Catechesi 79-2005 13788

Sabato, 23 luglio 1988



1. “Rimanete in me e io in voi . . .” (Jn 15,4). Queste parole della parabola sulla vite e i tralci raffigurano ciò che per volontà di Cristo deve essere la Chiesa nella sua struttura interiore. Il “rimanere” in Cristo significa un legame vitale con lui come fonte di vita divina. Dato che Cristo chiama all’esistenza la Chiesa, dato che le concede anche una struttura ministeriale “esterna”, “edificata” sugli apostoli, non c’è dubbio che il “ministerium” degli apostoli e dei loro successori, come di tutta la Chiesa, deve rimanere al servizio del “mysterium”: e questo è il “mysterium” della vita, la partecipazione alla vita di Dio che fa della Chiesa la comunità degli uomini vivi. A questo scopo la Chiesa riceve da Cristo la “struttura sacramentale”, di cui abbiamo parlato nell’ultima catechesi. I sacramenti sono “segni” dell’azione salvifica di Cristo che sconfigge le potenze del peccato e della morte, innestando e fortificando negli uomini le potenze della grazia e della vita, la cui pienezza è in Cristo.

2. Questa pienezza di grazia (cf. Jn 1,14), e questa sovrabbondanza di vita (cf. Jn 10,10) si identificano con la santità. La santità è in Dio, e solo da Dio può passare nella creatura, in particolare nell’uomo. È una verità che pervade tutta l’antica alleanza: Dio è santo e chiama alla santità. Sono memorabili queste esortazioni della legge mosaica: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). “Osservate le mie leggi e mettetele in pratica. Io sono il Signore che vi vuole fare santi” (Lv 20,8). Anche se queste citazioni provengono dal Levitico, che era come un codice del culto in Israele, la santità comandata e raccomandata da Dio non è da intendere solo in senso rituale, ma anche in senso morale: si tratta di ciò che rende l’uomo, nel modo più essenziale, simile a Dio e degno di accostarsi a Dio nel culto: la giustizia e la mondezza interiore.

3. Gesù Cristo è la viva incarnazione di questa santità. Egli stesso si presenta come “colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo” (Jn 10,36). Di lui il messaggero della sua nascita terrena dice a Maria: “Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Gli apostoli sono i testimoni di questa santità, come proclama per tutti Pietro: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Jn 6,69).

È una santità che si è manifestata sempre di più nella sua vita, a cominciare dagli anni dell’infanzia (cf. Lc 2,40 Lc 2,52), per raggiungere le vette nel sacrificio offerto “per i fratelli” secondo le stesse parole di Gesù: “Per loro io santifico me stesso, perché siano anch’essi santificati nella verità” (Jn 17,19), in armonia con l’altra sua dichiarazione: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Jn 15,13).

4. La santità di Cristo deve diventare l’eredità vivente della Chiesa. Questo è lo scopo dell’opera salvifica di Gesù, enunziata da lui stesso: “Perché siano anch’essi santificati nella verità . . .” (Jn 17,19). Lo ha compreso san Paolo, il quale nella lettera agli Efesini scrive che Cristo “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” (Ep 5,25-26), “santa e immacolata” (Ep 5,27).

Gesù ha fatto sua la chiamata alla santità già rivolta da Dio al suo popolo nell’antica alleanza: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo”. Con tutta la forza l’ha ripetuta ininterrottamente con la parola e con l’esempio della sua vita. Specialmente nel discorso della montagna ha lasciato alla sua Chiesa il codice della santità cristiana. Proprio in quella pagina leggiamo che, dopo aver detto “di non essere venuto ad abolire la legge o i profeti, ma a dare compimento” (cf. Mt 5,17), Gesù esorta i suoi seguaci ad una perfezione sul modello di Dio stesso: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). E poiché il Figlio rispecchia nel modo più completo questa perfezione del Padre, Gesù può dire in un’altra occasione: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Jn 14,9).

