Catechesi 79-2005 25686

Mercoledì, 25 giugno 1986

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1. Come nella precedente catechesi, anche oggi attingeremo con abbondanza alla riflessione che il Concilio Vaticano II ha dedicato al tema della condizione storica dell’uomo di oggi, il quale è, da una parte, inviato da Dio a dominare e assoggettare il creato, e dall’altra è soggetto lui stesso, in quanto creatura, all’amorosa presenza di Dio Padre, Creatore e Provvidente.

L’uomo, oggi più che in ogni altro tempo, è particolarmente sensibile alla grandezza e all’autonomia del suo compito di investigatore e dominatore delle forze della natura. È tuttavia doveroso notare che vi è un grave ostacolo nello sviluppo e nel progresso del mondo. Esso è costituito dal peccato e dalla chiusura che esso comporta, cioè dal male morale. Di questa situazione dà ampia testimonianza la costituzione conciliare Gaudium et Spes (Gaudium et Spes,
GS 13). Riflette infatti il Concilio: “Costituito da Dio in uno stato di santità, l’uomo, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”.

Per cui, come inevitabile conseguenza “il progresso umano, che pure è un grande bene dell’uomo, porta con sé una grande tentazione: infatti, sconvolto l’ordine dei valori e mescolando il male con il bene, gli individui e i gruppi guardano solamente alle cose proprie, non a quelle degli altri. È così che il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l’aumento della potenza umana minaccia di distruggere lo stesso genere umano”. Giustamente l’uomo moderno è consapevole del proprio ruolo, ma, “se . . . con l’espressione autonomia delle realtà temporali si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può disporne senza riferirle al creatore, allora la falsità di tale opinione non può sfuggire a chiunque crede in Dio. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce . . . Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa” (Gaudium et Spes GS 37 Gaudium et Spes GS 36).

2. Ricordiamo anzitutto un testo che ci consente di afferrare l’“altra dimensione” dell’evoluzione storica del mondo, a cui guarda sempre il Concilio. Dice la costituzione: “Lo Spirito di Dio che, come mirabile provvidenza, dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione” (Gaudium et Spes GS 26). Superare il male è insieme volere il progresso morale dell’uomo, da cui la dignità dell’uomo viene salvaguardata, e dare una risposta alle essenziali esigenze di un mondo “più umano”. In questa prospettiva, il regno di Dio che si va sviluppando nella storia trova in certo modo la sua “materia” e i segni della sua efficace presenza.

Con molta chiarezza il Concilio Vaticano II ha posto l’accento sul significato etico dell’evoluzione, mostrando come l’ideale etico di un mondo “più umano” è congeniale all’insegnamento del Vangelo. E pur distinguendo con precisione lo sviluppo del mondo dalla storia della salvezza, cerca in pari tempo di rilevare in tutta la loro pienezza i legami che esistono tra di essi: “pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio. E infatti i beni, quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre “il regno eterno e universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione” (Gaudium et Spes GS 39).

3. Il Concilio afferma il convincimento nei credenti quando proclama che “la Chiesa riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno: soprattutto l’evoluzione verso l’unità, il processo di una sana socializzazione e della solidarietà civile ed economica. La promozione dell’unità, infatti, corrisponde all’intima missione della Chiesa, la quale è appunto “in Cristo come un sacramento, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” . . . Infatti, l’energia che la Chiesa è capace di immettere nella società umana contemporanea, consiste in quella fede e carità effettivamente vissute e non nell’esercitare un dominio esteriore con mezzi puramente umani” (Gaudium et Spes GS 42). Per questo motivo si crea un profondo legame e perfino una elementare identità tra i principali settori della storia e dell’evoluzione del “mondo” e la storia della salvezza. Il piano della salvezza affonda le radici nelle aspirazioni più reali e nelle finalità degli uomini e dell’umanità. Anche la redenzione è continuamente rivolta verso l’uomo e verso l’umanità “nel mondo”. E la Chiesa si incontra sempre col “mondo” nell’ambito di queste aspirazioni e finalità dell’uomo-umanità. In ugual modo la storia della salvezza scorre nell’alveo della storia del mondo, considerandolo in certo modo come proprio. E viceversa: le vere conquiste dell’uomo e dell’umanità, autentiche vittorie nella storia del mondo, sono anche il “substrato” del regno di Dio sulla terra (cf. Card. Karol Wojtyla, Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II, LEV, Città del Vaticano 1981, PP 150-160).

