Catechesi 79-2005 31286

Mercoledì, 3 dicembre 1986

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1. Oggi desidero - dinanzi a voi, qui presenti per l’udienza generale - ringraziare Gesù Cristo, pastore delle nostre anime, per il servizio che mi è stato dato di compiere nei giorni dal 18 novembre al primo dicembre. La rotta che questo servizio ha percorso nel suo svolgimento è passata attraverso il Bangladesh (Dacca), Singapore, l’arcipelago Figi, nel Pacifico, la Nuova Zelanda, l’Australia, toccando, durante il ritorno a Roma anche le Isole Seychelles nell’Oceano Indiano.

Rispondendo all’invito dei rispettivi episcopati, e anche delle autorità civili, mi è stato dato di compiere tale servizio, e, a un tempo, di approfondire l’esperienza della Chiesa in quella vasta regione del globo terrestre. A tutti coloro che hanno contribuito a questo viaggio e che hanno collaborato alla sua realizzazione, esprimo un sentito ringraziamento.

2. Il punto centrale di ogni incontro è stata sempre l’Eucaristia e intorno ad essa si sono sviluppati i programmi locali del servizio papale, preparati con cura dal clero e dai laici sotto la guida dei vescovi.

Mi sia consentito di esprimere la gioia che ho provato durante la santa Messa a Dacca nell’ordinare 18 sacerdoti novelli per la Chiesa in Bangladesh, dove i cristiani costituiscono una piccola percentuale della società, vivendo in mezzo a una popolazione prevalentemente musulmana e in parte indù. Questa Nazione costituisce da poco uno stato indipendente. Su un terreno relativamente piccolo si concentrano circa cento milioni di persone che vivono in difficili condizioni climatiche ed economiche.

3. Diversa è la situazione di Singapore, che è pure da poco una città-stato indipendente, con un elevato grado di sviluppo economico. Anche qui la liturgia eucaristica è stata il punto culminante dell’incontro con la Chiesa locale. I cristiani, benché costituiscano una minoranza relativamente poco numerosa, cercano di rendere testimonianza al mistero pasquale di Cristo in mezzo a una società cosmopolita, nella quale si risente - insieme con i vantaggi del benessere - l’influsso negativo della secolarizzazione.

4. Il soggiorno nelle isole Figi ci trasferì - in mezzo al Pacifico - nella sfera della cultura polinesiana, della quale una tipica espressione rimane, ad esempio, il rito tradizionale di saluto riservato agli ospiti di riguardo. Alcuni elementi di questo rituale tradizionale sono entrati anche nella liturgia, come è stato fatto notare durante la santa Messa. I risultati raggiunti dalla evangelizzazione sono notevoli e nella cristianizzazione dell’ambiente la Chiesa cattolica ha la sua parte. Importante è la collaborazione che si attua nell’ambito della Conferenza dei vescovi del Pacifico, alla quale presiede attualmente l’arcivescovo di Suva, un polinesiano di nascita. Degno di menzione è anche il seminario interdiocesano.

5. La visita alla Nuova Zelanda si è incentrata intorno alla solennità di Cristo Re. L’episcopato locale ha voluto collegarla con la preghiera per la pace, secondo il motto “La pace del cuore è il cuore della pace”. La preghiera per la pace ha accompagnato le assemblee eucaristiche ad Auckland, a Wellington e a Christchurch. Meritevole di un particolare ricordo è la bella liturgia che ivi si svolse per gli ammalati con l’amministrazione del sacramento dei malati.

Il programma della pace all’interno della società neozelandese si manifesta in particolare nella promozione di un equilibrato rapporto tra i maori, i primi abitanti della Nuova Zelanda, e coloro che arrivarono più tardi da diverse parti del mondo, in specie da quello anglo-sassone. Una condizione di questa pace è la sollecitudine per la giusta posizione dei maori nell’insieme della vita sociale e culturale del Paese. Nel campo religioso tale programma si esprime nella collaborazione interconfessionale, di cui un’espressione toccante è stata, durante la visita, la celebrazione ecumenica a Christchurch.

6. Il programma australiano merita un particolare rilievo, prima di tutto a motivo del tempo e del luogo in cui si sono realizzati i principali incontri, che hanno avuto sempre il loro punto centrale nell’Eucaristia. La geografia del servizio papale in Australia ha abbracciato, iniziando dalla capitale Canberra, Brisbane, Sydney, Hobart in Tasmania, Melbourne, Darwin e Alice Springs (territorio del Nord), Adelaide e Perth. Le due ultime visite hanno coinciso con la prima domenica di Avvento.

In questo modo si è messo in evidenza anche il profilo storico, che per la società e per la Chiesa australiana ha un importante significato. L’Australia, che ha da poco celebrato il 200° anniversario della sua esistenza nella dimensione storica, s’incontra nello stesso terreno con la propria “preistoria”, la quale risale ai lontani millenni. I testimoni vivi e costantemente presenti di questa “preistoria” sono nel continente australiano gli “aboriginals” gli australiani primitivi), ai quali, nell’incontro di Alice Springs, ho potuto assicurare la sollecitudine e la solidarietà della Chiesa. Il problema di un’ordinata sistemazione delle relazioni con loro, problema che nel passato ha avuto le sue ombre, continua ad attendere un’adeguata soluzione. Questo è anche compito della Chiesa, che è mandata con il Vangelo incontro a tutti gli uomini e a tutte le culture. La Chiesa in Australia ha cercato di compiere tale missione e continua a farlo.

