Catechesi 79-2005 10986

Mercoledì, 10 settembre 1986

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1. Nel contesto della creazione e dell’elargizione dei doni, con cui Dio costituisce l’uomo nello stato di santità e di giustizia originale la descrizione del primo peccato, che troviamo nel terzo capitolo della Genesi, acquista maggiore chiarezza. È ovvio che questa descrizione, che fa perno sulla trasgressione del divieto divino di mangiare “i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male”, va interpretata tenendo conto del carattere del testo antico e specialmente del genere letterario a cui esso appartiene. Ma pur avendo presente questa esigenza scientifica nello studio del primo libro della Sacra Scrittura, non si può negare che un primo elemento sicuro balza agli occhi dalla specificità di quella narrazione del peccato: ed è che si tratta di un evento primordiale, cioè di un fatto, che, secondo la rivelazione, ebbe luogo all’inizio della storia dell’uomo. Proprio per questo esso presenta anche un altro elemento certo: cioè il senso fondamentale e decisivo di quell’evento per i rapporti tra l’uomo e Dio, e di conseguenza per la “situazione” interiore dell’uomo stesso, per le reciproche relazioni tra gli uomini, e in generale per il rapporto dell’uomo col mondo.

2. Il fatto che veramente conta sotto le forme descrittive, è di natura morale e s’iscrive nelle radici stesse dello spirito umano. Esso dà luogo a un fondamentale mutamento della “situazione”: l’uomo viene spinto fuori dallo stato di giustizia originale, per trovarsi nello stato di peccaminosità (status naturae lapsae): uno stato che ha in sé il peccato e conosce la spinta verso il peccato. Da quel momento tutta la storia dell’umanità sarà gravata da questo stato. Infatti il primo essere umano (uomo e donna) ha ricevuto da Dio la grazia santificante non solo per se stesso, ma, in quanto capostipite dell’umanità, per tutti i suoi discendenti. Dunque col peccato che l’ha messo in conflitto con Dio, ha perso la grazia (è caduto in disgrazia) anche nella prospettiva dell’eredità per i suoi discendenti. In questa privazione della grazia aggiunta alla natura è l’essenza del peccato originale come retaggio dei progenitori, secondo l’insegnamento della Chiesa basato sulla rivelazione.

3. Capiremo meglio il carattere di questo retaggio con un’analisi del racconto che il terzo capitolo della Genesi fa del primo peccato. Esso comincia dal colloquio che il tentatore, presentato sotto forma di serpente, ha con la donna. Questo momento è del tutto nuovo. Finora il Libro della Genesi non aveva parlato dell’esistenza nel mondo creato di altri esseri intelligenti e liberi, al di fuori dell’uomo e della donna.

La descrizione della creazione nei capitoli 1 e 2 della Genesi concerne, infatti, il mondo degli “esseri visibili”. Il tentatore appartiene al mondo degli “esseri invisibili”, puramente spirituali, anche se per la durata di questo colloquio è presentato dalla Bibbia sotto una forma visibile. Bisogna considerare questa prima comparsa dello spirito maligno in una pagina biblica, nel contesto di tutto ciò che troviamo su questo tema nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento (lo abbiamo già fatto nelle catechesi precedenti). Particolarmente eloquente è il Libro dell’Apocalisse (l’ultimo della Sacra Scrittura) secondo il quale viene precipitato sulla terra “il grande drago, il serpente antico (qui c’è un’esplicita allusione a
Gn 3), colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra” (Ap 12,9). Per il fatto che “seduce tutta la terra” è stato anche chiamato altrove “padre della menzogna” (Jn 8,44).

4. Il peccato umano dell’inizio, il peccato primordiale, di cui leggiamo in Gen 3, avviene sotto l’influsso di questo essere. Il “serpente antico” provoca la donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”. Quella risponde: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete! Ma il serpente disse alla donna: Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gn 3,1-5).

