Catechesi 79-2005 25790

Mercoledì, 25 luglio 1990

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1. Dopo l’“esperienza del deserto”, Gesù dà inizio alla sua attività messianica tra gli uomini. Luca scrive che “folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire” (
Lc 5,15). Si trattava di insegnare e di evangelizzare il regno di Dio, di scegliere e dare la prima formazione agli apostoli, di guarire i malati, e di predicare nelle sinagoghe spostandosi di città in città: un’attività intensa, accompagnata da “prodigi e segni” (Ac 2,22), che scaturiva, nel suo insieme, da quella “unzione” dello Spirito Santo di cui l’evangelista parla sin dall’inizio della vita pubblica. La presenza dello Spirito Santo - come pienezza del Dono - è costante, benché i Vangeli ne facciano menzione soltanto in alcuni punti.

Dovendo evangelizzare gli uomini per disporli alla redenzione, Gesù era stato mandato per vivere in mezzo a loro, e non in un deserto o in altri luoghi solitari. Il suo posto era in mezzo alla gente, come annota Remigio di Auxerre (morto nel 908), citato da san Tommaso. Ma lo stesso Dottore Angelico osserva: “Che Cristo, dopo il digiuno nel deserto, sia ritornato alla vita normale, non è senza motivo. È quanto conviene alla vita di chi si impegna a comunicare agli altri il frutto della sua contemplazione, impegno che Cristo si era assunto: cioè dedicarsi prima all’orazione e poi discendere sul piano pubblico dell’azione vivendo in mezzo agli altri” (Summa theologiae, III 40,2, ad 2).

2. Pur immerso tra la folla, Gesù resta profondamente dedito alla preghiera. Luca ci informa che egli “si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc 5,16). Era la traduzione in atti eminentemente religiosi della condizione di permanente dialogo col Padre in cui egli viveva. I suoi “tempi di orazione” duravano a volte tutta la notte (Lc 6,12). Alcuni di questi momenti sono messi in particolare rilievo dagli evangelisti: così la preghiera che ha preceduto la trasfigurazione sul Tabor (Lc 9,29); e quella durante l’agonia del Getsemani, dove l’avvicinamento e l’unione filiale al Padre nello Spirito Santo raggiungono un’espressione sublime in quelle parole: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36).

3. Vi è un caso in cui l’evangelista attribuisce esplicitamente allo Spirito Santo la preghiera di Gesù, non senza lasciar trapelare lo stato abituale di contemplazione da cui essa sgorgava. È quando nel viaggio verso Gerusalemme si intrattiene con i discepoli, tra i quali ne ha scelto 72 per mandarli a evangelizzare la gente dei luoghi dove sta per recarsi (cf. Lc 10), dopo averli opportunamente istruiti. Al ritorno da quella missione, i 72 narrano a Gesù ciò che hanno compiuto, compresa la “sottomissione” dei demoni nel suo nome. E Gesù, dopo aver loro notificato di aver visto “Satana cadere dal cielo come la folgore”, esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto”.

“Gesù - ho annotato nell’enciclica Dominum et vivificantem - esulta per la paternità divina; esulta perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui “piccoli”. E l’evangelista qualifica tutto questo come “esultanza nello Spirito Santo” . . . Ciò che durante la teofania del Giordano è venuto, per così dire, “dall’esterno”, dall’alto, qui proviene “dall’interno”, cioè dal profondo di ciò che è Gesù. È un’altra rivelazione del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo. Gesù parla solo della paternità di Dio e della propria figliolanza; non parla direttamente dello Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio. Nondimeno, quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello Spirito che è in lui e che si rivela nel suo cuore, pervade il suo stesso “io”, ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di qui quell’“esultare nello Spirito Santo”” (Dominum et vivificantem DEV 20-21).

4. Questo testo di Luca, accanto a quello di Giovanni che riporta il discorso d’addio nel cenacolo (cf. Jn 13-141), è particolarmente significativo ed eloquente circa la rivelazione dello Spirito Santo nella missione messianica di Cristo.