7. Gli inizi della Chiesa in questi duecento anni non sono stati facili. Nondimeno si può dire che questo periodo ha avuto come effetto non soltanto il radicarsi del senso missionario, ma anche un graduale affermarsi della popolazione cattolica grazie agli emigrati, che hanno portato con sé la fede cattolica e l’appartenenza alla Chiesa. Iniziando dai cattolici irlandesi, gruppi nazionali sempre nuovi di cattolici raggiungevano il continente australiano, alla ricerca della possibilità di lavorare e di vivere. Questi gruppi sono numerosi e sarebbe difficile nominarli qui tutti. Il periodo dopo la seconda guerra mondiale ha accresciuto in maniera evidente la presenza degli immigrati cattolici in primo luogo dall’Europa (gli italiani costituiscono forse il gruppo più numeroso), e in seguito anche dall’Asia meridionale (per esempio dal Vietnam).

La Chiesa in Australia è consapevole del suo carattere plurinazionale e pluriculturale. Tale consapevolezza è particolarmente viva nei confronti dei gruppi che arrivando in Australia hanno perso, senza loro colpa, la prima Patria.

8. Il programma del servizio pastorale tra i fedeli della Chiesa in Australia è stato preparato con grande perspicacia. È stato così possibile non soltanto partecipare alla missione che questa Chiesa sta compiendo, ma recare anche un contributo ai compiti che essa coscientemente si pone.

Alla base dell’attività della Chiesa in Australia vi è la parrocchia, la quale - se così ci si può esprimere - è alleata in modo particolare con la famiglia nel disimpegno dei compiti educativi. A questo serve l’intero sistema delle scuole cattoliche (in particolare di quelle elementari) che svolgono la loro attività nel contesto delle parrocchie. La scuola diventa così un campo particolarmente importante dell’apostolato del clero e dei laici, sia dei genitori e delle famiglie che degli insegnanti, degli educatori e del personale ausiliario. Lo Stato rispetta tale sistema e lo aiuta anche materialmente.

Un’altra dimensione fondamentale dell’attività della Chiesa in Australia è il servizio caritativo ai bisognosi, prima di tutto ai malati e agli handicappati. Questo servizio trova la sua espressione nelle organizzazioni e nei sodalizi, ma anche in istituzioni quali in particolare gli ospedali e diverse case di assistenza.

9. Nel programma della visita alla Chiesa del continente australiano avevano un loro posto gli incontri con i diversi ambienti umani. Innanzitutto, secondo il criterio dell’età: ho incontrato così l’ambiente dei bambini, poi quello della gioventù, quello degli adulti - sposi e genitori - e infine quello dei rappresentanti della “terza età”. Vi sono stati poi gli incontri secondo il criterio delle diverse professioni (o piuttosto delle vocazioni): ho visto così i lavoratori dell’industria, gli agricoltori, i gruppi della “intellighenzia”. Mediante il contatto con tali ambienti la Chiesa in Australia cerca di essere presente nel mondo contemporaneo, compreso anche il mondo della cultura e della scienza (da questo punto di vista significativa fu la visita all’Università più antica dell’Australia, a Sydney).

Tutto questo programma riflette, nello stesso tempo, l’attività di queste persone e dei gruppi che per l’evangelizzazione della Chiesa hanno un significato-chiave: i sacerdoti diocesani, le diverse congregazioni religiose maschili e femminili. L’Australia e la Chiesa in Australia devono molto ad essi. Un problema sempre attuale è la questione delle vocazioni, particolarmente tra i nuovi gruppi etnici. La Chiesa in Australia ha anche la sua parte nel lavoro missionario della Chiesa universale.

10. Il servizio papale nel continente australiano - come del resto nelle altre tappe di questo viaggio, in molti luoghi e in diversi modi - si è incontrato con una collaborazione cosciente e conseguente in campo ecumenico. Simbolico può essere quanto è avvenuto a Melbourne, dove prima di una grande assemblea ecumenica ha avuto luogo la visita alla cattedrale anglicana, e la fiaccola ivi accesa è stata portata allo stadio, nel luogo della comune preghiera di tutti i cristiani.

Vale la pena aggiungere che, nell’ambito della Chiesa cattolica, sono rappresentati anche in Australia i diversi riti che corrispondono alle varie Chiese Orientali.

Terminando, desidero dire anche che i rappresentanti della vita politica e del corpo diplomatico hanno partecipato ovunque alla visita. Particolarmente eloquente è stato, da questo punto di vista, l’incontro con i membri del Parlamento australiano. Desidero ringraziare specialmente per la cooperazione sistematica delle diverse istanze federali e dei singoli Stati, come anche delle autorità municipali nella preparazione e nello svolgimento della visita.

11. La santa Messa a Port Victoria - durante una sosta di alcune ore nelle Isole Seychelles - ha costituito l’ultima tappa del servizio papale nel corso di questo viaggio. Essa ha offerto occasione a un cordiale incontro con la popolazione di quel luogo, la quale in maggioranza appartiene alla Chiesa cattolica, e con le autorità. La celebrazione eucaristica è stata seguita con intensa partecipazione, espressa anche in fervorosi e devoti canti.

