Catechesi 79-2005 8787

Mercoledì, 8 luglio 1987

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1. “Abbà, Padre mio”: tutto ciò che abbiamo detto nella precedente catechesi ci permette di penetrare più profondamente nell’unico ed eccezionale rapporto del Figlio col Padre, che trova la sua espressione nei Vangeli, sia nei Sinottici, sia in Giovanni, e in tutto il Nuovo Testamento. Se nel Vangelo di Giovanni sono più numerosi i passi che mettono in rilievo questo rapporto (si potrebbe dire “in prima persona”), nei Sinottici ( Lc) si trova però la frase, che sembra contenere la chiave di questa questione: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” ( Lc 10, 22).

Il Figlio, dunque, rivela il Padre come Colui che lo “conosce” e lo ha mandato come Figlio per “parlare” agli uomini per mezzo suo (cf.
He 1,2) in modo ulteriore e definitivo. Anzi: proprio questo Figlio unigenito il Padre “ha dato” per la salvezza del mondo, affinché l’uomo in lui e per mezzo di lui raggiunga la vita eterna (cf. Jn 3,16).

2. Molte volte, ma specialmente durante l’ultima cena, Gesù insiste nel far conoscere ai suoi discepoli di essere unito al Padre con un legame di particolare appartenenza. “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Jn 17,10) dice nella preghiera sacerdotale, accomiatandosi dagli apostoli per andare alla sua passione. E chiede allora l’unità per i suoi discepoli attuali e futuri con parole che mettono in risalto il rapporto di tale unione e “comunione”, con quella esistente solo tra il Padre e il Figlio. Domanda infatti: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Jn 17,21-23).

3. Pregando per l’unità dei suoi discepoli e testimoni, Gesù nello stesso tempo rivela quale unità, quale “comunione” esista tra lui e il Padre: il Padre è “nel” Figlio e il Figlio “nel” Padre. Questa particolare “immanenza”, la reciproca compenetrazione - espressione della comunione delle persone - rivela la misura della reciproca appartenenza e l’intimità della reciproca relazione del Padre e del Figlio. Gesù la spiega affermando: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Jn 17,10). È una relazione di reciproco possesso nell’unità di essenza, e nello stesso tempo è una relazione di dono.Difatti Gesù dice: “Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te” (Jn 17,7).

4. Si possono cogliere nel Vangelo di Giovanni i segni dell’attenzione, della meraviglia e del raccoglimento con cui gli apostoli ascoltarono queste parole di Gesù nel cenacolo a Gerusalemme alla vigilia degli eventi pasquali. Ma la verità della preghiera sacerdotale era stata in qualche modo da lui espressa pubblicamente già in antecedenza nel giorno della solennità della dedicazione del tempio. Alla sfida dei convenuti: “Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” Gesù risponde: “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza”. In seguito Gesù afferma che coloro che lo ascoltano e credono, appartengono al suo ovile in forza di un dono del Padre: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco . . . Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,24-30).

5. La reazione degli avversari in questo caso è violenta: “I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo”. A Gesù che domanda per quali opere provenienti dal Padre, e da lui compiute lo vogliono lapidare, essi rispondono: “Per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. La risposta di Gesù è inequivocabile: “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre” (cf. Jn 10,31-38).

6. Notiamo bene il significato di questo punto cruciale della vita e della rivelazione di Cristo. La verità sul particolare legame, sulla particolare unità che esiste tra il Figlio e il Padre, incontra l’opposizione dei Giudei: Se tu sei il Figlio nel senso che risulta dalle tue parole, allora tu, essendo uomo, ti fai Dio. In tal caso tu pronunci la più grande bestemmia. Gli ascoltatori dunque hanno compreso il senso delle parole di Gesù di Nazaret: come Figlio egli è “Dio da Dio” - “della stessa sostanza del Padre” -, ma proprio per questo non le hanno accettate, e anzi le hanno respinte nel modo più assoluto, con tutta fermezza. Anche se nel conflitto di quel momento non si giunge alla lapidazione (cf. Jn 10,39), tuttavia all’indomani della preghiera sacerdotale nel cenacolo Gesù sarà messo a morte sulla croce. E i Giudei presenti grideranno: “Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” (Mt 27,40), e commenteranno con scherno: “Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuole bene. Ha detto infatti: sono Figlio di Dio!” (Mt 27,42-43).