5. Non è difficile scorgere in questo testo i problemi essenziali della vita dell’uomo celati in un contenuto apparentemente tanto semplice. Il mangiare o non mangiare il frutto di un certo albero può sembrare in se stesso una questione irrilevante. Tuttavia l’albero “della conoscenza del bene e del male” denota il primo principio della vita umana, a cui si allaccia un problema fondamentale. Il tentatore lo sa benissimo se dice: “Quando voi ne mangiaste . . . diventereste come Dio conoscendo il bene e il male”. L’albero dunque significa il limite invalicabile per l’uomo e per qualsiasi creatura, fosse anche la più perfetta. La creatura infatti è sempre soltanto una creatura, e non Dio. Non può certo pretendere di essere “come Dio”, di “conoscere il bene e il male” come Dio. Dio solo è la Fonte di ogni essere, Dio solo è la Verità e Bontà assolute, a cui si commisura e da cui riceve distinzione ciò che è bene e ciò che è male. Dio solo è il Legislatore eterno, dal quale deriva ogni legge nel mondo creato, e in particolare la legge della natura umana (“lex naturae”). L’uomo, in quanto creatura razionale, conosce questa legge e deve da essa lasciarsi guidare nella propria condotta. Non può pretendere di stabilire egli stesso la legge morale, decidere egli stesso ciò che è bene e ciò che è male, indipendentemente dal Creatore, anzi contro il Creatore. Non può, né l’uomo né alcuna creatura, mettersi al posto di Dio, attribuendosi la padronanza dell’ordine morale, contro la stessa costituzione ontologica della creazione, che si riflette nella sfera psicologico-etica con gli imperativi fondamentali della coscienza e quindi della condotta umana.

6. Nel racconto della Genesi, sotto il velo di una trama apparentemente irrilevante, si trova dunque il problema fondamentale dell’uomo, legato alla sua stessa condizione di creatura: l’uomo come essere razionale deve lasciarsi guidare dalla “Verità prima”, che è del resto la verità della sua stessa esistenza. L’uomo non può pretendere di sostituirsi a questa verità o di mettersi alla pari con essa. Se questo principio viene messo in dubbio, viene pure scosso, alle radici dell’agire umano, il fondamento della “giustizia” della creatura nei riguardi del Creatore. E di fatto il tentatore, “padre della menzogna”, insinuando il dubbio sulla verità del rapporto con Dio, mette in questione lo stato di giustizia originale. E l’uomo, cedendo al tentatore, commette un peccato personale e determina nella natura umana lo stato di peccato originale.

7. Come appare dal racconto biblico, il peccato umano non ha la sua prima origine nel cuore (e nella coscienza) dell’uomo, non germina da una sua spontanea iniziativa. Esso è in certo senso il riflesso e la conseguenza del peccato avvenuto già prima nel mondo degli esseri invisibili. A questo mondo appartiene il tentatore, “il serpente antico”. Già prima (“in antico”) questi esseri dotati di consapevolezza e di libertà, erano stati “provati” perché facessero la loro scelta a misura della loro natura puramente spirituale. In essi era sorto il “dubbio” che, come dice il terzo capitolo della Genesi, il tentatore insinua nei progenitori. Già prima essi avevano posto in stato di sospetto e di accusa Dio che, come Creatore, è l’unica fonte di elargizione del bene a tutte le creature, e specialmente alle creature spirituali. Avevano contestato la verità dell’esistenza, che esige la subordinazione totale della creatura al Creatore. Questa verità era stata soppiantata da una superbia originaria, che li aveva portati a fare del loro stesso spirito il principio e la regola della libertà. Essi per primi avevano preteso di potere “come Dio conoscere il bene e il male”, e avevano scelto se stessi contro Dio, invece di scegliere se stessi “in Dio”, secondo le esigenze del loro essere creature: perché “chi come Dio”? E l’uomo, cedendo alla suggestione del tentatore, diventò succube e complice degli spiriti ribelli!

8. Le parole che, secondo Gen 3, il primo uomo ode accanto all’“albero della conoscenza del bene e del male” nascondono in sé tutta la carica del male che può nascere nella libera volontà della creatura nei riguardi di colui che, come Creatore, è la fonte di ogni essere e di ogni bene: lui che, essendo un Amore assolutamente disinteressato e autenticamente paterno, è nella sua stessa essenza Volontà di donare! Proprio questo Amore che dona si imbatte nell’obiezione, nella contraddizione, nel rifiuto. La creatura che vuole essere “come Dio”, concretizza l’atteggiamento espresso molto a proposito da sant’Agostino: “amore di sé fino al disprezzo di Dio” (De Civitate Dei, XIV, 28: PL 41, 436). Questa forse è la precisazione più penetrante che si possa fare del concetto di quel peccato che, all’inizio della storia, avvenne per il cedimento dell’uomo alla suggestione del tentatore: “Contemptus Dei”, il rifiuto di Dio, il disprezzo di Dio, l’odio di tutto ciò che sa di Dio o che viene da Dio.

