Catechesi 79-2005 16388

Mercoledì, 16 marzo 1988

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1. Dai grandi Concili cristologici di Nicea e di Costantinopoli è stata formulata la verità fondamentale della nostra fede, fissata anche nel Simbolo: Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, consostanziale al Padre per quanto concerne la divinità, della nostra stessa natura per quanto concerne l’umanità. A questo punto della nostra catechesi occorre notare che dopo le spiegazioni conciliari circa la verità rivelata sulla vera divinità e la vera umanità di Cristo, sorse l’interrogativo su una corretta comprensione dell’unità di questo Cristo, che è nello stesso tempo pienamente Dio e pienamente uomo.

La questione riguardava il contenuto essenziale del mistero dell’incarnazione, e dunque del concepimento e della nascita umana di Cristo dalla Vergine Maria. Sin dal III secolo era invalso l’uso di chiamarla “Theotokos” = Madre di Dio: espressione che si trova, tra l’altro, nella più antica preghiera mariana, il “Sub tuum praesidium”: “Sotto la tua protezione ci rifugiamo, santa Madre di Dio . . .”. È una antifona frequentemente recitata dalla Chiesa sino ad oggi: il più antico testo che la riporta si trova su un papiro rinvenuto in Egitto, databile al periodo che sta a cavallo tra il III e il IV secolo.

2. Ma proprio questa invocazione “Theotokos” fu contestata, all’inizio del V secolo, da Nestorio con i suoi seguaci. Egli sosteneva che Maria può essere chiamata solamente Madre di Cristo e non Madre di Dio (Genitrice di Dio). Questa posizione rientrava nell’atteggiamento di Nestorio circa il problema dell’unità di Cristo. Secondo Nestorio la divinità e l’umanità non si erano unite come in un solo soggetto personale, nell’essere terreno che aveva cominciato a esistere nel grembo della Vergine Maria dal momento dell’annunciazione. In contrapposizione all’arianesimo, che presentava il Figlio di Dio come inferiore al Padre, e al docetismo, che riduceva l’umanità di Cristo a una semplice parvenza, Nestorio parlava di una presenza speciale di Dio nella umanità di Cristo, come in un essere santo, come in un tempio, sicché sussisteva in Cristo una dualità non solo di natura, ma anche di persona, quella divina e quella umana, e la Vergine Maria essendo Madre di Cristo-uomo, non poteva essere ritenuta né chiamata Madre di Dio.

3. Il Concilio di Efeso (431), contro le idee nestoriane, confermò l’unità di Cristo quale risultava dalla rivelazione ed era stata creduta e affermata dalla tradizione cristiana “sancti patres” - (cf. Denz.-Schönm.,
DS 250-266), e definì che Cristo è lo stesso Verbo eterno, Dio da Dio, che come Figlio è da sempre “generato” dal Padre, e secondo la carne è nato nel tempo dalla Vergine Maria. Perciò essendo Cristo un solo essere, Maria ha il pieno diritto di godere del titolo di Madre di Dio, così come ormai da tempo viene espresso nella preghiera cristiana e nel pensiero dei “padri” (cf. Denz.-Schönm., DS 251).

4. La dottrina del Concilio di Efeso fu successivamente formulata nel cosiddetto “simbolo dell’unione” (433) che pose fine alle residue controversie post-conciliari con le seguenti parole: “Noi confessiamo che nostro Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, Dio perfetto e uomo perfetto, composto di anima razionale e di corpo, concepito dal Padre prima dei secoli quanto alla sua divinità, è lo stesso che negli ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza è nato dalla Vergine Maria quanto alla sua umanità; lo stesso che è consostanziale al Padre secondo la divinità, è consostanziale anche a noi secondo l’umanità: infatti è stata compiuta l’unione delle due nature (umana e divina). Perciò confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore” (Denz.-Schönm., DS 272).

“In virtù di questa unione senza confusione, noi confessiamo la beata Vergine Madre di Dio, perché il Verbo-Dio si è incarnato e umanato, e mediante lo stesso concepimento (in Maria) ha unito a sé il tempio da lei preso” (Denz.-Schönm., DS 272). Stupendo concetto dell’umanità-tempio veramente assunta dal Verbo in unità di persona nel grembo di Maria!

5. Il documento che porta il nome di “formula unionis”, fu il risultato di ulteriori rapporti tra il vescovo Giovanni di Antiochia e san Cirillo d’Alessandria, i quali ricevettero per questo motivo le congratulazioni del Papa san Sisto III (432-440). Il testo già parlava dell’unione delle due nature nello stesso ed unico soggetto, Gesù Cristo. Ma poiché erano sorte nuove controversie, specialmente ad opera di Eutiche e dei monofisiti, i quali sostenevano l’unificazione e quasi la fusione delle due nature nell’unico Cristo, alcuni anni dopo si riunì il Concilio di Calcedonia (451) che in consonanza con l’insegnamento del Papa san Leone Magno (440-461), per una migliore precisazione del soggetto di questa unione di nature, introdusse il termine “persona”. Fu una nuova pietra miliare nel cammino del dogma cristologico.