Nella sinagoga di Nazaret Gesù aveva applicato a se stesso la profezia isaiana che inizia con le parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me” (Lc 4,18). Quell’“essere su di lui dello Spirito” si estendeva a tutto ciò che egli “faceva e insegnava” (Ac 1,1). Infatti, scrive Luca, egli “tornò (dal deserto) in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi”. Quell’insegnamento destava interesse e stupore: “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Lc 4,14-15 Lc 4,22). Lo stesso viene detto dei miracoli e del singolare potere di attrazione della sua personalità: tutta la folla di coloro “che erano venuti (da ogni dove) per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie . . . cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc 6,17-19). Come non riconoscere in ciò anche una manifestazione della forza dello Spirito Santo, donato in pienezza a lui come uomo, per animarne parole e gesti?

E il dono dello Spirito Gesù insegna a chiedere al Padre nella preghiera, con la fiducia di poterlo ottenere: “Se voi . . . sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13). E quando predice ai suoi discepoli che li attende la persecuzione, con imprigionamenti e interrogatori, aggiunge: “Non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo” (Mc 13,11). “Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” (Lc 12,12).

5. I Vangeli sinottici riportano un’altra affermazione di Gesù nelle sue istruzioni ai discepoli, che non può non impressionare. Riguarda la “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Egli dice: “Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato” (Lc 12,10 cf. Mt 12,32 Mc 3,29). Queste parole creano un problema di vastità teologica ed etica maggiore di quanto si possa pensare, stando alla superficie del testo. “La “bestemmia” (di cui si tratta) non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all’uomo mediante lo Spirito Santo, e che opera in virtù del sacrificio della croce . . . Se la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché questa “non-remissione” è legata, come a sua causa, alla “non-penitenza”, cioè al radicale rifiuto di convertirsi . . . Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall’uomo, che rivendica un suo presunto “diritto” di perseverare nel male - in qualsiasi peccato - e rifiuta così la redenzione . . . (Esso) non permette all’uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati” (Dominum et vivificantem DEV 46). È l’esatto rovesciamento della condizione di docilità e di comunione col Padre, in cui vive Gesù orante e operante, e che egli insegna e raccomanda all’uomo come atteggiamento interiore e come principio di azione.

6. Nell’insieme della predicazione e dell’azione di Gesù Cristo, che scaturisce dalla sua unione con lo Spirito Santo-Amore, è contenuta un’immensa ricchezza del cuore: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore - egli esorta - e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,29), ma è presente, nello stesso tempo, tutta la fermezza della verità sul regno di Dio, e quindi l’insistente invito ad aprire il cuore, sotto l’azione dello Spirito Santo, per esservi ammessi e non esserne esclusi.

In tutto ciò si rivela la “potenza dello Spirito Santo” e anzi si manifesta lo Spirito Santo stesso con la sua presenza e la sua azione di Paraclito, confortatore dell’uomo, confermatore della verità divina, debellatore del “padrone di questo mondo”.

Ai fedeli polacchi


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ad alcuni visitatori provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini guidati da Sua Eccellenza Monsignor Ishigami, gruppo di Rissho-koseikai (buddista) e gruppo Konko (buddista), desidero profondamente che il vostro viaggio in Europa contribuisca al dialogo ecumenico e così diventi un contributo al vostro paese e al mondo intero. Con questo auspicio vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini giunti dall’America Latina e dalla Spagna

Ai numerosi pellegrini giunti dal Brasile

Ad alcuni gruppi italiani

Saluto cordialmente i pellegrini e i gruppi di lingua italiana e in special modo i partecipanti al Corso di Pastorale Vocazionale, organizzato dal “Centro di Spiritualità Rogate”, sul tema: “Catechesi e vocazioni nella nuova evangelizzazione”. Vi auguro di vivere questi giorni in maniera intensa la fraterna comunione ecclesiale e di confermarvi sempre più nell’impegno delle vostre energie per la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose.

