Catechesi 79-2005 8106

Mercoledì, 8 ottobre 1986

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1. La professione di fede, pronunciata da Paolo VI nel 1968, a conclusione dell’“Anno della Fede”, ripropone compiutamente l’insegnamento della Sacra Scrittura e della santa tradizione sul peccato originale. Riascoltiamola.

“Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato; il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata dalla grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, “non per imitazione, ma per propagazione”, e che esso pertanto è “proprio a ciascuno”. “Noi crediamo che nostro Signore Gesù Cristo mediante il sacrificio della croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che - secondo la parola dell’Apostolo - “Là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”.

2. In seguito la professione di fede, detta anche “Credo del popolo di Dio”, si rifà, analogamente al decreto del Concilio di Trento, al santo Battesimo, e prima di tutto a quello dei neonati: “affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano "dall’acqua e dallo Spirito Santo" alla vita divina in Gesù Cristo”.

Come si vede, anche questo testo di Paolo VI conferma che tutta la dottrina rivelata sul peccato e in particolare sul peccato originale è sempre in stretto riferimento al mistero della redenzione. Così cerchiamo di presentarla anche in queste catechesi. Diversamente non sarebbe possibile comprendere appieno la realtà del peccato nella storia dell’uomo. Lo mette in evidenza san Paolo specialmente nella Lettera ai Romani, alla quale soprattutto si richiama il Concilio di Trento nel decreto sul peccato originale.

Paolo VI, nel “Credo del popolo di Dio”, ha riproposto nella luce di Cristo redentore tutti gli elementi della dottrina sul peccato originale, contenuti nel decreto tridentino.

3. A proposito del peccato dei progenitori il “Credo del popolo di Dio” parla della “natura umana decaduta”. Per capir bene il significato di questa espressione è opportuno ritornare alla descrizione della caduta delineata dalla Genesi. In essa è contenuto anche il castigo di Dio ad Adamo ed Eva, sempre nella presentazione antropomorfica degli interventi divini fatta dal Libro della Genesi. Secondo la narrazione biblica, dopo il peccato il Signore dice alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso il tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (
Gn 3,16).

“All’uomo (Dio) disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!»” (Gn 3,17-19).

4. Queste parole forti e severe si riferiscono alla situazione dell’uomo nel mondo quale risulta dalla storia. L’autore biblico non esita ad attribuire a Dio come una sentenza di condanna. Essa implica la “maledizione del suolo”: la creazione visibile è diventata per l’uomo estranea e ribelle.

San Paolo parlerà di “sottomissione della creazione alla caducità” a causa del peccato dell’uomo, per il quale anche “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” finché verrà “liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 8,19-22). Questo squilibrio del creato ha il suo influsso sulle sorti dell’uomo nel mondo visibile. Il lavoro, mediante il quale l’uomo conquista per sé i mezzi di sostentamento, viene eseguito “con il sudore del volto”, dunque è unito alla fatica. Tutta l’esistenza dell’uomo è caratterizzata dalla fatica e dalla sofferenza e ciò inizia già con la nascita, accompagnata dai dolori della partoriente e, sia pure inconsapevoli, dello stesso bambino, che a sua volta geme e vagisce.

5. E infine, tutta l’esistenza dell’uomo sulla terra è soggetta alla paura della morte, la quale secondo la rivelazione è chiaramente connessa col peccato originale. Il peccato stesso è sinonimo della morte spirituale, poiché mediante il peccato l’uomo ha perso la grazia santificante, fonte della vita soprannaturale. Segno e conseguenza del peccato originale è la morte del corpo, così come da allora essa è sperimentata da tutti gli uomini. L’uomo è stato creato da Dio per l’immortalità; la morte che appare come un tragico salto nel buio, costituisce la conseguenza del peccato, quasi per una sua logica immanente, ma soprattutto per castigo di Dio. Tale è l’insegnamento della rivelazione e tale è la fede della Chiesa: senza il peccato, la fine della prova terrena non sarebbe stata così drammatica.

L’uomo è stato creato da Dio anche per la felicità, che, nell’ambito dell’esistenza terrena, doveva significare l’essere liberi da molte sofferenze, almeno nel senso di una possibilità di esenzione da esse: “posse non pati”, come anche di esenzione dalla morte, nel senso di “posse non mori”. Come si vede dalle parole attribuite a Dio dalla Genesi (Gn 3,16-19), e da tanti altri testi della Bibbia e della tradizione, col peccato originale questa esenzione cessò di essere il privilegio dell’uomo. La sua vita sulla terra è stata sottoposta a molte sofferenze e alla necessità di morire.