6. Nella formula della definizione dogmatica, il Concilio di Calcedonia ripeteva quella di Nicea e di Constantinopoli, e faceva sua la dottrina di san Cirillo a Efeso e quella contenuta nella “lettera a Flaviano del presule Leone, beatissimo e santissimo arcivescovo della grandissima e antichissima città di Roma . . . in armonia con la confessione del grande Pietro . . . e per noi sicura colonna” (cf. Denz.-Schönm., DS 300), e infine precisava: “Seguendo, quindi, i santi padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il Signore nostro Gesù Cristo . . ., uno e medesimo Cristo signore unigenito: da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo, come prima i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha trasmesso il Simbolo dei padri” (cf. Denz.-Schönm., DS 301-302).

Era una chiara e vigorosa sintesi della fede nel mistero di Cristo, ricevuta dalla Sacra Scrittura e dalla sacra Tradizione (“sanctos Patres sequentes”), che si serviva di concetti ed espressioni razionali: natura, persona, appartenenti al linguaggio corrente: in tal modo furono elevate alla dignità della terminologia filosofica e teologica, come avvenne specialmente dopo quella definizione conciliare. Il Concilio però assumeva quei concetti e quei termini dalla lingua corrente, senza riferimento ad un particolare sistema filosofico. È anche da notare la preoccupazione della precisione nella scelta dei vocaboli che ebbero quei Padri conciliari. Nel testo greco, la parola [termine greco] corrispondente a “persona”, indicava piuttosto il lato esterno, fenomenologico (letteralmente: la maschera nel teatro) dell’uomo, e perciò i padri si servivano, accanto a questa parola, di un altro termine: “ipostasi” [termine greco], che indica la specificità ontica della persona.

Rinnoviamo anche noi la professione della fede in Cristo, nostro salvatore, con le parole di quella formula veneranda, alla quale si sono rifatte innumerevoli generazioni di cristiani, da essa attingendo luce e forza per una testimonianza spinta a volte fino alla prova suprema del sangue.

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua inglese


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai numerosi gruppi italiani

DESIDERO ORA rivolgere il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto al Vescovo di Acqui, Monsignor Livio Maritano, il quale accompagna un gruppo di suoi diocesani. Cari fedeli di Acqui, a voi il mio benvenuto, insieme con l’augurio che la vostra visita alle memorie cristiane di Roma, e specialmente la sosta alla Tomba di Pietro, rafforzino la comune fede e la vostra unione con la Chiesa universale.
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UNO SPECIALE PENSIERO va al numeroso gruppo dell’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante di Lugo (Ravenna), convenute a Roma per la celebrazione del centenario di fondazione della Comunità. Care Sorelle, vi saluto cordialmente e mi compiaccio per le numerose opere di apostolato, di carità e di formazione che in Italia e fuori voi sostenete con tanto zelo e con tanta fedeltà allo spirito dei vostri Fondatori. Siate sempre fedeli all’impegno spirituale, espresso da Monsignor Morelli con le parole: “Lo spirito delle Ancelle è in tutto conforme a quello di Cristo, totalmente fondato nell’umiltà, sacrificio e amore”. Il Signore assista la vostra Congregazione e le dia un costante sviluppo. E con voi, benedico il gruppo delle vostre alunne, qui presenti con i genitori.
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SALUTO POI gli Assistenti Generali ed i Provinciali dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Auspico per tutte le vostre comunità incessante fervore missionario e copiose grazie dello Spirito Santo, che rafforzino la collaborazione da voi prestata all’opera di evangelizzazione, che la Chiesa svolge tra i popoli del mondo. Vi accompagna la mia preghiera.
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SALUTO I FEDELI della Parrocchia di Santa Maria e San Giacomo in Massignano, in diocesi di Fermo, e volentieri benedico la statua della Vergine che essi porranno sul campanile della loro chiesa, a ricordo di questo Anno Mariano e della missione parrocchiale in programma per le vicine festività pasquali.
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AGLI ANZIANI dell’arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, residenti nel comune di Gragnano, va il mio cordiale saluto. Mi compiaccio vivamente per le iniziative sociali alimentate nel vostro gruppo ed auguro che esse possano recare il conforto della carità e della solidarietà cristiane a quanti ne partecipano: e vi sono vicino col pensiero e con la preghiera.
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SALUTO POI il gruppo delle novizie delle Suore di Santa Marcellina ed il gruppo delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Novara e Bologna, presenti a Roma per un corso di Esercizi. Desidero esortarvi tutte a perseverare con cordiale generosità nella preparazione alla grande e sempre urgente opera dell’educazione e formazione della gioventù femminile: e mentre vi assicuro il mio ricordo, con voi saluto le vostre comunità.
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PORGO INFINE il mio saluto ai cresimandi dell’Oratorio San Luigi, in Turate, dell’arcidiocesi di Milano, che sono accompagnati dal Vice-Parroco e dai loro catechisti. Cari ragazzi e ragazze, nella preparazione che andate compiendo per ricevere il sacramento della Confermazione, avete voluto inserire un viaggio a Roma per vedere e capire più da vicino chi è e che cosa fa il Papa. Sono veramente contento di dare una risposta a queste vostre domande con le parole stesse del Concilio Vaticano II: il Papa è il Successore di Pietro, sul quale Cristo “stabilì il principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede”; È colui che, per mandato di Gesù deve “confermare i fratelli”; il Papa annuncia l’amore del Signore ai fedeli e agli uomini di buona volontà, e così, e in altri modi ancora Egli vuole servire la Chiesa e il mondo. Mentre vi esorto a continuare con gioioso impegno la vostra formazione spirituale, auspico di cuore che, ricevendo il sacramento della maturità cristiana, possiate diventare anche voi autentici testimoni del Vangelo.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

