Catechesi 79-2005 60488

Mercoledì, 6 aprile 1988

60488

Cari fratelli e sorelle!

1. Sono lieto di salutare tutti voi presenti a questa udienza generale, che oggi acquista un significato particolare sia per il gioioso clima spirituale, proprio della festa che abbiamo celebrato domenica scorsa, sia per il numero dei partecipanti. Mi rivolgo in particolare ai pellegrini provenienti da diversi paesi, con i quali ho vissuto la Pasqua presso la tomba di san Pietro e desidero viverla nel corso di tutta l’ottava. Il vostro pellegrinaggio a Roma è dominato dal motivo pasquale, che continua a mettere i nostri animi di fronte all’avvenimento unico, che fa da perno a tutta la storia umana e al destino di ciascuno di noi: questo avvenimento è la risurrezione di Cristo. La gioia dei cristiani che esplode nel canto dell’alleluia si fonda sul fatto che Gesù, colui che fu crudelmente flagellato, che morì sulla croce e fu sepolto, all’alba del terzo giorno risuscitò da morte!

“Questo è il giorno di Cristo Signore!”, abbiamo cantato nella liturgia della domenica di Pasqua. Ma il giorno di Pasqua continua, anzi, non ha più fine. È il giorno della vittoria definitiva di Cristo sul demonio, sul peccato e sulla morte; il giorno che apre sul ciclo del tempo la prospettiva senza fine della vita eterna, dove l’Agnello immolato ancora e continuamente si offre al Padre per noi, per nostro amore.

Per questo la liturgia celebra in questa ottava l’unico giorno di Pasqua: nel mistero dell’“ogdòade”, dell’ottava, - come hanno splendidamente commentato i pastori e maestri dell’antica Chiesa - è compendiato tutto il mistero della salvezza; in esso si racchiude il flusso che trasferisce il tempo nell’eternità, il corruttibile nell’incorruzione, il mortale nell’immortalità. Tutto è nuovo, tutto è santo, perché Cristo, nostra Pasqua, si è immolato. In questo oggi della Pasqua viene anticipato l’oggi eterno del paradiso.

Questi concetti sono stupendamente espressi in forma poetica dagli antichi “stichirà” della liturgia bizantina, che nel secolo IX erano eseguiti anche a Roma davanti al Papa nel giorno di Pasqua, e che quest’anno sono stati ripresi nella Basilica Vaticana:

“Oggi una Pasqua divina ci è stata rivelata,
una Pasqua nuova, santa, una Pasqua misteriosa,
una Pasqua solennissima.
Pasqua, il Cristo Redentore,
Pasqua immacolata, Pasqua grande,
Pasqua dei credenti.
Pasqua che ci apre le porte del paradiso”.

2. Nel tempo pasquale la Chiesa torna col suo pensiero, con la sua riflessione, e soprattutto con la preghiera, a contemplare questo ineffabile mistero. Anzi, vi ritorna ogni domenica dell’anno, poiché ogni domenica è una piccola Pasqua, che ricorda e ri-presenta la morte e risurrezione di Gesù. La Pasqua, infatti, non è un episodio isolato, ma è collegata col nostro destino e con la nostra salvezza. La Pasqua è festa che ci riguarda e ci tocca interiormente, perché, come dice san Paolo: “Cristo è stato immolato a causa dei nostri peccati ed è risuscitato in vista della nostra giustificazione” (
Rm 4,25). Così la sorte del Cristo diventa la nostra, la sua passione diventa la nostra e la sua risurrezione la nostra risurrezione.

3. Questa realtà meravigliosa viene vissuta da noi credenti mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Essa si inaugura col Battesimo che abbiamo ricordato nella veglia pasquale: il sacramento della rinascita dall’alto (cf. Jn 3,3), il sacramento che riproduce misticamente in ogni credente la morte e la risurrezione del Signore, come scrive lo stesso san Paolo: “Siamo stati dunque sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita” (Rm 6,4).

Per questo durante la celebrazione della notte di Pasqua abbiamo “rinnovato” le promesse battesimali.

4. La Confermazione, poi, rendendo più stretto il vincolo che ci unisce a Cristo, nostro Redentore, ci rende suoi testimoni: come gli apostoli sono i testimoni della risurrezione, e sulla loro testimonianza vive la Chiesa, così i cristiani sono chiamati a vivere nella luce della Pasqua. Gesù, che alita sugli apostoli lo Spirito Santo la sera stessa della domenica di risurrezione, continua a donarci il suo Spirito, che ha immesso in noi in pienezza col dono della Cresima.

Dobbiamo perciò essere i testimoni della realtà che ci viene dalla Pasqua. Gesù, congedandosi dai suoi discepoli e preannunciando la venuta dello Spirito Santo, aveva detto loro: “Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Ac 1,8). Ora la prima testimonianza che resero i discepoli fu appunto quella relativa all’evento della risurrezione. Nei primi discorsi degli apostoli la parte centrale è sempre dedicata alla testimonianza della morte e risurrezione del Cristo. Anche voi portate nelle vostre comunità cristiane questa testimonianza e tenete davanti agli occhi la figura gloriosa del Cristo risorto, mentre nelle assemblee liturgiche ripetete il canto dell’alleluia pasquale.