12. Guardando l’insieme di questo viaggio papale - il più lungo finora compiuto - desidero insieme con i miei fratelli del Bangladesh, Singapore, Isole Figi, Nuova Zelanda, Australia e Isole Seychelles, rinnovare collegialmente l’espressione del desiderio che abbiamo ereditato dagli apostoli: che Cristo diventi sempre di più la via, la verità e la vita per tutti coloro ai quali è indirizzata la nostra missione pastorale. Desideriamo insieme essere servitori dell’avvento del Signore!

Ai pellegrini di espressione francese

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Ad un gruppo di pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ad un folto gruppo di pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un saluto cordiale al gruppo di pellegrini guidati dalle Suore Apostole del Sacro Cuore, le quali festeggiano il cinquantesimo anniversario della fondazione del loro Istituto.

A voi tutti, fratelli e sorelle, un caloroso benvenuto e il mio augurio che questa vostra Famiglia religiosa possa progredire sempre più nei compiti di carità per i quali è stata istituita! Con la mia Benedizione.
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Un cordiale saluto anche al folto gruppo degli alunni dell’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato di Campobasso, qui presenti con i loro professori.

So che vi siete spiritualmente preparati a questo incontro, e di ciò mi compiaccio. Formulo per voi tutti il mio più vivo augurio per un fruttuoso cammino di crescita umana e culturale, e a voi giovani in particolare auguro una buona preparazione per il vostro avvenire, mentre di cuore benedico tutti.

Ai giovani

Rivolgo un affettuoso saluto a tutti i giovani presenti a questa Udienza. La vostra visita, carissimi, avviene nel periodo liturgico dell’Avvento, cioè dell’attesa, gioiosa ed austera, del Signore. Noi riviviamo l’attesa della sua venuta storica di 20 secoli fa, quando egli si fece uomo nel seno della Vergine Maria. Al tempo stesso noi ci prepariamo al ritorno da lui promesso, quando verrà ancora nella gloria di giudice supremo alla fine del mondo. Sarà quella la seconda venuta. Ma ci sono anche altre sue venute nella potenza dello Spirito, e sono quelle a cui egli alludeva quando disse: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui”. Ecco Gesù viene in noi col Padre già ora se noi osserviamo la sua parola: osservare la parola di Gesù significa custodirla nel profondo del cuore e tradurla in opere; crescere nell’amore di Dio e del prossimo. Vi esorto a disporre il vostro cuore ad accogliere queste venute del Signore col vostro giovanile entusiasmo. Con la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Un cordiale saluto rivolgo ora agli ammalati, in particolare a quelli qui accompagnati dall’UNITALSI di Camaiore.

Carissimi infermi, l’attesa della venuta di Gesù sia anche per voi motivo di particolare speranza e conforto. Lasciate fare a Colui che ha detto: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò”. Egli conosce le vostre necessità e non mancherà di mostrarvi quelle premure che solo il cuore di Dio è capace di avere. Anche nella prova della malattia, sappiate accogliere il Signore che viene a portarvi la salvezza e vi chiede di essere suoi collaboratori nell’opera della redenzione mediante l’offerta della vostra sofferenza.

Vi benedico con tutta l’effusione del mio animo ed estendo la mia Benedizione a quanti vi sono cari.

Agli sposi novelli

Uno speciale augurio e compiacimento esprimo agli sposi qui presenti, che recentemente hanno iniziato con tanta speranza e letizia, dinanzi all’Altare di Dio “la vita a due”.

Carissimi, vi auguro di compiere insieme un lungo cammino allietato da tanta gioia. Lasciatevi guidare dall’amorevole provvidenza di Dio, che vi è accanto con la grazia del sacramento nuziale e vi sosterrà - se Lo saprete invocare - in ogni avvenimento della vostra esistenza, dandovi coraggio e costanza della vostra vocazione di suoi cooperatori nella trasmissione della vita.

Vi accompagni in queste divine certezze la mia Benedizione, che estendo ai vostri cari.

Il Santo Padre torna, oggi, a parlare del Libano, dove da anni si consuma la tragedia della violenza.
Le milizie del movimento sciita “Amai” e i palestinesi si combattono sanguinosamente dai primi giorni di ottobre a Beirut e nelle regioni meridionali del Libano, presso Sidone e Two aggravando ancor più le sofferenze del popolo libanese. In questi ultimi giorni la battaglia ha assunto gravi proporzioni e viene combattuta con mezzi corazzati e artiglieria pesante. Nel campo di Chatila, nella capitale, si combatte casa per casa, secondo le ultime notizie, mentre nei centri di Buri el Baraineh e di Sabra le forze palestinesi oppongono un’accanita resistenza agli sciiti e ai soldati della Sesta Brigata dell’esercito libanese, composta esclusivamente di musulmani.
Senza quartiere è anche la lotta presso Sidone e Tiro. In una sola giornata, la settimana scorsa, nel villaggio di Magdushi sono morte, secondo alcune fonti, circa 200 persone. Bilanci approssimativi indicano in oltre 400 le vittime degli scontri e in più di 1.200 i feriti, in poco meno di due mesi. Non si conoscono le condizioni all’interno dei campi profughi, dove è impossibile entrare anche alla Croce Rossa. Pertanto è probabile che il numero dei morti sia superiore a quello indicato.
Ecco il testo dell’appello che Giovanni Paolo II rivolge stamane, nel corso dell’Udienza generale, a tutti coloro che ne hanno la possibilità, perché si adoperino a porre fine allo spargimento di sangue e alle tante sofferenze del popolo libanese.