5. Alla luce di questa esortazione di Gesù, si può capire meglio come il Concilio Vaticano II abbia voluto mettere in rilievo la chiamata universale alla santità. È una questione su cui ritorneremo a suo tempo, nell’apposito ciclo di catechesi sulla Chiesa. Ma qui ora è bene attirare l’attenzione sui suoi punti essenziali, dove si scorge meglio il legame della chiamata alla santità con la missione di Cristo, e soprattutto con il suo esempio vivente.

“Tutti nella Chiesa - dice il Concilio - . . . sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’Apostolo: «Certo la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate» (1Th 4,3 cf. Ep 1,4) (Lumen Gentium LG 39). Le parole dell’Apostolo sono un’eco fedele dell’insegnamento di Cristo maestro che, secondo il Concilio, “mandò a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cf. Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro” (cf. Jn 13,34 Jn 15,12) (Lumen Gentium LG 40).

6. La chiamata alla santità riguarda dunque tutti, “sia che appartengano alla gerarchia sia che da essa siano diretti” (Lumen Gentium LG 39): “Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità” (Lumen Gentium LG 40).

Il Concilio fa pure notare che la santità dei cristiani scaturisce da quella della Chiesa e la manifesta. Dice infatti che la santità “si esprime in varie forme presso i singoli, i quali nei loro gradi di vita tendono alla perfezione della carità ed edificano gli altri” (Lumen Gentium LG 39).

In questa varietà si realizza un’unica santità da parte di quanti sono mossi dallo Spirito di Dio “e seguono Cristo povero, umile e carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria” (Lumen Gentium LG 41).

7. Coloro che Gesù esortava “a seguirlo” - a cominciare dagli apostoli - erano disposti a lasciare ogni cosa per lui, come gli protestò Pietro: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mt 19,27). “Tutto” significa in questo caso non solamente “i beni temporali”, (“la casa . . . la terra”), ma anche le persone care: “fratelli, sorelle, padre, madre, figli” (cf. Mt 19,29) e dunque la famiglia.

Gesù stesso era il più perfetto modello di una tale rinuncia. Per questo poteva esortare i suoi discepoli a rinunce simili, compresa quella del “celibato per il regno dei cieli” (cf. Mt 19,12).

Il programma di santità di Cristo, rivolto sia agli uomini che alle donne, che pure lo seguivano (cf. per esempio Lc 8,1-3), si esprime in modo particolare nei consigli evangelici. Come ricorda il Concilio, “i consigli evangelici (della castità consacrata a Dio, della povertà e dell’obbedienza) essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore . . . sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e colla sua grazia sempre conserva” (Lumen Gentium LG 43).

8. Tuttavia dobbiamo subito aggiungere che la vocazione alla santità nella sua universalità comprende anche le persone che vivono nel matrimonio (come pure i vedovi e le vedove), e coloro che conservano il possesso e l’amministrazione dei loro beni, si occupano degli affari terreni, svolgono le loro professioni, missioni e mestieri con libera disposizione di sé, secondo le loro coscienze e nella loro libertà. Gesù ha indicato la strada della santità che, è loro propria, già per il fatto di aver dato inizio alla sua attività messianica con la partecipazione alle nozze di Cana (cf. Jn 2,1-11) e in seguito ricordando gli eterni principi della legge divina che valgono per gli uomini e le donne di ogni condizione, e in particolare quelli dell’amore, dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio (cf. Mc 10,1-12 Mt 19,1-9), e della castità (cf. Mt 5,28-30). Perciò anche il Concilio, parlando dell’universale vocazione alla santità, dedica un posto speciale alle persone legate dal sacramento del Matrimonio: “I coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria via, devono con costante amore sostenersi a vicenda nella grazia per tutta la vita, e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole, che hanno amorosamente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l’esempio di un amore instancabile e generoso . . .” (Lumen Gentium LG 41).