5. Nella Eucaristia, poi, è ancora Gesù che, come nella casa di Emmaus, spezza il pane con noi, ci nutre col suo corpo e col suo sangue immolato, sosta presso di noi, e trasfigura con la sua presenza sacramentale la nostra povera vita di ogni giorno. L’Eucaristia ci unisce a Cristo e ai fratelli, fa di noi un’unica famiglia, ci fa dimenticare noi stessi per donarci agli altri, ci fa pensare concretamente a chi soffre, a chi è malato, a chi manca del necessario; ai fratelli provati dalla guerra, dalla fame, dal terrorismo, dalla mancanza delle libertà essenziali, tra le quali, prima, è quella di professare la propria fede. Per questo la liturgia bizantina ha ancora cantato:

“È il giorno della risurrezione!
Irradiamo gioia per questa festa,
abbracciamoci gli uni gli altri,
chiamiamo fratelli anche coloro che ci odiano,
perdoniamo tutto per la risurrezione”.

Il tempo pasquale deve perciò impegnare anche noi come già i discepoli di Emmaus in un rinnovato cammino di fede accanto al Risorto, sulla via che conduce là dove il Signore si manifesta nell’atto di spezzare il pane: “Si aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (Lc 24,31), annota l’evangelista Luca. Questo tempo è quindi segnato, in modo particolare, da un impegno più esigente a vivere più profondamente la vita di Cristo, la vita nella grazia; è il tempo in cui i cristiani sono chiamati ad avvertire di più la novità e la gioia, la serenità e la serietà della vita cristiana; l’esigenza della sua autenticità, della sua fedeltà e della sua coerenza. Vivere il mistero del Cristo risorto esige anche la nostra conformazione a lui nel modo di pensare e di agire. Ce lo ricorda sempre san Paolo quando scrive agli abitanti di Colossi: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2).

6. Carissimi fratelli e sorelle! In questa Pasqua dell’anno mariano, la Vergine santa, che più intensamente ha vissuto la gioia dell’evento pasquale, è colei che ci precede nel cammino della fede in Cristo risorto. Lei ci è stata data come Madre sotto la croce: “Essa emerge dalla definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore. La Madre di Cristo, trovandosi nel raggio diretto di questo mistero che comprende l’uomo - ciascuno e tutti - viene data all’uomo - a ciascuno e a tutti - come madre” (Redemptoris Mater RMA 23).

O Madre del Redentore, crocifisso e risorto, Madre che sei diventata nostra nel momento in cui Cristo compiva, morendo, l’atto supremo del suo amore per gli uomini, aiutaci! Prega per noi! Abbiamo bisogno di vivere, con te, da risorti. Dobbiamo e vogliamo lasciare ogni compromesso umiliante col peccato; dobbiamo e vogliamo camminare con te seguendo Cristo. “Succurre cadenti surgere qui curat populo!”. L’antica antifona di Avvento si salda oggi con quella pasquale: “Resurrexit sicut dixit, alleluia! Ora pro nobis Deum, alleluia”.

Il tuo Figlio è risorto; prega per noi il tuo Figlio. Anche noi siamo risorti con lui; anche noi vogliamo vivere da risorti. Sostienici in questa “incessante sfida alle coscienze umane: . . . la sfida a seguire la via del «non cadere» nei modi sempre antichi e sempre nuovi, e del «risorgere»” (Redemptoris Mater RMA 52).

“Ora pro nobis Deum!” In questo approssimarsi del terzo millennio cristiano, prega per noi Dio! Salvaci dal male; dalla guerra, dall’odio, dall’ipocrisia, dall’incomprensione reciproca; dall’edonismo, dalla impurità, dall’egoismo, dalla durezza di cuore. Salvaci!

“Ora pro nobis Deum! Alleluia”.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese


Ad un pellegrinaggio ungherese

Adesso vorrei salutare - nella loro lingua - un gruppo di pellegrini ungheresi provenienti dall’Ungheria.

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ecco una nostra traduzione italiana delle parole del Papa.

Do il benvenuto in particolare ai pellegrini della diocesi di Plock, e inoltre a quelli dagli Stati Uniti, da Stockbridge e anche a tutti gli altri polacchi qui presenti, provenienti sia dalla Polonia che dalle terre d’emigrazione; e infine ai partecipanti ai viaggi organizzati, in particolare dalla “Orbis”. Viviamo anche oggi, e in tutta l’ottava, questo “giorno che ha fatto il Signore”. È il giorno della grande gioia pasquale - la Pasqua - che non si è compiuta solo nel passato, ma continua sempre, continua nella vita di tutti i battezzati, poiché questo primo sacramento ci introduce esistenzialmente nella morte e risurrezione di Cristo. Viviamo dunque come eredi, testimoni vivi del Battesimo, e attraverso il Battesimo della risurrezione di Cristo, chiamati a questo per essere suoi testimoni in mezzo agli uomini. Questo auguro a tutti i connazionali qui presenti, ai pellegrini e a tutti i connazionali che risiedono in patria, o che sono emigrati. Siano nostra luce queste parole del canto pasquale che da anni cantiamo: “Asciugate le vostre lacrime, o voi che piangete, allontanate le pene dal cuore voi tutti che credete in Cristo, rallegratevi, gioite. Poiché egli è risorto per suo potere”.

Questa per noi è la chiamata più grande: la risurrezione di Cristo parla all’uomo della sua particolare capacità di essere signore dei suoi atti, della sua vita, del suo comportamento, dei suoi sentimenti, affinché non perda mai la speranza e permanga in Cristo, e con Cristo permanga nella fede, nella speranza e nella carità. Questa è la nostra vita cristiana, questa è la nostra fede, e la fede è la nostra forza. Non permettiamo che questa forza diminuisca nella nostra società educata da mille anni nella tradizione cristiana. Che continui sotto lo sguardo della Madre di Cristo, così come sotto il suo sguardo viviamo la festa di Pasqua, e come sotto il suo sguardo viviamo tutto questo anno mariano.