Purtroppo non è un fatto isolato in quegli albori della storia. Quante volte ci si trova di fronte a fatti, a gesti, a parole, a condizioni di vita in cui traspare l’eredità di quel primo peccato! La Genesi mette quel peccato in relazione con satana: e tale verità sul “serpente antico” viene poi confermata in molti altri passi della Bibbia.

9. Come si presenta su questo sfondo il peccato dell’uomo? Leggiamo ancora in Gen 3: “Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò” (Gn 3,6).

Che cosa mette in evidenza questa descrizione a suo modo molto precisa? Essa attesta che il primo uomo ha agito contro la volontà del Creatore, soggiogato dall’assicurazione del tentatore che “i frutti di questo albero servono ad acquisire la conoscenza”. Non risulta che l’uomo abbia accettato pienamente la carica di negazione e di odio verso Dio, contenuta nelle parole del “padre della menzogna”. Ha accettato invece il suggerimento di servirsi di una cosa creata contro il divieto del Creatore, pensando che anch’egli - l’uomo - può “come Dio conoscere il bene e il male”.

Secondo san Paolo, il primo peccato dell’uomo consiste soprattutto nella disobbedienza a Dio (cf. Rm 5,19). L’analisi di Gen 3 e la riflessione su questo testo stupendamente profondo dimostrano in quale modo quella “disobbedienza” possa formarsi e verso quale direzione possa svilupparsi nella volontà dell’uomo. Si può dire che il peccato “dell’inizio” descritto in Gen 3 in un certo senso contiene in sé il “modello” originario di ogni peccato, di cui è capace l’uomo.

Ad alcuni gruppi di fedeli italiani

Saluto tutti i pellegrini italiani, rivolgendo un particolare pensiero ai sacerdoti, suore e fratelli laici della Famiglia Salesiana.

Carissimi, di cuore auguro che il tempo che trascorrerete a Roma sia, per ciascuno di voi, un periodo proficuo per quell’arricchimento spirituale e per quell’approfondimento culturale, che certamente daranno una crescente fecondità al vostro impegno di apostolato e al vostro servizio ecclesiale nelle varie parti del mondo.

Su tutti scendano copiosi i doni dello Spirito, di cui vuol essere auspicio la mia Benedizione.

Ai giovani

Saluto tutti i giovani qui presenti rivolgendo loro una parola d’incoraggiamento per l’ormai vicino inizio dell’anno scolastico. Vi attende un’attività di studio, a volte faticosa, ma che dovete considerare necessaria per la vostra preparazione ai compiti di domani. Possa il vostro impegno di studio aprirvi a quella sapienza, che è dono di Dio, perché essa illumini e guidi i vostri passi sulla via del bene. Invoco su di voi la costante assistenza del Signore e la materna protezione della Vergine Santa, mentre vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

A voi, carissimi infermi, va ora il mio cordiale saluto. Voi siete particolarmente cari al Signore, il quale vi consola con il suo amore e con la sua grazia. Mentre partecipo ai vostri dolori, vi esorto a dare pieno significato alle vostre pene accettandole con docilità al divino volere. Così disponibili nelle mani di Dio salverete la vostra anima e sarete lievito di salvezza per tutta l’umanità. Benedicendovi con grande affetto estendo la mia Benedizione ai vostri cari ed a quanti in qualsiasi modo, vi sono di aiuto.

Agli sposi novelli

Nel dare a voi, carissimi sposi, il mio cordiale benvenuto, vi ricordo che la vostra vocazione cristiana è stata ora arricchita e rafforzata dalla grazia del sacramento nuziale. Siatene sempre degni mediante il vostro vicendevole amore e la costante dedizione, siate i testimoni dell’amore di Dio, ed i suoi intermediari nel comunicare agli altri la vostra esperienza nel vivere il progetto di Dio sul matrimonio.