7. Anche nell’ora del Calvario Gesù afferma l’unità col Padre. Come leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Pur essendo figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (He 5,8). Ma questa “obbedienza fino alla morte” (cf. Ph 2,8) era l’ulteriore e definitiva espressione dell’intimità della sua unione col Padre.Infatti, secondo il testo di Marco, durante l’agonia in croce “Gesù gridò . . . “Eloi, Eloi, lamà sabactani?”, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Questo grido - anche se le parole svelano il senso dell’abbandono provato nella sua psicologia di uomo sofferente per noi - era l’espressione della più intima unione del Figlio con il Padre nell’adempimento del suo mandato: “Ho compiuto l’opera che mi ha dato da fare” (cf. Jn 17,4). In quel momento l’unità del Figlio col Padre si manifestò con una definitiva profondità divino-umana nel mistero della redenzione del mondo.

8. Ancora nel cenacolo Gesù dice agli apostoli: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” . . . Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto (vede) me ha visto (vede) il Padre . . . Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Jn 14,6-10).

“Chi vede me, vede il Padre”. Il Nuovo Testamento è tutto solcato dalla luce di questa verità evangelica. Il Figlio è “irradiazione della sua (del Padre) gloria”, è “impronta della sua sostanza” (He 1,3). È “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15). È l’epifania di Dio. Quando si fece uomo, assumendo “la condizione di servo” e “facendosi obbediente fino alla morte” (cf. Ph 2,7-8), nello stesso tempo divenne per tutti coloro che l’hanno ascoltato “la via”: la via al Padre, col quale è “la Verità e la Vita” (Jn 14,6). Nella faticosa ascesa per essere conformi all’immagine di Cristo, i credenti in lui, come dice san Paolo, “rivestono l’uomo nuovo . . .”, e “si rinnovano, per una piena conoscenza di Dio” (cf. Col 3,10) secondo l’immagine di Colui che è “modello”. Questo è il solido fondamento della speranza cristiana.

Ai gruppi di lingua francese


Ai fedeli ed ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini provenienti dai Paesi di lingua tedesca

Ai fedeli provenienti dalla Spagna e dai Paesi dell’America Latina


Ai fedeli giunti dalla Polonia

Ad alcuni gruppi particolari italiani

Rivolgo un saluto ai motociclisti appartenenti all’Associazione Internazionale “Madonnina dei Centauri”, i quali sono venuti qui, accompagnati dal Vescovo di Alessandria, Monsignor Ferdinando Maggioni, per ricordare il 40° anniversario di fondazione del Sodalizio.

Sono lieto di comunicarvi che, per tale occasione, ho preparato un messaggio, che vi consegnerò, per l’incontro di Domenica prossima.
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Saluto i fedeli della Parrocchia di San Giovanni Battista in Maiorano, in diocesi di Alife-Caiazzo, e di quella di Maria SS.ma del Carmine di Moliterno, diocesi di Tursi-Lagonegro, i quali nel prendere parte a questa Udienza hanno espresso il desiderio che il Papa benedica le statue della Madonna di Fatima e del Carmine recate qui dalle rispettive comunità ecclesiali.

Carissimi Fratelli e Sorelle, benedico volentieri le immagini della Vergine e vi esorto a nutrire verso di lei una tenera devozione nel clima proprio dell’Anno Mariano. Uniformate a Lei la vostra vita e lasciatevi attrarre dal suo esempio e dalla sua santità. Sotto la sua protezione le vostre parrocchie rifioriranno nel fervore di fede e nello slancio apostolico. Benedico tutti di cuore.
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Un pensiero speciale va al folto gruppo dei Seminaristi appartenenti alla Congregazione dei Missionari Scalabriniani.