CARISSIMI GIOVANI! È motivo di gioia incontrarmi con voi ed esprimervi il mio cordiale saluto. Il fatto di essere venuti qui per prendere parte a questa Udienza già di per sé dice che siete giovani che desiderano testimoniare la loro scelta per Cristo. Abbiate sempre il coraggio di essere coerenti e di uscire allo scoperto per partecipare agli altri, soprattutto ai vostri coetanei, la gioia che a voi deriva dalla ricerca di Dio e dall’amicizia con Cristo. Soprattutto in questo tempo di Quaresima, che è tempo di più intima conversazione con Dio, non tralasciate occasione per riflettere sul disegno divino sopra di voi e siate perseveranti in un impegno tanto meritevole, qual è quello della risposta piena alla chiamata del Signore.

Vi benedico di cuore tutti!

Agli ammalati

SALUTO PURE voi, ammalati, che siete sempre benvenuti in questi incontri settimanali. In questi giorni di Quaresima, in cui la Chiesa ci invita in modo particolare a partecipare al pio esercizio della Via Crucis, voi siete certamente uniti a Gesù e alla Beata Vergine nel ricordo delle loro sofferenze, alle quali aggiungete le vostre per contribuire alla conversione dei peccatori e alla salvezza del mondo. In questo modo i vostri patimenti non cadranno nel vuoto, ma saranno titoli di merito per le vostre anime e per quelle dell’intera umanità.

Vi conforti la mia Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

ANCHE A VOI, carissimi sposi, va il mio saluto beneaugurante. Vi esprimo le mie congratulazioni per il passo che avete compiuto davanti all’altare e per l’impegno di vita cristiana, col quale vi siete uniti in matrimonio. Restate sempre fedeli alla grazia del Sacramento che avete ricevuto, e siate vigilanti per non cadere nella tentazione dell’orgoglio e della infedeltà. Il Signore vi assista e renda la vostra nuova famiglia feconda di ogni bene. Vi benedico nel nome del Signore.




Mercoledì, 23 marzo 1988

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1. In queste nostre catechesi stiamo riflettendo sulle antiche definizioni conciliari, nelle quali è venuta formulandosi la fede della Chiesa. Un punto fermo in tale formulazione fu posto dal Concilio di Calcedonia (451), il quale con una definizione solenne precisò che in Gesù Cristo le due nature, la divina e l’umana, si sono unite (senza confusione) in un unico soggetto personale che è la divina Persona del Verbo-Dio. A motivo del termine [termine greco] si è soliti parlare di unione ipostatica. Infatti la stessa persona del Verbo-Figlio è generata eternamente dal Padre per quanto concerne la sua divinità; nel tempo invece è stata concepita ed è nata dalla Vergine Maria per quanto concerne la umanità. La definizione di Calcedonia dunque riafferma, sviluppa e spiega ciò che la Chiesa ha insegnato nei Concili precedenti e ciò che è testimoniato dai padri, per esempio per bocca di sant’Ireneo, il quale parla di “Cristo uno e medesimo” (cf. ex. gr., S. Irenaei “Adversus Haereses”, III, 17, 4).

