Catechesi 79-2005 41187

Mercoledì, 4 novembre 1987

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1. Ripercorriamo i temi delle catechesi su Gesù “Figlio dell’uomo”, che nello stesso tempo fa conoscere se stesso come vero “Figlio di Dio”: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (
Jn 10,30). Abbiamo visto che egli riferiva a se stesso il nome e gli attributi divini, parlava della sua divina preesistenza nell’unità con il Padre (e con lo Spirito Santo, come spiegheremo in un ulteriore ciclo di catechesi); si attribuiva il potere sulla Legge che Israele aveva ricevuta da Dio per mezzo di Mosè nell’antica alleanza (specialmente nel “Discorso della Montagna”, cf. Mt 5); e insieme a questo potere, si attribuiva anche quello di rimettere i peccati (cf. Mc 2,1-12 Lc 7,48 Jn 8,11) e di pronunciare il giudizio finale sulle coscienze e sulle opere di tutti gli uomini (cf. Mt 25,31-46 Jn 5,27-29). Infine insegnava come uno che ha autorità e chiedeva fede nella sua parola, invitava a seguirlo fino alla morte e prometteva come ricompensa la “vita eterna”. Giunti a questo punto abbiamo a disposizione tutti gli elementi e tutte le ragioni per affermare che Gesù Cristo ha rivelato se stesso come Colui che instaura il regno di Dio nella storia dell’umanità.

2. Il terreno della rivelazione del regno di Dio era stato preparato già nell’Antico Testamento, particolarmente nella seconda fase della storia di Israele, narrata nei testi dei Profeti e dei Salmi, seguiti all’esilio e alle altre esperienze dolorose del popolo eletto. Ricordiamo specialmente i canti dei salmisti a Dio che è Re di tutta la terra, che “regna sui popoli” (Ps 47,8-9); e il riconoscimento esultante: “Il tuo regno è regno di tutti i secoli, il tuo dominio si estende a ogni generazione” (Ps 145,13). A sua volta il profeta Daniele parla del regno di Dio “che non sarà mai distrutto . . . stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre”. Questo regno che sarà fatto sorgere dal “Dio del cielo” (il regno dei cieli), rimarrà sotto il dominio di Dio stesso e “non sarà mai trasmesso ad altro popolo” (cf. Da 2,44).

3. Inserendosi in questa tradizione e condividendo questa concezione dell’antica alleanza, Gesù di Nazaret sin dall’inizio della sua missione messianica proclama proprio questo regno: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). In questo modo egli coglie uno dei motivi costanti dell’attesa di Israele, ma dà alla speranza escatologica, che si era delineata nell’ultima fase dell’Antico Testamento, una nuova direzione, proclamando che essa ha il suo compimento iniziale già qui, in terra, poiché Dio è il Signore della storia: il suo regno è, certo, proiettato verso un compimento finale al di là del tempo, ma incomincia a realizzarsi già qui sulla terra e si svolge, in un certo senso, “dentro” la storia. In questa prospettiva Gesù annuncia e rivela che il tempo delle antiche promesse, attese e speranze “è compiuto”, e che “è vicino” il regno di Dio: esso anzi è già presente nella stessa sua Persona.

4. Gesù Cristo, infatti, non soltanto ammaestra sul regno di Dio, facendone la verità centrale del suo insegnamento, ma instaura questo regno nella storia d’Israele e dell’intera umanità. E in questo si rivela la sua potenza divina, la sua sovranità nei riguardi di tutto ciò che nel tempo e nello spazio porta in sé i segni della creazione antica e della chiamata ad essere “creature nuove” (cf. 2Co 5,17 Ga 6,15), nelle quali in Cristo e per Cristo è vinto tutto il caduco e l’effimero e stabilito per sempre il vero valore dell’uomo e di tutto il creato.

È una potenza unica ed eterna, che Gesù Cristo - crocifisso e risorto - si attribuisce alla fine della sua missione terrena, quando dichiara agli apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”, e in forza di tale suo potere ordina loro: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20).

