Catechesi 79-2005 25287

Mercoledì, 25 febbraio 1987

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1. Durante il processo dinanzi a Pilato, Gesù, interrogato se fosse re, dapprima nega di esserlo in senso terreno e politico; poi, richiesto una seconda volta, risponde: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (
Jn 18,37). Questa risposta collega la missione regale e sacerdotale del Messia alla caratteristica essenziale della missione profetica. Il profeta, infatti, è chiamato e inviato a rendere testimonianza alla verità. Come testimone della verità egli parla in nome di Dio. In un certo senso egli è la voce di Dio. Tale fu la missione dei profeti che Dio mandò lungo i secoli a Israele.

È particolarmente nella figura di Davide, re e profeta, che la caratteristica profetica è unita alla vocazione regale.

2. La storia dei profeti dell’Antico Testamento indica chiaramente che il compito di proclamare la verità, parlando a nome di Dio, è anzitutto un servizio in relazione sia al divino mandante, sia al popolo, al quale il profeta si presenta come inviato da Dio. Ne consegue che il servizio profetico è non solo eminente e onorevole, ma anche difficile e faticoso. Ne è un esempio evidente la vicenda occorsa al profeta Geremia, il quale incontra resistenza, rigetto e perfino persecuzione, nella misura in cui la verità proclamata è scomoda.Gesù stesso, che più volte ha fatto riferimento alle sofferenze subite dai profeti, le ha sperimentate personalmente in modo pieno.

3. Questi primi accenni al carattere ministeriale della missione profetica ci introducono alla figura del servo di Dio (“Ebed Jahwe”) che si trova in Isaia (precisamente nel cosiddetto “Deutero-Isaia”). In questa figura la tradizione messianica dell’antica alleanza trova un’espressione particolarmente ricca e importante se consideriamo che il servo di Jahvè, nel quale spiccano soprattutto le caratteristiche del profeta, unisce in sé, in certo modo, anche la qualità del sacerdote e del re. I Carmi di Isaia sul servo di Jahvè presentano una sintesi vetero-testamentaria sul Messia, aperta a sviluppi futuri. Benché scritti tanti secoli prima di Cristo, servono in maniera sorprendente all’identificazione della sua figura, specialmente per quanto riguarda la descrizione del servo di Jahvè sofferente: un quadro così aderente e fedele che si direbbe ritratto avendo sotto gli occhi gli avvenimenti della Pasqua di Cristo.

4. È doveroso osservare che i termini “Servo” e “Servo di Dio” sono largamente impiegati nell’Antico Testamento. Molti eminenti personaggi si chiamano o sono definiti “servi di Dio”. Così Abramo (Gn 26,24), Giacobbe (Gn 32,11), Mosè, Davide e Salomone, i profeti. Anche ad alcuni personaggi pagani che svolgono una loro parte nella storia di Israele, la sacra Scrittura attribuisce questo termine: così per esempio a Nabucodonosor (Jr 25,8-9) e a Ciro (Is 44,26). Infine tutto Israele come popolo viene chiamato “servo di Dio” (cf. Is 41,8-9 Is 42,19 Is 44,21 Is 48,20), secondo un uso linguistico di cui troviamo eco anche nel cantico di Maria che loda Dio perché “ha soccorso Israele, suo servo” (Lc 1,54).

5. Quanto ai Carmi di Isaia sul servo di Jahvè constatiamo anzitutto che essi riguardano non un’entità collettiva, quale può essere un popolo, ma una persona singola, che il profeta distingue in certo modo da Israele-peccatore: “Ecco il mio servo che io sostengo - leggiamo nel primo Carme -, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta . . . non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra . . .” (Is 42,1-4). “Io, il Signore . . . ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” (Is 42,6-7).

6. Il secondo Carme sviluppa lo stesso concetto: “Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane: il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra” (Is 49,1-2). “Mi disse: È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe . . . Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,6). “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola” (Is 50,4). E ancora: “si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui chiuderanno la bocca” (Is 52,15). “Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità” (Is 53,11).

7. Questi ultimi testi, appartenenti ai Carmi terzo e quarto, ci introducono con impressionante realismo nel quadro del servo sofferente al quale dovremo ancora tornare. Tutto quanto Isaia dice sembra preannunziare in modo sorprendente ciò che all’alba stessa della vita di Gesù predirà il santo vecchio “Simeone”, quando lo saluterà come “luce per illuminare le genti” e insieme come “segno di contraddizione” (Lc 2,32 Lc 2,34). Già dal Libro di Isaia la figura del Messia emerge come profeta, che viene al mondo per rendere la testimonianza alla verità, e che proprio a motivo di questa verità sarà respinto dal suo popolo, divenendo con la sua morte motivo di giustificazione per “molti”.