6. Il “Credo del popolo di Dio” insegna che la natura umana dopo il peccato originale non è più “nello stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori”. Essa è “decaduta” (“lapsa”), poiché è priva del dono della grazia santificante, e anche di altri doni, i quali nello stato di giustizia originale costituivano la perfezione (“integritas”) di questa natura. Si tratta non solo dell’immortalità e dell’esenzione da molte sofferenze, doni perduti a causa del peccato, ma anche delle interiori disposizioni della ragione e della volontà, cioè delle energie abituali della ragione e della volontà. Come conseguenza del peccato originale tutto l’uomo, anima e corpo, è stato sconvolto: “secundum animam et corpus”, precisa il Sinodo di Orange, nel 529, a cui fa eco il decreto tridentino annotando che tutto l’uomo è stato deteriorato: “in deterius commutatum fuisse”.

7. Quanto alle facoltà spirituali dell’uomo questo deterioramento consiste nell’offuscamento delle capacità dell’intelletto a conoscere la verità, e nell’affievolimento della libera volontà, che si è indebolita dinanzi alle attrattive dei beni sensibili ed è maggiormente esposta alle false immagini del bene elaborate dalla ragione sotto l’influsso delle passioni. Ma secondo l’insegnamento della Chiesa, si tratta di un deterioramento relativo, non assoluto, non intrinseco alle facoltà umane. L’uomo dunque, anche dopo il peccato originale, può conoscere con l’intelletto le fondamentali verità naturali, anche religiose, e i principi morali. Può anche compiere buone opere. Si deve quindi parlare piuttosto di un oscuramento dell’intelletto e di un indebolimento della volontà, di “ferite” delle facoltà spirituali come di quelle sensitive, e non di una perdita delle loro capacità essenziali anche per rapporto alla conoscenza e all’amore di Dio.

Il decreto tridentino sottolinea questa verità della fondamentale sanità della natura contro la tesi contraria, sostenuta da Lutero (e ripresa più tardi dai Giansenisti). Esso insegna che l’uomo in conseguenza del peccato di Adamo non ha perso la libera volontà (can. 5: liberum arbitrium,.. non amissum et extinctum). Egli può dunque compiere atti che possiedono un autentico valore morale: buono e cattivo. Ciò è possibile solo per la libertà della volontà umana. L’uomo decaduto, tuttavia, senza l’aiuto di Cristo non è capace di orientarsi verso i beni soprannaturali, che costituiscono la sua piena realizzazione e la sua salvezza.

8. Nella condizione in cui è venuta a trovarsi la natura dopo il peccato, e specialmente per l’inclinazione dell’uomo più verso il male che verso il bene, si parla di “fomite del peccato” (“fomes peccati”), dal quale la natura umana era libera nello stato di perfezione originale (“integritas”). Questo “fomite del peccato” viene chiamato dal Concilio di Trento anche “concupiscenza” (“concupiscentia”) aggiungendo che essa perdura anche nell’uomo giustificato da Cristo, dunque anche dopo il santo battesimo. Il decreto tridentino precisa chiaramente che la “concupiscenza” in se stessa non è ancora peccato, ma: “ex peccato est et ad peccatum inclinat” (DS 1515). La concupiscenza, come conseguenza del peccato originale, è fonte di inclinazione ai vari peccati personali compiuti dagli uomini col cattivo uso delle loro facoltà (quelli che si chiamano peccati attuali, per distinguerli da quello originale). Tale inclinazione rimane nell’uomo anche dopo il santo battesimo. In questo senso ognuno porta in sé il “fomite” del peccato.

9. La dottrina cattolica precisa e caratterizza lo stato della natura umana decaduta (“natura lapsa”) nei termini che abbiamo esposto in base ai dati della Sacra Scrittura e della Tradizione. Essa è chiaramente proposta nel Concilio Tridentino e nel “Credo” di Paolo VI. Ma ancora una volta osserviamo che secondo questa dottrina, fondata sulla rivelazione, la natura umana è non solo “decaduta”, ma anche “redenta” in Gesù Cristo; sicché “laddove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Questo è il vero contesto entro il quale si devono considerare il peccato originale e le sue conseguenze.