4. Leggiamo a questo proposito nella costituzione Gaudium et Spes: “l’attività umana come deriva dall’uomo, così è ordinata all’uomo . . . Lo sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha. Parimenti tutto ciò che gli uomini fanno per conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano nei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico . . . Pertanto questa è la norma dell’attività umana: che secondo il disegno e la volontà di Dio essa corrisponda al vero bene dell’umanità, e permetta all’uomo singolo o come membro della società di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione”. Così continua il medesimo documento: “L’ordine (delle cose) è da sviluppare sempre di più, è da fondarsi sulla verità, edificarsi sulla giustizia, esser vivificato dall’amore; deve trovare un equilibrio sempre più umano nella libertà. Per raggiungere tale scopo si deve lavorare al rinnovamento della mentalità e intraprendere vaste trasformazioni sociali. Lo Spirito di Dio, che rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione” (Gaudium et Spes GS 35 Gaudium et Spes GS 26).

5. L’adeguamento alla guida e all’azione dello Spirito di Dio nello sviluppo della storia avviene mediante l’appello continuo e la risposta coerente e fedele alla voce della coscienza: “Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e risolvere secondo la verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità” (Gaudium et Spes GS 16).

Con realismo il Concilio rammenta la presenza, nell’effettiva condizione umana, dell’ostacolo più radicale al vero progresso dell’uomo e dell’umanità: il male morale, il peccato, per effetto del quale “l’uomo si trova in se stesso diviso. Per questo, tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi, l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da se medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato”. Quella dell’uomo è una “lotta cominciata fin dall’origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia l’uomo deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” (Gaudium et Spes GS 13 Gaudium et Spes GS 37).

6. In conclusione possiamo dire che, se la crescita del regno di Dio non si identifica con l’evoluzione del mondo, è però vero che il regno di Dio è nel mondo e prima di tutto nell’uomo, il quale vive e opera nel mondo. Il cristiano sa che con il suo impegno per il progresso della storia e con l’aiuto della grazia di Dio coopera alla crescita del Regno, verso il compimento storico ed escatologico del disegno della divina Provvidenza.

Ai fedeli di lingua francese

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Ad alcuni gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

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Ad un gruppo proveniente dal Brasile

Ai pellegrini polacchi

Ai giovani

Un cordiale saluto rivolgo a voi, giovani presenti a questa Udienza. Vi auguro di cuore che le prossime vacanze estive siano una propizia occasione per prendere il meritato riposo dopo le fatiche dello studio, ma ancor più per dare spazi più vasti alla riflessione ed alla preghiera, all’approfondimento della fede, mediante la lettura meditata del Vangelo, e per testimoniare inoltre un generoso impegno di dedizione verso i fratelli, in particolare gli infermi ed i bisognosi, partecipando alle varie iniziative del “Volontariato”.

Agli ammalati

Un affettuoso ricordo desidero dedicare a tutti voi, Fratelli e Sorelle colpiti dalla malattia, in particolare al “Gruppo Maria Laura” di Cagliari, che siete qui per ricevere una parola di fiducia e di incoraggiamento al fine di poter proseguire il vostro difficile e doloroso cammino con fede e con serenità spirituale.

Nel cuore della Chiesa voi rappresentate la porzione privilegiata e feconda, in quanto siete intimamente e profondamente uniti al mistero della Croce di Cristo, che nell’offerta al Padre ha procurato agli uomini la redenzione e la libertà dal peccato e dalla morte.

A voi, va l’assicurazione della mia costante preghiera, nella quale unisco il ricordo dei vostri genitori e familiari, degli amici, dei sacerdoti, delle religiose e tutte le persone che con grande affetto ed instancabile dedizione vi assistono.

Agli sposi novelli

Un fervido augurio rivolgo a tutti voi, sposi novelli, che in questi giorni avete solennemente consacrato il vostro amore nel sacramento del Matrimonio, diventando il segno visibile dell’unione misteriosa fra Cristo e la Chiesa.

Sia la vostra nascente famiglia sempre illuminata dalla fede, animata dalla speranza e confortata dalle virtù tipiche del vostro stato, quali la mutua fedeltà, dedizione ed affetto, di modo che essa possa essere come una “Chiesa in miniatura”.

A tutti voi la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 9 luglio 1986

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1. Le nostre catechesi su Dio, creatore del mondo, non possono concludersi senza dedicare adeguata attenzione a un preciso contenuto della rivelazione divina: la creazione degli esseri puramente spirituali, che la Sacra Scrittura chiama “angeli”. Tale creazione appare chiaramente nei Simboli della fede, particolarmente nel Simbolo niceno-costantinopolitano: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose (cioè enti o esseri) visibili e invisibili”. Sappiamo che l’uomo gode, all’interno della creazione, di una posizione singolare: grazie al suo corpo appartiene al mondo visibile, mentre per l’anima spirituale, che vivifica il corpo, egli si trova quasi al confine tra la creazione visibile e quella invisibile. A quest’ultima, secondo il Credo che la Chiesa professa alla luce della rivelazione, appartengono altri esseri, puramente spirituali, non dunque propri del mondo visibile, anche se in esso presenti e operanti. Essi costituiscono un mondo specifico.