Cari Giovani, vi saluto con grande affetto; voi che vi incamminate sulla via ardua, ma letificante del sacerdozio occupate un posto speciale nel mio cuore, perché vedo in voi i futuri dispensatori della parola e dei misteri della salvezza. Andare avanti, senza mai scoraggiarvi di fronte alle difficoltà che inevitabilmente si presenteranno lungo la strada che conduce all’altare. Il Signore sarà il vostro sostegno e la vostra gioia, e non vi farà mancare nulla.

Vi auguro che dal vostro soggiorno a Roma possiate trarre uno stimolo per rinsaldare i vostri ideali e per prepararvi in modo generoso alla vostra futura missione tra i fratelli sparsi nel mondo della emigrazione. Vi accompagni la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora un particolare saluto ai giovani e ragazzi, che partecipano a questo incontro. Tra essi sono i giovanissimi dell’Azione Cattolica di Novara che partecipano ad un campo scuola a Roma. In questo periodo di vacanze amo immaginarvi tutti presi dal desiderio di regolare le vostre giornate secondo un criterio ispirato a preferenze personali sia nelle ore di svago, sia in quelle dedicate ad attività culturali o lavorative. Ricordatevi che in questo tempo, anche se siete liberi dalla disciplina scolastica, siete sempre tenuti però alla disciplina dello spirito, all’osservanza cioè di quelle leggi che il Signore ha inscritto nel nostro cuore, di quelle virtù che sono l’ornamento della nostra anima e per le quali non c’è riposo, non ci sono vacanze.

Mi auguro che il vostro soggiorno a Roma vi serva a rinsaldare e a ravvivare la vostra fede davanti alle più antiche testimonianze del cristianesimo. A tutti vada la mia speciale benedizione.

Agli ammalati

Un pensiero affettuoso desidero rivolgere pure ai cari fratelli e sorelle che portano nel loro corpo e nel loro spirito i segni della malattia e il peso del dolore.

A voi la comprensione e la solidarietà mia e di tutti i presenti, insieme con l’auspicio di una completa guarigione. A quanti soffrono il Signore non farà mancare il suo aiuto e la sicura ricompensa nel Cielo. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo nella sua Lettera ai romani: “ Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi ”.

A voi ammalati esprimo la mia vicinanza spirituale, assicurandovi il ricordo nella preghiera, mentre di cuore vi benedico.

Agli sposi novelli

Saluto pure, come di consueto, le coppie di sposi novelli.

Carissimi, vi auguro che siate sempre felici e che possiate accrescere sempre di più la vostra gioia, benedetta e santificata dal sacramento del matrimonio.

Auguro pure che la vostra unione sia indissolubile, e vissuta ogni giorno secondo i grandi ideali della fede cristiana. Non abbiate timore di testimoniare il Vangelo in casa e in tutti gli ambienti in cui verrete a trovarvi.

Invoco sulle vostre nascenti famiglie le grazie e i conforti divini, mentre vi imparto la mia Benedizione.




Mercoledì, 15 luglio 1987

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1. Nella precedente catechesi abbiamo considerato Gesù Cristo come Figlio intimamente unito al Padre. Quest’unione gli permette e gli impone di dire: “il Padre è in me, e io sono nel Padre”, non solo nella conversazione confidenziale del cenacolo, ma anche nella pubblica dichiarazione fatta durante la celebrazione della festa delle Capanne (cf.
Jn 7,28-29). E anzi, ancor più chiaramente Gesù giunge ad affermare: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Tali parole vengono ritenute blasfeme e provocano la violenta reazione degli ascoltatori: “Portarono delle pietre per lapidarlo” (cf. Jn 10,31). Infatti secondo la legge di Mosè la bestemmia doveva essere punita con la morte (cf. Dt 13,10-11).