Ai fedeli italiani

RIVOLGO ORA la mia parola cordiale ai numerosi pellegrini della diocesi di Oria, qui presenti insieme con il loro Vescovo, Monsignor Armando Franco.

Cari fratelli e sorelle, ben apprezzo la vostra testimonianza di devozione mariana e di comunione ecclesiale. Da parte mia, domando al Signore risorto che faccia crescere in voi la fede ed il senso della Chiesa, perché assumiate la responsabilità propria dei laici nell’apostolato.

Mentre affido alla Madonna la vita, le speranze ed i propositi vostri e, in particolare, dei ragazzi neo-cresimati della Parrocchia della Natività di Maria Vergine in Maruggio, vi esorto a custodire il dono dello Spirito Santo come l’ha custodito Lei e a permanere nell’amicizia di Cristo, imitandone la bontà, la mitezza e l’obbedienza al Padre.

Accompagno questi sentimenti e voti con la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti i fedeli della vostra Comunità diocesana.
* * *


GIUNGA LA MIA PAROLA di benvenuto anche agli studenti del Liceo Classico “Socrate” di Roma, che sono intervenuti a questa Udienza con un gruppo di alunni provenienti dall’Unione Sovietica. All’augurio di un proficuo impegno educativo, che tenda ad una personale maturità e ad una rispettosa collaborazione sulla via della comprensione e della pacifica convivenza, unisco il mio benedicente saluto.

Ai giovani

UN SALUTO ed un pensiero affettuoso rivolgo ai numerosi giovani presenti a questa Udienza. Carissimi, vi auguro che la vostra esistenza rispecchi sempre quella proposta da Gesù Risorto, e che cresciate continuamente nella familiarità con Lui. La consuetudine con il Redentore porta ad una vita matura, in cui il pensiero e l’azione sono sempre mossi da quell’amore, che Lo condusse a donarsi totalmente in favore dell’intera umanità.

In ciò vi sia di guida la Vergine Maria, che nell’offerta di sé al Padre ebbe pienezza di grazia e di letizia. Benedico di cuore ciascuno di voi.

Agli ammalati

PORGO ORA il mio cordiale benvenuto, insieme con l’assicurazione della preghiera, ai malati.Saluto in particolare il gruppo accompagnato dall’Associazione Italiana per l’assistenza agli Spastici di Valdagno; quelli provenienti dalla Parrocchia di S. Tommaso in Certaldo e il gruppo Unitalsi di Fidenza.

Diletti fratelli e sorelle, guardate a voi stessi e alle vostre sofferenze alla luce di Cristo risorto, per mezzo del quale è potentemente entrata nel mondo la misericordia divina. Questo vi permetterà di vedere nel dolore la partecipazione alla Croce e nei patimenti le primizie della Risurrezione di Cristo, il Testimone fedele.

Vi accompagni sempre la fortificante grazia del Signore, nel cui nome imparto la mia Apostolica Benedizione a voi ed a quanti vi assistono con affetto e dedizione.

Agli sposi novelli

RIVOLGO, INFINE, il mio beneaugurante pensiero a voi, sposi novelli, che con la vostra presenza allietate questa Udienza. Carissimi, mediante il sacramento del matrimonio, da voi recentemente celebrato, avete coronato e santificato il vostro amore ponendolo nella carità di Cristo, che solo garantisce solidità ed esito felice ad ogni agire umano.

Ora e sempre, le vostre persone sono unite dal Risorto, il Vivente, che con delicatezza entra nella vostra esistenza e la rende capace di irreversibile impegno. Mentre auspico che l’Onnipotente fortifichi i vostri propositi, vi affido alla materna protezione di Maria affinché, come la Santa Famiglia di Nazareth, la vostra sia lieta dimora del Redentore.

Con la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 13 aprile 1988

13488

1. Riassumendo la dottrina cristologica dei Concili ecumenici e dei Padri, nelle ultime catechesi abbiamo potuto renderci conto dello sforzo compiuto dalla mente umana per penetrare nel mistero dell’uomo-Dio, e leggervi la verità della natura umana e della natura divina, della loro dualità e della loro unione nella persona del Verbo, delle proprietà e facoltà della natura umana e della loro perfetta armonizzazione e subordinazione alla egemonia dell’io divino. La traduzione di quella lettura approfondita è avvenuta nei Concili con concetti e termini assunti dal linguaggio corrente, che era la naturale espressione del modo comune di conoscere e di ragionare, anteriore alla concettualizzazione operata da qualsiasi scuola filosofica o teologica. La ricerca, la riflessione e il tentativo di perfezionare la forma espressiva non mancarono nei Padri e non sarebbero mancate nei successivi secoli della Chiesa, nei quali i concetti e i termini impiegati nella cristologia - specialmente quello di “persona” - avrebbero avuto approfondimenti e precisazioni di valore incalcolabile anche per il progresso del pensiero umano. Ma il loro significato nell’applicazione alla verità rivelata da esprimere non era legato o condizionato da autori o scuole particolari: era quello che si poteva cogliere nell’ordinario linguaggio dei dotti e anche dei non dotti di ogni tempo, come si può rilevare dall’analisi delle definizioni in essi pronunciate.