Ai pellegrini francesi

Ai numerosi fedeli di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

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Ai gruppi di lingua portoghese

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Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Desidero ora porgere il mio saluto ai pellegrini di Imperia-Porto Maurizio, venuti per accogliere un giovane della loro città il quale, navigando da solo a remi lungo le coste, porta oggi in questa piazza un ramo d’olivo della terra di Liguria, come segno di augurio e di pace. Ringrazio per questo significativo gesto ed invito tutti voi ad innalzare a Dio fervide preghiere per la pace nel nostro mondo e per il buon esito dell’incontro di preghiera ad Assisi il 27 di questo mese.

Rivolgo, poi, una parola di augurio ai sacerdoti novelli dell’istituto Oblati di San Giuseppe, presenti a questa Udienza con i loro congiunti.

Il mio pensiero va infine al gruppo dei fedeli della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo in Lissone. Accenderò volentieri la fiaccola che essi hanno portato qui per iniziare da Roma una loro marcia della fede.

A tutti il mio cordiale saluto e la mia Benedizione.

Ai giovani

Sono lieto di salutare con affetto voi, giovani, che siete festosamente presenti a questa Udienza. Saluto in particolare gli studenti universitari convenuti a Roma per conto dell’organizzazione internazionale “Unione Latina”.

Carissimi, chiamati ad essere amici di Cristo, a lui aderite per conferire saldezza e bellezza alla vostra vita, la quale solo quando è fermamente poggiata su Lui, ch’è pietra angolare, può crescere nella carità. Questa preziosa virtù è lo strumento migliore per aprirsi alla vita, che tanto più sarà matura, quanto più saprà donarsi e servire.

La Beata Vergine Maria interceda dal Signore, per ciascuno e ciascuna di voi, quei doni spirituali, che dilatano la misura del cuore, e possiate così imitare la pietà e la dedizione. Con la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Rivolgo, ora, il saluto a voi, cari ammalati, cui la sofferenza toglie valore, anzi conferisce una particolare dignità: quella di partecipare in modo profondo alla carità redentiva di Cristo. Egli, il Servo sofferente, non solo ha mostrato che il dolore è una vocazione, difficile ed alta, all’amore oblativo, ma realizza l’uomo e genera solidali rapporti di comunione.

Mentre auspico che la Madonna con la sua materna sollecitudine vi faccia sperimentare il soccorso della misericordia divina, imparto di cuore la mia Benedizione a voi, ai vostri familiari ed a quanti vi assistono.

Agli sposi novelli

Il mio saluto, insieme col mio augurio, va a voi, sposi novelli, sui quali con la recente celebrazione del sacramento del matrimonio è sceso l’amore vitale di Cristo. Consacrati a Dio in modo particolare, siete entrati in una unione speciale con Gesù e con la sua vita di grazia. Custodite questo dono nella purezza del vostro amore da lui santificato, vivrete così un’esistenza familiare serena, godendo del bene prezioso della sua pace. Vi accompagno con la mia affettuosa Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 15 ottobre 1986

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1. Nella presente udienza il mio pensiero va con gioia profonda alle tappe della terza visita in Francia: viaggio iniziato sabato 4 ottobre e terminato il martedì successivo. Da Roma a Lione, da Lione a Taizé e a Paray-le-Monial, poi ad Ars e infine ad Annecy, ho compiuto un pellegrinaggio sulle orme del beato Antonio Chevrier, di san Francesco di Sales, di santa Giovanna di Chantal, di santa Margherita Maria Alacoque e soprattutto del santo Curato d’Ars. È stata proprio la ricorrenza del 200° anniversario della nascita di Giovanni Maria Vianney che ha fornito all’episcopato francese l’opportuna occasione di invitarmi nuovamente nel loro Paese. A esso, e in particolare al signor card. Albert Decourtray, arcivescovo di Lione, e ai vescovi della Regione apostolica del Centro-Est desidero manifestare la mia gratitudine per tale rilevante appuntamento.

2. Mi è stato dato, in tal modo, di partecipare a celebrazioni che non solo hanno riuniti vescovi e sacerdoti francesi, ma altresì delegazioni provenienti da sessanta Paesi diversi. La figura del santo curato d’Ars non cessa di parlare anche all’uomo d’oggi. La sua straordinaria vita piena di preghiera e di mortificazione, l’eroico servizio alla parola di Dio e ai sacramenti, specie quello della Penitenza, continuano ad essere un punto di vivo riferimento per i sacerdoti della Chiesa contemporanea.

Mi sia permesso, in pari tempo, di ringraziare il signor presidente della Repubblica, il signor primo ministro e tutte le autorità civili francesi per il consenso dato a questo viaggio, per l’accoglienza cordiale e per le disposizioni da loro impartite, affinché la visita si svolgesse nell’ordine e nella serenità.