Un pensiero augurale anche ai partecipanti al “Festival della Collina” - promosso dall’Ente Provinciale per il Turismo e dall’Amministrazione Provinciale di Latina -, che raccoglie numerosi gruppi provenienti da varie nazioni: formo voti che tale incontro di diverse culture e tradizioni unisca e rafforzi la comprensione e la solidarietà reciproca, che sono alla base della giustizia e della pace fra i popoli.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto ora i Giovani, gli Ammalati e gli Sposi Novelli, presenti a questa Udienza. Rivolgo a tutti un invito a considerare la memoria che la Chiesa farà domani dei Santi Gioacchino ed Anna, genitori della Vergine Maria. Questa ricorrenza ci presenta quell’esemplare famiglia, in cui Dio ha preparato la nascita della Madre del Verbo incarnato. Sia questo argomento per voi giovani spunto di propositi importanti circa il progetto di vita che volete realizzare, specialmente quando pensate alla famiglia che dovrete formare. Invito, altresì, gli ammalati alla preghiera ed alla fiducia, nella consapevolezza che anche la sofferenza suscita valori forti in seno alle comunità che si amano. Rivolgo a tutti gli sposi novelli l’augurio che la loro famiglia sia luogo di santificazione, di preghiera, di intensa fede, così come lo fu la famiglia in cui nacque la Madre del Redentore. A tutti la mia Benedizione Apostolica.
Appello in favore della popolazione della Liberia


Durante l’udienza generale il Santo Padre rivolge un appello in favore delle popolazioni della Liberia, provate dal lungo e sanguinoso conflitto che ha ora il suo epicentro nella capitale Monrovia. Queste sono le parole pronunciate da Giovanni Paolo II.

Domani, 26 luglio, ricorre il giorno della Festa Nazionale della Liberia. Purtroppo non potranno certamente esservi celebrazioni per tale ricorrenza. Come saprete, un’aspra guerra civile è scoppiata fin dal dicembre dell’anno scorso, portando lutti e distruzioni al Paese. La capitale Monrovia, che era stretta d’assedio dall’inizio di questo mese, è ora centro di sanguinosi scontri; possiamo immaginare le sofferenze della popolazione, sotto il terrore dei combattimenti e bisognosa del necessario per sopravvivere.

Vorrei chiedervi di unirvi alla mia preghiera per implorare dal Signore che ritorni la pace in questa cara Nazione africana e vengano alleviate le tribolazioni dei suoi cittadini. Chiediamo a Dio di illuminare le menti di coloro che hanno in mano le sorti del Paese perché, unicamente solleciti del vero bene dei loro connazionali, facciano prevalere la forza del dialogo su quella delle armi.

Che il Signore sostenga i validi sforzi di quella Chiesa locale, delle Organizzazioni internazionali e di quanti si adoperano per aiutare a risolvere il conflitto e assistere la popolazione tanto provata! Che la Vergine Santa avvalori con la sua intercessione la nostra preghiera!



Mercoledì, 1° agosto 1990

10890

1. Nell’enciclica Dominum et vivificantem ho scritto (
DEV 40): “Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell’ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un sacrificio perfetto mediante l’atto della sua morte, come vittima di amore sulla croce. Da solo egli fece questa oblazione. Come unico sacerdote, “offrì se stesso senza macchia a Dio” (He 9,14)”.

Il sacrificio della croce è il culmine di una vita nella quale noi abbiamo letto, seguendo i testi del Vangelo, la verità sullo Spirito Santo, a partire dal momento dell’incarnazione. È stato il tema delle catechesi precedenti, concentrate sui momenti della vita e della missione di Cristo, in cui la rivelazione dello Spirito Santo è particolarmente trasparente. Il tema dell’odierna catechesi è il momento della croce.

2. Fissiamo l’attenzione sulle ultime parole pronunciate da Gesù nella sua agonia sul Calvario. Nel testo di Luca esse suonano così: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Anche se queste parole, tranne l’invocazione “Padre”, provengono dal Salmo 30, tuttavia, nel contesto del Vangelo, acquistano un altro significato. Il salmista pregava Dio di salvarlo dalla morte; Gesù sulla croce, invece, proprio con le parole del salmista, accetta la morte, consegnando al Padre il suo spirito (cioè “la sua vita”). Il salmista si rivolge a Dio come a liberatore; Gesù rende (cioè consegna) il suo spirito al Padre nella prospettiva della risurrezione. Affida al Padre la pienezza della propria umanità, nella quale però sussiste l’Io divino del Figlio unito al Padre nello Spirito Santo. Tuttavia la presenza dello Spirito Santo non viene manifestata in modo esplicito nel testo di Luca, come avverrà nella Lettera agli Ebrei.