Gli intensi combattimenti avvenuti questa settimana in Libano, intorno a Sidone e a Beirut, tra palestinesi e combattenti sciiti, causando centinaia di morti e di feriti, riempiono il mio animo di un nuovo senso di pietà e di dolore. Il dolore è tanto più grande quando si pensa che nessun appello alla tregua, nemmeno per permettere la pietosa raccolta dei caduti e la cura dei feriti, è stato accolto.

Rivolgo un accorato invito alle parti e a coloro che possono adoperarsi per porre fine ai combattimenti, perché siano risparmiati ulteriori lutti ad un Paese già stremato dalla sofferenza e dalla distruzione. La violenza non risolve i problemi; essa semina soltanto nuovi odi e accresce la sfiducia.

Preghiamo Dio onnipotente che voglia concedere conforto alle famiglie delle vittime e illumini i cuori dei responsabili affinché si spezzi questa nuova catena di odio lasciando il posto al dialogo e alla trattativa.




Mercoledì, 10 dicembre 1986

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1. Nell’introduzione alla costituzione Gaudium et Spes (Gaudium et Spes
GS 2) del Concilio Vaticano II leggiamo: “Il mondo che [il Concilio] ha presente è quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato nell’esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento”.

2. È il mondo che abbiamo davanti agli occhi in queste nostre catechesi. Esse riguardano, come si sa, la realtà del male, cioè del peccato, sia all’inizio, sia durante tutta la storia della famiglia umana. Nel cercare di ricostruire un’immagine sintetica del peccato, ci serviamo anche di tutto ciò che dice di esso la varia esperienza dell’uomo lungo il corso dei secoli. Non dimentichiamo però che il peccato in se stesso è un mistero di iniquità, il cui inizio nella storia, e anche il successivo sviluppo, non possono essere compresi appieno senza riferimento al mistero di Dio-Creatore, e in particolare del Creatore degli esseri che sono fatti a immagine e somiglianza di lui. Le parole del Vaticano II già riportate, dicono che il mistero del male e del peccato, il “mysterium iniquitatis”, non può essere compreso senza riferimento al mistero della redenzione, al “mysterium paschale” di Gesù Cristo, come abbiamo osservato fin dalla prima catechesi di questo ciclo. Proprio questa “logica” di fede si esprime già nei più antichi simboli.

3. In un tale quadro della verità sul peccato, costantemente professata e annunciata dalla Chiesa, veniamo introdotti già dal primo annunzio di redenzione che troviamo nella Genesi. Infatti, dopo aver infranto il primo comandamento, sul quale Dio-Creatore ha fondato la sua più antica alleanza con l’uomo, la Genesi ci mette al corrente del seguente dialogo: “Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare? ». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato»” (Gn 3,9-13).

“Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo sii tu maledetto . . . Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno»” (Gn 3,14-15).

4. Questo passo di Genesi 3 si inserisce armoniosamente nel contesto “Jahvista” di cui fa parte, per quanto riguarda sia lo stile sia il modo di presentare le verità, che conosciamo già dall’esame delle parole del tentatore, e della descrizione del primo peccato. Nonostante le apparenze che lo stile del racconto biblico può creare, le verità essenziali sono in esso sufficientemente leggibili. Si lasciano cogliere e capire in se stesse, e ancor più nel contesto di tutto ciò che su questo tema dice tutta la Bibbia, dall’inizio sino alla fine, attraverso il senso più pieno della Sacra Scrittura (“sensus plenior”).

Così dunque il passo di () (e anche il seguito di questo capitolo) contiene la risposta di Dio al primo peccato dell’uomo. È una risposta diretta al primo peccato, e al tempo stesso una riposta in prospettiva, perché si riferisce a tutta la storia futura dell’uomo sulla terra, fino al suo termine. Tra la Genesi e l’Apocalisse esistono una vera continuità e insieme una profonda coerenza nella verità rivelata da Dio. A questa coerenza armoniosa della Rivelazione corrisponde la parte dell’uomo, che crede consapevolmente, “la logica della fede”. La verità sul peccato rientra nello sviluppo di questa logica.