3. San Giovanni Maria Vianney visse la sua giovinezza ai tempi della rivoluzione francese. In tale periodo iniziò clandestinamente la preparazione al sacerdozio, seguendo la voce della vocazione. Con commozione rivolgo il mio pensiero alla famiglia contadina del santo, che abitava a Dardilly, e allo spirito che in essa dominava. Il pellegrinaggio compiuto mi ha inoltre aiutato a rendermi più consapevole dell’esistenza di una più lontana “genealogia” del curato d’Ars. Infatti, fu l’“Anfiteatro delle Tre Gallie”, luogo del martirio dei cristiani nel 177. Questa è una particolare memoria della vitalità della Chiesa nella capitale di quell’antica provincia romana. Un’altra memoria è poi la figura di sant’Ireneo, uno di quei grandi Padri della Chiesa, al quale deve tanto la dottrina e la teologia cattolica fin dai suoi inizi.

Mi è caro pure ricordare che nell’“Anfiteatro delle Tre Gallie” si è svolto un incontro ecumenico, il quale è anch’esso coerente con l’eredità della Chiesa che è in Lione. Al riguardo è sufficiente ricordare il Concilio colà celebrato nel 1274, al fine di intraprendere un tentativo di riconciliazione ecclesiale tra Oriente e Occidente, e tutte le iniziative ecumeniche prese in questo secolo nella scia dell’abbé Couturier.

4. La genealogia della santità si sviluppò ulteriormente nel corso dei secoli. Sul finire del XVI e nei primi anni di quello successivo svolse la sua rilevante attività pastorale e magisteriale san Francesco di Sales, il quale, insieme con santa Giovanna di Chantal, fondò l’Ordine della Visitazione. Le reliquie di entrambi i santi si trovano ad Annecy, una delle tappe della mia visita pastorale. Alcuni decenni dopo la fondazione delle Visitandine, una di esse, suor Margherita Maria Alacoque a Paray-le-Monial diventò un grande segno dell’amore di Gesù e testimone zelante del mistero del suo Sacro Cuore. È a motivo di essa che la città di Paray-le-Monial è stata inclusa nel programma della visita.

Così, dunque, il pellegrinaggio connesso con il 200° anniversario della nascita del santo curato d’Ars si è svolto, in un certo senso, sulle orme della santità, che sono state impresse in quella terra beata da secoli di cristianità.

5. Ad Ars si sono riuniti cardinali, vescovi, sacerdoti, diaconi e seminaristi, che provenivano da tutta la Francia e anche da molti altri Paesi dei vari Continenti. La meditazione, che davanti ad essi ho sviluppato in tre momenti successivi, alternati da silenzio, da preghiere cantate e da letture, ha messo in luce lo splendore della missione insostituibile del prete, con la sua identità specifica, la sua collaborazione alla salvezza delle anime mediante la predicazione della conversione, il ministero della riconciliazione e l’Eucaristia. Di fronte alle diverse difficoltà, ho ivi indicato i mezzi di ripresa spirituale, di costante alimento intellettuale, di sostegno fraterno, di pastorale missionaria, sottolineando che le esigenze degli impegni sacerdotali assicurano libertà e slancio apostolico. Pure la formazione dei seminaristi e il ministero dei diaconi sono stati fatti oggetto di un’attenzione speciale.

6. Pertanto al centro del pellegrinaggio ad Ars si è trovato il sacerdozio ministeriale di Cristo. Quindi la tematica centrale di questo incontro indimenticabile del 6 ottobre 1986 fu indirizzata ai sacerdoti, ai quali ho solennemente rivolto un omaggio riconoscente e un invito pressante alla fedeltà, avendo presenti nella mente e nel cuore i preti del mondo intero. In questa luce assumono pieno significato tutti gli altri temi affrontati nel programma di quei giorni intensi: innanzitutto il tema della vita religiosa.