2. Ora è importante riconoscere che esiste un legame organico tra la verità di questa intima unione del Figlio col Padre e il fatto che Gesù figlio vive totalmente “per il Padre”.Sappiamo infatti che tutta la vita, tutta l’esistenza terrena di Gesù è rivolta costantemente verso il Padre, è donata al Padre senza riserve. Ancora dodicenne, Gesù, Figlio di Maria, ha una precisa coscienza della sua relazione col Padre e prende un atteggiamento coerente con la sua certezza interiore. Perciò al rimprovero di sua Madre, quando insieme a Giuseppe lo trovano nel tempio dopo averlo cercato per tre giorni, risponde: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).

3. Anche nella presente catechesi facciamo riferimento anzitutto al testo del quarto Vangelo, perché la coscienza e l’atteggiamento manifestati da Gesù ancor dodicenne trovano la loro profonda radice in ciò che leggiamo all’inizio del grande discorso di addio che, secondo Giovanni, egli pronunciò durante l’ultima cena, al termine della sua vita, mentre stava per portare a compimento la sua missione messianica. L’evangelista dice di lui che “giunta la sua ora . . . (sapeva) che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava” (Jn 13,3).

La Lettera agli Ebrei mette in rilievo la stessa verità, riferendosi in certo modo alla stessa preesistenza di Gesù Figlio di Dio: “Entrando nel mondo Cristo dice: “Tu non hai voluto né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà”” (He 10,5-7).

4. “Fare la volontà” del Padre, nelle parole e nelle opere di Gesù, vuol dire: “vivere per” il Padre totalmente. “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me . . . io vivo per il Padre” (Jn 6,57), dice Gesù nel contesto dell’annuncio dell’istituzione dell’Eucaristia. Che compiere la volontà del Padre sia per Cristo la sua stessa vita, lo manifesta lui stesso con le parole rivolte ai discepoli dopo l’incontro con la Samaritana: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Jn 4,34). Gesù vive della volontà del Padre. Questo è il suo “cibo”.

5. Ed egli vive in questo modo - ossia totalmente rivolto verso il Padre - poiché è “uscito” dal Padre e al Padre “va”, sapendo che il Padre “gli ha dato in mano ogni cosa” (Jn 3,35). Lasciandosi guidare in tutto da questa coscienza, Gesù proclama davanti ai figli d’Israele: “Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni (cioè a quella che gli ha reso Giovanni il Battista): le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato”(Jn 5,36). E nello stesso contesto: “In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Jn 5,19). E aggiunge: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole” (Jn 5,21).

6. Il passo del discorso eucaristico (da Gv 6), che abbiamo riportato poco fa: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me . . . io vivo per il Padre”, viene a volte tradotto in quest’altro modo: “Io vivo per mezzo del Padre” (Jn 6,57). Le parole di Gv 5 appena riferite si armonizzano con questa seconda interpretazione. Gesù vive “per mezzo del Padre” - nel senso che tutto ciò che fa corrisponde pienamente ala volontà del Padre: è quello che il Padre stesso fa. Proprio per questo la vita umana del Figlio, il suo agire, la sua esistenza terrena, è in modo così completo rivolta verso il Padre - Gesù vive pienamente “per il Padre” - poiché in lui la fonte di tutto è la sua eterna unità col Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). Le sue opere sono la prova della stretta comunione delle divine Persone. In esse la stessa divinità si manifesta come unità del Padre e del Figlio: la verità che ha provocato tanta opposizione tra gli ascoltatori.

7. Quasi in previsione delle ulteriori conseguenze di quella opposizione, Gesù dice in un altro momento del suo conflitto con i Giudei: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che “Io Sono” e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Jn 8,28-29).

8. Veramente Gesù ha compiuto la volontà del Padre sino alla fine. Con la passione e morte in croce ha confermato “di fare sempre le cose gradite al Padre”: ha compiuto la volontà salvifica per la redenzione del mondo, nella quale il Padre e il Figlio sono uniti perché eternamente sono “una cosa sola” (Jn 10,30). Quando stava morendo sulla croce, Gesù “gridò a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”” (cf. Lc 23,46), queste sue ultime parole testimoniavano che sino alla fine tutta la sua esistenza terrena era rivolta al Padre. Vivendo - come Figlio - “per (mezzo del) Padre” viveva totalmente “per il Padre”. E il Padre, come egli aveva predetto, “non lo lasciò solo”. Nel mistero pasquale della morte e della risurrezione si sono compiute le parole: “Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono. “Io Sono”: le stesse parole con le quali una volta il Signore - il Dio vivo - aveva risposto alla domanda di Mosè a proposito del suo nome (cf. Ex 3,13-14).