2. E comprensibile che nei tempi più recenti, volendo tradurre i dati rivelati in un linguaggio rispondente a nuove concezioni filosofiche o scientifiche, alcuni abbiano provato un senso di difficoltà a impiegare e ad accettare quell’antica terminologia, e specialmente la distinzione tra natura e persona che è fondamentale nella tradizionale cristologia come pure nella teologia della Trinità. Particolarmente chi si voglia ispirare alle posizioni delle varie scuole moderne, che insistono su una filosofia del linguaggio e su un’ermeneutica dipendenti dai presupposti del relativismo, soggettivismo, esistenzialismo, strutturalismo ecc., è portato a svalutare o addirittura a rigettare gli antichi concetti e termini, come affetti da scolasticismo, da formalismo, staticismo, astoricità ecc., così da essere inadatti ad esprimere e comunicare oggi il mistero del Cristo vivente.

3. Ma che cosa è poi avvenuto? Prima di tutto che alcuni sono diventati prigionieri di una nuova forma di scolasticismo, indotto da nozioni e terminologie legate alle nuove correnti del pensiero filosofico e scientifico, senza preoccuparsi di un vero confronto con la forma espressiva del senso comune e, si può dire, dell’intelligenza universale, che permane anche oggi indispensabile per comunicare gli uni con gli altri nel pensiero e nella vita. In secondo luogo, vi è stato un passaggio, com’era prevedibile, dalla crisi aperta sulla questione del linguaggio, alla relativizzazione del dogma niceno e calcedoniano, considerato come un semplice tentativo di lettura storica, datato, superato e non più proponibile all’intelligenza moderna. Questo passaggio è stato ed è molto rischioso e può condurre a esiti difficilmente conciliabili con i dati della rivelazione.

4. Nel nuovo linguaggio, infatti, si è arrivati a parlare dell’esistenza di una “persona umana” in Gesù Cristo, in base alla concezione fenomenologica della personalità, data da un insieme di momenti espressivi della coscienza e della libertà, senza sufficiente considerazione per il soggetto ontologico che ne è all’origine. Oppure si è ridotta la personalità divina all’autocoscienza che Gesù ha del “divino” che è in lui, senza intendere l’incarnazione come l’assunzione della natura umana da parte di un io divino trascendente e preesistente. Queste concezioni, che si riflettono anche sul dogma mariano e in modo particolare sulla maternità divina di Maria, così legata nei Concili al dogma cristologico, includono quasi sempre la negazione della distinzione tra natura e persona, che invece i Concili avevano preso dal linguaggio comune ed elaborato teologicamente come chiave di interpretazione del mistero di Cristo.

5. Questi fatti, qui ovviamente appena accennati, ci fanno capire quanto sia delicato il problema del nuovo linguaggio sia per la teologia sia per la catechesi, soprattutto quando, partendo dal rifiuto pregiudiziale di categorie antiche (per esempio, di quelle presentate come “elleniche”), si finisce per subire una tale sudditanza a nuove categorie - o a nuove parole - da manipolare, in nome di esse, anche la sostanza della verità rivelata.

Ciò non significa che non si possa e non si debba continuare a investigare il mistero del Verbo incarnato, e a “cercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana”, secondo le norme e lo spirito del Concilio Vaticano II, che ha ben ribadito, con Giovanni XXIII, che “altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunziate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo” (Gaudium et Spes
GS 62 cf. Ioannis XXIII “Allocutio in solemni SS. Concilii inauguratione”, die GS 11 oct. GS 1962, AAS GS 54 [1962] GS 792).

La mentalità dell’uomo moderno, formata secondo i criteri e i metodi della conoscenza scientifica, dev’essere accostata tenendo conto delle sue tendenze alla ricerca nei vari campi del sapere, ma anche della sua più profonda aspirazione a un “di là” che supera qualitativamente tutti i confini dello sperimentabile e del calcolabile, come pure delle sue frequenti manifestazioni del bisogno di una sapienza ben più appagante e stimolante della scienza; in tal modo questa mentalità odierna risulta tutt’altro che impenetrabile al discorso sulle “ragioni supreme” della vita e sul loro fondamento in Dio. Di qui la possibilità anche di un discorso fondato e leale sul Cristo dei Vangeli e della storia, formulato nella consapevolezza del mistero, e quindi quasi balbettando, ma non senza la chiarezza di concetti elaborati con l’aiuto dello Spirito dai Concili e dai Padri e a noi tramandati dalla Chiesa.

6. A questo “deposito” rivelato e trasmesso dovrà essere fedele la catechesi cristologica, la quale, studiando e presentando la figura, la parola, l’opera del Cristo dei Vangeli, potrà benissimo far rilevare proprio in questo contenuto di verità e di vita l’affermazione della preesistenza eterna del Verbo, il mistero della sua “kenosi” (cf. Ph 2,7), la sua predestinazione ed esaltazione che è il fine vero di tutta l’economia della salvezza e che congloba con e nel Cristo uomo-Dio tutta l’umanità e in certo modo tutto il creato.

Tale catechesi dovrà presentare l’integrale verità del Cristo come Figlio e Verbo di Dio nelle altezze della Trinità (altro fondamentale dogma cristiano), che si incarna per la nostra salvezza ed attua così la massima unione pensabile e possibile tra la creatura e il Creatore, nell’essere umano e in tutto l’universo.

Essa non potrà inoltre trascurare la verità del Cristo che ha una sua realtà ontologica di umanità appartenente alla Persona divina, ma anche un’intima coscienza della sua divinità, dell’unità tra la sua umanità e la sua divinità e della missione salvifica che, come uomo, gli è assegnata.