7. Un messaggio particolare è stato peraltro dato in occasione degli incontri: con le famiglie cristiane, venute numerosissime alla celebrazione eucaristica di Paray-le-Monial, per attingere un approfondimento del loro amore presso il Cuore di Gesù; con i giovani che, durante una notevole rappresentazione scenica, tenuta nello stadio Gerland di Lione, hanno esposto con fiducia le loro domande su Dio, sulla Chiesa, sul loro impegno nel mondo; ancora con i giovani riuniti in preghiera a Taizé attorno ai fratelli di quella comunità; con gli ammalati raccolti nella cattedrale di Lione; con i carcerati; con i membri del Consiglio pastorale e del Consiglio presbiterale di Lione, che mi hanno informato sul multiforme e indispensabile apostolato dei laici, organicamente articolato con quello dei sacerdoti; con i teologi, i professori e gli studenti dell’“Institut Catholique” di Lione, che non possono dimenticare il grande esempio di sant’Ireneo; con coloro che hanno la responsabilità del bene comune della Nazione, della Regione e della Città, da me incontrati nella Prefettura di Lione; e, certamente e soprattutto, con i miei fratelli nell’episcopato, che giunsero da tutte le diocesi della Francia.

Fu ai loro singoli fedeli e a tutto il popolo cristiano di Francia che da Lione ho lanciato un appello a un rinnovamento spirituale. Sempre da Lione, all’inizio del mio viaggio, ho invitato i popoli o le parti in guerra a osservare una tregua il 27 ottobre corrente, giorno in cui i rappresentanti delle varie religioni nel mondo si troveranno insieme ad Assisi per pregare.

8. Nello stesso primo giorno della mia visita a Lione, mi è stato dato di proclamare beato il padre Antonio Chevrier, fondatore del Prado, contemporaneo del curato d’Ars. Afferrato da Cristo, che visse nella povertà, e sensibile alla grande miseria dei giovani operai del suo tempo, questo sacerdote si è fatto apostolo dei poveri. Ha profondamente stimato la loro dignità di uomini amati da Dio, ha condiviso la loro condizione di povertà, ha donato loro un’istruzione scolastica e di fede, ha fondato la Famiglia del Prado con sacerdoti, fratelli e sorelle disponibili a portare loro la buona novella. È così stato possibile sulle modalità di guardare e aiutare i poveri del giorno d’oggi secondo le beatitudini del Vangelo.

9. “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe . . .”. Accanto all’altare della santa Messa celebrata all’aperto in Ars sono risuonate ancora una volta queste parole di Cristo, così attuali per la Chiesa e per il mondo contemporaneo. La messe del Signore è molta. Occorrono operai. Occorrono sacerdoti. Occorrono santi.

È stato un significativo pellegrinaggio sulle orme dei santi. “Dove passano i santi . . . Dio passa insieme con loro”.

Ai fedeli di espressione linguistica francese

Ai numerosi gruppi provenienti da aree di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai numerosi fedeli di espressione spagnola

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Ai connazionali polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un saluto alle Suore Francescane del Signore, che terminano con questo incontro la celebrazione del primo Centenario della fondazione del loro Istituto.

A voi, care Sorelle, il mio benvenuto e l’auspicio fervido di un progresso costante nell’imitazione di Cristo e nel generoso servizio ai poveri con la mia Benedizione.
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Un saluto cordiale anche ai Fratelli Laici Missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere e dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, che si trovano a Roma per un corso di aggiornamento.

Nel compiacermi per l’iniziativa, porgo fervidi auguri nel Signore, perché la vostra partecipazione possa essere ricca di frutti per il vostro spirito, e di fecondi risultati apostolici.

La mia affettuosa Benedizione vi accompagna!

Ai giovani

Un cordiale saluto desidero rivolgere a tutti i Giovani, presenti a questa Udienza.

Per molti di voi è iniziato già il periodo della scuola. Dopo la serena pausa delle vacanze estive, siete tornati nelle aule per riprendere lo studio. Considerate questo vostro impegno non come un peso da sopportare, ma come una responsabilità da compiere per la vostra formazione umana e culturale, in funzione e in preparazione ai futuri compiti della vita.

E in questa fase di studio cercate di approfondire la vostra fede cristiana mediante una seria riflessione, la lettura attenta e meditata della Parola di Dio, in particolare dei Vangeli, che ci presentano al vivo la figura e il messaggio di Gesù.

Agli ammalati

Un pensiero affettuoso va ai carissimi Fratelli e Sorelle Ammalati, venuti a Roma, centro della cattolicità, per rafforzare la loro fede. Saluto in particolare il numeroso gruppo della Sezione UNITALSI della Sarda Sud e quello della Sottosezione di Oristano.