9. Leggiamo nella Lettera agli Ebrei delle espressioni quanto mai confortanti: “Perciò Gesù può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (He 7,25). Colui che come Figlio “della stessa sostanza del Padre” vive “per (mezzo del) Padre”, ha rivelato all’uomo la via della salvezza eterna. Prendiamo anche noi questa via e procediamo su di essa, partecipando a quella vita “per il Padre”, la cui pienezza dura per sempre in Cristo.

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

A fedeli provenienti dalla Polonia

Ad alcuni gruppi italiani

Saluto ora con affetto gli alunni di terza Media del Seminario Minore di Padova. Carissimi vi auguro di proseguire con coraggio e fiducia il vostro cammino sulla via del Sacerdozio, guardando all’esempio degli Apostoli Pietro e Paolo che siete venuti ad onorare con la vostra visita a Roma. Chiedete loro la grazia di corrispondere sempre più generosamente alla divina chiamata e di prepararvi adeguatamente alla meta cui aspirate. Invoco su di voi la protezione della Vergine Santissima e vi accompagno con la mia Benedizione, che estendo a tutto il vostro Seminario e alle vostre Famiglie.
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Rivolgo poi un cordiale saluto a gruppi folkloristici provenienti da vari paesi, che in questi giorni sono riuniti a Latina per un Festival internazionale. Auguro a tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, un pieno successo a questa vostra manifestazione artistico - culturale, che contribuisce ad affratellare i popoli nella reciproca conoscenza delle tradizioni proprie di ciascuno. Da parte mia, vi accompagno con la mia benedizione.
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Un cordiale saluto anche al gruppo delle Suore Collegine della Sacra Famiglia, giunte a Roma per rendere omaggio, in Santa Maria in Trastevere, alla tomba del loro Fondatore, il Cardinale Pietro Marcellino Corradini.

Questo vostro pellegrinaggio, care sorelle, possa essere per voi l’occasione per ringraziare il Signore per la vostra vocazione e per trarre dall’ispirazione originaria del vostro Istituto nuova forza e nuova speranza per una grande missione di amore e di misericordia. Con questi pensieri ed auspici, fraternamente vi benedico e vi accompagno con la preghiera.

Ai giovani

Nel guardare ora a voi, carissimi giovani, il mio pensiero va alla notizia riportata in questi giorni dai mass-media, secondo cui la popolazione mondiale ha raggiunto il traguardo di cinque miliardi di unità.

L’evento è stato variamente commentato. La Chiesa, per parte sua, riconosce in ogni vita che sboccia sulla terra un dono del Dio della bontà. Essa è consapevole dei problemi che l’incremento demografico porta con sé, ma non si stanca di ricordare che una soluzione autenticamente umana non può essere cercata al di fuori del progetto originario di Dio, del quale un cardine fondamentale è la solidarietà della famiglia umana.

Voi giovani, che dell’umanità oggi presente sulla terra costituite la parte maggiore, siete particolarmente sensibili a questo valore. A voi, perciò lascio stamane questa consegna: fatevi apostoli di solidarietà. Impegnatevi a “promuovere effettivamente e senza eccezioni - come dicevo nel Messaggio per la Giornata della Pace di inizio d’anno - l’eguale dignità di tutti come esseri umani, dotati di certi fondamentali e inalienabili diritti” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a.D. 1987, 2, die 8 dec. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 2 (1986) 1887). Contribuirete così a costruire un mondo più giusto ed accogliente. Al cinque-miliardesimo essere umano, ed a tutti i neonati, che in questi giorni hanno visto la luce, il mio augurio, avvalorato da una speciale preghiera.