8. I Carmi sul servo di Jahvè trovano ampia risonanza “nel Nuovo Testamento”, fin dall’inizio dell’attività messianica di Gesù. Già la descrizione del battesimo nel Giordano permette di stabilire un parallelismo con i testi di Isaia. Scrive Matteo: “Appena battezzato (Gesù) . . . si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (Mt 3,16); in Isaia è detto: “Ho posto il mio spirito su di lui” (Is 42,1). L’evangelista aggiunge: “Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17) mentre in Isaia Dio dice del servo: “il mio eletto in cui mi compiaccio” (Is 42,1). Giovanni Battista indica Gesù che si avvicina al Giordano, con le parole: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo” (Jn 1,29), esclamazione che rappresenta quasi una sintesi del contenuto del terzo e del quarto Carme sul servo di Jahvè sofferente.

9. Un rapporto analogo lo si trova nel brano in cui Luca riporta le prime parole messianiche pronunziate da Gesù nella sinagoga di Nazaret, quando Gesù legge il testo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,17-19). Sono le parole del primo Carme sul servo di Jahvè (Is 42,1-7 cf. anche Is 61,1-2).

10. Se poi guardiamo alla vita e al ministero di Gesù, egli ci appare come il Servo di Dio, che porta salvezza agli uomini, che li guarisce, che li libera dalla loro iniquità, che li vuole guadagnare a sé non con la forza ma con la bontà. Il Vangelo, specialmente quello secondo Matteo, fa spesso riferimento al Libro di Isaia, il cui annuncio profetico viene attuato in Cristo, come quando narra che “Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,16-17 cf. Is 53,4). E altrove: “Molti lo seguirono ed egli guarì tutti . . . perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ecco il mio servo . . .” (Mt 12,15-21), e qui l’evangelista riporta un lungo brano dal primo Carme sul servo di Jahvè.

11. Come i Vangeli, così anche gli Atti degli Apostoli dimostrano che la prima generazione dei discepoli di Cristo, a cominciare dagli apostoli, è profondamente convinta che in Gesù ha trovato compimento tutto ciò che il profeta Isaia ha annunciato nei suoi Carmi ispirati: che Gesù è l’eletto Servo di Dio (cf. per esempio Ac 3,13 Ac 3,26 Ac 4,27 Ac 4,30 1P 2,22-25), che compie la missione del servo di Jahvè e porta la Legge nuova, è luce e alleanza per tutte le nazioni (cf. Ac 13,46-47). Questa medesima convinzione la ritroviamo quindi nella “Didaché”, nel “Martirio di san Policarpo”, e nella Prima Lettera di san Clemente Romano.

12. Bisogna aggiungere un dato di grande importanza: Gesù stesso parla di sé come di un servo, alludendo chiaramente a Is 53, quando dice: “Il Figlio dell’uomo . . . non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28). Lo stesso concetto egli esprime quando lava i piedi agli apostoli (Jn 13,4 Jn 13,12-15).

Nell’insieme del Nuovo Testamento, accanto ai brani e alle allusioni al primo Carme del servo di Jahvè (Is 42,1-7), che sottolineano l’elezione del servo e la sua missione profetica di liberazione, di guarigione e di alleanza per tutti gli uomini, il numero maggiore di testi fa riferimento al terzo e al quarto Carme (Is 50,4-11 Is 52, 13-53,12) sul servo sofferente. È la medesima idea così sinteticamente espressa da san Paolo nella Lettera ai Filippesi, quando inneggia a Cristo:

“Il quale, pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini . . . / umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte” (Ph 2,6-8).

Ai fedeli di lingua francese


Al popolo greco

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad un gruppo di studenti giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo !

Dilettissimi studenti dell'Università Sophia di Tokyo e dell «Junior College Yamada» di Nagoya, siate i benvenuti ! Auspico che il vostro viaggio di aggiornamento in Europa sia un' occasione per volgere il vostro sguardo al mondo intero, oltre che al Giappone.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo !

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli giunti dalla Spagna
e da alcuni Paesi dell’America Latina


Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Saluto cordialmente il gruppo di religiose giunte a Roma da varie parti d’Italia per un convegno di aggiornamento indetto dalla Fondazione Italiana Religiose Operatrici Sanitarie. Care Suore, esprimo il mio vivo compiacimento per l’iniziativa in corso e per la nobile attività da voi svolta a favore dei sofferenti e dei bisognosi, auguro al vostro incontro ricchezza di risultati e vi benedico di cuore.
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Un cordiale saluto anche ad un altro gruppo di religiose: si tratta delle Superiore locali italiane delle Figlie della Carità, che si sono incontrare per una sessione di studio sull’argomento: “ Comunione e comunità missionaria ”. La missione suppone la comunione! questa vostra esperienza romana di comunione fraterna ed ecclesiale possa essere di stimolo e d’incoraggiamento per tutte voi al fine di un più intenso ed efficace impegno nella vostra testimonianza missionaria, secondo il carisma proprio della vostra Congregazione, mentre di cuore vi benedico.
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Desidero poi salutare un gruppo proveniente da Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza. Si tratta di medici insieme con i loro familiari. Vi do il mio benvenuto, cari fratelli e sorelle. L’altro ideale di servizio all’uomo che ci propone il Vangelo possa essere sempre per voi il criterio e la forza che vi sostengono e vi guidano nella vostra missione per la promozione e la salvaguardia della vita. La mia affettuosa Benedizione vi accompagna.

Ai giovani

Rivolgo ora un saluto affettuoso a tutti i giovani presenti a questa Udienza. Carissimi, fissando lo sguardo al futuro, abbiate cura di acquistare una solida formazione spirituale, sforzandovi di crescere nella fede, che vi unisce intimamente a Cristo, luce del mondo. A voi, ai vostri familiari ed a quanti hanno merito nella vostra preparazione religiosa, morale e culturale la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

A voi, diletti infermi, che portate nel vostro corpo le sofferenze di Cristo collaborando tanto validamente al bene spirituale della Chiesa, una parola particolarmente affettuosa. Accettate le prove del momento in spirito di fede e di amore, nella consapevolezza che tutto serve a rendere più colmo il tesoro spirituale che arricchisce la vostra anima e tutti i membri del corpo mistico di Cristo. Vi sono sempre vicino con la mia preghiera e con la mia Benedizione.

Saluto in particolare il gruppo proveniente dalla Parrocchia di S. Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, rivolgendo un affettuoso pensiero anche ai barellieri, assistenti e familiari che li accompagnano.

Agli sposi novelli

Cari sposi, sono lieto d’incontrarvi l’indomani della celebrazione del vostro matrimonio e poter aggiungere la mia Benedizione a quella che, in nome di Cristo, vi ha dato il sacerdote, sanzionando il vostro patto di amore. Procurate nella vostra vita coniugale, di amarvi come Cristo ha amato la Chiesa; ispiratevi nei vostri comportamenti alla santa Famiglia di Nazareth. Vi accompagno con la mia Benedizione Apostolica, estensibile ai vostri rispettivi familiari.





Mercoledì delle Ceneri, 4 marzo 1987

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Cari fratelli e sorelle.

Oggi, mercoledì delle Ceneri, è un giorno speciale dell’anno liturgico, e quindi del nostro cammino interiore verso il regno di Dio.

Inizia infatti oggi il periodo della Quaresima che ci prepara alla Pasqua. Esso ci invita a vivere più a fondo il mistero della croce di Cristo, così da poter poi meglio comprendere e vivere il mistero della risurrezione.

In questo nuovo clima di più intenso fervore nello spirito, proseguiamo le nostre “catechesi del mercoledì”, soffermandoci sul compimento in Cristo delle profezie che preannunciavano che il Messia avrebbe sofferto e subìto la morte.

1. Nelle catechesi precedenti abbiamo cercato di mostrare gli aspetti più rilevanti della verità sul Messia così come essa è stata preannunziata nell’antica alleanza, e così come è stata ereditata dalla generazione dei contemporanei di Gesù di Nazaret, entrati nella nuova tappa della rivelazione divina. Di questa generazione, coloro che hanno seguito Gesù, lo hanno fatto perché convinti che in lui si è compiuta la verità sul Messia: che proprio lui è il Messia, il Cristo.Significative sono le parole con cui Andrea, il primo degli apostoli chiamati da Gesù, annuncia a suo fratello Simone: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” (
Jn 1,41).

Si deve però riconoscere che le constatazioni così esplicite sono piuttosto rare nei Vangeli. Ciò è dovuto anche al fatto che nella società israeliana di quei tempi era diffusa un’immagine di Messia al quale Gesù non volle adattare la sua figura e la sua opera, nonostante lo stupore e l’ammirazione suscitati da tutto ciò che egli “fece e insegnò” (Ac 1,1).

2. Sappiamo anzi che lo stesso Giovanni Battista, il quale sulle rive del Giordano aveva indicato Gesù come “colui che doveva venire” (cf. Jn 1,15 Jn 1,30), avendo con spirito profetico visto in lui “l’agnello di Dio” venuto per togliere i peccati del mondo, Giovanni che aveva preannunziato il “nuovo battesimo” che Gesù avrebbe conferito con la forza dello Spirito, quando già si trovava in prigione mandò i suoi discepoli a porre a Gesù la domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?” (Mt 11,3).