Vi accompagno con la mia Benedizione Apostolica, estensibile ai vostri rispettivi familiari.




Mercoledì, 24 settembre 1986

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1. Grazie alle catechesi già svolte nell’ambito del ciclo attuale, abbiamo davanti agli occhi, da un lato, l’analisi del primo peccato nella storia dell’uomo, secondo la descrizione contenuta in Gen 3; dall’altro, l’ampia immagine di ciò che la rivelazione divina insegna sul tema dell’universalità e del carattere ereditario del peccato. Questa verità è costantemente riproposta dal magistero della Chiesa, anche nella nostra epoca. Il riferimento d’obbligo è ai documenti del Vaticano II, specialmente alla costituzione Gaudium et Spes, non senza una speciale menzione dell’esortazione post-sinodale Reconciliatio et Paenitentia (1984).

2. Fonte di questo magistero è anzitutto il passo del Libro della Genesi, nel quale vediamo che l’uomo, tentato dal Maligno (“Quando voi ne mangiaste, diventereste come Dio,conoscendo il bene e il male”:
Gn 3,5, “abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” (Gaudium et Spes GS 13). Ed ecco: “si aprirono gli occhi” di ambedue (cioè dell’uomo e della donna) “. . . e si accorsero di essere nudi”. E quando il Signore Dio “chiamò l’uomo” e gli disse: “Dove sei?”, rispose: “ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gn 3,7-10). Una risposta molto significativa. L’uomo che prima (in stato di giustizia originale) si intratteneva amichevolmente e fiduciosamente con il Creatore in tutta la verità del suo essere spirituale-corporeo, creato a immagine di Dio, ora ha perso il fondamento di quella amicizia e alleanza. Ha perso la grazia della partecipazione alla vita di Dio: il bene dell’appartenenza a lui nella santità del rapporto originale di subordinazione e di figliolanza. Il peccato invece ha fatto sentire immediatamente la sua presenza nell’esistenza e in tutto il comportamento dell’uomo e della donna: vergogna della propria trasgressione e della conseguente condizione di peccatori e quindi paura di Dio. rivelazione e analisi psicologica sono associate in questa pagina biblica per esprimere lo “stato” dell’uomo dopo la caduta.

3. Abbiamo visto che un’altra verità emerge dai Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una sorta di “invasione” del peccato nella storia dell’umanità? Il peccato è diventato la sorte comune dell’uomo, la sua eredità “sin dal seno materno”. “Nel peccato mi ha concepito mia madre” - esclama il salmista in un momento di angoscia esistenziale, in cui s’innesta il pentimento e l’invocazione della misericordia divina (Ps 50). A sua volta san Paolo, che spesso fa riferimento a questa stessa angosciante esperienza, come abbiamo visto nella catechesi precedente, nella Lettera ai Romani, dà una formulazione teoretica di questa verità: “Tutti sono sotto il dominio del peccato” (Rm 3,9). “Sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio” (Rm 3,19). “Eravamo per natura meritevoli d’ira” (Ep 2,3). Sono tutte allusioni alla natura umana lasciata a se stessa, senza l’aiuto della grazia, commentano i biblisti; alla natura com’è stata ridotta dal peccato dei progenitori, e dunque alla condizione di tutti i loro discendenti ed eredi.

4. I testi biblici sulla universalità e sul carattere ereditario del peccato, quasi “congenito” alla natura nello stato in cui ogni uomo la riceve nello stesso concepimento ad opera dei genitori, ci introducono all’esame più diretto dell’insegnamento cattolico sul peccato originale.

Si tratta di una verità trasmessa implicitamente nell’insegnamento della Chiesa sin dall’inizio, e divenuta formale dichiarazione del magistero nel Sinodo XV di Cartagine del 418 e nel Sinodo di Orange del 529, principalmente contro gli errori di Pelagio (cfr DS 222-223 DS 371-372). In seguito, nel periodo della Riforma tale verità è stata formulata solennemente al Concilio di Trento, nel 1546 (cfr DS 1510-1516). Il decreto tridentino sul peccato originale esprime questa verità nella forma precisa in cui essa è oggetto della fede e dell’insegnamento della Chiesa. Possiamo dunque riferirci a questo decreto per trarne i contenuti essenziali del dogma cattolico su questo punto.