Agli ammalati

Rivolgo ora il mio cordiale saluto agli ammalati. Carissimi, questo mese di luglio è consacrato dalla pietà di tanti fedeli alla devozione verso il Sangue Preziosissimo di Nostro Signore. Il mistero della Redenzione che ha la sua manifestazione più alta nella effusione del Sangue del Figlio di Dio è una fonte inesauribile di meditazione, da cui può attingere motivi di luce e di conforto ogni persona visitata dal dolore. Per questo, carissimi ammalati, vi invito a considerare le vostre sofferenze sullo sfondo dei patimenti e delle sofferenze di Cristo Crocifisso, a cui siete, invisibilmente ma realmente, particolarmente vicini. In unione con Lui portate anche voi un prezioso contributo affinché il mondo, purificato dal peccato e dalla schiavitù del male, si avvicini alla santità delle origini. Vi sia di forte aiuto questa verità e, nell’assicurarvi uno speciale ricordo nella preghiera, vi imparto la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Un saluto ed un augurio particolare rivolgo ora agli sposi novelli. Come, con il Sacramento del Matrimonio, avete unito le vostre vite nel Signore, così, carissimi sposi, lasciate che Egli occupi sempre nella vostra esistenza un posto centrale e determinante. Amatelo senza riserve, perché sostenga il vostro affetto reciproco; preferitelo ad ogni altro bene, perché sia l’origine della vostra gioia; confidate nella sua Provvidenza, per affrontare serenamente gli immancabili momenti di difficoltà; pregatelo insieme e con fede, perché la sua luce ispiri i vostri progetti di bene e la sua grazia gli conduca a compimento. Così facendo, la vostra sarà una famiglia cristiana di nome e di fatto, e darete splendido esempio di quell’amore che la SS. ma Trinità ha per tutti gli uomini. Vi benedico di cuore.




Mercoledì, 22 luglio 1987

22787

1. Gesù Cristo è il Figlio unito intimamente al Padre; il Figlio che completamente “vive per il Padre” (cf.
Jn 6,57); il Figlio la cui intera esistenza terrena è donata senza riserve al Padre. A questi temi svolti nelle ultime catechesi, si ricollega strettamente quello della preghiera di Gesù, argomento della catechesi odierna. Proprio nella preghiera infatti trova la sua particolare espressione il fatto che il Figlio è intimamente unito al Padre, a lui donato, verso di lui rivolto con tutta la sua umana esistenza. Ciò significa che il tema della preghiera di Gesù è già contenuto implicitamente nei temi precedenti, sicché si può ben dire che Gesù di Nazaret “pregava sempre senza stancarsi” (cf. Lc 18,1). La preghiera era la vita della sua anima, e tutta la sua vita era preghiera. La storia dell’umanità non conosce alcun altro personaggio che in tale pienezza - e in tale modo - si trattenesse con Dio in preghiera, come Gesù di Nazaret: figlio dell’uomo, e nello stesso tempo Figlio di Dio, “della stessa sostanza del Padre”.

2. Vi sono tuttavia dei passi nei Vangeli che mettono in rilievo la preghiera di Gesù, dichiarando esplicitamente che “Gesù pregava”. Ciò accade in diversi momenti del giorno e della notte e in varie circostanze. Eccone alcuni: “Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Mc 1,35). Lo faceva non solo all’inizio del giorno (la “preghiera del mattino”), ma anche durante il giorno e alla sera, e specialmente di notte. Leggiamo infatti: “Folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc 5,15-16). E un’altra volta: “Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù” (Mt 14,23).

3. Gli evangelisti sottolineano il fatto che la preghiera accompagna gli eventi di particolare importanza nella vita di Cristo: “Quando tutto il popolo fu battezzato, e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì . . .” (Lc 3,21), e qui segue la descrizione della teofania che ebbe luogo durante il battesimo di Gesù nel Giordano. Analogamente la preghiera fece da introduzione alla teofania sul monte della trasfigurazione: “. . . prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto . . .” (Lc 9,28-29).