Permettete che il Successore di Pietro vi rivolga una parola di incoraggiamento, di speranza, e vi esorti a guardare con occhi di “cristiani” alla vostra presente situazione di dolorosa infermità: la fede vi assicura e vi garantisce che Dio vi ama, anzi che vi ama in maniera particolare e privilegiata e, nel mistero del suo amore umanamente incomprensibile, ha voluto unirvi e rendervi partecipi alla sofferenza del suo Figlio incarnato. Io vi accompagno con la mia preghiera perché in voi si compia la volontà di Dio; voi donate la vostra preghiera a Dio perché la Chiesa sia sempre fedele alla sua missione di salvezza e perché l’Umanità trovi la pace vera in Cristo.

Agli sposi novelli

Non posso non ricordare gli Sposi Novelli, che in questi giorni hanno consacrato il loro amore a Dio ed alla Chiesa.

Siate sempre fedeli a questo grave impegno personale e sociale che avete assunto col sacramento del Matrimonio, e fate ogni sforzo per trasformare la vostra nascente famiglia in una “Chiesa in miniatura”, dove la fede animi e fecondi tutti i vostri atteggiamenti e le vostre scelte quotidiane. A nome mio e di tutti i presenti a questa Udienza vi auguro una lunga e serena vita coniugale, ricca di quei valori che la rendono veramente preziosa agli occhi di Dio ed anche degli uomini: la fedeltà, l’affabilità, la comprensione vicendevole, ma anche la disponibilità ad accogliere la vita nascente e l’apertura verso le altre famiglie in uno spirito di sincera devozione.

A tutti e a tutte va la mia Benedizione Apostolica, auspicio di grazie e di favori celesti.




Mercoledì, 22 ottobre 1986

22106

1. Come è noto, lunedì prossimo, 27 ottobre, mi troverò ad Assisi insieme a numerosi rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane e delle altre religioni del mondo, allo scopo di pregare per la pace. È senz’altro un avvenimento singolare, di carattere religioso, esclusivamente religioso. Così è stato pensato e in questa prospettiva si svolgerà con la collaborazione di tutti i partecipanti: esso sarà segnato dalla preghiera, dal digiuno e dal pellegrinaggio. Confido che sia davvero, con la grazia del Signore, un momento culminante di quel “movimento di preghiera per la pace”, che ho auspicato sulla soglia del 1986, proclamato “Anno internazionale della pace” dalle Nazioni Unite. Ad Assisi tutti i rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane e delle religioni del mondo saranno impegnati unicamente a invocare da Dio il grande dono della pace.

2. Vorrei che questo fatto, così importante per il processo di riconciliazione degli uomini con Dio e tra se stessi, fosse visto e interpretato da tutti i figli della Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II e dei suoi insegnamenti. Nel Concilio, infatti, la Chiesa ha riflettuto molto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, sulla sua posizione in un mondo sempre più segnato dall’incontro delle culture e delle religioni.

Secondo il Concilio, la Chiesa è sempre più consapevole della sua missione e del suo dovere, anzi della sua essenziale vocazione di annunciare al mondo la vera salvezza che si trova soltanto in Gesù Cristo, Dio e uomo (cfr Ad Gentes
AGD 1-3).

Sì, è soltanto in Cristo che tutti gli uomini possono essere salvi. “Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (Ac 4,12). Ma poiché, fin dell’inizio della storia, tutti sono ordinati a Cristo, chi è davvero fedele alla chiamata di Dio, per quanto gli è nota, può conseguire la salvezza operata da Cristo (cfr Lumen Gentium LG 16).

3. Consapevole della comune vocazione dell’umanità e dell’unico disegno di salvezza, la Chiesa si sente collegata a tutti e ad ognuno, come Cristo “si è unito in certo modo ad ogni uomo”. E a tutti e a ognuno essa proclama che Cristo è il centro del mondo creato e della storia.

Appunto perché Cristo è il centro di tutto nella storia e nel cosmo, e perché nessuno “va al Padre se non per lui” (Jn 14,6), possiamo rivolgerci alle altre religioni con un atteggiamento intessuto nel contempo di sincero rispetto e di fervida testimonianza del Cristo, in cui crediamo. Ci sono infatti in esse i “semina verbi”, i “raggi dell’unica verità” di cui parlavano già i primi Padri della Chiesa, viventi e operanti in mezzo al paganesimo, e a cui fa riferimento il Concilio Vaticano II, sia nella dichiarazione (Nostra Aetate CFR NAE 2), sia nel decreto (Ad Gentes CFR AGD 11 AGD 18). Conosciamo quelli che crediamo essere i limiti di tali religioni, ma ciò non toglie in alcun modo che ci siano in esse dei valori e delle qualità religiose, anche insigni (cf Nostra Aetate NAE 2).