5. Prima di giungere a questo atto definitivo nella proclamazione e rivelazione della sovranità divina del “Figlio dell’uomo” più volte Gesù annuncia che il regno di Dio è venuto nel mondo. Anzi, nel conflitto con gli avversari che non esitano ad attribuire ad un potere demoniaco le opere di Gesù, egli li confuta con una argomentazione che si conclude con l’affermazione: “Se (invece) io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11,20). In lui e per lui, dunque, lo spazio spirituale del dominio divino prende la sua consistenza: il regno di Dio entra nella storia di Israele e dell’intera umanità ed egli è in grado di rivelarlo e di mostrare che ha il potere di decidere della sua attuazione. Lo mostra con la liberazione dai demoni: tutto spazio psicologico e spirituale riconquistato a Dio.

6. Anche il definitivo mandato, che Cristo crocifisso e risorto dà agli apostoli (cf. Mt 28,18-20), è stato da lui preparato sotto tutti gli aspetti. Momento-chiave della preparazione è stata la vocazione degli apostoli: “Costituì Dodici che stessero con lui anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,14-15). In mezzo ai Dodici, Simon Pietro diventa destinatario di uno speciale potere in ordine al regno: “E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19). Chi parla in questo modo, si dimostra convinto di possedere il regno, di averne la sovranità totale, e di poterne affidare le “chiavi” a un suo rappresentante e vicario, come e più ancora di quello che farebbe un re della terra con un suo luogotenente o primo ministro

7. Questa evidente convinzione di Gesù spiega perché egli, durante il suo ministero, parli della sua opera presente e futura come di un nuovo regno introdotto nella storia umana: non solo come verità annunciata ma come realtà viva, che si sviluppa, cresce e fermenta tutta la pasta umana, come leggiamo nella parabola del lievito (cf. Mt 13,33 Lc 13,21). Questa e le altre parabole del regno (cf. Mt 13) attestano come questa sia stata l’idea centrale di Gesù, ma anche la sostanza della sua opera messianica, che egli vuole si prolunghi nella storia, anche dopo il suo ritorno al Padre, mediante una struttura visibile che fa capo a Pietro (cf. Mt 16,18-19).

8. L’instaurazione di tale struttura del regno di Dio coincide con la trasmissione che Cristo ne fa agli apostoli scelti da lui: “Io preparo (lat. “dispono”; alcuni traducono: trasmetto) per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me” (Lc 22,29). E la trasmissione del regno è nello stesso tempo una missione: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (Jn 17,18). Dopo la risurrezione, apparendo agli apostoli, Gesù ripeterà: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi . . . ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Jn 20,21-23).

Si badi: nel pensiero di Gesù, nella sua opera messianica, nel suo mandato agli apostoli, l’inaugurazione del regno in questo mondo è strettamente congiunta alla sua potenza di vincere il peccato, di annullare il potere di Satana nel mondo e in ogni uomo. Dunque è legato al mistero pasquale, alla croce e risurrezione di Cristo, “Agnus Dei qui tollit peccata mundi . . .”, e come tale si struttura nella missione storica degli apostoli e dei loro successori. L’instaurazione del regno di Dio ha il suo fondamento nella riconciliazione dell’uomo con Dio compiutasi in Cristo e per Cristo nel ministero pasquale (cf. 2Co 5,19 Ep 2,13-18 Col 1,19-20).

9. L’instaurazione del regno di Dio nella storia dell’umanità è lo scopo della vocazione e della missione degli apostoli - e quindi della Chiesa - in tutto il mondo (cf. Mc 16,15 Mt 28,19-20). Gesù sapeva che questa missione, al pari della sua missione messianica, avrebbe incontrato e suscitato forti opposizioni. Fin dai giorni dell’invio nei primi esperimenti di collaborazione con lui, egli avvertiva gli apostoli: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).

Nel testo di Matteo è condensato anche ciò che Gesù avrebbe detto in seguito sulla sorte dei suoi missionari (cf. Mt 10,17-25); tema sul quale egli ritorna in uno degli ultimi discorsi polemici con “scribi e farisei”, ribadendo: “Ecco io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città . . .” (Mt 23,34). Sorte che del resto era già toccata ai profeti e ad altri personaggi dell’antica alleanza, ai quali accenna il testo (cf. Mt 23,35). Ma Gesù dava ai suoi seguaci la sicurezza della durata dell’opera sua e loro: “et portae inferi non praevalebunt . . .”.