4. La preghiera costituiva anche la preparazione a importanti decisioni e a momenti di grande rilevanza per la missione messianica di Cristo. Così, al momento di iniziare il ministero pubblico, egli si ritira nel deserto per digiunare e pregare (cf. Mt 4,1-11 e par.); e ancora, prima dell’elezione degli apostoli, “Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli” (Lc 6,12-13). Così pure, prima della confessione di Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo: “. . . mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: “Chi sono io secondo la gente?”. Essi risposero: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro, prendendo la parola rispose: “Il Cristo di Dio”” (Lc 9,18-20).

5. Profondamente toccante è la preghiera prima della risurrezione di Lazzaro: “Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”” (Jn 11,41-42).

6. La preghiera durante l’ultima cena (la cosiddetta preghiera sacerdotale), si dovrebbe riportare qui per intero. Cercheremo di prendere in considerazione almeno i passi, che non sono stati ancora citati nelle precedenti catechesi. Ecco: “Alzati gli occhi al cielo . . . Gesù disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato”” (Jn 17,1-2). Gesù prega per quello che è lo scopo essenziale della sua missione: la gloria di Dio e la salvezza degli uomini. E aggiunge: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo . . . Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Jn 17,3-5).

7. Continuando la preghiera, il Figlio quasi rende conto al Padre della sua missione terrena: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno tutte le cose che mi hai dato, vengono da te” . . . (Jn 17,6-7). Poi aggiunge: “Io prego per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi . . .” (Jn 17,9). Sono quelli che “hanno accolto” la parola di Cristo, coloro che “hanno creduto” che il Padre lo ha mandato. Gesù prega soprattutto per loro, perché “essi sono nel mondo mentre io vengo a te” (Jn 17,11). Prega perché “siano una cosa sola”, perché “nessuno di loro vada perduto” (e qui il Maestro ricorda “il figlio della perdizione”), perché “abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia” (Jn 17,13). Nella prospettiva della sua dipartita, mentre i discepoli dovranno rimanere nel mondo e saranno esposti all’odio perché “essi non sono del mondo”, così come il loro Maestro, Gesù prega: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno” (Jn 17,15).

8. Sempre nella preghiera del cenacolo Gesù chiede per i discepoli: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Jn 17,17-19). Successivamente Gesù abbraccia con la stessa preghiera le future generazioni dei suoi discepoli. Soprattutto prega per l’unità, affinché “il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me” (Jn 17,23). Verso la fine della sua invocazione, Gesù ritorna ai pensieri principali detti in precedenza, mettendo ancora più in rilievo la loro importanza. In tale contesto chiede per tutti coloro che il Padre gli ha dato” che “siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Jn 17,24).

9. Veramente la “preghiera sacerdotale” di Gesù è la sintesi di quella autorivelazione di Dio nel Figlio, che si trova al centro dei vangeli. Il figlio parla al Padre nel nome di quell’unità che forma con lui (“Tu, Padre, sei in me e io in te” (Jn 17,21)). E nello stesso tempo prega perché si diffondano tra gli uomini i frutti della missione salvifica per la quale egli è venuto nel mondo. Rivela così il “mysterium Ecclesiae”, che nasce dalla sua missione salvifica, e prega per il suo futuro sviluppo in mezzo al “mondo”. Apre la prospettiva della gloria, alla quale sono chiamati insieme a lui tutti coloro che “accolgono” la sua parola.

10. Se nella preghiera dell’ultima cena si sente Gesù parlare al Padre come suo Figlio “consustanziale”, nella preghiera del Getsemani, che segue poco dopo, risalta soprattutto la sua verità di figlio dell’uomo. “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (Mc 14,34) dice ai suoi entrando nel giardino degli ulivi. Rimasto solo, si getta a terra e le parole della sua preghiera provano la profondità della sofferenza. Dice infatti: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).

11. Sembra che particolarmente a questa preghiera del Getsemani si riferiscano le parole della Lettera agli Ebrei: “Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte”. E qui l’Autore della Lettera aggiunge che “fu esaudito per la sua pietà” (He 5,7). Sì. Anche la preghiera del Getsemani fu esaudita, poiché anche in essa - con tutta la verità dell’atteggiamento umano verso la sofferenza - si fa sentire soprattutto l’unione di Gesù con il Padre nella volontà di redimere il mondo, che è all’origine della sua missione salvifica.