Apparirà così la verità per cui in Gesù di Nazaret, nella sua esperienza e conoscenza interiore, si ha la più alta realizzazione della “personalità” anche nel suo valore di “sensus sui”, di autocoscienza come fondamento e centro vitale di tutta l’attività interiore ed esteriore, ma attuata nella sfera infinitamente superiore della persona divina del Figlio.

Apparirà altresì la verità del Cristo che appartiene alla storia come un personaggio e un fatto particolare (“factum ex muliere, natum sub lege”) (Ga 4,4), ma che concretizza in sé valore universale dell’umanità pensata e creata nell’“eterno consiglio” di Dio; la verità del Cristo come realizzazione totale dell’eterno progetto che si traduce nell’“alleanza” e nel “Regno” - di Dio e dell’uomo - che conosciamo dalla profezia e dalla storia biblica; la verità del Cristo eterno Logos, luce e ragione di tutte le cose (cf. Jn 1,4 Jn 1,9 , che si incarna si fa presente in mezzo alle cose, nel cuore della storia, per essere secondo il disegno del Dio-Padre il capo ontologico dell’universo, il redentore salvatore di tutti gli uomini, il restauratore che ricapitola tutte le cose del cielo e della terra (cf. Ef 1, 10).

7. Ben lungi dalle tentazioni di ogni forma di monismo materialistico o panlogico, una nuova riflessione su questo mistero del Dio che assume l’umanità per integrarla, salvarla e glorificarla nella conclusiva comunione della sua gloria, non perde niente del suo fascino e lascia assaporare la sua profonda verità e bellezza, se, sviluppata e spiegata nell’ambito della cristologia dei Concili e della Chiesa, viene portata anche a nuove espressioni teologiche, filosofiche e artistiche (cf. Gaudium et Spes GS 62), nelle quali lo spirito umano possa acquisire sempre meglio ciò che emerge dall’abisso infinito della rivelazione divina.

Ai pellegrini francesi

Ai visitatori di lingua inglese

Ad un gruppo di ammalati provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini provenienti dal Giappone, siate benvenuti!

MI RIVOLGO IN PARTICOLARE a coloro che condividono la croce del Signore, affinché si ricordino che al dolore e alle sofferenze seguono, come per Gesù, la gloria e la risurrezione. Carissimi ammalati, ricordandovi questa verità, vi esorto a rimanere sempre accanto alla croce insieme con Maria nostra Madre.

Estendo la mia Benedizione Apostolica a voi e a tutti coloro che vi assistono.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini giunti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi

A gruppi di pellegrini italiani

DESIDERO ORA rivolgere un cordiale saluto ai fedeli provenienti dalla diocesi di Avezzano: guidati dal loro Vescovo, Monsignor Biagio Vittorio Terrinoni, sono venuti per l’Anno Mariano. Grazie per la vostra visita, la Madonna vi accompagni sempre nel vostro cammino verso Cristo! A tutti la mia Benedizione.
* * *


UN CARO BENVENUTO ai fedeli della comunità parrocchiale di Senise, della diocesi di Tursi-Lagonegro, in provincia di Matera, presenti insieme col Vescovo, Monsignor Rocco Talucci. Le mie congratulazioni al nuovo Presule, e l’augurio a tutti voi, cari fratelli e sorelle che, assieme al vostro Pastore, possiate proseguire il cammino della fede cristiana, nella pace e nella prosperità, sotto lo sguardo della Madonna, verso il Regno di Dio. Benedico volentieri la qui presente immagine della Vergine e benedico tutti voi e i vostri cari.
* * *


UN SALUTO PARTICOLARE, una parola di apprezzamento ed un fervido augurio alla numerosa rappresentanza della famiglia spirituale legata alla memoria ed al fulgido esempio di Don Gaetano Mauro, splendida figura di sacerdote calabrese, Fondatore della Congregazione dei Pii Operai Catechisti Rurali, detta altrimenti dei Missionari Ardorini, dediti in special modo all’evangelizzazione degli agricoltori, ed al bene di coloro che maggiormente necessitano del pane quotidiano e del pane della Parola di Dio. Il centenario della nascita del Fondatore, che state celebrando, sia per tutti voi di ulteriore stimolo ad un impegno missionario ancor più ardente e generoso. Vi accompagno con la mia Benedizione.
* * *


SALUTO POI, con viva cordialità, il folto gruppo composto dalle Religiose dell’Istituto Figlie di Maria Santissima dell’Orto, e degli alunni delle Scuole “Antonio Gianelli” e “Nostra Signora dell’Orto” di Roma. L’occasione per questo bell’incontro è data dalla ricorrenza bicentenaria della nascita del Fondatore della Congregazione, Sant’Antonio Maria Gianelli, Vescovo di Bobbio. Sia anche per voi il ricordo del Fondatore motivo per un più intenso impegno nell’attuazione della volontà di Dio, giorno per giorno, secondo quel piano di salvezza che Egli ha per ciascuno di voi. Benedico volentieri la qui presente immagine del Fondatore, ed a tutti voi la mia larga Benedizione.
* * *


UN SALUTO CARO ed un augurio anche al gruppo di Suore della Provvidenza - una quarantina di Superiore -, le quali, provenienti da tutta Italia, stanno seguendo un corso di formazione sulla loro Regola di vita. Quest’incontro sia per voi, care Sorelle, occasione per cementare la vostra unione fraterna e dare ulteriore slancio apostolico alla missione del vostro Istituto, mentre io vi benedico di cuore.
* * *


UNA PAROLA di compiacimento ed un caro benvenuto al gruppo di Religiose appartenenti a 40 diverse Congregazioni, e provenienti da tutto il mondo, le quali, riunite al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, stanno approfondendo il senso della loro comune appartenenza alla Chiesa, nella pluralità e diversità dei carismi dei vari Istituti. Mi auguro che questo scambio di idee e di esperienze possa essere fruttuoso per tutte voi, care Sorelle, portandovi a scoprire meglio il valore della vostra vocazione e a servire meglio la Chiesa e l’umanità in letizia di cuore. La mia Benedizione vi accompagna e vi sostiene.