3. Gesù non lascia senza risposta Giovanni e i suoi messaggeri: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7,22). Con questa risposta Gesù intende confermare la sua missione messianica ricorrendo in particolare alle parole di Isaia (cf. Is 35,4-5 Is 61,1). E conclude: “Beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” (Lc 7,23). Queste ultime parole suonano come un richiamo indirizzato direttamente a Giovanni, suo eroico precursore, il quale aveva del Messia un concetto diverso.

Infatti nella sua predicazione Giovanni aveva delineato la figura del Messia come quella di un giudice severo. In questo senso aveva parlato dell’“ira imminente”, della “scure già posta alla radice degli alberi” (cf. Lc 3,7 Lc 3,9), per tagliare ogni pianta “che non porta buon frutto” (Lc 3,9). Certamente Gesù non avrebbe esitato a trattare con fermezza e anche con asprezza, quando necessario, l’ostinazione e la ribellione alla parola di Dio, ma egli sarebbe stato soprattutto l’annunziatore della “buona novella ai poveri” e con le sue opere e i suoi prodigi avrebbe rivelato la volontà salvifica di Dio, Padre misericordioso.

4. La risposta che Gesù dà a Giovanni presenta anche un altro elemento che è interessante rilevare: Egli evita di proclamarsi apertamente Messia. Nel contesto sociale del tempo, infatti, tale titolo risultava molto ambiguo: la gente comunemente lo interpretava in senso politico. Gesù preferisce perciò rimandare alla testimonianza offerta dalle sue opere, desideroso maggiormente di persuadere e di suscitare la fede.

5. Non mancano tuttavia nei Vangeli casi particolari, come il colloquio con la Samaritana, narrato nel Vangelo di Giovanni. Alla donna che gli dice: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”, Gesù risponde: “Sono io, che ti parlo” (Jn 4,25-26).

Stando al contesto del colloquio, Gesù convinse la Samaritana che aveva intuito disponibile all’ascolto, poiché questa rientrando in città si affrettò a far sapere alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Jn 4,28-29). Mossi dalla sua parola, molti Samaritani andarono incontro a Gesù, lo ascoltarono, e a loro volta conclusero: “Questi è veramente il salvatore del mondo” (Jn 4,42).

6. Tra gli abitanti di Gerusalemme, invece, le parole e i prodigi di Gesù suscitavano questioni intorno alla sua messianicità. Alcuni escludevano che egli potesse essere il Messia: “Costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia” (Jn 7,27). Altri invece dicevano: “Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?” (Jn 7,31). “Non è forse costui il figlio di Davide?” (Mt 12,23). Intervenne anche il sinedrio, decretando che “se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga” (Jn 9,22).

7. Siamo così in grado di comprendere il significato chiave della conversazione di Gesù con gli apostoli, vicino a Cesarea di Filippo. “Gesù . . . interrogava i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia? Ed essi gli risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo” (Mc 8,27-29 cf. anche Lc Mt 9,18-21), cioè il Messia.

8. Secondo il Vangelo di Matteo questa risposta fornisce a Gesù l’occasione di preannunziare il primato di Pietro nella Chiesa futura (cf. Mt 16,18). Secondo Marco, dopo la risposta di Pietro, Gesù ordinò severamente agli apostoli “di non parlare di lui a nessuno” (Mc 8,30). Possiamo dedurne che Gesù non solo non proclamava di essere il Messia, ma non voleva neppure che gli apostoli diffondessero per allora la verità della sua identità. Voleva infatti che i contemporanei raggiungessero questa convinzione guardando le sue opere e ascoltando il suo insegnamento. D’altra parte il fatto stesso che gli apostoli erano convinti di ciò che Pietro aveva espresso a nome di tutti proclamando: “Tu sei il Cristo” prova che le opere e le parole di Gesù costituirono una base sufficiente, sulla quale la fede in lui come Messia potè fondarsi e svilupparsi.

9. Ma il seguito di quella conversazione, che leggiamo nei due testi paralleli di Marco e di Matteo, è ancor più significativo circa il pensiero di Gesù sulla propria messianicità (cf. Mc 8,31-33 Mt 16, 2l-23). Gesù, infatti, quasi in stretta connessione con la professione di fede degli apostoli, “cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8,31). L’evangelista Marco fa notare: “Gesù faceva questo discorso apertamente” (Mc 8,32). Marco dice che “allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo” (Mc 8,32). Secondo Matteo il rimprovero fu il seguente: “Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai” (Mt 16,22). Ed ecco la reazione del Maestro: Gesù “rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33 Mt 16,23).