5. Secondo Gen Gn 3,9-15, il primo peccato dell’uomo viene descritto innanzitutto come “disobbedienza” cioè opposizione contro il comandamento che esprime la volontà del Creatore. Lo abbiamo visto. L’uomo (maschio e femmina) è responsabile di questo atto, poiché Adamo è completamente consapevole e libero nel fare quello che fa. La stessa responsabilità si ritrova in ogni peccato personale nella storia dell’uomo, che agisce per uno scopo. È significativo a questo riguardo ciò che ci fa sapere la Genesi, cioè che il Signore Dio chiede a entrambi - prima all’uomo poi alla donna - il motivo del loro comportamento: “Perché l’hai fatto?”. Se ne deduce che l’essenziale portata dell’atto è in riferimento a questo motivo, cioè allo scopo dell’agire. Nella domanda divina il “perché” significa per quale motivo?, ma significa anche a quale scopo? E qui la donna (con l’uomo) si richiama all’istigazione del tentatore: “Il serpente mi ha ingannata”. Da questa risposta bisogna desumere che il motivo suggerito dal serpente: “sarete . . . come Dio” ha contribuito in modo determinante alla trasgressione del divieto del Creatore e ha dato una dimensione essenziale al primo peccato. Tale motivo non è direttamente ripreso da Dio nella sua sentenza di castigo: ma senza dubbio è presente e domina tutto lo scenario biblico e storico come un richiamo alla gravità e alla stoltezza della pretesa di opporsi o di sostituirsi a Dio, come un’indicazione della dimensione più essenziale e profonda del peccato originale e di ogni peccato che ha in quello la sua prima radice.

6. È perciò significativo e giusto che nel seguito della risposta al primo peccato dell’uomo, Dio si rivolga attentamente al tentatore, al “serpente antico”, di cui l’autore dell’Apocalisse dirà che “tenta tutto il mondo” (Ap 12,9, “che seduce tutta la terra”). Secondo la Genesi, infatti, il Signore Dio disse al serpente: “Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto”. Le parole della maledizione rivolte al serpente riguardano colui che Cristo chiamerà: “il padre della menzogna” (cfr Jn 8,44). Ma nello stesso tempo, in quella risposta di Dio al primo peccato, vi è l’annuncio della lotta, che durante tutta la storia dell’uomo si svolgerà tra lo stesso “padre della menzogna” e la Donna e la sua Stirpe.

7. Il Concilio Vaticano II si pronuncia su questo tema in modo molto chiaro: “Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” (Gaudium et Spes GS 37). In un altro passo il Concilio si esprime in un modo ancora più esplicito, parlando della lotta “tra il bene e il male” che si combatte in ogni uomo: “L’uomo si trova incapace di superare efficacemente da se medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato”. Ma a questa forte espressione il Concilio contrappone la verità sulla redenzione con un’affermazione di fede non meno forte e decisa: “Il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo, e scacciando fuori "il principe di questo mondo", che lo teneva schiavo del peccato” (Gaudium et Spes GS 13).

8. Queste osservazioni del magistero della Chiesa di oggi ripetono in modo preciso e omogeneo la verità sul peccato e sulla redenzione, espressa inizialmente in Gen 3, 15 e in seguito in tutta la Sacra Scrittura. Ascoltiamo ancora la Gaudium et Spes (Gaudium et Spes GS 13): “Costituito da Dio . . . l’uomo fin dagli inizi della storia abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”. Evidentemente si tratta di un peccato nel senso stretto della parola: sia nel caso del primo peccato sia in quello di ogni altro peccato dell’uomo. Ma il Concilio non omette di ricordare che quel primo peccato è stato commesso dall’uomo “tentato dal Maligno”. Come leggiamo nel Libro della Sapienza (Sg 2,24): “. . . la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”. Sembra che in questo caso “la morte” significhi sia il peccato stesso (la morte dell’anima come perdita della vita divina conferita dalla grazia santificante), sia anche la morte corporale spogliata della speranza della risurrezione gloriosa. L’uomo che ha infranto la legge riguardante “l’albero della conoscenza del bene e del male”, è stato, dal Signore Dio, allontanato dall’“albero della vita” (Gn 3,22), nella prospettiva di tutta la sua storia terrena.

9. Nel testo del Concilio, col richiamo al primo peccato, e al suo retaggio nella storia umana, si chiude la prospettiva della lotta annunciata dalle parole attribuite a Dio in Gen 3, 15: “Io porrò inimicizia”. Se ne deduce che se il peccato è sin dall’inizio legato alla libera volontà e alla responsabilità dell’uomo e apre una questione “drammatica” tra l’uomo e Dio, è anche vero che l’uomo, a causa del peccato, è inserito (come si esprime giustamente il Vaticano II) “in una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre” (Gaudium et Spes GS 37). È coinvolto e “come incatenato” (sempre secondo il Concilio) nel dinamismo oscuro di quel “mysterium iniquitatis”, che è più grande di lui e della sua storia terrena.

Ne parla bene a proposito la Lettera agli Efesini: “La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ep 6,12). Ma anche il pensiero dell’immane realtà del peccato che grava su tutta la storia con una particolare considerazione per i nostri tempi, ci risospinge alla tremenda verità di quelle parole bibliche e conciliari su “l’uomo . . . inserito nella lotta tremenda contro le potenze delle tenebre!”. Non dobbiamo però dimenticare che su questo mistero di tenebra si accende fin dall’inizio una luce che libera la storia dall’incubo di una condanna inesorabile: l’annuncio del Salvatore.

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad un gruppo di pellegrini di espressione spagnola

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Ad un folto gruppo di pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo un affettuoso saluto ai membri delle Confraternite della Diocesi di Avezzano, che sono qui numerosi.

Vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, per questa visita segno del vostro attaccamento alla Sede Apostolica. Vi auguro di mantenervi sempre saldi in tale fedeltà, che è fedeltà a Cristo, mentre di vero cuore vi benedico tutti insieme col vostro Vescovo qui presente.
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Un caro saluto anche al folto gruppo di pellegrini della Parrocchia di Furci e li ringrazio per la medaglia commemorativa del Beato Angelico, agostiniano, sepolto nella vostra Parrocchia.
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Saluto ugualmente un altro gruppo, della medesima Diocesi di Chieti-Vasto, quello della Parrocchia degli Angeli Custodi di Francavilla a Mare, che celebra il ventesimo anniversario della sua fondazione. Il Signore Gesù, per intercessione della Vergine Santissima, aumenti e irrobustisca la vostra Comunità sulle vie del Vangelo e nelle opere della carità! Rivolgendo uno speciale saluto al vostro Arcivescovo, vi assicuro un ricordo nella preghiera e vi accompagno con la mia Benedizione.
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Mi rivolgo poi al gruppo degli alunni ed ex-alunni del Collegio Nazareno di Roma, ed alla giovane che ha ricevuto il premio di “alunna più buona d’Italia per il 1986”.
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Parimenti saluto anche la delegazione di ragazzi che sono venuti per presentarmi il testo del Rapporto UNICEF 1987 sulla condizione dell’infanzia nel mondo.

Ai bambini qui presenti e a tutti i bambini del mondo va il mio pensiero e la mia Benedizione.
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Un beneaugurante saluto porgo ora al gruppo dei Sacerdoti delegati delle Diocesi italiane della “Peregrinatio ad Petri Sedem”.

Carissimi, desidero esprimere a tutti voi il mio plauso ed il mio incoraggiamento per la vostra opera, mentre di cuore vi benedico.

Ai giovani

Desidero rivolgere il mio saluto ai giovani qui convenuti in questo periodo del tutto particolare dell’Avvento.

Carissimi, la Beata Vergine Immacolata con il suo esempio e con la sua Materna intercessione vi aiuti a vivere questi giorni nell’attesa del Signore che viene, sapendo riscoprire il valore della preghiera e della riflessione, quale strada privilegiata per accogliere il Verbo di Dio e per poter orientare tutta la vostra vita alla luce della Sua Parola.

Agli ammalati

Mi è gradito rivolgermi con affetto agli ammalati che hanno voluto venire come pellegrini, alla Sede di Pietro. Saluto tra loro in modo particolare il gruppo dell’Associazione “Non vedenti e Invalidi civili” provenienti da Napoli.

Non vi manchi mai, cari fratelli, la certezza che il Signore, da voi accolto in questo periodo dell’Avvento, mediante l’ascolto della Sua Parola e con l’offerta a Lui delle vostre sofferenze, vuole essere per ciascuno di voi, conforto nella malattia, sollievo nella prova e presenza santificante per voi e per tutti coloro che vi sono cari.

Agli sposi novelli

Saluto di cuore gli sposi che da poco hanno ricevuto la Grazia sacramentale del Sacro Rito del Matrimonio.

La Beata Vergine Immacolata che ha saputo accogliere il Figlio di Dio, nel suo grembo prima, e nella sua famiglia poi, con profondo spirito di fede e con una genuina e solida dimensione di amore, vi aiuti a far sì che la vostra vita coniugale e familiare sia sempre orientata ad accogliere il Signore che viene e sappia trarre alimento costante dalla fede e dalla carità cristiana.




Mercoledì, 17 dicembre 1986

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1. Nella quarta Preghiera eucaristica (Missale Romanum, Prex Eucharistia IV) la Chiesa si rivolge a Dio con le seguenti parole: “Noi ti lodiamo, Padre santo, per la tua grandezza: tu hai fatto ogni cosa con sapienza e amore. A tua immagine hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te, suo creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato. E quando, per la sua disubbidienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte . . .”.

In armonia con la verità espressa in questa preghiera della Chiesa, nella precedente catechesi abbiamo rilevato il contenuto complesso delle parole di Gen 3 che costituiscono la risposta di Dio al primo peccato dell’uomo. In quel testo si parla della lotta contro “le potenze delle tenebre”, nella quale è stato coinvolto l’uomo a causa del peccato sin dall’inizio della sua storia sulla terra: ma nello stesso tempo si assicura che Dio non abbandona l’uomo a se stesso, non lo lascia “in potere della morte”, ridotto a “schiavo del peccato” (
Rm 6,17). Infatti, volgendosi al serpente-tentatore il Signore Dio dice così: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,15).

2. Queste parole della Genesi vengono definite come il “protoevangelo”, ossia come il primo annunzio del Messia Redentore. Esse, infatti, lasciano trasparire il disegno salvifico di Dio verso il genere umano, che dopo il peccato originale si è trovato nello stato di decadenza che conosciamo (status naturae lapsae). Esse dicono anzitutto ciò che nel piano salvifico di Dio, costituisce l’evento centrale. Quello stesso evento al quale si riferisce la quarta Preghiera eucaristica, già citata, quando si volge a Dio con questa professione di fede; “Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio come salvatore. Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria; ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana”.