Ai giovani

SALUTO ORA i ragazzi e i giovani presenti a questa Udienza. Carissimi, siete venuti particolarmente numerosi alla Sede di Pietro, per rafforzare la vostra fede in Cristo e nella Chiesa.

La grande Comunità dei credenti, che sa dare spazio alla vostra creatività, che sa offrire risposte sempre rinnovate alle sfide del tempo, vi chiede di mettere a disposizione dei fratelli le vostre energie giovanili, i vostri doni e carismi personali, per dilatare i confini del Regno del Signore.

La primavera della vostra età vi spinga ad annunciare con entusiasmo a tutti gli uomini che Cristo è risorto!

Io vi accompagno volentieri con la mia preghiera, e vi benedico.

Agli ammalati

MI È PARTICOLARMENTE caro salutare gli ammalati ed infermi qui presenti, unitamente a quanti, con lodevole impegno e generosa dedizione, li accompagnano e li assistono.

Carissimi, nella Liturgia delle ore di oggi, San Leone Magno ci ricorda che “partecipi della passione non sono solo i martiri forti e gloriosi, ma anche i fedeli che rinascono nel battesimo, e già all’atto della loro rigenerazione”.

Ecco dunque una chiave di lettura della vostra sofferenza: se accettata ed offerta con amore, diviene mezzo di unione con Cristo che soffre e fonte di rinascita spirituale con Cristo risorto.

Con l’assicurazione della mia preghiera, vi dono anche la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

IL MIO SALUTO ed augurio va infine a voi, cari sposi novelli, che con il sacramento del Matrimonio siete entrati in intima collaborazione con Dio per esercitare una consapevole paternità nella fedeltà vicendevole.

Affinate continuamente il vostro amore reciproco mediante un costante impegno di pazienza, di dialogo e di comunione profonda, alimentando la vostra crescita nella fede con la preghiera quotidiana ed una intensa vita sacramentale.

E, tornando nella vostra nuova casa, portate con voi anche la mia Benedizione.




Mercoledì, 20 aprile 1988

20488

1. Inizia oggi l’ultima fase delle nostre catechesi su Gesù Cristo (durante le udienze generali del mercoledì). Finora abbiamo cercato di dimostrare chi è Gesù Cristo. Lo abbiamo fatto, prima alla luce della Sacra Scrittura soprattutto dei Vangeli, e poi, nelle ultime catechesi, abbiamo esaminato e illustrato la risposta di fede che la Chiesa ha dato alla rivelazione di Gesù stesso e alla testimonianza e predicazione degli apostoli nel corso dei primi secoli durante la elaborazione delle definizioni cristologiche dei primi Concili (tra il IV e il VII secolo).

Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, consostanziale al Padre (e allo Spirito Santo) per quanto concerne la divinità, consostanziale a noi per quanto concerne l’umanità: Figlio di Dio e nato da Maria Vergine. Questo è il dogma centrale della fede cristiana, nel quale si esprime il mistero di Cristo.

2. A questo mistero appartiene anche la missione di Gesù Cristo. Il Simbolo della fede collega questa missione con la verità sull’essere del Dio-Uomo (Theandrikos), Cristo quando dice in modo conciso che “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo . . . e si è fatto uomo”. Perciò nelle nostre catechesi cercheremo di sviluppare il contenuto di queste parole del Credo, meditando uno dopo l’altro i diversi aspetti della missione di Gesù Cristo.

3. Sin dall’inizio dell’attività messianica, Gesù manifesta prima di tutto la sua missione profetica. Gesù annunzia il Vangelo. Egli stesso dice “di essere venuto” (dal Padre) (cf.
Mc 1,38), “di essere stato mandato” per “annunziare la buona novella del Regno di Dio” (cf. Lc 8,1).

Diversamente dal suo precursore Giovanni Battista, che insegnava sul Giordano, in un luogo deserto, a coloro che vi giungevano da diverse parti - Gesù va incontro a coloro ai quali egli deve annunziare la buona novella. Si può vedere in questo suo movimento verso la gente un riflesso del dinamismo proprio del mistero stesso dell’incarnazione: l’andare di Dio verso gli uomini. Così ci dicono gli evangelisti che Gesù “percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe” (Mt 4,23), e che “egli se ne andava per le città e i villaggi” (Lc 8,1). Dai loro testi risulta che la predicazione di Gesù si è svolta quasi esclusivamente nel territorio della Palestina, cioè tra la Galilea e la Giudea, con visite anche alla Samaria (cf. Ex gr cf. Jn 4,3-4), passaggio obbligato tra le due regioni principali. Il Vangelo però, menziona anche la “regione di Tiro e Sidone”, ossia la Fenicia (cf. Mc 7,31 Mt 15,21), ed anche la Decapoli cioè “la regione dei Geraseni” sull’altra riva del lago di Galilea (cf. Mc 5,1 Mc 7,31). Questi accenni provano che Gesù a volte usciva fuori dai confini d’Israele (in senso etnico), anche se egli sottolinea ripetutamente che la sua missione è rivolta principalmente “alla casa d’Israele” (Mt 15,24). Anche ai discepoli, che invia per una prima prova di apostolato missionario, raccomanda esplicitamente: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10,5-6). Nello stesso tempo, però, egli svolge uno dei più importanti colloqui messianici in Samaria, presso il pozzo di Sichem (cf. Jn 4,1-26).