3. Prima di passare a quest’altro testo, occorre prendere in considerazione la formulazione un po’ diversa delle parole di Cristo morente nel Vangelo di Giovanni. Vi leggiamo: “E dopo aver ricevuto l’aceto Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, rese lo spirito” (Jn 19,30). L’evangelista non mette in rilievo la “consegna” (o “affidamento”) dello spirito al Padre. L’ampio contesto del Vangelo di Giovanni, e specialmente delle pagine dedicate alla morte di Gesù in croce, sembra piuttosto indicare che quella morte dà inizio all’invio dello Spirito Santo, come Dono consegnato alla dipartita di Cristo.

Tuttavia, anche qui non si tratta di un’affermazione esplicita. Non possiamo, però, ignorare il sorprendente collegamento che sembra esistere tra il testo di Giovanni e l’interpretazione della morte di Cristo che si trova nella Lettera agli Ebrei. Il suo autore parla della funzione rituale dei sacrifici cruenti dell’antica alleanza, che servivano alla purificazione del popolo dalle colpe legali, e li paragona al sacrificio della croce, per poi esclamare: “Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere della morte, per servire il Dio vivente” (He 9,14).

Come ho scritto nell’enciclica Dominum et vivificantem (DEV 40), “nella sua umanità (Cristo) era degno di divenire un tale sacrificio, poiché egli solo era “senza macchia”. Ma l’offrì “con uno Spirito eterno”: il che vuol dire che lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo”. Il mistero dell’associazione tra il Messia e lo Spirito Santo nell’opera messianica, contenuto nella pagina di Luca sull’annunciazione di Maria, traspare ora nel passo della Lettera agli Ebrei. Qui è manifestata la profondità di quell’opera, che arriva alle “coscienze” umane per purificarle e rinnovarle per mezzo della grazia divina, ben oltre la superficie della raffigurazione rituale.

4. Nell’Antico Testamento più volte si parla del “fuoco dal cielo”, che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini (cf. Lv 9,24 1Ch 21,26 2Ch 7,1). Così nel Levitico: “Il fuoco sarà tenuto acceso sull’altare e non si lascerà spegnere; il sacerdote vi brucerà legna ogni mattina, vi disporrà sopra l’olocausto” (Lv 6,5). Ora, sappiamo che l’antico olocausto era figura del sacrificio della croce, l’olocausto perfetto. “Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il “fuoco dal cielo”, che opera nel profondo del mistero della croce. Provenendo dal Padre, egli indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà della comunione trinitaria” (Dominum et vivificantem DEV 41).

Per questa ragione possiamo aggiungere che, nel riflesso del mistero trinitario, si vede il pieno compimento dell’annuncio di Giovanni Battista sul Giordano: “Egli (il Cristo) battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11). Se già nell’Antico Testamento, di cui si faceva eco il Battista, il fuoco simboleggiava l’intervento sovrano di Dio che purificava le coscienze mediante il suo Spirito (cf. Is 1,25 Za 13,9 Ml 3,2 Ml 3,3 Si 2,5), ora la realtà supera le figure nel sacrificio della croce, che è il perfetto “battesimo con cui il Cristo stesso doveva essere battezzato” (Mc 10,38), e al quale egli nella sua vita e nella sua missione terrena tende con tutte le sue forze, come egli stesso dice: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Lo Spirito Santo è il “fuoco” salvifico che dà attuazione a quel sacrificio.

5. Nella Lettera agli Ebrei (He 5,8) leggiamo ancora che Cristo, “pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Venendo al mondo aveva detto al Padre: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (He 10,9). Nel sacrificio della croce si realizza fino in fondo proprio questa obbedienza: “Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la sua piena espressione umana . . . Ma, nello stesso tempo, dal profondo di questa sofferenza . . . lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all’uomo e alla creazione fin dall’inizio. Nel profondo del mistero della croce agisce l’amore, che riporta nuovamente l’uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso” (Dominum et vivificantem DEV 41).