Va qui notato che con la dottrina circa la divina Persona del Verbo-Figlio, il quale assumendo la natura umana è entrato nel mondo delle persone umane, sono state messe in rilievo dal Concilio anche la dignità dell’uomo-persona e le relazioni esistenti tra le varie persone; e anzi si può dire che è stata richiamata l’attenzione sulla realtà e la dignità dell’uomo singolo, dell’uomo che è un soggetto inconfondibile di esistenza, di vita, e quindi di doveri e di diritti. Come non vedere in ciò il punto di partenza per tutta una nuova storia di pensiero e di vita? Perciò l’incarnazione del Figlio di Dio è il fondamento, la fonte e il modello sia di un nuovo ordine soprannaturale di esistenza per tutti gli uomini, che proprio a quel mistero attingono la grazia che li santifica e salva; sia di un’antropologia cristiana, che si proietta anche nella sfera naturale del pensiero e della vita con la sua esaltazione dell’uomo come persona, posta al centro della società e si può dire del mondo intero.

2. Torniamo al Concilio di Calcedonia per dire che esso ha confermato l’insegnamento tradizionale sulle due nature in Cristo contro la dottrina monofisita (mono-physis = una natura) propagatasi dopo quel Concilio. Precisando che l’unione delle due nature [termine greco] avviene in una Persona, il Concilio di Calcedonia ha ancor più pienamente messo in rilievo la dualità di queste nature, come abbiamo letto nel testo della definizione riportata precedentemente: “Noi insegniamo a confessare . . . che si deve riconoscere l’unico e medesimo Cristo unigenito Figlio e Signore sussistente nelle due nature in modo inconfuso, immutabile, indiviso, inseparabile, non essendo in alcun modo soppressa la differenza delle nature a causa dell’unione, anzi rimanendo salvaguardata la proprietà dell’una e dell’altra natura” (Denz.-Schönm.,
DS 302). Ciò significa che la natura umana in nessun modo è stata “assorbita” da quella divina. Grazie alla sua natura divina Cristo è “consostanziale al Padre secondo la divinità”, grazie alla natura umana è “consostanziale anche a noi secondo l’umanità” [termine greco].

Dunque Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. D’altra parte la dualità delle nature non intacca in alcun modo l’unità di Cristo, che è data dalla perfetta unità della Persona divina.

3. Ci resta da osservare che, secondo la logica del dogma cristologico, l’effetto della dualità di nature in Cristo è la dualità di volontà e di operazioni, pur nell’unità della persona. Questa verità è stata oggetto di definizione al III Concilio di Costantinopoli (VI Ecumenico) nel 681 - come, del resto, già nel Concilio Lateranense del 649 (cf. Denz.-Schönm., DS 500) - contro gli errori dei monoteliti, che attribuivano a Cristo una sola volontà.

Il Concilio condannò “l’eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature . . . del Cristo”, che mutilava Cristo stesso di una parte essenziale della sua umanità, e “seguendo i cinque santi Concili ecumenici, ed i santi ed eccellenti padri”, in accordo con essi “definiva e confessava” che in Cristo vi sono “due volontà naturali e due operazioni naturali . . .; due volontà naturali che non sono in contrasto fra loro . . ., ma tali che la volontà umana segua, senza opposizione o riluttanza, o meglio, sia sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente . . ., secondo quanto egli stesso dice: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato» (Jn 6,38) (cf. Denz.-Schönm., DS 556).

4. Questo l’insegnamento dei primi Concili: in essi, insieme con la divinità, è messa in piena luce anche la dimensione umana di Cristo. Egli è un uomo vero per natura, capace di agire umano, di conoscenza umana, di volontà umana, di coscienza umana, e aggiungiamo, di umana sofferenza, pazienza, obbedienza, passione e morte. Solo in forza di questa completezza umana si possono capire e spiegare i testi sull’obbedienza di Cristo sino alla morte (cf. Ph 2,8 Rm 5,19 He 5,8), e prima di tutto la sua preghiera nel Getsemani: “. . . non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42 cf. Mc 14,36). Ma è altrettanto vero che la volontà umana e l’operare umano di Gesù appartengono alla divina persona del Figlio: proprio nel Getsemani egli esce nell’invocazione: “Abbà, Padre” (Mc 14,36). Di questa sua persona divina egli è ben cosciente, come rivela, per esempio, quando dichiara: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (Jn 8,58), e negli altri passi evangelici che abbiamo passato in rassegna a suo tempo. Certo, come vero uomo, Gesù possiede una coscienza specificamente umana, che scopriamo continuamente nei vangeli. Ma nello stesso tempo la sua coscienza umana appartiene a quell’“Io” divino, per il quale egli può dire: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Non vi è alcun testo evangelico dal quale risulti che il Cristo parla di sé come di una persona umana, anche quando volentieri presenta se stesso come “Figlio dell’uomo”: parola densa di significato che, sotto i veli della espressione biblica e messianica, sembra già indicare l’appartenenza di colui che l’applica a se stesso a un ordine diverso e superiore a quello dei comuni mortali quanto alla realtà del suo io. Parola nella quale risuona la testimonianza dell’intima consapevolezza della propria identità divina.