2. Oggi, come nei tempi passati, si discute con maggiore o minore sapienza su questi esseri spirituali. Bisogna riconoscere che la confusione a volte è grande, con il conseguente rischio di far passare come fede della Chiesa sugli angeli ciò che alla fede non appartiene, o, viceversa, di tralasciare qualche aspetto importante della verità rivelata. L’esistenza degli esseri spirituali, che la Sacra Scrittura chiama di solito “angeli”, veniva già negata ai tempi di Cristo dai sadducei (cfr
Ac 23,8). La negano anche i materialisti e i razionalisti di tutti i tempi. Eppure, come acutamente osserva un teologo moderno, “se si volesse sbarazzarsi degli angeli, si dovrebbe rivedere radicalmente la Sacra Scrittura stessa, e con essa tutta la storia della salvezza” (A. Winklhofer, Die Welt der Engel, Ettal 1961, p. 144, nota 2; in Mysterium Salutis, II, 2P 726). Tutta la Tradizione è unanime su questa questione. Il Credo della Chiesa è in fondo un’eco di quanto Paolo scrive ai Colossesi: “poiché per mezzo di lui (Cristo) sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati, Potestà, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Ossia il Cristo che, come Figlio-Verbo eterno e consostanziale al Padre è “generato prima di ogni creatura” (Col 1,15) è al centro dell’universo, come ragione e cardine di tutta quanta la creazione, come abbiamo già visto nelle catechesi precedenti e come vedremo ancora quando parleremo più direttamente di lui.

3. Il riferimento al “primato” di Cristo ci aiuta a comprendere che la verità circa l’esistenza e l’opera degli angeli (buoni e cattivi) non costituisce il contenuto centrale della parola di Dio. Nella rivelazione Dio parla prima di tutto “agli uomini . . . e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”, come leggiamo nella costituzione Dei Verbum (Dei Verbum, DV 2) del Concilio Vaticano II. Così “la profonda verità . . . sia di Dio sia della salvezza degli uomini” è il contenuto centrale della rivelazione che “risplende” più pienamente nella persona di Cristo. La verità sugli angeli è in certo senso “collaterale”, eppure inseparabile dalla rivelazione centrale, che è l’esistenza, la maestà e la gloria del Creatore che rifulgono in tutta la creazione “visibile” e “invisibile” e nell’azione salvifica di Dio nella storia dell’uomo. Gli angeli non sono dunque creature di primo piano nella realtà della rivelazione, eppure vi appartengono pienamente, tanto che in alcuni momenti le vediamo adempiere compiti fondamentali a nome di Dio stesso.

4. Tutto ciò che appartiene alla creazione rientra, secondo la rivelazione, nel mistero della divina Provvidenza. Lo afferma in modo esemplarmente conciso il Vaticano I che abbiamo già più volte citato: “Tutto ciò che ha creato, Dio lo conserva e lo dirige con la sua provvidenza «estendendosi da un confine all’altro con forza e governando con bontà ogni cosa» (cfr Sap Sg 8,1). «Tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi» (cfr He 4,13), «anche ciò che avrà luogo per libera iniziativa delle creature»” (DS 3003). La Provvidenza abbraccia dunque anche il mondo dei puri spiriti, che ancor più pienamente degli uomini sono esseri razionali e liberi. Nella Sacra Scrittura troviamo preziose indicazioni che li riguardano. Vi è pure la rivelazione di un dramma misterioso, eppure reale, che toccò queste creature angeliche, senza che nulla sfuggisse all’eterna Sapienza, la quale con forza (“fortiter”) e al tempo stesso con bontà (“suaviter”) tutto porta a compimento nel regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

4. Riconosciamo anzitutto che la Provvidenza, come amorevole Sapienza di Dio, si è manifestata proprio nel creare esseri puramente spirituali, per cui meglio si esprimesse la somiglianza di Dio in loro che di tanto superano tutto ciò che è creato nel mondo visibile insieme con l’uomo, anch’esso incancellabile immagine di Dio. Dio, che è Spirito assolutamente perfetto, si rispecchia soprattutto negli esseri spirituali che per natura, cioè a motivo della loro spiritualità, gli sono molto più vicini delle creature materiali, e che costituiscono quasi l’“ambiente” più vicino al Creatore. La Sacra Scrittura offre una testimonianza abbastanza esplicita di questa massima vicinanza a Dio degli angeli, dei quali parla, con linguaggio figurato, come del “trono” di Dio, delle sue “schiere”, del suo “cielo”. Essa ha ispirato la poesia e l’arte dei secoli cristiani che ci presentano gli angeli come la “corte di Dio”.
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Rivolgo ora una parola di affettuoso saluto ai ragazzi del Centro di Riabilitazione Spastici “A. Cesarano” di Manfredonia. Carissimi, mentre vi assicuro della mia spirituale vicinanza, abbraccio con l’Apostolica Benedizione voi, i vostri familiari e quanti con amore e dedizione vi assistono.
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Un saluto particolare va ora ai numerosi pellegrini, che, in rappresentanza degli emigrati abruzzesi e molisani, sono voluti essere presenti a questa Udienza per prepararsi spiritualmente alla Giornata loro dedicata dalla Comunità Ecclesiale di Vasto.