Malgrado le opposizioni e contraddizioni che avrebbe conosciuto nel suo svolgersi storico, il regno di Dio, instaurato una volta per sempre nel mondo con la potenza di Dio stesso mediante il Vangelo e il mistero pasquale del Figlio, avrebbe sempre portato non solo i segni della sua passione e morte, ma anche il suggello della potenza divina, sfolgorata nella risurrezione. Lo avrebbe dimostrato la storia. Ma la certezza degli apostoli e di tutti i credenti è fondata sulla rivelazione del potere divino di Cristo, storico, escatologico ed eterno, sul quale il Concilio Vaticano II insegna: “Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cf. Ph 2,8-9), entrò nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1Co 15,27-28)” (Lumen Gentium LG 36).

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese


Ai numerosi fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ad un gruppo di collaboratrici domestiche provenienti da Capo Verde

Ai pellegrini provenienti dalla Polonia

Ai fedeli di lingua italiana

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai partecipanti al Convegno “Una casa per tutti”, promosso dagli agenti immobiliari di Roma e Provincia.

Mi è gradito in questa circostanza incoraggiare i vostri propositi di bene ed esortarvi ad avere un riguardo particolare per le persone meno abbienti e per le giovani famiglie, che meritano di essere favorite nel loro formarsi anche offrendo loro la possibilità di ottenere abitazioni convenienti e dignitose.

A ciò vi conforti la mia Benedizione.

Ai giovani

Ed ora un saluto a voi, cari giovani.

Nel giorno di San Carlo Borromeo vi invito a raccogliere il suo messaggio: cercate di essere i primi in ogni cosa, ricorrendo ai mezzi che il Signore mette a vostra disposizione. Nessuna difficoltà vi scoraggi: l’ascolto della Parola di Dio e l’Eucaristia siano per voi scuola di vita, nella comunione e nel servizio.

Col mio benvenuto a Roma, ricevete il mio augurio per un felice, costruttivo rientro nelle vostre comunità. Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Un saluto ed un abbraccio a voi, cari fratelli e sorelle ammalati. Dopo un viaggio non privo di sacrifici, siete arrivati a questa Udienza. Benvenuti! Ad ognuno di voi, alle vostre famiglie e a tutte le persone a voi vicine giunga il mio pensiero e l’assicurazione della mia preghiera. Voi sapete che io conto su di voi, sulla vostra vita di fede e di amore, sulla vostra capacità di sperare. Maria vi conforti in ogni prova. A tutti la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

E ora saluto con gioia anche voi, cari sposi qui presenti. Avete coronato da poco il vostro sogno d’amore, rispondendo al progetto di Dio su di voi. Oggi, venendo a Roma, vi incontrate col Papa. Sono lieto di porgervi i miei più sentiti auguri all’inizio del vostro cammino familiare. Dio che ci raduna in unità, faccia risplendere il Suo volto su voi e sui vostri cari ed amici, oggi e sempre. Vi accompagni la mia Benedizione.
* * *


Giovanni Paolo II al termine dell’udienza generale parla dell’attacco armato, avvenuto giovedì scorso in Mozambico, che ha causato molti morti, specialmente bambini, . Queste le parole del Santo Padre.

Desidero manifestare la mia più sentita partecipazione al cordoglio di quanti hanno perso i loro cari - e in particolare i bambini -, che sono stati uccisi a Adunitaninga, nel Mozambico, giovedì scorso in seguito a un attacco armato contro una colonna di autoveicoli, sulla quale viaggiavano.

Mentre di vero cuore prego il Signore misericordioso, perché accolga nella sua pace le anime delle numerose vittime, auspico che si affretti per quella nazione, così turbata da tante difficoltà, la desiderata prospettiva di fraternità e di pace.






Mercoledì, 11 novembre 1987

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1. Il giorno della Pentecoste, dopo aver ricevuto la luce e la potenza dello Spirito Santo, Pietro rende una franca e coraggiosa testimonianza a Cristo crocifisso e risorto: “Uomini di Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, voi l’avete inchiodato sulla croce . . . e l’avete ucciso. Ma Dio l’ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte” (
Ac 2,22-24).

In questa testimonianza è racchiusa una sintesi dell’intera attività messianica di Gesù di Nazaret, che Dio ha accreditato “per mezzo di miracoli, prodigi e segni”. Essa costituisce anche un abbozzo della prima catechesi cristiana, che ci offre lo stesso capo del collegio degli apostoli, Pietro.