5. I nostri progenitori (il decreto dice: “Primum hominem Adam”) nel paradiso terrestre (e dunque nello stato di giustizia e perfezione originali) hanno peccato gravemente, trasgredendo il comandamento di Dio. A causa del loro peccato essi hanno perduto la grazia santificante, hanno dunque perduto anche la santità e la giustizia, nella quale erano “costituiti” sin dall’inizio, attirando su di sé l’ira di Dio. La conseguenza di questo peccato è stata la morte come noi la sperimentiamo. Bisogna qui ricordare le parole del Signore in (): “Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. Sul senso di questo divieto ci si è intrattenuti nelle catechesi precedenti. In conseguenza del peccato satana è riuscito ad estendere sull’uomo il proprio “dominio”. Il decreto tridentino parla di “schiavitù sotto il dominio di colui che ha il potere della morte” (cfr DS 1511). Così dunque l’essere sotto il dominio di satana viene descritto come “schiavitù”.

Occorrerà tornare su questo aspetto del dramma delle origini per esaminare gli elementi di “alienazione” che il peccato ha portato con sé. Rileviamo intanto che il decreto tridentino si riferisce al “peccato di Adamo” in quanto peccato proprio e personale dei progenitori (quello che i teologi chiamano “peccatum originale originans”), ma non tralascia di descrivere le nefaste conseguenze che esso ha avuto nella storia dell’uomo (il cosiddetto “peccatum originale originatum”). È soprattutto nei confronti del peccato originale in questo secondo senso che la cultura moderna solleva forti riserve. Essa non riesce ad ammettere l’idea di un peccato ereditario, connesso cioè con la decisione di un “capostipite” e non con quella del soggetto interessato. Ritiene che una simile concezione contrasti con la visione personalistica dell’uomo e con le esigenze che derivano dal pieno rispetto della sua soggettività.

E tuttavia l’insegnamento della Chiesa sul peccato originale può rivelarsi estremamente prezioso anche per l’uomo d’oggi, il quale, avendo rifiutato il dato della fede in questa materia, non riesce più a darsi ragione dei risvolti misteriosi e angoscianti del male, di cui fa quotidiana esperienza, e finisce per oscillare tra un ottimismo sbrigativo e irresponsabile e un radicale e disperato pessimismo.

Nella prossima catechesi intendiamo soffermarci a riflettere sul messaggio che la fede ci offre su di un tema tanto importante per il singolo uomo e per l’intera umanità.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

* * *


Ad un gruppo di giovani dell’Università “Sophia” di Tokyo

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi studenti dell’Università “Sophia”, di Tokyo, è ancora nella mia memoria la visita da me compiuta alla vostra Università, e più volte mi ricordo di voi nella preghiera.

Questo nostro incontro qui in Vaticano sia di stimolo per la vostra vita e vi dia conforto.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai numerosi pellegrini spagnoli

Ai connazionali polacchi

Ai gruppi italiani

Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti i pellegrini - singoli o in gruppi - venuti in pellegrinaggio a Roma, e formo voti perché l’esperienza della visita alle Basiliche e alle Tombe dei Martiri e dei Santi rafforzi la loro fede cristiana.

In particolare, il mio affettuoso pensiero si rivolge ai Rappresentanti dei Sordomuti della Provincia di Caserta. A voi, carissimi, va la mia sincera simpatia e l’augurio che il Signore vi conceda le sue grazie perché possiate dare una fervida e serena testimonianza di vita cristiana, animata dalla carità verso Dio e verso il prossimo.

A voi tutti, ai vostri familiari ed alle persone care la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Cari giovani, la vostra presenza è sempre motivo di gioia per il vostro entusiasmo e per la spontaneità che vi è propria. Il nuovo anno scolastico vi offre la possibilità di una crescita umana e spirituale che dovete cercare di realizzare nel migliore dei modi. Vi esorto ad impegnarvi generosamente e vi auguro un anno scolastico che sia proficuo per voi e per l’intera società. Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Il mio saluto ora è rivolto a voi, carissimi fratelli ammalati, che siete sempre tanto vicini al mio cuore.