Mentre mi è gradito manifestarvi la mia sollecitudine pastorale per voi, intendo esortarvi a custodire e ad alimentare con fedeltà quei principi di fede e di moralità, che la terra nativa vi ha affidato come suo prezioso patrimonio.

Con benevolenza imparto a voi tutti ed ai vostri cari la mia Benedizione.
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Il mio saluto va pure ai professori ed agli studenti del XVI Corso Estivo dell’Istituto Superiore di Santa Sofia. Nell’augurarvi di crescere sempre più nell’amore e nella conoscenza di Cristo, invoco dallo Spirito Santo per voi la pienezza di quei doni, che sostengono sul cammino di un’autentica vita umana.
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Il mio benvenuto va ora ai partecipanti all’iniziativa realizzata dall’Ente Provinciale per il Turismo di Latina, in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di quella Città. Essi fanno parte di gruppi che vengono dalla Francia, da Israele, dalla Corea del Sud, dalla Turchia, dall’Ungheria e dal Venezuela. Nel mostrare apprezzamento per questa manifestazione, che favorisce l’incontro tra i popoli, intendo far giungere a tutti il mio benedicente pensiero.

Ai giovani

Desidero ora rivolgere un saluto cordiale ai giovani presenti a questa Udienza. Siate i benvenuti! Il tempo delle vacanze moltiplica le occasioni di incontro e favorisce nuove esperienze. Vi auguro di saper vivere in maniera sana e intelligente questo periodo, valorizzando le possibilità di essere testimoni del Cristo nelle diverse località in cui vi recate e dando vita anche a validi momenti di riflessione religiosa. Fate dono a chi vi incontra del vostro entusiasmo giovanile e cristiano.

Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

A tutti voi, carissimi infermi, rivolgo un pensiero affettuoso e commosso. Vi ringrazio per la vostra presenza, che è sempre motivo di edificazione per tutti noi. Vi chiedo di guardare con fede al Cristo crocifisso, per attingere da Lui forza e conforto: sappiate che la vostra accettazione della prova è un continuo, grande atto di virtù, che diventa sorgente di grazia per voi stessi e salvezza del mondo intero.

Vi sono vicino con la preghiera e vi accompagno con la mia Benedizione.

Agi sposi novelli

Un augurio intenso e sincero agli sposi novelli. Carissimi, nell’iniziare la vostra nuova vita sotto il segno del sacramento del Matrimonio, avete inteso compiere una scelta di fede e impegnarvi in una testimonianza coerente. Vi chiedo di vivere in pienezza tali ideali, affinché, mentre si rende più intenso l’amore vicendevole, cresca in voi anche l’impegno cristiano, e la vostra vita possa essere felice e ricca di buone opere. Il Signore non mancherà di colmarvi della sua protezione.

Vi sia di incoraggiamento la mia Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 16 luglio 1986

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1. “Con la paz de Cristo por los caminos de Colombia”: queste parole esprimono il tema principale sul quale i vescovi Colombiani hanno impostato il pellegrinaggio del Papa nella loro Patria. Desidero ringraziare cordialmente quell’episcopato per l’invito a compiere questa visita, che ho potuto realizzare nei primi giorni di luglio.

Ringrazio in pari tempo le autorità statali e, in particolare, il presidente Betancur sia per l’invito, sia per le varie facilitazioni che ho avuto nello svolgimento di questo ministero pastorale “sulle vie della Colombia”.

2. Queste “vie” mettono in risalto prima di tutto la “geografia” della visita. La Colombia è un grande Paese (oltre un milione di chilometri quadrati). La maggior parte di essa, verso sud-est, è coperta dalla foresta equatoriale ed è poco abitata. Più densa di popolazione è, invece, la costa del Pacifico, dove gli abitanti sono per la maggior parte afro-americani. Tuttavia la parte prevalente dei colombiani si concentra nella regione centrale tra le alte catene delle Ande e sulla costa atlantica, la zona dei Caraibi.

In questo modo si spiega pure l’itinerario della visita. Iniziando dalla capitale, Bogotá, il cammino si è indirizzato prima al sud: Cali-Tumaco (costa del Pacifico) - Popayán, per dirigersi poi verso il nord: Pereira - Medellín - Bucaramanga, fino alla costa dell’Atlantico: Cartagena-Barranquilla.