3. L’annuncio di Gen 3 si chiama “protoevangelo”, perché esso ha trovato la sua conferma e il suo compimento solamente nella rivelazione della nuova alleanza che è il Vangelo di Cristo. Nell’antica alleanza questo annuncio veniva rievocato costantemente in diversi modi, nei riti, nei simbolismi, nelle preghiere, nelle profezie, nella stessa storia di Israele come “popolo di Dio” proteso verso un traguardo messianico, ma sempre sotto i veli della fede imperfetta e provvisoria dell’Antico Testamento. Quando avverrà il compimento dell’annuncio in Cristo si avrà la piena rivelazione del contenuto trinitario e messianico implicito nel monoteismo di Israele. Il Nuovo Testamento farà scoprire allora il significato pieno degli scritti dell’Antico Testamento, secondo il famoso aforisma di sant’Agostino: “In vetere Testamento novum latet, in novo vetus patet” e cioè: “Nel Testamento Antico è nascosto il Nuovo, e in quello Nuovo l’Antico diventa chiaro” (Quaestiones in Heptateuchum, II, 73).

4. L’analisi del “protoevangelo” ci fa dunque conoscere, attraverso l’annuncio e la promessa in esso contenuti, che Dio non ha abbandonato l’uomo in potere del peccato e della morte. Ha voluto soccorrerlo e salvarlo. E lo ha fatto nel modo suo proprio, a misura della sua santità trascendente, e nello stesso tempo a misura di una tale “condiscendenza”, quale poteva dimostrare solamente un Dio-Amore.

Le parole stesse del “protoevangelo” esprimono questa condiscendenza salvifica, quando annunciano la lotta (“porrò inimicizia!”) tra colui che rappresenta “le potenze delle tenebre” e Colui che la Genesi chiama “la stirpe della donna” (“la sua stirpe”). È una lotta che si concluderà con la vittoria di Cristo (“ti schiaccerà la testa”). Però questa sarà la vittoria riportata a prezzo del sacrificio della croce (“e tu le insidierai il calcagno”). Il “mistero della pietà” dissipa il “mistero dell’iniquità”. Difatti proprio il sacrificio della croce ci fa penetrare nello stesso nucleo essenziale del peccato, consentendoci di capire qualcosa del suo mistero tenebroso. Ci guida in modo particolare san Paolo nella Lettera ai Romani quando scrive: “. . . come per la disubbidienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,19). “Come . . . per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Rm 5,18).

5. Nel “protoevangelo” in un certo senso il Cristo viene annunciato per la prima volta come “il nuovo Adamo” (1Co 15,45). Anzi la sua vittoria sul peccato, ottenuta mediante l’“obbedienza fino alla morte di croce” (Ph 2,8), comporterà una tale abbondanza di perdono e di grazia salvifica, da superare smisuratamente il male del primo peccato e di tutti i peccati degli uomini. Scrive ancora san Paolo: “Se per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini” (Rm 5,15).

Anche solo rimanendo sul terreno del “protoevangelo”, si può scoprire che sulla sorte dell’uomo decaduto (“status naturae lapsae”) viene già introdotta la prospettiva della futura redenzione (“status naturae redemptae”).

6. La prima risposta del Signore Dio al peccato dell’uomo, contenuta in Gen Gn 3,1 ci permette dunque di conoscere sin dall’inizio Dio come infinitamente giusto e nello stesso tempo infinitamente misericordioso. Egli fin da quel primo annuncio si manifesta come quel Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Jn 3,16); che “ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10); che “non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32).

Abbiamo così la certezza che Dio, il quale, nella sua santità trascendente, aborrisce il peccato, giustamente punisce il peccatore, ma nella sua ineffabile misericordia contemporaneamente lo abbraccia con il suo amore salvifico. Il “protoevangelo” già annunzia questa vittoria salvifica del bene sul male, che si manifesterà nel Vangelo mediante il mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto.

7. È da notare come nelle parole di Gen Gn 3,15 “Io porrò inimicizia”, in un certo senso sia collocata al primo posto la donna: “Io porrò inimicizia tra te e la donna”. Non: tra te e l’uomo, ma proprio: tra te e la donna. I commentatori sin dai tempi antichissimi sottolineano che qui viene operato un parallelismo significativo. Il tentatore - “il serpente antico” - si è rivolto, secondo Gen Gn 3,4, prima alla donna e mediante essa ha riportato la sua vittoria. A sua volta il Signore Dio, annunciando il Redentore, costituisce la Donna prima “nemica” del principe delle tenebre. Essa deve essere, in un certo senso, la prima destinataria della definitiva alleanza, nella quale le forze del male verranno vinte dal Messia, suo Figlio (“la sua stirpe”).

8. Questo - ripeto - è un particolare estremamente significativo, se si tiene conto che nella storia dell’alleanza Dio si rivolge prima di tutto agli uomini (Noè, Abramo, Mosè). In questo caso la precedenza sembra appartenere alla Donna, naturalmente in considerazione del suo discendente, Cristo. Infatti, moltissimi Padri e Dottori della Chiesa vedono nella Donna annunciata nel “protoevangelo” la Madre di Cristo, Maria. Essa è anche colei che per prima ha parte in quella vittoria sul peccato riportata da Cristo: è infatti libera dal peccato originale e da ogni altro peccato, come sulla linea della Tradizione, ha sottolineato già il Concilio di Trento (cfr DS 1516 DS 1573) e, per quanto concerne in specie il peccato originale, Pio IX ha definito solennemente, proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione (cfr DS 2803).