4. Queste sono appunto le “tracce” o i “semi” del Verbo e i “raggi” della sua verità. Tra queste si trova senz’altro la preghiera, spesso accompagnata dal digiuno, da altre penitenze e dal pellegrinaggio ai luoghi sacri, circondati di grande venerazione.

Noi rispettiamo questa preghiera, anche se non intendiamo fare nostre formule che esprimono altre visioni di fede. Né gli altri, del resto, vorrebbero far proprie le nostre preghiere. Ciò che avverrà ad Assisi non sarà certo sincretismo religioso, ma sincero atteggiamento di preghiera a Dio nel rispetto vicendevole. È per questo che è stata scelta per l’incontro di Assisi la formula: stare insieme per pregare.

Non si può certo “pregare insieme”, cioè fare una preghiera comune, ma si può essere presenti quando gli altri pregano; in questo modo manifestiamo il nostro rispetto per la preghiera altrui e per l’atteggiamento degli altri davanti alla Divinità; nel contempo offriamo loro la testimonianza umile e sincera della nostra fede in Cristo, Signore dell’universo.

Così si farà ad Assisi, dove ci saranno, in un momento della giornata, le preghiere separate, in vari luoghi, delle diverse rappresentanze religiose. Ma poi, nel piazzale della Basilica inferiore di San Francesco, si succederanno, opportunamente distinte, una dopo l’altra, le preghiere dei rappresentanti di ciascuna religione, mentre tutti gli altri assisteranno con atteggiamento, riguardoso, interiore ed esteriore, di chi è testimone dello sforzo supremo di altri uomini e donne per cercare Dio.

5. Questo “stare insieme per pregare” acquista un significato particolarmente profondo ed eloquente in quanto si sarà gli uni accanto agli altri per implorare da Dio il dono di cui tutta l’umanità di oggi ha maggior bisogno per sopravvivere: la pace. È infatti la profonda consapevolezza che ho della necessità di questo dono per tutti, della sua urgenza e del fatto che esso dipende solo da Dio, che mi ha mosso a rivolgermi alle altre Chiese cristiane e alle grandi religioni del mondo, le quali condividono la stessa preoccupazione per la sorte dell’uomo e dimostrano la stessa disponibilità a impegnarsi per chiedere la pace con la preghiera.

Le religioni del mondo, nonostante le divergenze fondamentali che le separano, sono tutte chiamate a dare il loro contributo alla nascita di un mondo più umano, più giusto, più fraterno. Dopo essere state spesso causa di divisioni, tutte vorrebbero adesso adempiere un ruolo decisivo nella costruzione della pace mondiale. E questo vogliamo fare insieme. Come diceva già il mio predecessore Paolo VI, nell’enciclica Ecclesiam Suam (n. 112): “. . . vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile”.

È in questo spirito che ho invitato le Chiese e le religioni a recarsi ad Assisi. Ed è nello stesso spirito che l’invito è stato accettato. Le Chiese particolari a loro volta si sono associate dappertutto a questa stessa iniziativa, spesso insieme con altre Chiese cristiane e con rappresentanti di altre religioni. Così si realizza e si estende quel grande “movimento di preghiera per la pace”, a cui mi riferivo il 25 gennaio di quest’anno.

Il 27 ottobre sarà dunque una giornata tutta di preghiera. È questa la sua qualificazione, poiché “la preghiera, che in vari modi esprime il rapporto dell’uomo col Dio vivo, è anche il primo compito e quasi il primo annuncio del Papa, così come è la prima condizione del suo servizio nella Chiesa e nel mondo”.

La preghiera è il respiro dell’anima. Ogni adoratore del Dio vivo e vero crede nell’incommensurabile valore della preghiera e sente erompere dal proprio intimo il bisogno di pregare.

6. Ad Assisi ci accoglierà frate Francesco, povero e umile. Ci accoglierà con l’energia ardente e illuminante della sua personalità serafica, che fece paragonare lui al sole e la sua terra natale a un nuovo Oriente (Paradiso, XI, 50). Ci accoglierà col fascino irresistibile della sua disarmata e pacificante semplicità, capace di coinvolgere le zone più riposte di ogni cuore. Ci accoglierà con gli accenti teneri e sublimi del suo Cantico, che alterna le strofe della realtà creaturale all’altissimo vertice a cui arrivano le labbra oranti quando la preghiera diventa vita e la vita diventa preghiera: “Laudato sii, mi Signore”.