Perciò nei rapporti con Dio l’umanità “ha un sommo sacerdote che (sa) compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (He 4,15): in questo nuovo mistero della mediazione sacerdotale di Cristo presso il Padre, c’è l’intervento decisivo dello “Spirito eterno”, che è fuoco d’infinito amore.

6. “Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrificio che viene offerto sulla croce. Riferendoci alla tradizione biblica possiamo dire: egli consuma questo sacrificio col fuoco dell’amore, che unisce il Figlio al Padre nella comunione trinitaria. E poiché il sacrificio della croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio egli “riceve” lo Spirito Santo. Lo riceve in modo tale, che poi egli - ed egli solo con Dio Padre - può “darlo” agli apostoli, alla Chiesa, all’umanità” (Dominum et vivificantem DEV 41).

È dunque giusto vedere nel sacrificio della croce il momento conclusivo della rivelazione dello Spirito Santo nella vita di Cristo. È il momento-chiave, nel quale trova il suo radicamento l’evento della Pentecoste e tutta l’irradiazione che ne emanerà nel mondo. Lo stesso “Spirito eterno” operante nel mistero della croce apparirà allora nel cenacolo sotto forma di “lingue come di fuoco” sulle teste degli apostoli, a significare che sarebbe penetrato gradualmente nelle arterie della storia umana mediante il servizio apostolico della Chiesa. Siamo chiamati a entrare anche noi nel raggio d’azione di questa misteriosa potenza salvifica che parte dalla croce e dal cenacolo, per essere attratti, in essa e per essa, nella comunione della Trinità.

Ad un gruppo di fedeli francesi

Ad un gruppo di marinai americani

A diversi pellegrini del Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini provenienti da varie parti del Giappone, si sta avvicinando il 45 anniversario dello scoppio della bomba atomica. “No more Hiroshima!”. Ricordando questo appello, preghiamo per la pace e la giustizia nel mondo, per l’intercessione della “Regina Pacis”.

Con questo auspicio vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

A fedeli di espressione tedesca


A gruppi di lingua spagnola provenienti da Paesi dell’America Latina e dalla Spagna

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai numerosi fedeli polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

Tra i pellegrini italiani saluto in modo speciale il Parroco di San Michele Arcangelo in Pisterzo (Latina) e il gruppo di suoi parrocchiani emigrati da diversi anni a Toronto (Canada), accompagnati dal Vicario Episcopale per l’emigrazione in quella Nazione: cari fedeli italo-canadesi, anche se lontani dalla vostra Patria natale, mantenete ferma la fede cristiana, che qui avete acquisita e vivetela con coerenza e con vivo impegno di testimonianza.

Saluto poi i Gruppi Folkloristici, che partecipano al XII Festival Internazionale del Folklore “Valle di Comino-Atina” (Provincia di Frosinone), ideato per la pace, la comprensione e l’amicizia fra gli uomini; mentre ringrazio gli Organizzatori e i membri dei singoli Gruppi, vi esorto ad essere sempre messaggeri di questi tre grandi ideali, sostenuti da una profonda fede religiosa.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Infine, rivolgo il consueto saluto particolare ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Sono lieto della vostra presenza, vi ringrazio di cuore per il vostro impegno di fede e di devozione, vi saluto tutti con grande affetto e vi auguro ogni bene nel Signore! Mentre oggi la Liturgia ci fa celebrare la memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo, Dottore della Chiesa e Fondatore dei Religiosi Redentoristi, vi addito la sua Personalità, tanto eminente nella storia della Chiesa, affinché ne conosciate la dottrina, ne invochiate l’intercessione, ne imitiate la santità. Tre anni fa, il primo agosto 1987, in occasione del secondo Centenario della sua morte, avvenuta dopo una vita assai lunga (1696-1787) tutta colma di fervore spirituale e di ansia pastorale, ho scritto la Lettera Apostolica Spiritus Domini per riproporre alla Chiesa intera l’esempio delle sue virtù e la luce dei suoi insegnamenti. Oggi propongo a voi di procurarvi e di meditare le sue opere ascetiche, tuttora valide, e specialmente La pratica di amare Gesù Cristo, Del gran mezzo della preghiera, e Le glorie di Maria. Sant’Alfonso vi aiuti e vi protegga! E ispiri voi giovani, voi malati e voi sposi novelli ad amare sempre più Gesù Cristo, per mezzo di Maria!
Rinnovato appello per il popolo della Liberia in preda alle prove più crudeli