10. In questo rimprovero del Maestro si può percepire come un’eco lontana di quella tentazione nel deserto, provata da Gesù all’inizio della sua attività messianica (cf. Lc 4,1-13), quando satana voleva distoglierlo dal compiere la volontà del Padre fino alla fine. Gli apostoli, e in particolare Pietro, che pure avevano professato la loro fede nella missione messianica di Gesù: “Tu sei il Cristo”, non riuscivano a liberarsi del tutto dalla concezione troppo umana e terrena del Messia, ammettendo la prospettiva di un Messia che avrebbe sofferto e subìto la morte. Ancora, al momento dell’ascensione gli avrebbero chiesto: “. . . Ricostruirai il regno di Israele?” (cf. Ac 1,6).

11. Proprio di fronte a questo atteggiamento Gesù reagisce con tanta decisione e severità. In lui la consapevolezza della missione messianica corrispondeva ai Carmi sul servo di Jahvè di Isaia, e in particolare a quanto il profeta aveva detto sul servo sofferente: “È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza . . . Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima . . . Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori . . . è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,2-5).

Gesù difende con fermezza questa verità sul Messia, intendendo realizzarla in sé fino in fondo, perché in essa si esprime la volontà salvifica del Padre: “Il giusto mio servo giustificherà molti” (Is 53,11). In questo modo egli prepara se stesso ed i suoi all’evento in cui il “mistero messianico” troverà il suo pieno compimento: la Pasqua della sua morte e della sua risurrezione.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese


Ai diversi gruppi di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

A un gruppo di giornalisti del Canale Nazionale televisivo del Cile


Ai gruppi di pellegrini polacchi

Ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice

Rivolgo il mio saluto ai Salesiani ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che sono convenuti a Roma da varie Nazioni per frequentare un corso di formazione permanente sulle Comunicazioni Sociali. Carissimi, auspico che ciascuno e ciascuna di voi con lo studio e con la preghiera si renda sempre più idoneo per trasmettere le verità del Redentore, animando ed orientando le comunità a voi affidate, secondo il carisma di Don Bosco, educatore geniale dei giovani ad un’esistenza serena e forte nell’amicizia di Cristo.

Vi accompagno con la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora un cordiale saluto ai giovani presenti.

All'inizio della Quaresima, vi chiedo di fare oggetto di più attenta riflessione e di più intensa preghiera, il tema assegnato alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù che avrà luogo nella Domenica delle Palme a Buenos Aires: “ Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi . . .”. Essa, infatti, come ho scritto nel messaggio di preparazione, “ deve disporci tutti ad accogliere il dono dell’amore di Dio che ci plasma e ci salva. Il mondo attende con ansia la nostra testimonianza di amore, una testimonianza originata da una profonda convinzione personale e da un sincero atto di amore e di fede in Cristo Risorto. Questo significa conoscere l’amore e crescere in esso ”. Vi ringrazio di cuore dell’accoglienza che riserverete a questo invito e vi benedico.

Agli ammalati

A voi, cari ammalati, la mia affettuosa gratitudine per essere venuti, certamente non senza sacrifici, a questa Udienza.

Il ruolo della sofferenza nel Mistero Pasquale è uno dei temi che la Liturgia richiama sovente nel tempo Quaresimale. Il vostro stato attuale è una preziosa occasione per affinare una particolare comunione con Gesù Crocifisso, e per collaborare con Lui alla salvezza di tanti fratelli, che vivono lontani dalla sua offerta di amore e di redenzione. Dare un significato alla propria sofferenza, sapendo che può trasformarsi in grazia per la propria e l’altura santificazione, è pensiero dolce e tonificante. Con esso vi sostenga anche la mia Benedizione, che estendo di cuore a tutte le persone che vi assistono.

Agli sposi novelli

Desidero infine esprimere il mio saluto agli sposi novelli.

Carissimi, grande ed impegnativo è il passo che avete compiuto, unendovi nel Signore con il Sacramento del matrimonio. Diventatene ogni giorno sempre più consapevoli per dare un’impronta veramente soprannaturale alla vostra esperienza di coppia, all’educazione dei figli che il Padre della vita vorrà donarvi, e a tutte le situazioni nelle quali verrete a trovarvi. Diventerete così segno dell’amore che Dio ha per il mondo e del quale vi ha chiamato ad essere collaboratori.

Con tali auspici vi benedico tutti.




Mercoldì, 18 marzo 1987



1. “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). Con queste parole Gesù di Nazaret dà inizio alla sua predicazione messianica. Il regno di Dio, che in Gesù irrompe nella vita e nella storia dell’uomo, costituisce il compimento delle promesse di salvezza, che Israele aveva ricevuto dal Signore.