“Non pochi antichi Padri”, come dice il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium LG 56), nella loro predicazione presentano in Maria, Madre di Cristo, la nuova Eva (così come Cristo è il nuovo Adamo, secondo san Paolo). Maria prende il posto e costituisce l’opposto di Eva, che è “la madre di tutti i viventi” (Gn 3,20), ma anche la causa, con Adamo, della universale caduta nel peccato, mentre Maria è per tutti “causa salutis” per la sua obbedienza nel cooperare con Cristo alla nostra redenzione (cf. Ireneo, Adv. haereses, III, 22, 4).

9. Magnifica è la sintesi che di questa dottrina fa il Concilio, del quale per ora ci limitiamo a riferire un testo che può essere il miglior suggello alle catechesi sul peccato, che abbiamo svolto alla luce dell’antica fede e speranza nell’avvento del Redentore: “L’accettazione della predestinata madre ha preceduto l’incarnazione perché così come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita. Il che vale in modo straordinario della Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la vita stessa, che tutto rinnova . . . Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la Madre di Dio la tutta santa e immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito santo quasi plasmata e resa nuova creatura” (Lumen Gentium LG 56).

“Adornata fin dal primo istante della sua concezione dagli splendori di una santità del tutto singolare, la Vergine di Nazaret è, per ordine di Dio, salutata dall’angelo nunziante quale "piena di grazia" e al celeste messaggero essa risponde: "Ecco l’ancella del Signore, si faccia in me secondo la tua parola". Così Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù, e abbracciando, con tutta l’anima e senza peso alcuno di peccato, la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo il mistero della redenzione sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio Onnipotente” (Lumen Gentium LG 56).

In Maria e per Maria, così, si è rovesciata la situazione dell’umanità e del mondo, che sono in qualche modo rientrati nello splendore del mattino della creazione.

Ai pellegrini di espressione francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Rivolgo ora un cordiale saluto alla rappresentanza del Comune di Dobbiaco, il quale ha donato l’abete che voi vedete in Piazza San Pietro, come simbolo delle prossime festività. Ringrazio per questo gentile dono, che aggiunge a questa piazza una nota inconfondibile di gioia natalizia, ed imparto a tutti loro la mia benedizione.
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Saluto con affetto gli alunni delle Scuole Elementari guidati dal gruppo che si occupa degli handicappati, della Parrocchia di S. Paolo; saluto con loro il coro che eseguirà canti natalizi ed anche coloro che rappresenteranno il “Presepio vivente”.

A voi tutti il mio cordiale ringraziamento, il mio benvenuto ed una larga Benedizione!
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Un caro saluto voglio ora rivolgere agli alunni ed al personale della Scuola Media Statale “A. Angelucci” di Subiaco, qui presenti insieme con i componenti il coro della Parrocchia di S. Maria Assunta di Agosta, della medesima Diocesi di Subiaco.

Su tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, invoco l’abbondanza di quei doni di grazia che sono frutto del Mistero dell’Incarnazione, che ricorderemo tra pochi giorni nel Santo Natale, mentre di cuore vi benedico insieme con le vostre famiglie ed i vostri cari.
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Saluto e benedico le Religiose partecipanti ad un Convegno di aggiornamento della Federazione Italiana Religiose Operatrici Sanitarie.

Ai giovani

Cari giovani, la vostra presenza entusiastica e gioiosa, è sempre motivo di rinnovata speranza per un mondo migliore, e lo è in particolar modo in questo periodo di preparazione al Santo Natale.

Vi invito a rendere più intenso l’impegno di preghiera e di opere buone. Accogliete l’invito di Gesù, alla pace e all’amore; vivetelo con gioia e diffondetelo nelle vostre famiglie, con gli amici e nell’ambiente in cui vivete.

Il Natale riempia i vostri cuori di quella gioia vera, che solo Gesù ci può dare! Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Rivolgo ora il mio saluto a voi, cari ammalati, sempre presenti nel mio cuore. Il Natale, ormai vicino, rechi anche a voi la gioia e la serenità che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini. Egli è venuto in mezzo a noi nella povertà e negli stenti, ed ha sperimentato il dolore per insegnarci con l’esempio il grande valore della sofferenza. Non sentitevi soli o abbandonati, poiché Dio vi ama, vi amano i vostri cari, vi ama la Chiesa. Anche il Papa vi è vicino. Vi sia di conforto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Infine il mio saluto è rivolto a voi, Sposi novelli. Vi auguro di vivere intensamente, ogni giorno e per tutta la vita, l’impegno del vostro amore e dell’amore di Dio. La nuova vita, la vostra nuova famiglia sia una testimonianza viva di fede in Dio e negli autentici valori umani, e offra una generosa e responsabile collaborazione con il Creatore nel trasmettere nuove vite e nella loro educazione umana e cristiana. Dio benedica il vostro amore, com’io nel suo nome vi benedico di cuore.






Catechesi 79-2005 31286