Voi state sperimentando che la sofferenza aiuta a comprendere gli autentici valori umani e cristiani, fa apprezzare soprattutto la ricchezza dell’amore e della pace, che sono sorgenti di serenità, anche nei momenti di prova. Nella vostra malattia abbiate la gioia di testimoniare il valore dell’amore, della serenità e della pace. Vi sia di conforto la mia Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

Infine rivolgo il mio saluto a voi sposi novelli.

Vi auguro di essere sempre testimoni dell’amore di Dio e del vostro amore. Quella che avete fatta in Chiesa è una promessa solenne che dovete mantenere giorno dopo giorno, è un patto che va rinnovato in continuazione. Il vostro amore è un bene che va difeso con tutte le precauzioni perché è esposto a pericoli. Custoditelo con la buona volontà e con l’aiuto della grazia divina. Nelle vostre famiglie ci sia la preghiera, essa è garanzia dell’unità familiare e la prima condizione per adempiere con gioia i doveri che Cristo e la Chiesa pongono dinanzi agli sposi cristiani. Nel nuovo cammino vi accompagni la mia Benedizione.

Un appello affinché le “Autorità coinvolte” consentano il passaggio degli aiuti alimentari destinati alla regione meridionale del Sudan, dove circa due milioni di persone vivono in condizioni assolutamente indigenti e sono bisognose di ogni genere di soccorso, è lanciato questa mattina dal Santo Padre al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro. Queste le parole del Papa.

Desidero richiamare l’attenzione vostra e di quanti mi ascoltano sulla tragica situazione in cui versano circa due milioni di persone nella regione meridionale del Sudan. Quei nostri fratelli corrono il pericolo di morire di fame, se non giungeranno loro, nel più breve tempo possibile, soccorsi di cibo e altri aiuti. Si ha notizia che vari Paesi hanno risposto generosamente all’invito di Organizzazioni internazionali di aiuto, e in particolare del “Programma Alimentare Mondiale” delle Nazioni Unite, mettendo a disposizione derrate alimentari e altri aiuti di emergenza. Rivolgo volentieri un appello ai governi interessati e a tutte le autorità coinvolte, perché vogliano permettere il libero passaggio degli aiuti di emergenza destinati alle persone bisognose del territorio meridionale del Sudan. Sono certo che di fronte ai bisogni elementari della vita di tanti esseri umani prevarrà in tutti il sentimento della solidarietà fraterna, che deve superare ogni altro motivo o interesse di parte.





Mercoledì, 1° ottobre 1986

11086

1. Il Concilio di Trento ha formulato in un testo solenne la fede della Chiesa circa il peccato originale. Nella precedente catechesi abbiamo considerato l’insegnamento conciliare relativo al peccato personale dei progenitori. Ora vogliamo riflettere su quanto il Concilio dice circa le conseguenze che quel peccato ha avuto per l’umanità. Al riguardo, il testo del decreto tridentino fa una prima affermazione:

2. Il peccato di Adamo è passato in tutti i suoi discendenti, cioè in tutti gli uomini in quanto provenienti dai progenitori, e loro eredi nella natura umana, ormai privata dell’amicizia con Dio.

Il decreto tridentino (cfr
DS 1512) lo afferma esplicitamente: il peccato di Adamo ha recato danno non solo a lui, ma a tutta la sua discendenza. La santità e la giustizia originali, frutto della grazia santificante, non sono state perse da Adamo solo per sé, ma anche “per noi” (“nobis etiam”). Perciò egli ha trasmesso a tutto il genere umano non solo la morte corporale e altre pene (conseguenze del peccato), ma anche il peccato stesso come morte dell’anima (“Peccatum, quod mors est animae”).

