafforzare la vostra fede, come facevano i vostri antenati, mossi dalla fedeltà alla sede di Pietro e dall’affetto al Vicario di Cristo. Appoggiandosi alla roccia di Pietro, sulla quale Gesù ha costruito la sua Chiesa e attentamente ascoltando tutto quello che il papa insegna, potrete coraggiosamente testimoniare Cristo e adempiere il grande compito, affidato alla vostra generazione: trasmettere la santa fede cattolica nel terzo millennio. Saluto tutti i giovani della vostra patria. Sia lodato Gesù e Maria.

Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini italiani, venuti a Roma da città e regioni diverse, per prendere parte all’udienza generale. Desidero ricordare in particolare le Suore di Gesù Bambino, venute da Venezia per festeggiare il primo centenario della loro fondazione; i partecipanti al Corso annuale di animazione vocazionale per catechisti e laici impegnati nella pastorale parrocchiale, organizzato dal Centro di spiritualità “Rogate”; il gruppo di Pove del Grappa, in diocesi di Padova, che, insieme con i dirigenti delle “Feste quinquennali del Divin Crocifisso” son venuti per far benedire la “Fiaccola della pace”.

Ai giovani

Ma in modo speciale amo rivolgermi ai giovani presenti a questa udienza. Sono convinto che, in questo periodo di vacanze, avete saputo ricercare - e sempre vi sforzerete di farlo - non soltanto le meravigliose bellezze della natura, ma intravedervi anche colui che, per un gesto di infinito amore, le ha create per l’umanità, trovandole “buone, molto buone” (Cfr. Gn 1).

Accogliete con particolare spirito di disponibilità, in questo tempo di serenità fisica e spirituale, la parola di Dio per farla crescere e maturare nella concreta testimonianza dell’adesione al messaggio di Cristo.

Agli ammalati

Uno speciale ricordo e saluto ho anche per voi, cari infermi, che nel vostro corpo e nel vostro spirito partecipate intimamente alla passione di Cristo.

Aderite volontariamente e consapevolmente a questo mistero di amore e di dolore, qual è la vostra presente malattia, e, generosamente e umilmente, offritela alla Trinità perché nel mondo trionfi la civiltà dell’amore e scompaiano l’odio e la violenza.

Agli sposi novelli

A voi, infine, sposi novelli, che avete voluto confermare il vostro amore nel sacramento del matrimonio, auguro che operiate sempre in modo che la vostra famiglia cristiana, ora agli inizi, sia sempre animata e corroborata dalle virtù tipiche degli sposi credenti in Cristo: la generosità, la dedizione, la comprensione, ma soprattutto la fede, forte e serena, nella divina provvidenza. Affido questi miei voti e voi stessi all’attenzione vigile e premurosa di Maria santissima e del suo castissimo sposo san Giuseppe.

Su voi tutti e tutte la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 4 settembre 1985

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1. La Chiesa professa incessantemente la fede espressa nel primo articolo dei più antichi simboli cristiani: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. In queste parole si rispecchia, in modo conciso e sintetico, la testimonianza che il Dio della nostra fede, il Dio vivo e vero della rivelazione, ha dato di se stesso, secondo la Lettera agli Ebrei, parlando “per mezzo dei profeti”, e ultimamente “per mezzo del Figlio” (
He 1,1-2). La Chiesa, venendo incontro alle mutevoli esigenze dei tempi, approfondisce la verità su Dio, come testimoniano i diversi Concili. Desidero qui fare riferimento al Concilio Vaticano I, il cui insegnamento fu dettato dalla necessità di opporsi da una parte agli errori del panteismo del XIX secolo, e dall’altra a quelli del materialismo, che allora cominciava ad affermarsi.

2. Il Concilio Vaticano I insegna: “La santa Chiesa crede e confessa che esiste un solo Dio vivo e vero, creatore e signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito per intelletto, volontà e ogni perfezione; il quale, essendo unica sostanza spirituale, del tutto semplice e immutabile, deve essere predicato realmente ed essenzialmente distinto dal mondo, in sé e da sé beatissimo e ineffabilmente eccelso sopra tutte le cose che sono fuori di lui e possono essere concepite” (Conc. Vat. I, Dei Filius, can. 1-4: Denz.-S. DS 3001).

3. È facile notare che il testo conciliare parte da quegli stessi antichi simboli di fede che anche noi recitiamo: “Credo in Dio . . . onnipotente . . . creatore del cielo e della terra”, ma che sviluppa questa formulazione fondamentale secondo la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura, nella tradizione e nel magistero della Chiesa. Grazie allo sviluppo operato dal Vaticano I, gli “attributi” di Dio sono elencati in una forma più completa di quella degli antichi simboli.