3. Nella “geografia” del pellegrinaggio così delineata si iscrive anche la sua dimensione storica: la storia del Paese va di pari passo con la storia dell’evangelizzazione. Ci avviciniamo al 500° anniversario della scoperta dell’America e, insieme, dell’inizio dell’evangelizzazione in quel continente.

Per la Colombia questo inizio è collegato con il 450° anniversario del miracoloso rinnovamento dell’immagine della Madonna del Rosario a Chiquinquirá. Per tale occasione si è voluto celebrare in Colombia anche un Anno mariano nazionale. A questo santuario si è orientato pure il pellegrinaggio del Papa, il 3 luglio, per ringraziare il Signore e la Vergine santissima per il grande dono della fede e per pregare che essa porti sempre frutti abbondanti.

Gli inizi dell’evangelizzazione richiamano alla memoria coloro ai quali questa opera deve tanto nel corso delle generazioni: i sacerdoti, le famiglie religiose, i laici, ricordando specialmente le celebri figure di san Luis Bertrán e di san Pietro Claver.

4. Purtroppo la Colombia - paese bello e ricco - è sovente vittima di calamità naturali. Nel 1983 un terribile terremoto devastò la città di Popayán; soprattutto nel novembre 1985 l’esplosione del vulcano Nevado del Ruiz causò ingenti danni e numerose vittime umane.

Il pellegrinaggio lungo le “vie della Colombia” ha perciò condotto anche a questi luoghi di distruzione e di sofferenza: Popayán, Chinchiná, Armero, Lérida dove mi sono fermato in preghiera e dove ho esortato tutti alla fiducia in Dio e all’impegno fraterno.

5. Invitando il Papa su queste strade della Colombia, nello spirito della pace di Cristo, i pastori della Chiesa hanno avuto davanti agli occhi soprattutto l’universale opera di evangelizzazione. Infatti l’evangelizzazione vuole fare in modo che Cristo diventi la nostra pace e la nostra riconciliazione con Dio e con gli uomini.

Sia l’episcopato della Colombia come pure i vescovi di tutta l’America Latina hanno questa convinzione e nutrono questa speranza. L’incontro del 2 luglio con la Conferenza episcopale colombiana e con il Consiglio episcopale latinoamericano ha offerto l’occasione propizia per rilanciare a tutta l’America Latina l’appello alla pace in Cristo, alla riconciliazione, alla giustizia sociale, alla solidarietà. Di qui proviene la particolare sollecitudine per le vocazioni sacerdotali e religiose, che è stata solennemente sottolineata con la cerimonia delle ordinazioni sacerdotali a Medellín (5 luglio) e nell’incontro con le religiose (5 luglio) e con i dirigenti della Confederazione latinoamericana dei religiosi (2 luglio).

6. Insieme con la sollecitudine per i sacerdoti e per le persone consacrate va pure il risveglio della consapevolezza dell’apostolato dei laici. Questo argomento così importante nella Chiesa e nella società attuale è stato particolarmente svolto durante la santa Messa a Bucaramanga (6 luglio), con la partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni e dei movimenti del laicato.

Una particolare parola sulla famiglia è stata pronunciata nella celebrazione eucaristica a Cali (4 luglio), sui giovani durante il grandioso incontro a Bogotá (2 luglio), sui bambini e sui movimenti missionari ancora a Cali (4 luglio), sugli uomini di cultura a Medellín (5 luglio), e infine sul mondo del lavoro nell’industria e specialmente nell’agricoltura.

7. La Chiesa in Colombia è consapevole di essere sempre missionaria; ma non solo in Colombia, bensì in tutta l’America Latina vi sono territori che esigono una pastorale missionaria. Questa consapevolezza si collega con la necessità di assumere anche compiti di natura sociale, nei confronti dei gruppi indigeni (indios, Popayán, 4 luglio), come pure degli afro-americani, discendenti da coloro che i colonizzatori, in quei tempi, trasportarono colà come schiavi (discorso a Tumoco, 4 luglio, e poi a Cartagena, 6 luglio), e dei gruppi socialmente depressi, come ne è stata testimonianza l’incontro con gli abitanti dei “barrios” a Bogotá (3 luglio) e a Medellín (5 luglio).

8. Affinché la pace, che Cristo porta, possa dominare sulle vie della Colombia, è necessaria un’evangelizzazione completa e coordinata nello spirito della dottrina sociale della Chiesa, impegnata nella molteplice attività in favore della giustizia sociale, della salvaguardia e promozione dei diritti della persona, della famiglia e delle comunità umane, in modo da creare una più equilibrata uguaglianza tra gli evidenti contrasti di un mondo molto ricco e un altro troppo povero.

Tutto ciò in diverse occasioni si è fatto sentire durante il pellegrinaggio sulle vie della Colombia. Riflettendo sulla vita e sull’opera di san Pietro Claver, si può dire che questa eroica figura di missionario è un segno dell’autentica “teologia della liberazione”.