5. A conclusione della nostra esposizione sulla cristologia dei grandi Concili, possiamo assaporare tutta la densità della pagina del Papa san Leone Magno nella lettera al Vescovo Flaviano di Costantinopoli (“Tomus Leonis”, die 13 iun. 449), che fu come la premessa del Concilio di Calcedonia e che riassume il dogma cristologico della Chiesa antica: “Il Figlio di Dio, scendendo dalla sede dei cieli senza cessare di essere partecipe della gloria del Padre, fa l’ingresso in questo povero mondo, generato secondo un ordine ed una nascita del tutto nuovi . . . Colui che è vero Dio, è anche vero uomo. In questa unione non vi è nulla di falso, perché si trovano insieme (realmente) l’umile condizione dell’uomo e l’altezza della divinità. Come infatti, Dio non muta per la misericordiosa degnazione (con cui si fa uomo), così l’uomo non viene annullato dalla dignità (divina). Ognuna delle due nature, infatti, opera insieme con l’altra ciò che le è proprio: operando cioè il Verbo ciò che è del Verbo, ed eseguendo la carne ciò che è della carne. L’uno brilla per i suoi miracoli, l’altra soccombe alle ingiurie. E come il Verbo non perde l’eguaglianza della gloria del Padre, così la carne non esce dalla condizione del genere umano . . .”. E dopo aver fatto riferimento a molti testi evangelici che costituiscono la base della sua dottrina, san Leone conclude: “Non è nella stessa natura dire: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Jn 10,30), e dire: «Il Padre è più grande di me» (Jn 14,28). Quantunque, infatti, nel Signore Gesù Cristo vi sia una sola persona di Dio e dell’uomo, altro però è ciò da cui deriva per l’uno e per l’altro l’offesa, altro ciò da cui promana per l’uno e per l’altro la gloria. Dalla nostra natura egli ha un’umanità inferiore al Padre; dal Padre gli deriva una divinità uguale a quella del Padre” (cf. Denz.-Schönm., DS 294-295).

Pur potendo apparire difficili, queste formulazioni del dogma cristologico racchiudono e lasciano trasparire il mistero del “Verbum caro factum” annunciato dal prologo giovanneo: dinanzi al quale sentiamo il bisogno di prostrarci in adorazione assieme a quegli alti spiriti che lo hanno onorato anche con le loro indagini e riflessioni per l’utilità nostra e di tutta la Chiesa.

Ai fedeli francesi

Ai pellegrini di lingua inglese


A visitatori provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIMI PELLEGRINI dei due gruppi di Tokyo; alunne dell’Università Junshin di Nagasaki e novizie dell’Istituto Orsoline Missionarie del Sacro Cuore di Fukuoka.

Vi ringrazio profondamente per la vostra visita. Specialmente voi novizie dell’Istituto Orsoline, di cui ho sentito dire che avete voluto cominciare il vostro corso di formazione spirituale, incontrandovi con me in questa udienza.

Ora, affinché il vostro cammino, ed anche quello dei pellegrini, sia sempre protetto dalla Madonna, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli provenienti dalla Spagna


Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli italiani

IL MIO PRIMO SALUTO ai pellegrini di lingua italiana è rivolto questa mattina ai giovani del Liceo Linguistico “Nuova Europa” e della Scuola Superiore Linguistica per Interpreti e Traduttori, provenienti da Reggio e da altre città della Calabria. Desidero esprimere il mio compiacimento per l’impegno con cui dette istituzioni si propongono di contribuire alla preparazione delle nuove generazioni alle future professioni nel contesto della vita comunitaria europea. Saluto tutti, docenti, organizzatori e giovani, rilevando come l’Europa che si vuol costruire sarà all’altezza del suo glorioso passato, se riuscirà ad affermare i valori fondamentali che caratterizzano la sua storia: quei valori umani e cristiani che animarono la sua lunga evoluzione culturale, offrendo al mondo quella splendida fioritura di civiltà, a cui tutti siamo debitori. Io chiedo a voi, cari giovani, di saper conservare e sviluppare con grande coraggio e con rigorosa coerenza le tradizioni originali di questo antico Continente. Imparate a conoscerle a fondo e a far vostro il ricchissimo patrimonio spirituale degli avi, traendo da esso ispirazione e orientamento per le applicazioni nuove richieste dall’ora presente. Cercate con intelligenza il vero bene, formando in voi convinzioni morali ben salde e sviluppando nella vostra coscienza un acuto senso di responsabilità. Sappiate sempre attingere alle fonti dell’amore e della giustizia, che hanno nel cristianesimo la loro scaturigine più ricca ed autentica.
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SALUTO, POI, il caro fratello Vescovo, Monsignor Antonio Santucci, il quale presiede al pellegrinaggio della parrocchia di San Basilio in Salcito (Campobasso). Benedico volentieri la corona che verrà posta sul capo dell’effigie della Vergine il 15 agosto prossimo. Invito tutti a vivere con spirito di fede la loro vocazione cristiana, sull’esempio di Maria.
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UN PENSIERO di cordiale benvenuto ai componenti del circolo culturale Eugenio Pertini, di Verona, ed ai soci di lingua italiana del Lyons Club, guidati dal Presidente Internazionale dell’Associazione.
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IL MIO PENSIERO va poi al gruppo dei cittadini dello Sri-Lanka, che lavorano a Napoli. A loro l’augurio cordiale di un sereno soggiorno in Italia, insieme con l’assicurazione di una speciale preghiera perché l’aiuto divino li sorregga nelle fatiche quotidiane. A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