Gesù si rivela Messia non perché mira a un dominio temporale e politico secondo la concezione dei suoi contemporanei, ma perché con la sua missione, che culmina nella passione - morte - risurrezione, “tutte le promesse di Dio sono divenute “sì”” (2Co 1,20).

2. Per comprendere pienamente la missione di Gesù è necessario richiamare il messaggio dell’Antico Testamento che proclama la regalità salvifica del Signore. Nel cantico di Mosè (Ex 15,1-18), il Signore è acclamato “re” perché ha mirabilmente liberato il suo popolo e lo ha guidato, con potenza e amore, alla comunione con lui e con i fratelli nella gioia della libertà. Anche l’antichissimo salmo 28/29 testimonia la stessa fede: il Signore è contemplato nella potenza della sua regalità, che domina tutto il creato e comunica al suo popolo forza, benedizione e pace (Ps 29,10). È soprattutto nella vocazione di Isaia che la fede nel Signore “re” appare totalmente permeata dal tema della salvezza. Il “Re”, che il profeta contempla con gli occhi della fede “su un trono alto ed elevato” (Is 6,1), è Dio nel mistero della sua santità trascendente e della sua bontà misericordiosa con cui si rende presente al suo popolo, come fonte di amore che purifica, perdona e salva: “Santo, Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti, tutta la terra sarà piena della sua gloria” (Is 6,3).

Questa fede nella regalità salvifica del Signore impedì che, nel popolo dell’alleanza, la monarchia si sviluppasse in modo autonomo come presso le altre nazioni: il re è l’eletto, l’unto del Signore e, come tale, è lo strumento mediante il quale Dio stesso esercita la sua sovranità su Israele (cf. 1S 12,12-15). “Il Signore regna”, proclamano continuamente i salmi (cf. Ps 5,3 Ps 9,6 Ps 29,10 Ps 93,1 Ps 97,1-4 Ps 146,10).

3. Di fronte all’esperienza dolorosa dei limiti umani e del peccato i profeti annunciano una nuova alleanza, nella quale il Signore stesso sarà la guida salvifica e regale del suo popolo rinnovato (cf. Jr 31,31-34 Ez 34,7-16 Ez 36,24-28).

In questo contesto sorge l’attesa di un nuovo Davide, che il Signore susciterà perché sia lo strumento dell’esodo, della liberazione, della salvezza (Ez 34,23-25 cf. Jr 23,5-6). A partire da questo momento la figura del Messia apparirà in intimo rapporto con l’inaugurazione della piena regalità di Dio.

Dopo l’esilio, anche se in Israele viene meno l’istituto della monarchia, si continua ad approfondire la fede nella regalità che Dio esercita nel suo popolo e che si estenderà fino agli “estremi confini della terra”. I salmi che cantano il Signore re costituiscono la testimonianza più significativa di questa speranza (cf. Sal Sal 99).

Questa speranza tocca la sua massima intensità quando lo sguardo della fede, dirigendosi oltre il tempo della storia umana, comprenderà che solo nell’eternità futura il regno di Dio si stabilirà in tutta la sua potenza: allora, mediante la risurrezione, i redenti saranno nella piena comunione di vita e di amore con il Signore (cf. Da 7,9-10 Da 12,2-3).

4. Gesù fa riferimento a questa speranza dell’Antico Testamento e la proclama adempiuta. Il regno di Dio costituisce il tema centrale della sua predicazione come dimostrano in modo particolare le parabole.

La parabola del seminatore (Mt 13,3-8) proclama che il regno di Dio è già operante nella predicazione di Gesù, e al tempo stesso orienta a guardare all’abbondanza dei frutti che costituiranno la ricchezza sovrabbondante del Regno alla fine del tempo. La parabola del seme che cresce da solo (Mc 4,26-29) sottolinea che il Regno non è opera umana, ma unicamente dono dell’amore di Dio che agisce nel cuore dei credenti e guida la storia umana al suo definitivo compimento nella comunione eterna con il Signore. La parabola della zizzania in mezzo al grano (Mt 13,24-30) e quella della rete da pesca (Mt 13,47-52) prospettano anzitutto la presenza, già operante, della salvezza di Dio. Insieme ai “figli del Regno”, però, sono anche presenti i “figli del Maligno”, gli operatori di iniquità: solo al termine della storia le potenze del male saranno distrutte e chi ha accolto il Regno sarà sempre con il Signore. Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa (Mt 13,44-46), infine, esprimono il valore supremo e assoluto del regno di Dio: chi lo comprende è disposto ad affrontare ogni sacrificio e rinuncia per entrarvi.