9. Nel corso di questo pellegrinaggio - del quale conservo nel cuore un ricordo profondo - ho incontrato una nazione profondamente cristiana, piena di speranza, amante della pace. Purtroppo questa nazione è disturbata dal fenomeno doloroso della guerriglia, che è all’origine di tante sofferenze e di tanto spargimento di sangue. Dalla città di Bogotá ho elevato un appello perché coloro che si sono avviati su questa strada “orientino le loro energie - ispirate forse da ideali di giustizia - verso azioni costruttive che contribuiscano veramente al progresso del paese”. Le gravi sperequazioni sociali devono essere superate mediante il dialogo tra le parti: è questo il cammino che la Chiesa da tempo invita a percorrere.

In Colombia ho incontrato un popolo buono che vuole lottare contro la schiavitù della droga, commercio di morte praticato da un gruppo di persone che non riflette l’anima e il volto autentico della nazione.

Grande speranza per il futuro di quella amata Nazione offre la vivacità del laicato cattolico, il quale va prendendo progressiva coscienza del proprio ruolo nella Chiesa e delle proprie responsabilità nell’impegno sociale illuminato dal Vangelo. Si stanno raccogliendo frutti consolanti anche nel campo della pastorale familiare e in quello, strettamente connesso, della pastorale delle vocazioni: giovani e ragazze in numero sempre più consistente rispondono col dono totale di sé all’invito di Cristo e accettano di seguirlo senza riserve, mettendo le proprie energie al servizio del Regno. Ciò consente alla Chiesa che è in Colombia di essere di aiuto con i propri sacerdoti, religiosi e religiose ad altre Chiese.

10. Il viaggio apostolico in Colombia si è poi concluso con la visita pastorale all’isola di Saint Lucia: una visita breve, di poche ore, ma assai intensa e calorosa. Ricordo con viva commozione la celebrazione eucaristica al “Reduit Park” di Castries, dove ho ricordato che la fede è un dono prezioso, che ha plasmato la cultura e la storia di quell’isola. Ho poi incontrato nella cattedrale i malati, gli handicappati e gli anziani, portando loro una parola di conforto. A tutti rinnovo l’esortazione alla fervorosa perseveranza nella fede cristiana con la coerenza della vita e l’impegno nella carità.

Desidero ringraziare il governatore generale, sir Allen Montgomery Lewis, il vescovo di Castries, mons. Kelvin Edward Felix, tutte le autorità civili e religiose e la cara popolazione, così profondamente cristiana.

11. Al termine di questo impegnativo viaggio apostolico, desidero ringraziare di cuore anche tutti coloro che con viva fede hanno pregato e mi hanno accompagnato con il loro affetto. Ho compiuto, in nome di Dio, un servizio ecclesiale. A tutti i ceti di persone ho spiegato la parola di Cristo, che illumina e salva; a tutti, umili e grandi, poveri e ricchi, sani e malati, piccoli e adulti ho lasciato un messaggio di amore e di incoraggiamento. Per tutti ho invocato giustizia, concordia e un ordinato progresso.

Auguro di cuore alle moltitudini della Colombia e anche ai cari fedeli di Saint Lucia la pace di Cristo, in una fede sempre più ardente e fervorosa, in una carità sempre più dinamica e impegnata, in una fraternità sempre più sensibile e cordiale!

Ai giovani

Desidero rivolgere il mio saluto ai giovani che, da soli o in gruppi di amici, trascorrono a Roma alcuni giorni delle loro vacanze.

Carissimi, questi giorni dell’estate, devono essere per voi un tempo particolarmente propizio per un giusto riposo e per sane esperienze di vita, affinché possiate ritemprare le forze del corpo e, nello stesso tempo, abbiate l’opportunità di riscoprire quei valori e quegli ideali che rendono spiritualmente bella e proficua la meravigliosa avventura della vostra giovinezza.

Agli ammalati

Agli ammalati qui convenuti intendo rivolgere il mio particolare pensiero.

Carissimi, in queste settimane, forse più che in ogni altro periodo dell’anno, voi sperimentate, nel confronto con chi gode il dono della salute, la sofferenza che deriva dalla malattia e dal limite fisico. In una serena visione di fede sappiate andare alla ricerca di ciò che veramente vale nella vita e, animati dalla Grazia di Dio, date il vostro fecondo contributo all’affermarsi di tali valori negli ambienti in cui vivete e tra le persone che incontrate.

Agli sposi novelli

Saluto ora gli sposi novelli, che a Roma, sulle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, hanno iniziato il cammino della loro vita matrimoniale.