Inoltre gli stessi evangelisti attestano anche che le folle che seguivano Gesù erano composte da gente proveniente non solo dalla Galilea, dalla Giudea e da Gerusalemme, ma anche “dall’Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone” (Mc 3, 7-8, anche cf. Mt 4,12-15).

4. Anche se Gesù afferma chiaramente che la sua missione è legata alla “casa d’Israele”, nello stesso tempo fa capire che la dottrina da lui predicata - la buona novella - è destinata a tutto il genere umano. Così, per esempio, in riferimento alla professione di fede del centurione romano, egli preannuncia: “. . . molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli . . .” (Mt 8,11). Ma solo dopo la risurrezione egli comanderà agli apostoli: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19).

5. Qual è il contenuto essenziale dell’insegnamento di Gesù? Si può rispondere con una parola: il Vangelo, cioè la buona novella. Egli infatti dà inizio alla sua predicazione con questo invito: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

Il termine stesso “buona novella” indica il carattere fondamentale del messaggio di Cristo. Dio desiderava rispondere al desiderio di bene e di felicità radicato profondamente nell’uomo. Si può dire che il Vangelo, che è questa divina risposta, possiede un carattere “ottimista”. Questo però non è un ottimismo puramente temporale, un eudemonismo superficiale, non è un annuncio del “paradiso in terra”. La “buona novella” di Cristo pone a chi ascolta essenziali esigenze di natura morale, indica la necessità di rinunce e di sacrifici, è in definitiva collegata al mistero redentore della croce. Al centro della “buona novella”, infatti, vi è il programma delle beatitudini (cf. Mt 5,3-11), che precisa nel modo più completo il genere di felicità che Cristo è venuto ad annunciare e a rivelare all’umanità, che è ancora qui in terra in cammino verso i suoi destini definitivi ed eterni. Egli dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli!” Ciascuna delle otto beatitudini ha una struttura simile a questa. Nello stesso spirito Gesù chiama “beato” il servo che il padrone “troverà sveglio - ossia operoso - al suo ritorno” (cf. Lc 12,37). Qui, si può intravedere anche la prospettiva escatologica ed eterna della felicità rivelata e annunciata dal Vangelo.

6. La beatitudine della povertà ci riporta all’inizio dell’attività messianica di Gesù, quando, parlando nella sinagoga di Nazaret, egli dice: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Si tratta qui di coloro che sono poveri non solo e non tanto in senso economico-sociale (“di classe”), ma di coloro che sono spiritualmente aperti ad accogliere la verità e la grazia, che provengono dal Padre, come dono del suo amore, il dono gratuito (“gratis” dato), perché interiormente liberi dall’attaccamento ai beni della terra e disposti a usarne e a condividerli secondo le esigenze della giustizia e della carità. Per questa condizione dei poveri secondo Dio (“ianawim”), Gesù “rende lode al Padre”, perché “ha nascosto queste cose (= le grandi cose di Dio) ai dotti e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli” (cf. Lc 10,21). Perciò non è detto che Gesù allontani da sé le persone che si trovano in migliori condizioni economiche, come il pubblicano Zaccheo che era salito sull’albero per vederlo (cf. Lc 19,2-9), o quegli altri amici di Gesù, i cui nomi ci sono stati trasmessi dai Vangeli. Stando alle parole di Gesù sono “beati” i “poveri in spirito” (cf. Mt 5,3), e “coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28).

7. Un’altra caratteristica della predicazione di Gesù è che egli cerca di trasmettere il messaggio evangelico ai suoi uditori in modo consono alla loro mentalità e cultura. Essendo cresciuto e vissuto tra loro negli anni della vita nascosta a Nazaret (quando “si fortificava, pieno di sapienza” Lc 2,52), conosceva la mentalità, la cultura e la tradizione del suo popolo, radicate profondamente nel retaggio dell’antico testamento.

8. Proprio per questo, molto spesso egli riveste della forma di parabole le verità che annuncia, come ci risulta dai testi evangelici, per esempio da Matteo che scrive: “Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: «Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»” (Ps 78,2 [77], 2) (Mt 13,34-35).

Certamente il discorso in parabole, facendo riferimento ai fatti e alle questioni della vita quotidiana che cadevano sotto gli occhi di tutti, rendeva più facile stabilire il contatto con un uditore anche poco istruito (cf. S. Thomae “Summa Theologiae”, III 42,2). E tuttavia “il mistero del Regno di Dio” celato nelle parabole, aveva bisogno di particolari spiegazioni, a volte richieste dagli stessi apostoli (cf. Mc 4,11-12). Una sua adeguata comprensione non si poteva raggiungere se non con l’aiuto della luce interiore, che proviene dallo Spirito Santo. E questa luce Gesù prometteva e dava.

9. Dobbiamo ancora far notare una terza caratteristica della predicazione di Gesù, messa in rilievo nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, pubblicata da Paolo VI dopo il Sinodo del 1974 riguardo al tema dell’evangelizzazione. In essa leggiamo: “Gesù medesimo, Vangelo di Dio, è stato assolutamente il primo e il più grande evangelizzatore. Lo è stato fino alla fine: fino alla perfezione e fino al sacrificio della sua vita terrena” (Evangelii Nuntiandi EN 7).