2. Dopo circa duemila anni il presente successore di Pietro, nello svolgimento delle sue catechesi su Gesù Cristo, deve ora affrontare il contenuto di quella prima catechesi apostolica svolta nel giorno stesso della Pentecoste. Finora abbiamo parlato del Figlio dell’uomo, che col suo insegnamento faceva conoscere di essere vero Dio Figlio, di essere con il Padre “una cosa sola” (cf. Jn 10,30). La sua parola era accompagnata da “miracoli, prodigi e segni”.Questi fatti accompagnavano le parole non solo seguendole per confermare la loro autenticità, ma spesso le precedevano, come ci lasciano intendere gli Atti degli apostoli quando parlano “di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio” (Ac 1,1). Erano quelle stesse opere e particolarmente i “prodigi e segni” a testimoniare che “il regno di Dio era vicino” (cf. Mc 1,15), era cioè entrato con Gesù nella storia terrena dell’uomo e premeva per entrare in ogni spirito umano. Nello stesso tempo testimoniavano che Colui che le compiva era veramente il Figlio di Dio. Ecco perché occorre legare le presenti catechesi sui miracoli, segni di Cristo con quelle precedenti, concernenti la sua divina figliolanza.

3. Prima di procedere gradualmente nell’analisi del significato di questi “prodigi e segni” (come li ha definiti in modo molto specifico san Pietro nel giorno della Pentecoste), occorre constatare che essi (prodigi e segni) appartengono sicuramente al contenuto integrale dei Vangeli come testimonianze su Cristo, che provengono da testimoni oculari. Non è affatto possibile escludere i miracoli dal testo e dal contesto evangelico. L’analisi non solo del testo ma anche del contesto parla a favore del loro carattere “storico”, attesta che essi sono dei fatti accaduti in realtà, e veramente operati da Cristo. Chi vi si accosta con onestà intellettuale e perizia scientifica, non può sbarazzarsene con qualche parola come di pure invenzioni posteriori.

4. A questo proposito è bene osservare che tali fatti sono non solo attestati e narrati dagli apostoli e dai discepoli di Gesù, ma vengono confermati in molti casi dai suoi avversari. Ad esempio, è ben significativo che questi ultimi non negassero i miracoli compiuti da Gesù, ma pretendessero piuttosto di attribuirli alla potenza del “demonio”.Dicevano infatti: “Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni” (Mc 3,22 cf. anche Mt 8,32 Mt 12,24 Lc 11,14-15). Ed è nota la risposta di Gesù a questa obiezione, della quale dimostra l’intima contraddittorietà. “Se Satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire” (Mc 3,26). Ma ciò che più conta in questo momento per noi è il fatto che anche gli avversari di Gesù non possono negare i suoi “miracoli, prodigi e segni” come realtà, come “fatti” veramente accaduti.

Eloquente è anche la circostanza che gli avversari osservavano Gesù per vedere se guariva in giorno di sabato e per poterlo così accusare di violazione della Legge dell’Antico Testamento. Così è stato, per esempio, nel caso dell’uomo che aveva una mano inaridita (cf. Mc 3,1-2).

5. Va pure presa in considerazione la risposta data a Gesù, non più ai suoi avversari, ma questa volta ai messaggeri di Giovanni Battista, da lui mandati a domandargli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?” (Mt 11,3). Allora Gesù risponde: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti; i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,4-5 cf. anche Lc 7,22). Gesù nella risposta si richiama alla profezia di Isaia sul futuro Messia (cf. Is 35,5-6), che senza dubbio poteva essere intesa nel senso di un rinnovamento e di una guarigione spirituale di Israele e dell’umanità, ma che nel contesto evangelico in cui viene messa in bocca a Gesù, indica dei fatti comunemente conosciuti e che i discepoli del Battista possono riferirgli come segni della messianità di Cristo.

6. Tutti gli evangelisti mostrano i fatti a cui accenna Pietro nella Pentecoste: “Miracoli, prodigi, segni” (Ac 2,22). I Sinottici narrano molti singoli avvenimenti, ma a volte usano anche delle formule generalizzanti. Così, per esempio, nel Vangelo di Marco (Mc 1,34): “Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Similmente Matteo (Mt 4,23): “Curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”; e Luca (Lc 6,19): “Da lui usciva una forza che sanava tutti”. Sono espressioni che lasciano intendere il grande numero di miracoli compiuti da Gesù. Nel Vangelo di Giovanni non troviamo simili forme, ma piuttosto la descrizione particolareggiata di sette avvenimenti che l’Evangelista chiama “segni” (e non miracoli). Con tale espressione egli vuole indicare ciò che è più essenziale in quei fatti: la dimostrazione dell’azione di Dio in persona, presente in Cristo, mentre la parola “miracolo” indica piuttosto l’aspetto “straordinario” che quegli avvenimenti hanno agli occhi di coloro che li hanno visti o che ne sentono parlare. Tuttavia anche Giovanni, prima di concludere il suo Vangelo, ci tiene a dire che “molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro” ( 20, 30). E porta la ragione della scelta da lui operata: “Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Jn 20,31). A questo mirano sia i Sinottici sia il quarto Vangelo: mostrare attraverso i miracoli la verità del Figlio di Dio e portare alla fede che è principio di salvezza