5. Dall’insegnamento di Gesù appare una ricchezza molto illuminante.

Il regno di Dio, nella sua piena e totale realizzazione, è certamente futuro, “deve venire” (cf. Mc 9,1 Lc 22,18); la preghiera del Padre Nostro insegna a invocarne la venuta: “venga il tuo Regno” (Mt 6,10).

Al tempo stesso però, Gesù afferma che il regno di Dio “è già venuto” (Mt 12,28), “è in mezzo a voi” (Lc 17,21) attraverso la predicazione e le opere di Gesù. Inoltre da tutto il Nuovo Testamento risulta che la Chiesa, fondata da Gesù, è il luogo dove la regalità di Dio si rende presente, in Cristo, come dono di salvezza nella fede, di vita nuova nello Spirito, di comunione nella carità.

Appare così l’intimo rapporto tra il Regno e Gesù, un rapporto così forte che il regno di Dio può essere anche chiamato “regno di Gesù” (Ep 5,5 2P 1,11), come del resto Gesù stesso afferma davanti a Pilato, asserendo che il “suo” regno non è di questo mondo (Jn 18,36).

6. In questa luce possiamo comprendere le condizioni che Gesù indica per entrare nel Regno. Esse si possono riassumere nella parola “conversione”. Mediante la conversione l’uomo si apre al dono di Dio (cf. Lc 12,32), che “chiama al suo regno e alla sua gloria” (1Th 2,12); accoglie il Regno come un fanciullo (Mc 10,15) ed è disposto a qualunque rinuncia per potervi entrare (cf. Lc 18,29 Mt 19,29 Mc 10,29).

Il regno di Dio esige una “giustizia” profonda o nuova (Mt 5,20); richiede impegno nel fare la “volontà di Dio” (Mt 7,21); domanda semplicità interiore “come i bambini” (Mt 18,3 Mc 10,15); comporta il superamento dell’ostacolo costituito dalle ricchezze (cf. Mc 10,23-24).

7. Le beatitudini proclamate da Gesù (cf. Mt 5,3-12) appaiono come la “magna charta” del regno dei cieli che è data ai poveri di spirito, agli afflitti, ai miti, a chi ha fame e sete di giustizia, ai misericordiosi, ai puri di cuore, agli operatori di pace, ai perseguitati per causa della giustizia. Le beatitudini non indicano soltanto le esigenze del Regno; manifestano prima di tutto l’opera che Dio compie in noi rendendoci simili al figlio suo (Rm 8,29) e capaci di avere i suoi sentimenti (Ph 2, 5ss.) di amore e perdono (cf. Jn 13,34-35 Col 3,13).

8. L’insegnamento di Gesù sul regno di Dio è testimoniato dalla Chiesa del Nuovo Testamento, che lo ha vissuto nella gioia della sua fede pasquale. Essa è la comunità dei “piccoli” che il Padre “ha liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del suo figlio diletto” (Col 1,13); è la comunità di coloro che vivono “in Cristo”, lasciandosi guidare dallo Spirito nella via della pace (Lc 1,79), e che lottano per non “cadere nella tentazione” e per evitare le opere della “carne”, ben sapendo che “chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Ga 5,21). La Chiesa è la comunità di coloro che annunciano, con la vita e la parola, lo stesso messaggio di Gesù: “È vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10,9).

9. La Chiesa, che “nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa si compiano le parole di Dio” (Dei Verbum DV 8), in ogni celebrazione dell’eucaristia prega il Padre perché “venga il suo regno”. Essa vive in ardente attesa della venuta gloriosa del Signore e Salvatore Gesù, che offrirà alla maestà divina “il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (Prefazio nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo).

Questa attesa del Signore è incessante fonte di fiducia e di energia. Essa stimola i battezzati, divenuti partecipi della dignità regale di Cristo, a vivere ogni giorno “nel regno del figlio diletto”, a testimoniare e annunciare la presenza del Regno con le stesse opere di Gesù (cf. Jn 14,12). In virtù di questa testimonianza di fede e di amore, insegna il Concilio, il mondo sarà imbevuto dello spirito di Cristo e raggiungerà più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace (cf. Lumen Gentium LG 36).

Ai fedeli francesi

Ai pellegrini di espressione inglese


Ad un gruppo di studentesse giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissime studentesse dell’Università Junshin di Kagoshima, vi ringrazio per essere venute a trovarmi anche quest’anno.

Auguro che il vostro studio di aggiornamento in Irlanda e in Italia porti tanti benefici risultati nella vostra vita.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi di pellegrini italiani

Desidero ora rivolgere un particolare saluto al folto gruppo di pellegrini provenienti dalla parrocchia dell’Immacolata Concezione di Camerano, in provincia di Ancona. Essi sono venuti insieme con le Autorità cittadine.