12. Certamente Gesù pregava nelle diverse circostanze che scaturivano dalla tradizione e dalla legge religiosa d’Israele, come quando, dodicenne, salì con i parenti al tempio di Gerusalemme (cf. Lc 2, 41ss.); o quando, come riferiscono gli evangelisti, entrava “secondo il solito nella sinagoga di sabato” (cf. Lc 4,16). Tuttavia un’attenzione speciale merita ciò che i vangeli dicono della preghiera personale di Cristo. La Chiesa non l’ha mai dimenticata e ritrova nel dialogo personale di Cristo con Dio la fonte, l’ispirazione, la forza della sua stessa preghiera. In Gesù orante infatti si esprime nel modo più personale il mistero del Figlio, che totalmente “vive per il Padre”, in intima unione con lui.

Ai gruppi di fedeli di espressione francese


Ai fedeli di espressione linguistica inglese


Ai gruppi di lingua tedesca

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola

A gruppi di lingua portoghese


Ai gruppi di pellegrini provenienti dalla Polonia

Ad un gruppo di religiose italiane

Saluto ora di gran cuore le Religiose appartenenti a diverse Congregazioni, che partecipano ad un corso di formazione permanente presso la Comunità delle Suore Dorotee di Cemmo nella Casa “Mater Ecclesiae”, in Roma; salute pure le Suore murialdine di San Giuseppe, convenute a Roma per celebrare il loro quarto Capitolo Generale e le Suore Terziarie Francescane Regolari di Ognissanti - Firenze, provenienti da varie parti d’Italia e dall’Indica, che hanno preso parte ad un corso di Esercizi Spirituali.

Carissime Sorelle! Sono lieto della vostra presenza all’Udienza e mi valgo volentieri di questo incontro per esortarvi a preservare nell’impegno da voi assunto di perfezionamento e di santificazione, per il bene della Chiesa e dei vostri Istituti. Accogliete sempre con profondo fervore e con santo entusiasmo le buone ispirazioni, che il Signore vi fa sentire nell’animo, così che la vostra testimonianza di fede e di carità possa recare un efficace contributo all’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

Un cordiale saluto desidero rivolgere a voi, giovani partecipanti a questa Udienza. Vi auguro che il periodo di vacanze e di pausa dai consueti studi scolastici, sia per voi una occasione privilegiata di riflessione, di meditazione, di preghiera, di servizio generoso e disinteressato ai fratelli più bisognosi. Vorrei in particolare raccomandarvi una assidua, metodica, attenta lettura del Vangelo, per conoscere e seguire, sempre più e sempre meglio, Gesù di Nazareth, Messia, Figlio di dio, Redentore dell’uomo. A tutti la mia Benedizione.

Agli ammalati

Anche a voi, Fratelli e Sorelle, che siete colpiti dall’infermità, voglio dedicare un affettuoso pensiero per dirvi che in voi si manifesta il mistero dell’amore misericordioso di Cristo che spia e redime. Unite le vostre sofferenze fisiche e spirituali al Crocifisso e, in Lui e con Lui, offritele al Padre celeste per coloro che sembrano sordi alla Parola di Dio, perché i loro cuori si aprano docilmente al suo invito e alla sua chiamata di grazia.

Vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Non posso dimenticare voi, sposi novelli, che in questi giorni avete consacrato il vostro vicendevole amore nel sacramento del Matrimonio, di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa. L’augurio mio, come pure di tutti i presenti, è che viviate sempre e intensamente gli impegni della vostra solenne promessa di amore e di fedeltà reciproca, e che aiutandovi l’un l’altro continuiate serenamente il vostro cammino di fede con l’aiuto della Vergine Santissima, Sposa e Madre, alla quale affido le vostre nascenti famiglie cristiane.

La mia Benedizione Apostolica vi accompagni ora e sempre!





Catechesi 79-2005 8787