RIVOLGO ORA un pensiero ai ragazzi, alle ragazze e ai giovani presenti a questa Udienza. L’imminente solennità dell’Annunciazione del Signore ci invita a riflettere sulla realtà del mistero: “L’Angelo del Signore portò l’annunzio a Maria ed Ella concepì in virtù dello Spirito Santo”. In un momento decisivo per la propria vita e per la storia umana, Maria trovò nella fede e nell’abbandono in Dio il coraggio di pronunciare il suo “sì”, di dare l’assenso al piano della redenzione.

Cari Giovani, su ciascuno di voi Iddio ha un piano provvidenziale di amore e di salvezza: imparate, sull’esempio della Vergine Santissima, a dare a Dio il vostro consenso cosciente, così da partecipare responsabilmente ai suoi disegni. Pregate la Madonna che vi sia sempre accanto in questo impegno. Anch’io prego con voi e per voi e vi benedico.

Agli ammalati

CARI MALATI, con il consenso alla parola dell’Angelo, la Vergine Santissima diventa Madre di Gesù e accetta contemporaneamente un carico di dolore e di gioia, una Missione di Madre addolorata e beata. Anche voi siete chiamati a condividere una grande vocazione di passione e di glorificazione: attraverso le tribolazioni, i dolori, la malattia, il Signore vi rende degni di se, e capaci anche di meritare in favore degli altri, in virtù della comunione dei santi: offritevi a Dio per le mani della “Madre addolorata” come vittime di espiazione per i peccati dell’umanità. La mia Benedizione vi aiuti a comprendere e realizzare questa missione.

Ai novelli sposi

Cari sposi,

L’EVENTO MISTERIOSO dell’incarnazione del Verbo, che si compie nel giorno dell’Annunciazione, vi renda particolarmente attenti all’opera di Dio. Il prodigio della vita umana nascente e sempre rinnovantesi trovi in voi collaboratori fedeli e grati, con la disponibilità e la generosità di Maria, la Benedetta fra le donne, pronta a pronunziare il suo “sì” al volere di Dio. La Madre di Gesù assista la vostra giovane famiglia e la mia Benedizione vi accompagni sempre.





Mercoledì, 30 marzo 1988

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1. “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (
Is 50,5).

Cari fratelli e sorelle, queste parole del profeta Isaia, tratte dalle letture dell’odierna liturgia, ci aiutano a comprendere ed a rivivere quegli stessi sentimenti che Cristo ha avuto nei giorni immediatamente precedenti al sacrificio pasquale.

Gesù sapeva a che cosa andava incontro, e la sua psicologia umana ovviamente ne era profondamente turbata, anche se nell’intimo del suo cuore accettava pienamente, in spirito di filiale obbedienza, la volontà del Padre.

Gesù “non si tira indietro”.

Ha ascoltato il Padre, si è fidato di lui, ha penetrato profondamente il senso della sua volontà, ne ha compreso la sapienza, e l’ha fatta propria con totale convinzione nonostante la prova terribile che l’attendeva.

2. Gesù confida in quello stesso Dio che lo manda a morire sulla croce. Egli sa che, al di là dell’apparenza, questo comando del Padre è in realtà un piano d’amore, di riscatto e di misericordia. Egli sa che è la via che lo porta alla gloria.

Questa è la grande lezione della Settimana Santa, nel corso della quale, in un intenso succedersi di eventi, appare in piena luce, per chi ha occhi per vedere, tutto il senso della vita di Gesù, e il perché ultimo di tutto quello che egli aveva fatto in precedenza: dei suoi insegnamenti, dei suoi viaggi, dei suoi miracoli, delle direttive date ai discepoli ed agli apostoli.