3. Qui il Concilio di Trento ricorre a un’osservazione di san Paolo nella Lettera ai Romani, alla quale faceva riferimento già il Sinodo di Cartagine, riprendendo peraltro un insegnamento ormai diffuso nella Chiesa. Nella traduzione odierna il testo paolino suona così: “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rm 5,12). Nell’originale greco si legge: “eph’o pantes emarton”, espressione che nell’antica Volgata latina era tradotta: “in quo omnes peccaverunt”, “nel quale (unico uomo) tutti hanno peccato”; tuttavia i greci, sin dall’inizio, intendevano chiaramente ciò che la Volgata traduce “in quo” come un “perché” o “in quanto”, senso ormai accolto comunemente dalle traduzioni moderne. Tuttavia questa diversità di interpretazioni dell’espressione non muta la verità di fondo contenuta nel testo di san Paolo, che cioè il peccato di Adamo (dei progenitori) ha avuto conseguenze per tutti gli uomini. Del resto nello stesso capitolo della Lettera ai Romani l’Apostolo scrive: “per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori”. E nel versetto precedente: “per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna” (Rm 5,19 Rm 5,18). San Paolo connette dunque la situazione di peccato di tutta l’umanità con la colpa di Adamo.

4. Le affermazioni di san Paolo, or ora citate e alle quali si è richiamato il magistero della Chiesa, illuminano dunque la nostra fede sulle conseguenze che il peccato di Adamo ha per tutti gli uomini. Da questo insegnamento saranno sempre orientati gli esegeti e i teologi cattolici per valutare, con la sapienza della fede, le spiegazioni che la scienza offre sulle origini dell’umanità.

In particolare si manifestano valide e stimolatrici di ulteriori ricerche a questo riguardo le parole rivolte dal Papa Paolo VI a un simposio di teologi e scienziati: “È evidente che vi sembreranno inconciliabili con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni che del peccato originale danno alcuni autori moderni, i quali, partendo dal presupposto, che non è stato dimostrato, del poligenismo, negano, più o meno chiaramente, che il peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali nell’umanità, sia stato anzitutto la disobbedienza di Adamo "primo uomo", figura di quello futuro, commessa all’inizio della storia”. (Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 366)

5. Un’altra affermazione è contenuta nel decreto tridentino: il peccato di Adamo passa in tutti i discendenti, a causa della loro origine da lui, e non solo del cattivo esempio. Il decreto afferma: “Questo peccato di Adamo, che per origine è unico e trasmesso per propagazione non per imitazione, è presente in tutti come proprio di ciascuno” (DS 1513). Dunque il peccato originale viene trasmesso per via di generazione naturale. Questa convinzione della Chiesa è indicata anche dalla pratica del battesimo ai neonati, alla quale si richiama il decreto conciliare. I neonati, incapaci di commettere un peccato personale, tuttavia ricevono, secondo la secolare tradizione della Chiesa, il battesimo poco dopo la nascita in remissione dei peccati. Il decreto dice: “sono veracemente battezzati per la remissione dei peccati, affinché sia mondato nella rigenerazione ciò che hanno contratto nella generazione” (DS 1514).

In questo contesto appare chiaro che il peccato originale in nessun discendente di Adamo possiede il carattere di colpa personale. Esso è la privazione della grazia santificante in una natura che, per colpa dei progenitori, è stata distorta dal suo fine soprannaturale. È un “peccato della natura”, rapportabile solo analogicamente al “peccato della persona”. Nello stato di giustizia originale, prima del peccato, la grazia santificante era come la “dote” soprannaturale della natura umana. Nella “logica” interiore del peccato, che è rifiuto della volontà di Dio, datore di questo dono, è contenuta la perdita di esso. La grazia santificante ha cessato di costituire l’arricchimento soprannaturale di quella natura, che i progenitori trasmisero a tutti i loro discendenti nello stato in cui si trovava quando diedero inizio alle generazioni umane. Perciò l’uomo viene concepito e nasce senza la grazia santificante. Proprio questo “stato iniziale” dell’uomo, legato alla sua origine, costituisce l’essenza del peccato originale come un’eredità (“peccatum originale originatum”, come si suol dire).