7. Del resto quando l’apostolo Pietro, il giorno della Pentecoste, rende testimonianza all’intera missione di Gesù di Nazaret accreditata da Dio per mezzo di “miracoli, prodigi e segni”, non può fare a meno di ricordare che lo stesso Gesù è stato crocifisso e risuscitato (cf. Ac 2,22-24). Indica così l’avvenimento pasquale nel quale è stato offerto il segno più completo dell’azione salvifica e redentrice di Dio nella storia dell’umanità. In questo segno è racchiuso, si potrebbe dire, l’“anti miracolo” della morte in croce e il “miracolo” della risurrezione (miracolo dei miracoli) che si fondono in un solo mistero, perché in esso l’uomo possa leggere fino in fondo l’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo e aderendovi con la fede entrare nella via della salvezza.

Ai pellegrini di lingua francese

Ad alcuni gruppi di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai pellegrini giunti dalla Spagna e da numerosi Paesi dell’America Latina

Ai pellegrini polacchi


Ad alcuni gruppi di fedeli italiani

Partecipa all’odierna Udienza un gruppo di Ufficiali, che celebrano il 50° anniversario del loro ingresso nell’Aeronautica Militare, come allievi del Corso Sparviero.

A voi e alle persone care che vi accompagnano sono lieto di rivolgere il mio saluto, con un particolare pensiero per quanti sono giunti dal Perù. Nel congratularmi per l’impegno col quale avete espletato gli alti incarichi, a voi affidati durante gli anni di servizio attivo, esprimo l’augurio che la ricorrenza cinquantenaria sia per tutti occasione di gratitudine al Signore e di rinnovati propositi di bene.

L’incanto del ciclo, che a lungo avete solcato, vi ha certamente fatto percepire in modo acuto il senso della grandezza di Dio e dei valori che rendono nobile la vita. Le prove affrontate, soprattutto durante il drammatico periodo della il guerra mondiale, hanno temprato questi sentimenti purificandoli e - come dimostra la vostra presenza qui - religiosamente affinandoli.

Vi esorto pertanto a vivere con animo sereno e pieno di speranza questa fase dell’esistenza come periodo prezioso per la crescita nella fede e per la perseverante apertura agli altri.

L’intercessione di Maria Vergine vi sostenga e vi guidi sempre verso il Figlio Gesù Redentore, nel cui nome di cuore vi benedico.
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Desidero ora porgere il mio saluto ai sacerdoti che partecipano ad un corso di esercizi spirituali promosso dal movimento FAC.

Cari fratelli, auspico per tutti voi una copiosa effusione di grazie, che ravvivi il dono di Dio da voi ricevuto per l’imposizione delle mani, così che possiate trovare rinnovato slancio nella cura delle anime e siate confortati da una crescente fecondità pastorale.

Vi benedico di cuore.
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Saluto poi le Suore di Santa Maria di Leuca, che celebrano il Capitolo Generale, e formulo l'augurio che la loro congregazione, sempre arricchita da generoso spirito di servizio alla Chiesa, moltiplichi le opere di carità e di assistenza alle persone più bisognose.

A tutti la mia benedizione.
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Il mio pensiero va poi ai rappresentanti del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, ausiliario delle Forze Armate, che si appresta a celebrare il centenario dell'istituzione del servizio assistenza spirituale per il proprio personale militare.

Cari Fratelli, affido alla protezione del Signore il provvidenziale servizio che la vostra associazione svolge in molteplici operazioni di soccorso sanitario, anche nel campo della protezione civile ed in momenti di emergenza. Dio benedica ogni vostra iniziativa di carità e di soccorso ai fratelli sofferenti o in pericolo.

Ad un gruppo di personalità del mondo economico e finanziario del Giappone

Carissimi Giapponesi, benvenuti!