Per la seconda volta, il Papa leva la sua voce ed innalza a Dio un’accorata preghiera per il popolo della Liberia. Già mercoledì scorso, 25 luglio, il Santo Padre aveva chiesto a Dio che in Liberia “prevalga la forza del dialogo su quella delle armi”. La supplica del Santo Padre si rinnova ancora una volta stamane.

Le drammatiche notizie, che giungono dalla Liberia, mi obbligano purtroppo a levare nuovamente la mia voce e ad innalzare a Dio un’accorata preghiera per quel popolo, in preda alle prove più crudeli. Terribili violenze e massacri fanno vittime anche tra i civili indifesi e non risparmiano neppure gli ospedali, né le chiese trasformate in luoghi di rifugio. Ecco la sorte riservata a quei nostri fratelli in umanità.

Chiedo insistentemente alle parti in conflitto e, in particolare, a coloro che le guidano nella lotta fratricida, di porre fine alla passione imposta a tutto un popolo. Supplico che non venga ostacolata l’azione generosa delle organizzazioni di soccorso, il cui personale, rischiando spesso la vita, si sforza di portare cure e conforto, e di proteggere le vite innocenti.

Ancora una volta faccio appello alla solidarietà internazionale: i paesi amici della Liberia e quelli che le sono tradizionalmente legati non permettano che si compia, nell’indifferenza dell’opinione pubblica, quella che può ben dirsi una guerra fratricida.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera perché Dio, per intercessione materna della Vergine Maria, aiuti tutti i Liberiani a riscoprire i valori della vita umana, della fratellanza e della pace, senza i quali non potrà costruirsi l’avvenire di quell’amata Nazione.




Mercoledì, 8 agosto 1990

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1. L’apostolo Pietro afferma nella sua prima Lettera: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli in giusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello Spirito” (
1P 3,18). Anche l’apostolo Paolo afferma la stessa verità nell’introduzione alla Lettera ai Romani, dove si presenta come l’annunziatore del Vangelo di Dio stesso. E scrive: “Questo (il Vangelo) è riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dei morti, Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 1,3-4). Al riguardo ho scritto nell’enciclica Dominum et vivificantem (DEV 24): “Si può dire così che l’“elevazione” messianica di Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo zenit nella risurrezione, nella quale egli si rivela anche come Figlio di Dio “pieno di potenza””.

Gli studiosi ritengono che in questo passo della Lettera ai Romani - come anche in quello della Lettera di Pietro - sia contenuta una professione di fede precedente, ripresa dai due apostoli dalla fonte viva della prima comunità cristiana. Tra gli elementi di questa professione di fede, si trova l’affermazione che lo Spirito Santo operante nella risurrezione è lo “Spirito di santificazione”. Possiamo dunque dire che il Cristo, che era il Figlio di Dio sin dal momento del suo concepimento nel grembo di Maria per opera dello Spirito Santo, nella risurrezione viene “costituito” come fonte di vita e di santità: “pieno di potenza di santificazione” per opera dello stesso Spirito Santo.

Si rivela così in tutto il suo significato il gesto che Gesù compie la sera stessa del giorno della risurrezione, “il primo dopo il sabato” quando, comparendo agli apostoli, mostra loro le mani e il costato, alita loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,22).

2. A questo proposito, particolare attenzione merita la prima Lettera di Paolo ai Corinzi. Abbiamo visto a suo tempo, nelle catechesi cristologiche, che in essa si trova la prima annotazione storica circa le testimonianze sulla risurrezione di Cristo, che per l’apostolo appartengono ormai alla tradizione della Chiesa: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Co 15,3-5). A questo punto l’apostolo elenca diverse cristofanie che seguirono dopo la risurrezione, ricordando alla fine quella sperimentata da lui stesso.