9. In tutti i comandamenti e le esortazioni di Gesù e della Chiesa, emerge il primato della carità. Infatti la carità, secondo san Paolo, è “il vincolo della perfezione” (Col 3,14). La volontà di Gesù è che “ci amiamo gli uni gli altri, come egli ci ha amati” (Jn 15,12): dunque di un amore che, come il suo, va “sino alla fine” (Jn 13,1). Questo è il patrimonio di santità lasciato da Gesù alla sua Chiesa. Tutti siamo chiamati a parteciparvi, e ad attingere in tal modo alla pienezza di grazia e di vita, che è in Cristo. La storia della santità cristiana è la riprova che vivendo nello spirito delle beatitudini evangeliche, proclamate nel discorso della montagna (cf. Mt 5,3-12), si attua l’esortazione di Cristo che è al centro della parabola sulla vite e i tralci: “Rimanete in me e io in voi. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (Jn 15,4 Jn 15,5). Queste parole si attuano, rivestendosi di forme molteplici nella vita dei singoli cristiani, e mostrando così, lungo i secoli, la multiforme ricchezza e bellezza della santità della Chiesa, la “figlia del Re” ornata di splendide vesti (cf. Ps 45 [44], 14).

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai numerosi pellegrini giunti dalla Spagna e dall’America Latina

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

RIVOLGO UN PARTICOLARE saluto alle Suore Francescane Immacolatine, presenti all’Udienza in occasione del Capitolo generale dell’Istituto, e alle Suore Figlie di Maria SS. dell’Orto, venute a Roma per celebrare il 50° o il 25° di professione religiosa.

Carissime Sorelle, la vocazione religiosa, con cui Gesù vi ha scelte un giorno tra tante coetanee, costituisce una singolare manifestazione di amore verso ciascuna di voi. Questa sosta presso la Tomba di Pietro vi offra occasione di prendere rinnovata consapevolezza della predilezione del Signore e vi spinga a confermare i propositi di generosa corrispondenza alla chiamata divina mediante l’impegno della personale santificazione e la dedizione generosa alle finalità apostoliche dei rispettivi Istituti.

Vi conforti la mia Benedizione.
* * *


IL MIO SALUTO si volge, poi, a tutti i fedeli di lingua italiana presenti all’Udienza, ed in special modo ai pellegrini dell’arcidiocesi di Monreale venuti con il loro Vescovo, Monsignor Salvatore Cassisa, in visita alle memorie dei Santi Martiri, che Roma gelosamente custodisce.

Carissimi, auspico che questo pellegrinaggio vi aiuti a vivere più in profondità la vostra fede e la comunione con la Chiesa, che proprio qui ha il suo centro visibile. Gli esempi degli Apostoli Pietro e Paolo, che hanno fecondato la Chiesa di Roma con il loro sangue, vi stimolino ad essere testimoni coraggiosi e franchi del Vangelo nel mondo di oggi.

Benedico di cuore voi ed i vostri cari.

Ai giovani


Carissimi giovani!

SONO MOLTO LIETO di salutarvi in modo speciale: la vostra presenza all’Udienza durante le vacanze estive dimostra la vostra fede e la vostra sensibilità cristiana! Colgo l’occasione di questo incontro con voi per ricordare un avvenimento significativo: due secoli fa un geologo francese, il Signor Deodat De Dolomieu, risalendo la valle dell’Adige diretto ad Innsbruch, raccolse alcuni sassi che in seguito esaminò, scoprendo che non erano formati di semplice calcare, ma di carbonato di calcio e di magnesio. Da lui hanno poi preso nome le caratteristiche montagne, da cui quei sassi provenivano. La stupenda magnificenza di quei picchi arditi, come anche la meravigliosa bellezza di tanti altri luoghi che le vacanze vi consentono di visitare, siano anche per voi, cari giovani, uno stimolo ad elevare sempre in alto il vostro spirito, i vostri ideali, la vostra vita! Vi accompagno con la mia Benedizione.