Quando ho visitato il Giappone sei anni fa, vedendo i suoi grandi patrimoni culturali e il progresso economico ho potuto ammirare l’intelligenza e la laboriosità del popolo giapponese.

Mi rallegro che voi, rappresentanti di tale nazione, vi impegnate nell’attività economica seguendo il dettame della vostra fede religiosa.

Pregherò Iddio, perché voi continuiate i vostri impegni, non solo a favore del Giappone ma del mondo intero, specialmente dei poveri e delle nazioni povere, al fine di stabilire un nuovo ordine economico mondiale basato sulla giustizia, la pace e l’amore fraterno.

Porgo i miei cordiali saluti che estendo anche a tutti i vostri familiari e amici in Giappone.

Grazie!

Ai giovani

Rivolgo ora un pensiero ai ragazzi, alle ragazze e ai giovani presenti a questa Udienza. Vi ringrazio per questa partecipazione e per la nota di entusiasmo e di gioia che voi qui recate.

La Chiesa fa oggi memoria di San Martino di Tours: un Vescovo che rappresenta un esempio significativo di come si possa e si debba vedere nel più piccolo, cioè nel povero, nell’emarginato e nell’handicappato, lo stesso Signore Gesù. E’ noto a tutti l’episodio di San Martino, il quale, con gesto generoso tagliò in due il proprio mantello, dandone la metà ad un povero. Secondo la tradizione, la notte egli vide Gesù, che avvolto in quel mantello, gli sorrideva.

Dall’esempio di questo Santo, ancora oggi tanto popolare, attingete la forza per un impegno concreto di fede e di servizio ai fratelli: sarà un modo quanto mai eloquente per testimoniare negli ambienti in cui vivete la vostra adesione a Cristo e alla sua Chiesa. A questo fine vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Un pensiero particolare vada anche a voi, cari ammalati, che con la vostra quotidiana accettazione ed offerta al Signore della sofferenza siete tanto vicini al cuore del Crocifisso. Come il Cristo con la sua passione ha espiato le colpe degli uomini, riaprendo loro le porte del paradiso, così voi, con Lui, potete contribuire alla salvezza del mondo ed alla conversione dei peccatori indirizzando le vostre pene e i vostri dolori ad un fine spirituale. Così i vostri sacrifici non saranno vani, ma costituiranno titoli di merito davanti al Padre celeste. Vi benedico tutti nel nome del Signore.

Agli sposi novelli

A voi, sposi novelli, esprimo le mie felicitazioni e i miei auguri per la vostra nascente famiglia. Il Signore, che ha benedetto il vostro matrimonio, vi consolidi sempre più nell’amore reciproco, fondamento della vostra vita coniugale. Vi auguro che sappiate anche vivere l’amore verso i fratelli, in modo che la vostra famiglia sia davvero una piccola Chiesa domestica in grado di contribuire alla crescita della grande famiglia che è la Chiesa universale. Vi assista sempre il Signore, mentre io vi benedico.





Mercoledì, 18 novembre 1987

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1. Se osserviamo attentamente i “miracoli, prodigi e segni” con cui Dio accreditò la missione di Gesù Cristo, secondo le parole pronunciate dall’apostolo Pietro, il giorno della Pentecoste a Gerusalemme, constatiamo che Gesù, nel fare questi “miracoli-segni”, ha operato nel proprio nome convinto della sua potenza divina, e nello stesso tempo dell’unione più intima con il Padre. Ci troviamo dunque ancora e sempre dinanzi al mistero del “Figlio dell’uomo-Figlio di Dio”, il cui Io trascende tutti i limiti della condizione umana, pur appartenendovi per sua libera scelta, e tutte le umane possibilità di realizzazione e anche di sola conoscenza.

2. Un’occhiata su alcuni singoli avvenimenti, registrati dagli evangelisti, ci permette di renderci conto di quell’arcana presenza nel cui nome Gesù Cristo opera i suoi miracoli. Eccolo, quando rispondendo alle suppliche di un lebbroso che gli dice: “Se vuoi, puoi guarirmi!”, egli, nella sua umanità, “mosso a compassione”, pronuncia una parola di comando che, in un caso come quello, si addice a Dio, non a un puro uomo: “”Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì” (
Mc 1,40-42). E similmente nel caso del paralitico, che è stato calato da un’apertura fatta nel tetto della casa: “Ti ordino, alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (cf. Mc 2,1-12).