Carissimi, sappiate accogliere nelle vostre incipienti famiglie, la presenza della Madonna che oggi veneriamo con il titolo del “Carmine” e, lasciandovi guidare da quello spirito materno con cui Essa ha vissuto nella Famiglia di Nazareth, sappiate aiutarvi a vicenda a crescere nell’amore, nella fede e nella speranza, per il bene vostro e dei figli che il Signore vi donerà.



Mercoledì, 23 luglio 1986

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1. Proseguiamo oggi la nostra catechesi sugli angeli la cui esistenza, voluta da un atto dell’amore eterno di Dio, professiamo con le parole del simbolo niceno-costantinopolitano: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”.

Nella perfezione della loro natura spirituale gli angeli sono chiamati fin dall’inizio, in virtù della loro intelligenza, a conoscere la verità e ad amare il bene che conoscono nella verità in modo molto più pieno e perfetto di quanto non sia possibile all’uomo. Questo amore è l’atto di una volontà libera, per cui anche per gli angeli la libertà significa possibilità di operare una scelta a favore o contro il Bene che essi conoscono, cioè Dio stesso. Bisogna qui ripetere ciò che già abbiamo ricordato a suo tempo a proposito dell’uomo: creando gli esseri liberi, Dio volle che nel mondo si realizzasse quell’amore vero che è possibile solamente sulla base della libertà. Egli volle dunque che la creatura, costituita a immagine e somiglianza del suo Creatore, potesse nel modo più pieno possibile rendersi simile a lui, Dio, che “è amore” (
1Jn 4,16). Creando gli spiriti puri come esseri liberi, Dio nella sua Provvidenza non poteva non prevedere anche la possibilità del peccato degli angeli. Ma proprio perché la Provvidenza è eterna sapienza che ama, Dio avrebbe saputo trarre dalla storia di questo peccato, incomparabilmente più radicale in quanto peccato di uno spirito puro, il definitivo bene di tutto il cosmo creato.

2. Di fatto, come dice chiaramente la rivelazione, il mondo degli spiriti puri appare diviso in buoni e cattivi. Ebbene, questa divisione non si è operata per creazione di Dio, ma in base alla libertà propria della natura spirituale di ciascuno di essi. Si è operata mediante la scelta che per gli esseri puramente spirituali possiede un carattere incomparabilmente più radicale di quella dell’uomo ed è irreversibile dato il grado di intuitività e di penetrazione del bene di cui è dotata la loro intelligenza. A questo riguardo si deve dire anche che gli spiriti puri sono stati sottoposti a una prova di carattere morale. Fu una scelta decisiva riguardante prima di tutto Dio stesso, un Dio conosciuto in modo più essenziale e diretto di quanto è possibile all’uomo, un Dio che a questi esseri spirituali aveva fatto dono, prima che all’uomo, di partecipare alla sua natura divina.

3. Nel caso dei puri spiriti la scelta decisiva riguardava prima di tutto Dio stesso, primo e supremo Bene, accettato o respinto in modo più essenziale e diretto di quanto possa avvenire nel raggio d’azione della libera volontà dell’uomo. Gli spiriti puri hanno una conoscenza di Dio incomparabilmente più perfetta dell’uomo, perché con la potenza del loro intelletto, non condizionato né limitato dalla mediazione della conoscenza sensibile, vedono fino in fondo la grandezza dell’Essere infinito, della prima Verità, del sommo Bene. A questa sublime capacità di conoscenza degli spiriti puri Dio offrì il mistero della sua divinità, rendendoli così partecipi, mediante la grazia, della sua infinita gloria. Proprio perché esseri di natura spirituale, vi era nel loro intelletto la capacità, il desiderio di questa elevazione soprannaturale a cui Dio li aveva chiamati, per fare di essi, ben prima dell’uomo, dei “consorti della natura divina” (cfr 2P 1,4), partecipi della vita intima di Colui che è Padre, Figlio e Spirito Santo, di Colui che nella comunione delle tre divine Persone “è Amore” (1Jn 4,16). Dio aveva ammesso tutti gli spiriti puri, prima e più dell’uomo, all’eterna comunione dell’amore.

4. La scelta operata sulla base della verità su Dio, conosciuta in forma superiore in base alla lucidità delle loro intelligenze, ha diviso anche il mondo dei puri spiriti in buoni e cattivi. I buoni hanno scelto Dio come Bene supremo e definitivo, conosciuto alla luce dell’intelletto illuminato dalla rivelazione. Avere scelto Dio significa che si sono rivolti a lui con tutta la forza interiore della loro libertà, forza che è amore. Dio è divenuto il totale e definitivo scopo della loro esistenza spirituale. Gli altri invece hanno voltato le spalle a Dio contro la verità della conoscenza che indicava in lui il bene totale e definitivo. Hanno scelto contro la rivelazione del mistero di Dio, contro la sua grazia che li rendeva partecipi della Trinità e dell’eterna amicizia con Dio nella comunione con lui mediante l’amore.