E dal mistico colle l’augurale saluto francescano “Pax et bonum” riprenderà il suo cammino per le vie del mondo sui passi di nuovi testimoni. Per convincere che la pace è necessaria, è possibile, è doverosa. Che essa sola può garantire all’umanità del duemila un avvenire sereno e operoso.

Vi chiedo di pregare tanto secondo queste grandi intenzioni: se da tutti i cuori umani salirà all’unico Dio l’anelito alla pace e alla fratellanza universale, fuso come in un’unica grande preghiera, allora non ci potrà mai mancare la fiducia che egli ci esaudirà; “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9).

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai numerosi pellegrini di espressione tedesca

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Ai fedeli di lingua spagnola

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Ai pellegrini polacchi

Ai membri della Congregazione del Preziosissimo Sangue

Desidero ora rivolgere un cordiale benvenuto ai numerosi pellegrini giunti da diverse Nazioni per onorare San Gaspare del Bufalo nel secondo centenario della nascita: sono i membri della Congregazione del Preziosissimo Sangue, da lui fondata, insieme con molti laici ad essa vicini.

Carissimi fratelli e sorelle!

La diocesi di Roma sta ricordando proprio in questi giorni questo suo figlio eminente, mentre la Congregazione celebra in questo mese il Capitolo generale: avvenimenti significativi non solo per la vostra famiglia spirituale, ma per la Chiesa intera!

La spiritualità di San Gaspare, infatti, è veramente al cuore della vita cristiana: il preziosissimo Sangue di Nostro Signore è sempre stato oggetto di una speciale attenzione da parte di tutti i Santi; esso è scuola di santità, di giustizia, di amore.

Il Sangue di Cristo non è soltanto espiazione del peccato, non è solo giustizia riparatrice, ma è anche e ancor più manifestazione di un Amore infinito e misericordioso. Non ristabilisce soltanto la dignità dell’uomo compromessa dal peccato, ma innalza anche l’uomo alla “partecipazione della natura divina”.

Non cessate mai, cari fratelli e sorelle, di approfondire questo Mistero di giustizia e di amore: diffondetelo nel mondo intero!

Con la mia affettuosa Benedizione.

A vari gruppi parrocchiali

Porgo un cordiale saluto ai vari pellegrinaggi parrocchiali, rivolgendo un particolare pensiero a quello della Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria nella Città di Cuneo, che celebra il trentennio di fondazione della propria Comunità: la Vergine Santissima continui ad accompagnarvi nel vostro cammino di fede e di carità, per essere sempre testimonianza di amore a Cristo e ai fratelli.

Ai giovani

Saluto ora con particolare affetto tutti i ragazzi e i giovani che prendono parte a questa Udienza, rallegrandola con la loro presenza entusiastica.

Carissimi, viviamo in un momento in cui talora si esaltano alcuni aspetti deteriori della nostra civiltà, come il consumismo, l’edonismo e il materialismo; voi, che volete ispirarvi agli ideali del Vangelo, cercate di far argine a tale mentalità decadente, vivendo con coerenza esemplare la vostra fede cristiana in qualunque posto veniate a trovarvi: nella scuola, nel giuoco, nel lavoro. Costruirete così un mondo migliore: più umano, più giusto e più cristiano.

Benedico coi e i vostri sforzi, assicurandovi la mia preghiera, e rivolgendo uno speciale pensiero ai giovani che dopo domani riceveranno dal Presidente della Repubblica Italiana l’attestato di “Alfieri del lavoro”.

Agli ammalati

Il mio pensiero si rivolge ora agli ammalati, che ringrazio per la loro presenza ed esorto a confidare sempre in Cristo, il quale avendo sofferto la passione e morte per la salvezza dell’umanità, è l’unico che può comprendere appieno la loro dolorosa situazione.

Carissimi, sappiate che come il Cristo non ha sofferto invano, così anche le vostre infermità non sono inutili, se saprete indirizzarle ad un fine soprannaturale, quale è quello della salvezza del mondo e della conversione dei peccatori. Vi sia di conforto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Desidero, infine, rivolgere un saluto beneaugurante a tutti gli Sposi Novelli. Mentre vi esprimo le mie felicitazioni per il traguardo conseguito, vi esorto a corrispondere con generosità alla vostra vocazione cristiana e ad impegnarvi perché il vostro amore cresca sempre più nel dono reciproco e sappia superare qualunque difficoltà che possa frapporsi nel vostro cammino familiare. Il Signore vi benedica.




Catechesi 79-2005 8106