Per “attributi” intendiamo le proprietà dell’“Essere” divino che sono manifestate dalla rivelazione, come anche dalla migliore riflessione filosofica (cf. ad esempio, S. Tommaso, Summa theologiae, I 3,0 ss.). La Sacra Scrittura descrive Dio utilizzando diversi aggettivi. Essi sono espressioni del linguaggio umano, che si rivela così limitato soprattutto quando cerca di esprimere quella realtà totalmente trascendente che è Dio in se stesso.

4. Il passo del Concilio Vaticano I sopra riportato conferma l’impossibilità di esprimere Dio in modo adeguato. Egli è incomprensibile e ineffabile. Tuttavia la fede della Chiesa e il suo insegnamento su Dio, pur conservando la convinzione della sua “incomprensibilità” e “ineffabilità”, non si accontentano, come fa la cosiddetta teologia apofatica, di limitarsi a constatazioni di carattere negativo, sostenendo che il linguaggio umano, e dunque anche quello teologico, può esprimere esclusivamente o quasi solo ciò che Dio non è, essendo privo di espressioni adeguate per spiegare ciò che lui è.

5. Così il Vaticano I non si limita ad affermazioni che parlano di Dio secondo la “via negativa”, ma si pronuncia anche secondo la “via affermativa”. Così insegna, per esempio, che questo Dio essenzialmente distinto dal mondo (“a mundo distinctus re et essentia”), è un Dio eterno. Questa verità è espressa nella Sacra Scrittura in vari passi e in modi diversi. Così per esempio leggiamo nel libro del Siracide: “Colui che vive per sempre ha creato l’intero universo” (Si 18,1), e nel libro del profeta Daniele: “Egli è il Dio vivente che dura in eterno” (Da 6,27).

Simili sono anche le parole del salmo 101, a cui fa eco la Lettera agli Ebrei. Dice il salmo: “In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani, tutti si logorano come veste, come un abito tu li muterai ed essi passeranno. Ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine” (Ps 102,26-28). Alcuni secoli più tardi l’autore della Lettera agli Ebrei riprenderà le parole del salmo citato: “Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito, e saranno cambiati; ma tu rimarrai lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine” (He 1,10-12).

L’eternità è qui l’elemento che distingue essenzialmente Dio dal mondo. Mentre questo è soggetto ai mutamenti e passa, Dio permane oltre il passare del mondo: egli è necessario e immutabile: “Tu rimani lo stesso” . . .

Consapevole della fede in questo Dio eterno San Paolo scrive: “Al re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen” (1Tm 1,17). La stessa verità trova nell’Apocalisse ancora un’altra espressione: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8).

6. In questi dati della rivelazione trova espressione anche la convinzione razionale a cui si perviene quando si pensa che Dio è l’Essere sussistente, e quindi necessario, e quindi eterno, perché non può non essere, non può avere né inizio né fine, né successione di momenti nell’atto unico e infinito della sua esistenza. La retta ragione e la rivelazione su questo punto trovano una mirabile coincidenza. Essendo Dio assoluta pienezza dell’essere (“ipsum Esse subsistens”), la sua eternità “inscritta nella terminologia dell’essere” deve essere intesa come “possesso indivisibile, perfetto e simultaneo di una vita senza fine”, e dunque come attributo dell’essere assolutamente “al di là del tempo”.

L’eternità di Dio non corre col tempo del mondo creato, “non corrisponde ad esso”; non lo “precede” o lo “prolunga” nell’infinito; bensì è al di là e al di sopra di esso. L’eternità, con tutto quanto il mistero di Dio, comprende in un certo qual senso “dal di là” e “dal di sopra” tutto ciò che è “dal di dentro” soggetto al tempo, al mutamento, al contingente. Vengono in mente le parole di San Paolo all’Areopago di Atene: “In lui . . . viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Ac 17,28). Diciamo “dall’esterno” per affermare con questa espressione metaforica la trascendenza di Dio sulle cose e dell’eternità sul tempo, pur sapendo e riaffermando che Dio è l’Essere che è interno all’essere stesso delle cose, e dunque anche al tempo che passa come un succedersi di momenti, ciascuno dei quali non è fuori dal suo abbraccio eterno. Il testo del Vaticano I esprime la fede della Chiesa nel Dio vivo, vero ed eterno.

È eterno perché è assoluta pienezza di essere che, come indicano chiaramente i testi biblici riportati, non può essere intesa come una somma di frammenti oppure di “particelle” dell’essere che mutano nel tempo. L’assoluta pienezza dell’essere può venire intesa solamente come eternità, cioè come il totale e indivisibile possesso di quell’essere, che è la vita stessa di Dio. In questo senso Dio è eterno: un “nunc”, un “adesso” sussistente e indiveniente, il cui modo di essere si distingue essenzialmente da quello delle creature, che sono esseri “contingenti”.