In base alla loro libertà creata hanno operato una scelta radicale e irreversibile al pari di quella degli angeli buoni, ma diametralmente opposta: invece di un’accettazione di Dio piena di amore, gli hanno opposto un rifiuto ispirato da un falso senso di autosufficienza, di avversione e persino di odio che si è tramutato in ribellione.

5. Come comprendere una tale opposizione e ribellione a Dio in esseri dotati di così viva intelligenza e arricchiti di tanta luce? Quale può essere il motivo di tale radicale e irreversibile scelta contro Dio? Di un odio tanto profondo da poter apparire unicamente frutto di follia? I Padri della Chiesa e i teologi non esitano a parlare di “accecamento” prodotto dalla sopravvalutazione della perfezione del proprio essere, spinta fino al punto di velare la supremazia di Dio, che esigeva invece un atto di docile e obbediente sottomissione. Tutto ciò sembra espresso in modo conciso nelle parole: “Non ti servirò!” (Jr 2,20), che manifestano il radicale e irreversibile rifiuto di prendere parte all’edificazione del regno di Dio nel mondo creato. “Satana” lo spirito ribelle, vuole il proprio regno, non quello di Dio, e si erge a primo “avversario” del Creatore, a oppositore della Provvidenza, ad antagonista della sapienza amorevole di Dio. Dalla ribellione e dal peccato di Satana, come anche da quello dell’uomo, dobbiamo concludere accogliendo la saggia esperienza della Scrittura che afferma: “L’orgoglio è causa di rovina” (Tb 4,13).

Ai pellegrini francesi

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Ai visitatori di espressione inglese

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Ai gruppi tedeschi

Ad alcuni gruppi di pellegrini di lingua spagnola

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Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Rivolgo ora un saluto cordiale a tutti i pellegrini di lingua italiana.

Un pensiero particolare va anzitutto ai due gruppi di emigrati italiani in Argentina e in Gran Bretagna, che prendono parte a questa Udienza. Vi ringrazio per la vostra presenza e vi auguro che questi giorni che trascorrerete nella madre patria siano per voi come un ritorno alle sorgenti e vi servano per attingere alle tradizioni di fede, di storia e di arte, di cui è ricca l’Italia, nuova lena e nuovo vigore spirituale.

Vi accompagni la mia Benedizione.
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Saluto pure i giovani militari, qui venuti insieme con i loro Ufficiali e Cappellani, in rappresentanza delle Caserme romane “Caso Pretorio” e “Romagnoli”.

Vi accolgo volentieri, carissimi giovani, e vi esprimo l’augurio che il tempo del servizio militare vi sia utile per completare la formazione della vostra personalità e per prepararvi alle vostre future responsabilità nella vita sociale e in seno alle famiglie che vi formerete.

Il Signore vi benedica e vi assista sempre.

Ai giovani

Ora il mio saluto ai giovani venuti a questa Udienza.

Carissimi, in questi giorni in cui le vacanze vi offrono più tempo libero, desidero esortarvi a dedicare conveniente spazio alla preghiera. Tutto ciò che nel corso dei mesi precedenti vi ha tenuto impegnati, quanto di nuovo andate scoprendo a contatto con realtà e modi di vita diversi, intuizioni, domande e progetti che affiorano al vostro spirito: tutto vogliate valutare di fronte al Signore, con una preghiera calma e attenta. La luce della sua verità si farà strada in voi e vi sentirete più pronti e generosi a seguirlo in quanto vi chiederà.

Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Agli ammalati presenti, il mio speciale saluto.

Carissimi, in ciascuno di voi vedo riflesso il volto sofferente del Figlio di Dio. Vi sia di conforto questa verità che vi rende immagine della passione di Cristo e richiamo di solidarietà per i fratelli. Con la sopportazione delle pene fisiche e morali, nel nome e per amore del Signore, voi diventate una eloquente lezione di vita che, se fa constatare la debolezza della condizione umana, rivela anche che il Signore è l’unico amico e sostegno, donando le grazie necessarie nelle situazioni più delicate. Siete i più vicini al mio cuore ed una mirabile forza per la santità della Chiesa.

Con la mia Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Un benvenuto e l’augurio cordiale agli sposi novelli.

Carissimi, avete voluto consacrare il vostro amore davanti al ministro della Chiesa, come prova che voi riconoscete nel Signore il vero vincolo della vostra unione. Vi invito a restare fedeli a questo patto: scoprirete a quale grande compito Egli vi ha destinati facendo di voi un segno del suo amore per l’umanità, e sperimenterete quanti frutti di bene matureranno nella vostra famiglia. Siate sempre felici come in questi giorni, e con tale auspicio vi accompagni la mia Apostolica Benedizione.



Catechesi 79-2005 25686