Si tratta di un testo molto importante che documenta non solo la persuasione dei primi cristiani circa la risurrezione di Gesù, ma anche la predicazione degli apostoli, la tradizione in formazione, e lo stesso contenuto pneumatologico ed escatologico di quella fede della Chiesa primitiva.

Nella sua Lettera, infatti, collegando la risurrezione di Cristo alla fede nell’universale “risurrezione del corpo”, l’apostolo stabilisce il rapporto tra Cristo e Adamo in questi termini: “Il primo uomo, Adamo, divenne un’anima vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1Co 15,45). Scrivendo di Adamo che divenne “un’anima vivente” Paolo cita il testo della Genesi (Gn 2,7), secondo cui Adamo “divenne un’anima vivente” grazie all’“alito di vita” che Dio “soffiò nelle sue narici”; Paolo poi sostiene che Gesù Cristo, come uomo risorto, supera Adamo: possiede infatti la pienezza dello Spirito Santo, che in modo nuovo deve dar vita all’uomo così da renderlo un essere spirituale. Se il nuovo Adamo è diventato “spirito datore di vita”, ciò non significa che egli si identifichi come persona con lo Spirito Santo che “dà la vita” (divina), ma che, possedendo come uomo la pienezza di questo Spirito, lo dà agli apostoli, alla Chiesa e all’umanità. È “spirito che dà vita” per mezzo della sua morte e della sua risurrezione, ossia del sacrificio offerto sulla croce.

3. Il testo dell’apostolo fa parte dell’istruzione di Paolo sul destino del corpo umano, di cui è principio vitale l’anima (“psyché” in greco, “nefesh” in ebraico). È un principio naturale, dal quale il corpo appare abbandonato al momento della morte, evento davanti a cui si pone, come problema di esistenza prima ancora che di riflessione filosofica, l’interrogativo sull’immortalità.

Secondo l’apostolo, la risurrezione di Cristo risponde a questo interrogativo con una certezza di fede. Il corpo di Cristo, colmato di Spirito Santo nella risurrezione, è la fonte della nuova vita dei corpi risuscitati: “Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale”. Il corpo “animale” (cioè animato dalla “psyché”) è destinato a scomparire per cedere il posto al corpo “spirituale”, animato dal “pneuma”, lo Spirito, che è principio di nuova vita già durante la presente vita mortale, ma raggiungerà la sua piena efficacia dopo la morte. Allora sarà autore della risurrezione del “corpo animale” nell’integrale realtà del “corpo pneumatico” mediante l’unione con Cristo risuscitato, uomo celeste e “Spirito vivificante” (1Co 15,44 1Co 15,45-49).

La futura risurrezione dei corpi è dunque legata alla loro spiritualizzazione a somiglianza del corpo di Cristo, vivificato dalla potenza dello Spirito Santo. Questa è la risposta dell’apostolo all’interrogativo che egli stesso si pone: “Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?”. “Stolto! - esclama Paolo -. Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio, o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito . . . così anche la risurrezione dei morti . . .: si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1Co 15,35 1Co 15,36-44).

4. Secondo l’apostolo, dunque, la vita in Cristo è nello stesso tempo la vita nello Spirito Santo: “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene”. La vera libertà si trova in Cristo e nel suo Spirito, “perché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8,9 Rm 8,2). La santificazione in Cristo è nello stesso tempo la santificazione nello Spirito Santo. Se Cristo “intercede per noi”, allora anche lo Spirito Santo “intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili . . . Intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,34 Rm 8,26-27).

Come si rileva da questi testi paolini, lo Spirito Santo, che ha agito nella risurrezione di Cristo, già infonde nel cristiano la nuova vita, nella prospettiva escatologica della futura risurrezione. Vi è una continuità tra la risurrezione di Cristo, la vita nuova del cristiano liberato dal peccato e reso partecipe del mistero pasquale, e la futura ricostituzione dell’unità di corpo e anima nella risurrezione da morte: l’autore di tutto lo sviluppo della vita nuova in Cristo è lo Spirito Santo.