6. Non possiamo chiudere questa catechesi senza ribadire quanto abbiamo affermato all’inizio del presente ciclo: cioè che noi dobbiamo, considerare il peccato originale in costante riferimento al mistero della redenzione operata da Gesù Cristo, Figlio di Dio, il quale “per noi uomini e per la nostra salvezza . . . si è fatto uomo”. Questo articolo del Simbolo sulla finalità salvifica dell’Incarnazione si riferisce principalmente e fondamentalmente al peccato originale. Anche il decreto del Concilio di Trento è interamente composto in riferimento a questa finalità, inserendosi così nell’insegnamento di tutta la Tradizione, che trova il suo punto di partenza nella Sacra Scrittura, e prima di tutto nel cosiddetto “protoevangelo”, cioè nella promessa di un futuro vincitore di satana e liberatore dell’uomo, già fatta balenare nel Libro della Genesi (Gn 3,15) e poi in tanti altri testi, fino all’espressione più piena di questa verità che ci è data da san Paolo nella Lettera ai Romani. Secondo l’Apostolo, infatti, Adamo è “figura di colui che doveva venire” (Rm 5,14). “Se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo Gesù Cristo, si sono riversate in abbondanza su tutti gli uomini” (Rm 5,15).

“Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,19). “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Rm 5,18).

Il Concilio di Trento si riferisce particolarmente al testo paolino della Lettera ai Romani 5, 12 come a cardine del suo insegnamento, vedendo affermata in esso l’universalità del peccato, ma anche l’universalità della redenzione. Il Concilio si richiama anche alla pratica del battesimo dei neonati, e lo fa a motivo dello stretto riferimento del peccato originale - come universale eredità ricevuta con la natura dai progenitori - alla verità dell’universale redenzione in Gesù Cristo.

A gruppi di pellegrini provenienti dalla Francia

A diversi pellegrini di espressione linguistica inglese

Ai numerosi fedeli provenienti da aree di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione linguistica spagnola

Ai fedeli giunti da Paesi di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi particolari di fedeli italiani

Saluto tutti i pellegrini italiani. Saluto cordialmente i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose partecipanti al corso di preparazione per missionari in partenza per l’Africa: una iniziativa promossa dall’Ufficio Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per la Cooperazione missionaria tra le Chiese.

Carissimi, auspico di cuore che l’esperienza di questo corso possa esservi stata di valido aiuto per un impegno evangelizzatore fervente e fecondo di successi apostolici. Vi accompagno con la mia Benedizione.
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Saluto inoltre i membri della Congregazione dei Missionari della Fede. Mentre chiedo per essi l’abbondanza delle grazie e dei conforti celesti imparto la mia Benedizione.
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Rivolgo un pensiero ed un saluto alle Religiose Figlie del Divin Zelo, che in questi giorni hanno preso parte al Capitolo Generale della loro Congregazione.

Ad essere e all’intero Istituto va il mio augurio di ogni bene nel Signore e la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora il mio saluto a tutti voi, ragazzi e giovani qui presenti. Oggi vorrei proporre alla vostra attenzione la figura di un santo del quale è imminente la festività liturgica: Francesco d’Assisi.

Giovane a cui non mancò la prospettiva di una brillante carriera umana e di un futuro benessere materiale, egli rinunciò a tutto per amore di Cristo.

Da allora fino ai nostri giorni il fascino del suo esempio ha conservato intatta la sua freschezza.

Vi esorto pertanto a studiarne la figura e a seguire lo spirito che lo ha animato, facendo vostri gli autentici valori di una vita donata al Signore. Di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Saluto volentieri anche gli ammalati ed infermi presenti a questa Udienza.

Carissimi, a voi soprattutto, costretti dal peso della sofferenza a trascorrere lunghe ore in forzata inattività, ricordo che nel mese di ottobre onoriamo la Vergine Santissima col titolo particolare di Madonna del Rosario.

Vi raccomando tale forma di preghiera, particolarmente cara al mio cuore, e vi esorto a recitarla anche per le intenzioni della Chiesa. Il Rosario, tanto raccomandato anche da numerosi miei Predecessori, aiuta a sopportare le sofferenze e, unito all’offerta di queste, diviene sorgente di conforto e di grazie celesti. Io prego con voi e per voi, e vi benedico.

Agli sposi novelli

Il mio saluto ed augurio si rivolge infine a voi, cari sposi novelli, che da poco avete vissuto la gioia dell’unione sacramentale.

Auspico che possiate vivere con generosa disponibilità gli oneri assunti e i propositi formulati davanti all’altare, protesi ogni giorno, attraverso la preghiera e l’impegno operoso, a divenire testimoni e cooperatori della fecondità della Chiesa, in segno e partecipazione di quell’amore con il quale Cristo diede la vita per essa.

In questo itinerario vi accompagni la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 10986