E ancora: nel caso della figlia di Giairo leggiamo che “Egli, presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare” (Mc 5,41-42). Nel caso del giovane morto di Nain: “”Giovinetto, dico a te, alzati!”. Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare” (Lc 7,14-15).

In quanti di questi episodi vediamo affiorare dalle parole di Gesù l’espressione di una volontà e di una potenza a cui egli si appella interiormente e che esprime, si direbbe, con la massima naturalezza come se appartenesse alla sua stessa condizione più arcana, il potere di dare agli uomini salute, guarigione e addirittura risurrezione e vita!

3. Un’attenzione particolare merita la risurrezione di Lazzaro, descritta dettagliatamente dal quarto evangelista. Leggiamo: “Gesù . . . alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. E detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì” (Jn 11,41-44). Nella descrizione accurata di questo episodio viene messo in rilievo che Gesù fa risorgere l’amico Lazzaro con la propria potenza e nell’unione strettissima con il Padre. Qui trova conferma l’affermazione di Gesù: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (Jn 5,17), e ha una dimostrazione, che si può dire preventiva, ciò che Gesù dirà nel cenacolo, durante il colloquio con gli apostoli nell’ultima cena, sui suoi rapporti col Padre, e anzi sulla sua identità sostanziale con lui.

4. I Vangeli mostrano con diversi miracoli-segni come la potenza divina, che opera in Gesù Cristo, si estenda oltre il mondo umano e si manifesti come potere di dominio anche sulle forze della natura. È significativo il caso della tempesta sedata: “Nel frattempo si sollevò una grande tempesta di vento”. Gli apostoli-pescatori spaventati svegliano Gesù che dormiva nella barca. Egli “destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Gli apostoli furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, al quale il vento e il mare obbediscono?”” (Mc 4,37-41).

In quest’ordine di avvenimenti rientrano anche le pesche miracolose effettuate sulla parola di Gesù (“in verbo tuo”), dopo i tentativi precedenti non riusciti (cf. Lc 5,4-6 Jn 21,3-6). Lo stesso si può dire, per quanto riguarda la struttura dell’avvenimento, anche del “primo segno” compiuto a Cana di Galilea, dove Gesù ordina ai servi di riempire le giare d’acqua, e poi di portare “l’acqua diventata vino” al maestro di tavola (Jn 2,7-9). Come nelle pesche miracolose, così anche a Cana di Galilea operano gli uomini: i pescatori-apostoli in un caso, i servi delle nozze nell’altro, ma è chiaro che l’effetto straordinario dell’azione non proviene da loro, ma da colui che ha dato loro ordine di agire e che opera con la sua misteriosa potenza divina. Ciò viene confermato dalla reazione degli apostoli, e particolarmente di Pietro che, dopo la pesca miracolosa, “si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”” (Lc 5,8). È uno dei tanti casi di emozione che prende la forma di timore riverenziale o anche di spavento, sia negli apostoli come Simon Pietro, sia nella gente, quando si sentono sfiorati dall’ala del mistero divino.

5. Un giorno, dopo l’Ascensione, da un simile “timore” saranno presi coloro che vedranno i “prodigi e segni” avvenuti anche “per opera degli apostoli” (cf. Ac 2,43). Secondo il Libro degli Atti, la gente portava “gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro” (Ac 5,15). Tuttavia questi “prodigi e segni”, che accompagnavano gli inizi della Chiesa apostolica, venivano compiuti dagli apostoli non in nome proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, ed erano quindi un’ulteriore conferma della sua potenza divina. Si rimane impressionati quando si legge la risposta e il comando di Pietro allo storpio, che gli chiedeva l’elemosina presso una porta del tempio gerosolimitano: “”Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina”. E presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono” (Ac 3,6-7). O quello che sempre Pietro dice a un paralitico di nome Enea: “”Gesù Cristo, ti guarisce; alzati e rifatti il letto”. E subito si alzò” (Ac 9,34).

Anche l’altro Principe degli Apostoli, Paolo, quando nella Lettera ai Romani (Rm 15,17-19) ricorderà quanto egli ha compiuto come “ministro di Cristo fra i pagani”, si affretterà ad aggiungere che in quel ministero consiste il suo unico merito. “Non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza (della fede), con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito”.