5. Si può dire che la missione di Cristo raggiunge veramente il suo zenit nel mistero pasquale, dove lo stretto rapporto tra la cristologia e la pneumatologia si apre, dinanzi allo sguardo del credente e alla ricerca del teologo, sull’orizzonte escatologico. Ma questa prospettiva include anche il piano ecclesiologico: perché “la Chiesa . . . annuncia colui che dà . . . vita: lo Spirito vivificatore; lo annuncia e con lui coopera nel dare la vita. Infatti, se “il corpo è morto a causa del peccato . . ., lo Spirito è vita a causa della giustificazione” (Rm 8,10), operata da Cristo crocifisso e risorto. E in nome della risurrezione di Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in stretta unione e in umile servizio allo Spirito” (Dominum et vivificantem DEV 58).

6. Al centro di questo servizio si trova l’Eucaristia. Questo sacramento, nel quale continua e si rinnova incessantemente il dono redentore di Cristo, contiene nello stesso tempo la vivificante potenza dello Spirito Santo. L’Eucaristia è, dunque, il sacramento nel quale lo Spirito continua a operare e a “rivelarsi” come principio vitale dell’uomo nel tempo e nell’eternità. È sorgente di luce per l’intelligenza e di forza per la condotta, secondo la parola di Gesù a Cafarnao: “È lo Spirito che dà la vita . . . Le parole che vi ho dette (sul “pane che scende dal cielo”) sono spirito e vita” (Jn 6,63).

Ai fedeli di lingua francese

A numerosi pellegrini provenienti da aree di espressione linguistica inglese

Ai fedeli provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini dei vari gruppi giapponesi. La solennità della Beata Vergine Maria Assunta in cielo è ormai imminente. Io so che in questa stessa data voi commemorate la fine della seconda guerra mondiale. Ora perciò, carissimi pellegrini, invocando l’intercessione materna della Madonna preghiamo per la pace nel mondo.

Con questo auspicio imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica a tutti voi e in particolare al gruppo dei pellegrini devoti di S. Massimiliano Kolbe.

Ringrazio inoltre cordialmente il coro di Arakawa.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Ai connazionali polacchi

Ai gruppi di fedeli italiani

Saluto ora i numerosi pellegrini di lingua italiana; in particolare mi rivolgo ai partecipanti in questi giorni al campo-scuola organizzato dall’Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira”. Tra essi sono i professori e gli studenti dell’università di Leningrado, e dell’Istituto Relazioni Internazionali di Mosca. Vi sono pure gli studenti ortodossi della Grecia. Vi do il mio benvenuto, augurando che il vostro soggiorno a Roma serva anche per approfondire la vostra cultura profana e religiosa.

Il mio pensiero va poi ai fedeli della Parrocchia di S. Antonio Abate di Bergenno, in Diocesi di Bergamo, che concludono con questo pellegrinaggio a Roma lo speciale anno di riflessione e di catechesi sulla parola di Dio. Vi esprimo il mio compiacimento per la vostra iniziativa, tanto importante per la crescita della vostra Fede.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora, come di consueto, rivolgo un saluto particolare ai giovani, agli ammalati, e a tutte le coppie di sposi novelli. Carissimi, l’altro ieri abbiamo ricordato il Cristo trasfigurato sul Monte Tabor. Tale celebrazione liturgica risuoni ancora nel vostro animo e vi sia di stimolo a misurarvi con le altezze inebrianti della fede e della contemplazione.

Voi giovani, che in questo tempo di vacanza avete la possibilità di salire sulle vette delle montagne, sappiate contemplare, da lassù, il volto splendente di Dio, che si riflette nelle meraviglie del creato.

La trasfigurazione del Tabor sia anche per voi ammalati un segno di speranza, che vi fa guardare, oltre la croce e la sofferenza, al Cristo risorto e glorificato.

E voi, cari sposi novelli, sappiate impiantare la tenda della vostra nascente famiglia sulla realtà della fede di Dio che ama, fiduciosi che, mediante la preghiera quotidiana, potrete camminare insieme verso la realizzazione di una reciproca e feconda donazione, come collaboratori di Dio nella trasmissione della vita.

A tutti la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 25790