Sì. Gesù non solo annunziava il Vangelo, ma egli stesso era il Vangelo. Coloro, che hanno creduto in lui, hanno seguito la parola della sua predicazione, ma anche più colui che la predicava. Hanno seguito Gesù perché egli offriva delle “parole di vita” come confessò Pietro dopo il discorso che il Maestro tenne nella sinagoga di Cafarnao: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Jn 6,68). Questa identificazione della parola e della vita, del predicatore e del Vangelo predicato, si attua in modo perfetto soltanto in Gesù. Ecco perché anche noi gli crediamo e lo seguiamo quando ci si manifesta come “unico Maestro” (cf. Mt 23,8-10).

Ai pellegrini di lingua francese

Ai numerosi gruppi di lingua inglese

Ai fedeli di lingua castigliana


Ai pellegrini tedeschi

Ai pellegrini polacchi

Ai gruppi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto alle suore “Piccole Sorelle dei Poveri”, qui convenute con la loro Madre Generale a conclusione del corso di esercizi. Care sorelle, siate le benvenute. Desidero incoraggiarvi nel vostro impegno di carità, che consiste prevalentemente nell’assistenza agli anziani poveri. Sappiate amare questa vostra vocazione, esprimendo nella sollecitudine per gli umili l’amore del cuore misericordioso di Cristo.
* * *


SALUTO ANCHE gli sportivi dell’Associazione “Mariner canoa Club”, che accompagneranno con tanta cordiale amicizia i loro colleghi della squadra nazionale Juniores di canoa dell’Ungheria. Cari giovani, il vostro sport esige sacrificio e disciplina, ma soprattutto domanda solidarietà di intenti e di ritmo per ottenere buoni risultati. Vi invito a prendere lo spunto dall’attività alla quale vi dedicate, per applicare tale regola della collaborazione anche alla vita. La solidarietà è la virtù che porta le iniziative umane al successo; e la solidarietà nasce dalla carità, dall’amore fraterno che Cristo ci ha insegnato.
* * *


UN SALUTO anche ai fedeli della parrocchia di San Donato di Civè, della diocesi di Padova, con l’invito a chiedere agli Apostoli Pietro e Paolo il dono di una fede profonda e costante, per poter essere validi testimoni del Signore in tutte le circostanze della vita.
* * *


INFINE, SALUTO cordialmente i numerosi giovani militari, allievi della scuola di motorizzazione, che concludono in questi giorni il loro periodo di formazione e sono qui presenti con i Signori Generali Pelizzola, Gentile e Piccini, oltre che con il loro Cappellano, don Pignoloni. Vi invito, cari giovani, ad utilizzare bene questi giorni di vita militare. La giovinezza è un periodo di crescita e di maturazione: l’esperienza che state facendo ve lo conferma. Anche il servizio militare, come occasione di vita in comune e spunto per l’amicizia e la solidarietà, vi consente un graduale accumulo di utili conoscenze ed esperienze e vi avvia a quel discernimento che è nella vita indispensabile per costruire qualcosa di valido e di duraturo secondo le norme del vero bene e dell’autentico progresso umano e cristiano. Sappiate sempre affrontare la vita, nei momenti di fatica come in quelli di gioia, con coraggio e ottimismo, ispirandovi agli insegnamenti di Cristo e poggiando sull’aiuto della sua grazia. A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

CARISSIMI GIOVANI! A voi ora desidero rivolgermi con un affettuoso saluto! Siamo nel bel mezzo del periodo pasquale, che ci fa rivivere il tempo durante il quale Cristo risorto rimase presso i suoi, apparendo a loro più volte e dando loro le ultime istruzioni, prima di salire alla destra del Padre nei cieli.

Vi invito a sentir vostra, e a far vostra, insieme con la Chiesa, questa tappa così significativa ed esaltante della storia della salvezza, cercando di avere anche voi, come gli Apostoli, un rapporto intimo e personale con Cristo risorto: mettetevi in ascolto, come loro, delle direttive che Egli ha per la vostra salvezza, per ciò che dovete fare per contribuire alla salvezza del mondo. Vi sono vicino con la mia Benedizione.

Agli ammalati

CARISSIMI MALATI! La Chiesa invita anche voi a partecipare alla gioia di questo periodo di Pasqua, una gioia che per voi è velata dalla sofferenza, e che tuttavia è pura e profonda; una gioia che - come dice Gesù - “nessuno vi potrà togliere”. La gioia di essere in grazia di Dio, quella di possedere questo germe di vita e di diffonderla attorno a voi; e di contribuire con le vostre sofferenze alla costruzione del Regno di Dio. È soprattutto la gioia della speranza. Avete il pegno della vita futura, “la caparra dello Spirito”, come dice San Paolo. Questa sia la vostra consolazione e ciò che vi rende leggero il peso della Croce. Anche la mia affettuosa Benedizione sia di vostro conforto.

Agli sposi novelli

CARISSIMI SPOSI NOVELLI! Capita di frequente che i fidanzati cristiani scelgano in questo periodo il giorno delle nozze. E ciò è molto significativo: mentre gli occhi del corpo vedono, con la primavera, il germinare della vita nuova, gli occhi dell’anima contemplano, in Cristo risorto presente tra noi, la promessa e l’inizio della vita nuova del Regno dei cieli. Tutto il nostro essere, quindi, anima e corpo, si sente chiamato a rifiorire nella speranza. E quanto è utile e necessario questo nobile sentimento per chi, come voi, si accinge a far fiorire la vita, una vita fatta ad immagine di Dio e destinata alla figliolanza divina! Possa la mia Benedizione accompagnarvi sempre nella vostra missione di servitori della vita.





Catechesi 79-2005 60488