6. Nella Chiesa dei primi tempi e specialmente nella evangelizzazione del mondo compiuta dagli apostoli, abbondarono quei “miracoli, prodigi e segni”, come Gesù stesso aveva loro promesso (cf. Ac 2,22). Ma si può dire che essi si sono sempre ripetuti nella storia della salvezza, specialmente nei momenti decisivi per l’attuazione del disegno di Dio. Così è stato già nell’Antico Testamento in relazione all’“esodo” di Israele dalla schiavitù d’Egitto e al cammino verso la Terra promessa, sotto il comando di Mosè. Quando con l’incarnazione del Figlio di Dio “venne la pienezza del tempo” (Ga 4,4), quei segni miracolosi dell’operare divino acquistano un nuovo valore e una nuova efficacia per l’autorità divina di Cristo e per il riferimento al suo nome - e quindi alla sua verità, alla sua promessa, al suo mandato, alla sua gloria - con cui vengono compiuti dagli apostoli e da tanti santi nella Chiesa. Anche oggi avvengono dei miracoli e in ciascuno di essi si delinea il volto del “Figlio dell’uomo-Figlio di Dio” e vi si afferma un dono di grazia e di salvezza.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini e visitatori di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca
Ai fedeli giunti dalla Spagna e da diversi Paesi dell’America Latina

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai giovani

Col consueto affetto rivolgo ora il mio saluto ai giovani, qui presenti.

L’anno liturgico sta volgendo al termine, e le Letture delle Messe di queste Domeniche, come avrete notato, cari giovani, ci ricordano che la vita presente, sia dei singoli, sia dell’intera umanità, avrà un termine, oltre il quale giungerà nella sua pienezza definitiva il Regno di Dio. La vostra età si sta aprendo alla pienezza della vita presente, ma non deve certo dimenticare la sua destinazione suprema. Perciò il santo timor di Dio e la coscienza della precarietà della vita di quaggiù vi porti a gustare rettamente le gioie di questa vita terrena, nella speranza della vita eterna. Vi accompagno con la mia Benedizione.

Agli ammalati

E a voi, cari ammalati, certamente avvertite ancor più la precarietà e l’insufficienza di questa vita. Il nostro spirito è troppo vasto per accontentarsi dei limiti ristretti della vita presente e mortale. Il momento della sofferenza dà occasione, a tutti noi, di elevare il nostro sguardo alla speranza di beni superiori, che, come il Vangelo ci dice, non sono utopie, ma mete effettivamente raggiungibili, proprio nel momento in cui uniamo i nostri dolori a quelli di Cristo crocifisso. Vi sono vicino nel vostro cammino di fede e di cuore vi benedico tutti, insieme con le vostre famiglie.

Agli sposi novelli

Un caro ed affettuoso saluto anche a voi, giovani sposi, qui presenti. A voi la vita sorride con le sue prospettive di crescita e di fecondità, stimolandovi al lavoro, all’impegno per un mondo più bello, per una società più giusta, per un’umanità più serena. Nobili e legittimi ideali! Purché tutto ciò sia sorretto dalla luce del Vangelo, il quale, mentre ci ordina di animare con la sua sapienza le realtà di questo mondo, ci indica anche come questo lavoro deve preparare l’avvento di quel Regno di Dio, che vive oltre i confini della vita di quaggiù. Sia questa la vostra grande prospettiva, sia questo il vostro cammino, che io benedico di cuore.
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Durante l’udienza generale di stamane il Papa rivolge un appello speciale “a quanti ne hanno responsabilità” per la gravissima carestia che sta colpendo in questi giorni alcune regioni dell’Etiopia.

Fratelli,

in questi giorni giungono notizie della gravissima carestia che sta abbattendosi nuovamente su alcune regioni dell’Etiopia. Sono in pericolo migliaia di vite umane, a cui vengono a mancare i mezzi di sussistenza. Desidero invitare tutti a partecipare alle iniziative che le organizzazioni di assistenza, specialmente quelle cattoliche, hanno cominciato a realizzare per scongiurare urgentemente la minaccia.

Un appello speciale vorrei rivolgere a quanti ne hanno la responsabilità, perché sia consentito i libero passaggio dei viveri destinati alle persone che stanno soffrendo la fame.

Preghiamo il Signore perché voglia suscitare in tutti i responsabili i sentimenti di solidarietà umana che, superando ogni latra ragione, facciano sorgere la speranza nell’animo dei fratelli che sono nel bisogno.





Catechesi 79-2005 41187