7. Così dunque il Dio vivo, che ha rivelato se stesso, è il Dio eterno. Più correttamente diciamo che Dio è l’eternità stessa. La perfetta semplicità dell’Essere divino (“omnino simplex”) esige una tale forma d’espressione.

Quando col nostro umano linguaggio diciamo: “Dio è eterno”, indichiamo un attributo dell’Essere divino. E poiché ogni attributo non si distingue concretamente dall’essenza stessa di Dio (mentre gli attributi umani si distinguono dall’uomo che li possiede), dicendo: “Dio è eterno”, intendiamo affermare: “Dio è l’eternità”.

Questa eternità per noi, soggetti allo spazio e al tempo, è incomprensibile come la divina Essenza; essa ci fa però percepire, anche sotto questo aspetto, l’infinita grandezza e maestà dell’Essere divino, mentre ci ricolma di gioia il pensiero di questo Essere-Eternità che comprende tutto ciò che è creato e contingente, anche il nostro piccolo essere, ogni nostro atto, ogni momento della nostra vita.

“In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”.

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini giunti dalla Polonia

A un gruppo di studentesse giapponesi provenienti dalla città di Nagoya

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissime studentesse dell’Università Nanzan di Nagoya.

L’uomo studia e viaggia per formare in primo luogo se stesso e per potere poi meglio servire la società.

Ed ora, carissime alunne di Nanzan, vi auguro che la vostra visita qui a Roma raggiunga tale scopo.

Con questo augurio vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini provenienti da varie regioni d’Italia e ai vincitori del concorso radiofonico “I giovani incontrano l’Europa”

Un benvenuto cordiale rivolgo a tutti e singoli i pellegrini italiani. Ma desidero riservare una speciale parola al gruppo di seminaristi della Diocesi di Bergamo, che sono venuti qui insieme con i loro genitori. Carissimi, durante la vostra vita di seminario, seguite con fedeltà il Buon Pastore e a lui conformatevi con lo studio della sua parola, con la preghiera liturgica e con la vita fraterna, delicatamente guidata dai vostri superiori. Vi preparate così a comunicare, un giorno, da autentici discepoli, la presenza salvifica del Redentore.

A testimonianza della mia benevolenza vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.
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Un saluto affettuoso va anche ai religiosi e alle religiose che, provenendo dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina, stanno frequentando a Roma un corso di aggiornamento sul tema “L’inculturazione del messaggio biblico”.

Auguro che le giornate di studio, a cui partecipate, contribuiscano a nutrirvi della parola della fede e della buona dottrina, di cui siete testimoni e annunciatori in varie parti del mondo.

Mentre vi esorto a perseverare nel bellissimo compito di portare Cristo a tutte le genti, accompagno tale impegno con la mia benedizione apostolica.
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Una parola di saluto intendo rivolgere anche ai responsabili e ai vincitori del concorso radiofonico “I giovani incontrano l’Europa”.

Nell’auspicare che questa iniziativa rinsaldi sempre maggiormente i legami fra i popoli europei, contribuendo a una convivenza basata sulla verità, la giustizia, l’amore, invoco su di voi la divina assistenza e vi benedico di cuore, estendendo la benedizione apostolica a tutti i vostri cari.

Ai giovani

Il mio più cordiale pensiero e saluto va ora a tutti i giovani qui convenuti da ogni parte del mondo.

Carissimi, ancora una volta vi auguro che i mesi estivi che stiamo vivendo siano per voi occasione non solo di salutare riposo, ma contribuiscano anche a rendervi sempre più ricchi mediante preziose esperienze di vita, capaci di aiutarvi camminare con speditezza ed entusiasmo alla sequela di Cristo Nostro Signore.

Agli ammalati

Saluto poi con il particolare consueto affetto tutti gli ammalati qui presenti.

Il Signore della vita vi prenda per mano, carissimi, e vi conceda il suo aiuto nelle prove, il suo conforto nelle difficoltà e nel dolore, la sua gioia quale premio delle sofferenze da voi abbracciate per amore dei fratelli, in totale adesione alla croce redentrice di Cristo.

Agli sposi novelli

Infine mi rivolgo ai novelli sposi venuti a questa udienza per ricevere la benedizione sulla loro nascente famiglia.

Il Dio che è Amore vi accompagni nel cammino che avete da poco iniziato con il vincolo nuziale e vi aiuti ad essere - vicendevolmente e con totale dedizione - ministri dell’amore cristiano, che voi siete chiamati a vivere all’interno del vostro nuovo focolare e a darne testimonianza con generosa coerenza in tutti gli ambienti, in cui verrete a trovarvi.





Catechesi 79-2005 21885