Vi ringrazio, cari fratelli e sorelle, per la visita e per i copiosi doni che avete voluto portarmi a favore di quanti sono nel bisogno. Vi incoraggio nel vostro impegno di preparazione alla missione parrocchiale in connessione con l’ormai vicino Anno mariano.

Auspico che tale momento di grazia sia anche per la vostra parrocchia di stimolo ad un rinnovamento personale e comunitario.

A tutti la mia Benedizione, che estendo anche ai vostri cari e all’intera comunità parrocchiale.
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Saluto poi il gruppo di pellegrini di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena, qui presenti con le Autorità cittadine e gli organizzatori della III Rassegna internazionale del Presepio recentemente svoltasi all’Arena di Verona.

Auguro a tutti voi un cammino sereno e fruttuoso sulle vie di un continuo progresso umano e cristiano. Vi benedico di cuore.
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E’ presente in questa Udienza un gruppo di Suore, di Allievi, ex-Allievi, insegnanti e collaboratori della Scuola per Infermieri Professionali “ San Giuseppe ”, di Roma, che celebra, in questi giorni, l’ottantesimo anniversario della fondazione.

Cari fratelli e sorelle, amate la vocazione impegnativa e bella di servire i sofferenti, e vivete la vostra missione con spirito cristiano, alla luce del grande insegnamento del divino Crocifisso.

Con questi sentimenti imparto alla vostra opera ed a tutti voi la mia Benedizione.
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Saluto anche i gruppi di militari qui presenti: gli Allievi della Scuola di Motorizzazione di Roma; militari dell’Esercito di stanza presso la Caserma “ Castro Pretorio ” di Roma; avieri di stanza presso la Caserma “Romagnoli” di Roma; un gruppo di Allievi Sottufficiali della Marina Militare di Taranto.

Benedico di cuore voi tutti e i vostri cari.
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Un caro saluto desidero rivolgere pure ai soci degli Interact Clubs ed ai Rotariani provenienti da varie città d’Italia. Anche a voi un cordiale benvenuto. Auguro che la vostra attività sociale possa contribuire sempre di più, secondo le sue finalità, allo sviluppo morale, civile e culturale del Paese, mentre di cuore vi benedico, insieme con tutti i vostri cari.

Ad un gruppo di poeti giapponesi

Sono molto lieto di salutare gli illustri scrittori di poesia “ Haiku ” e, nello stesso tempo, li ringrazio per essere venuti a trovarmi qui in Vaticano.

Mi è stato detto che “ Haiku ” è un genere di poesia che, pur nella brevità della composizione, contiene un significato profondo. Ebbene, auguro che la vostra poesia possa contribuire all’elevazione spirituale dell’umanità e che possiate suscitare nei vostri lettori il gusto della bellezza e dell’arte.

Di nuovo un vivo ringraziamento a voi.

Ai giovani

Un cordiale saluto desidero rivolgere a voi, giovani presenti a questa Udienza, augurandovi che in questo tempo liturgico di Quaresima rispondiate con generosità all’invito della Chiesa, che esorta tutti alla conversione interiore, che consiste nell’orientare tutta la nostra vita secondo le indicazioni e le esigenze del messaggio di Gesù.

Che la vostra giovinezza sia sempre illuminata dalla fede, confortata dalla speranza ed animata dalla carità.

Agli ammalati

A voi, ammalati, che portate nel vostro spirito e nel vostro corpo i segni della sofferenza e dell’infermità, porgo il mio affettuoso saluto, che accompagno con l’esortazione ad unire il vostro dolore a quello di Cristo, che la Chiesa in questo periodo quaresimale ci invita a contemplare come il “ Servo sofferente ” di Dio, profetizzato nel Libro di Isaia. Sia Gesù crocifisso a dare al vostro cuore le consolazioni interiori che solo Lui sa offrire.

Agli sposi novelli

Anche voi, sposi novelli, che avete consacrato il vostro amore nel Matrimonio, va il mio sincero saluto unito all’auspicio che, corroborati dalla grazia del Sacramento, sappiate costruire, giorno dopo giorno, la vostra famiglia nel vicendevole affetto, nella fedeltà, nella disponibilità, nello spirito di sacrificio e dedizione e, in particolare, nell’esemplare testimonianza di vita cristiana. Affido i vostri ideali e i vostri propositi a Maria Santissima e a San Giuseppe, suo castissimo Sposo e celeste Patrono della Chiesa Universale, del quale celebreremo domani la solennità liturgica.

A tutti voi va la mia Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 25287