E alla luce della Settimana Santa che noi comprendiamo il senso profondo della vita di Cristo; in questi giorni di sofferenza e di gloria si rivela in totale chiarezza la grandezza del suo amore per noi ed acquista significato conclusivo tutto l’insieme dei suoi gesti precedenti, che appaiono ordinati al compimento della sua “ora”, della vicenda drammatica e sublime della lotta e della vittoria finale contro il potere delle tenebre.

3. Anche noi, cari fratelli e sorelle, siamo chiamati a rivivere, in questi giorni, le stesse intime disposizioni di Gesù. Molti, nel mondo, stanno vivendo sentimenti simili per cause estranee alla loro volontà: minacce incombenti, malattie mortali, incertezza dell’avvenire, pericoli alla loro sicurezza ed alla loro stessa vita. E se a noi sono risparmiate consimili esperienze, uniamoci ugualmente, fratelli e sorelle carissimi, come credenti, ai sentimenti del “Christus patiens”, offrendogli le prove del passato e dichiarandoci pronti ad accettare quelle che Dio vorrà mandarci. “Non tiriamoci indietro”.

Offriamo anche le sofferenze di tutti coloro i quali, non avendo la luce della fede, non sanno perché soffrono. Preghiamo per loro, perché possano essere illuminati sul senso della loro sofferenza. E nel contempo, operiamo, per quanto sta in noi, al fine di alleviare e, se possibile, eliminare tale sofferenza. Anche questo è un insegnamento del Mercoledì Santo, della Settimana Santa.

4. I Vangeli accennano, con brevi ma intensissime espressioni, al crescere dell’angoscia di Gesù mano a mano che si avvicina il momento del supremo sacrificio. Cinque giorni prima della Pasqua ebraica Gesù dice che la sua anima è “turbata” (Jn 12,27); la notte precedente al sacrificio, nell’orto degli ulivi, la sua anima “è triste fino alla morte” (Mt 26,38 Mc 14,34).

Questo crescendo della sofferenza interiore di Cristo, così rispondente alle leggi naturali della psicologia umana in simili circostanze, ci fa comprendere in un modo straordinariamente toccante quanto il Figlio di Dio incarnato è solidale alle nostre sofferenze, quanto intensamente ed effettivamente ha vissuto la nostra umanità, ed ha partecipato alla nostra fragilità.

Mai come in questi giorni, che precedono la passione, Gesù sembra in balia della sua umanità, come uno qualunque di noi, senza soccorsi e senza conforti; eppure è proprio in questi giorni di apparente debolezza, che egli compie, attraverso la sofferenza e la deiezione, l’opera divina della salvezza. Il Figlio divino. infatti, non abbandona la propria divinità, ma semplicemente la nasconde, e rende operante la vita proprio laddove sembra trionfare la morte.

5. Cari fratelli e sorelle, confidiamo in colui che ci manda la prova. Confidiamo e non ribelliamoci. Chiediamogli di avere in lui questa fiducia. Qui sta infatti il segreto della vita e della salvezza. Chiediamogli di poter comprendere ciò che egli intende dirci mediante la sofferenza. Nella sofferenza Dio ci parla, ci istruisce, ci guida. Ci salva. Oh, come è importante comprendere queste cose! È, certo, cosa che va al di là delle nostre capacità umane, delle leggi della nostra psicologia. È una saggezza superiore, che non annulla quella umana, ma la arricchisce, superandola e accogliendo la “logica” del pensiero di Dio.

Beati noi, se sapremo vedere la bontà di Dio anche nel momento in cui egli ci manda la prova. Che cosa c’insegna Gesù? Proprio questo: a confidare sempre nel Padre, anche nel momento della croce. Se il Padre manda la croce, c’è un perché. E poiché il Padre è buono, ciò non può essere che per il nostro bene. Questo ci dice la fede. Questo ci insegna Cristo in questi giorni prima della passione.

“Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. È vicino chi mi rende giustizia” (Is 50,7-8).

Così prosegue il profeta dopo il versetto che ho citato all’inizio, nel quale egli si dichiara pronto ad accogliere la volontà di Dio. È lo stesso stato d’animo di Cristo all’approssimarsi della croce. È l’atteggiamento della fiducia. La natura suggerirebbe di dire: “Padre, salvami da quest’ora”! (Jn 12,27).

“Per questo sono giunto a quest’ora!”.

Gesù non può chiedere di essere salvato da una “ora” che in fondo, in obbedienza al Padre, ha sempre desiderato e che è il momento decisivo e l’evento da cui tutta la sua vita prende senso.

La Settimana Santa ci chiede in modo speciale di far nostri questi sentimenti di Cristo, aprendo con fiducia il nostro cuore alla volontà del Padre, sapendo che non resteremo delusi, che ci è vicino colui che ci rende giustizia.

Ai fedeli tedeschi

Ai gruppi di fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIMI PELLEGRINI della diocesi di Tokyo. Il vostro pellegrinaggio in questo anno mariano giovi per approfondire la vostra conoscenza della Madonna, Madre di Dio e della Chiesa. Desidero che la vostra squadra di pallavolo abbia soprattutto lo scopo di cementare la vostra amicizia ed il vostro legame con tutti gli uomini.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai numerosi pellegrini della Spagna e dell’America Latina

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai vari gruppi italiani

Saluto ora il gruppo dei Diaconi della Compagnia di Gesù, con i loro parenti ed amici.

CARI DIACONI, fra non molto voi raggiungerete la mèta del Sacerdozio, e, secondo lo stile di vita suggerito da Sant’Ignazio, dovrete rivolgervi al vasto campo del mondo, delle missioni, delle necessità impellenti della Chiesa per compiere il vostro servizio pastorale. Accogliete questa missione con la generosità e con l’impegno che scaturiscono dal vostro entusiasmo e dal proposito di servire Gesù Cristo con totale dedizione, così che la prospettiva della gloria di Dio sia sempre al primo posto nelle vostre intenzioni. Sforzatevi di essere sempre generosamente ed intelligentemente disponibili per quel costante lavoro di ricerca, di approccio, di dialogo, di amicizia e di educazione al discernimento spirituale, che occorre perché Gesù Cristo sia conosciuto, capito, accettato e seguito dagli uomini.

Vi accompagna la mia Benedizione Apostolica.
* * *


IL MIO SALUTO va anche al gruppo dei Sindaci e degli Amministratori della zona del Frignano, in Emilia, e del Comune di Pavullo, accompagnati dal Padre Sebastiano Bernardini, Cappuccino.

Carissimi, sono contento di vedervi e di incontrarvi, nel clima della cordialità e dell’amicizia che sono tipiche della vostra terra. Portate il mio saluto alle vostre famiglie ed alle popolazioni dei Comuni e delle organizzazioni affidate al vostro servizio sociale. Esprimo vivo compiacimento per il centro che si sta costruendo a favore degli handicappati, denominato “Gesù Bambino, mio fratello”. Sono certo che con la collaborazione di tutti esso giungerà presto a felice compimento. E sarà un ulteriore motivo di vanto per la vostra terra generosa, alla quale va la mia Benedizione.

Ai giovani

UN SALUTO PARTICOLARE a tutti i giovani, qui presenti. Lo rivolgo loro con la memoria ancora vivissima della celebrazione di domenica in piazza San Pietro per la domenica delle Palme. Cari giovani, grazie per la vostra presenza in Roma durante questa Settimana Santa dell’Anno Mariano. Vi esorto a vivere con Maria, guidati dalla sua esperienza spirituale e dalla sua fede, i misteri della morte e della risurrezione di Cristo, che la Chiesa sta celebrando. Impariamo da Maria a dirigere lo sguardo, ad indirizzare l’intera nostra vita, nei suoi momenti lieti come in quelli sofferti, verso il mistero di Cristo. Cercate anche di aiutare i fratelli vostri, i giovani come voi, “ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Gesù”, per aiutare ognuno di loro a comprendere, nella luce di Cristo, la verità della sua coscienza, del suo cuore, il senso della propria storia personale.

Agli ammalati

UN SALUTO ANCHE A VOI, cari malati, che partecipate a questa Udienza! Siamo nel centro, ormai, della Settimana Santa. In questo tempo la Chiesa legge, medita, rivive la passione di Cristo. Non si tratta, come ben sapete, di una memoria solamente storica, bensì di un evento che attraverso la Liturgia si ripete nella storia del mondo. I racconti della passione di Gesù rivelano una vicenda, il cui significato dominante è la vittoria di Dio sugli assalti del male. Tale vittoria passa per la Croce, ma ha il suo culmine nella risurrezione. Vi invito a rivivere questo mistero per trovare in esso un messaggio al vostro soffrire ed una speranza che vi conforti!

Agli sposi novelli

UN PENSIERO ORA agli sposi novelli. Carissimi, la Settimana Santa ci porta a considerare con vigore il servizio regale di Cristo: servizio consumato nel donarsi totalmente. Nel Crocifisso Dio si è rivelato all’umanità ed ha avvicinato ogni uomo. È incontrandovi con Cristo sofferente e risorto che voi potrete scoprire il significato della vostra vocazione sponsale. Essa è una partecipazione alla missione di Gesù per la salvezza della comunità, e questo mediante il sacramento coniugale. Affrontate, quindi, la vita che vi attende con una sincera disponibilità a servire, cercando di formare costantemente nell’animo vostro ed in quello dei vostri figli le virtù che scaturiscono dall’imitazione degli esempi di Cristo.

A tutti la mia Benedizione.




Catechesi 79-2005 16388