Agli ammalati

Carissimi ammalati e amici infermieri ed accompagnatori!

ANCHE A VOI GIUNGA il mio cordiale saluto, con l’assicurazione della mia costante preghiera e con l’augurio che la vostra visita a Roma, alla tomba di Pietro e alla persona del suo Successore, vi sia di sollievo spirituale e anche fisico, di rinnovato, stimolo ad amare il Signore e a confidare totalmente in Lui! La vostra sofferenza é sempre tanto preziosa: sappiate che tutta la Chiesa usufruisce del vostro nascosto, ma autentico apostolato. Oggi la liturgia ci ricorda Santa Brigida di Svezia, una grande mistica vissuta in tempi difficili per la Chiesa. Essa conobbe davvero “la sapienza della Croce nella contemplazione amorosa della passione di Cristo”, come è detto nella Orazione della Messa. Santa Brigida illumini ed aiuti anche voi a compiere sempre con grande fervore la vostra missione per il Corpo Mistico della Chiesa! Benedico tutti di cuore.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli!

ACCOGLIETE IL MIO SALUTO gioioso ed il mio augurio per la vostra nuova vita! Vi sono riconoscente per la vostra presenza ed invoco su di voi i più eletti favori celesti, affinché la vostra vita coniugale sia sempre serena, lieta, fervorosa, unita dall’amore reciproco, dalla fede e dalla preghiera. Desidero oggi, ricordarvi l’Enciclica “Humanae Vitae”, che Paolo VI pubblicò vent’anni fa, il 25 luglio 1968, ed esortarvi alla lettura ed alla meditazione di questo importante documento della Chiesa, che con illuminata sicurezza dottrinale e con profonda sensibilità umana traccia le direttive necessarie per realizzare una paternità responsabile, nella grazia di Dio e nella pace della coscienza. Sia questo per voi un fermo proposito, che sgorghi dal vostro pellegrinaggio a Roma; e vi sostenga anche la particolare Benedizione, che di gran cuore vi imparto!




Mercoledì, 27 luglio 1988

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1. “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (
Mc 1,15): queste parole annotate da Marco all’inizio del suo Vangelo, riassumono e scolpiscono ciò che andiamo spiegando nel presente ciclo di catechesi cristologiche sulla missione messianica di Gesù Cristo. Secondo tali parole, Gesù di Nazaret è colui che annuncia l’“avvicinarsi del regno di Dio” alla storia terrena dell’uomo. Egli è colui nel quale il regno di Dio è entrato in modo definitivo ed irrevocabile nella storia dell’umanità, e tende attraverso questa “pienezza del tempo” verso il compimento escatologico nell’eternità di Dio stesso.

Gesù Cristo “trasmette” il regno di Dio agli apostoli. Su di loro poggia l’edificio della sua Chiesa che, dopo la sua dipartita, deve continuare la sua missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi . . . Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,21 Jn 20,22).

2. In questo contesto bisogna considerare ciò che vi è di essenziale per la missione messianica di Gesù. Il Simbolo della fede l’esprime con le seguenti parole: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” (“Symbolum Nissenum-Costantinopolitanum”). La cosa essenziale in tutta la missione di Cristo è l’opera di salvezza, che viene indicata dallo stesso nome “Gesù” (“Ye-shûa’” = Dio salva). Esso è stato dato insieme all’annuncio della nascita del Figlio di Dio, quando l’angelo disse a Giuseppe: “Essa (Maria) partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Con queste parole, udite in sogno da Giuseppe, viene ripetuto ciò che Maria aveva udito nell’annunciazione: “Lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31). Ben presto gli angeli annunceranno ai pastori nei pressi di Betlemme la venuta nel mondo del Messia (= Cristo) come salvatore: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11): “. . . egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21).

3. “Salvare” vuol dire: liberare dal male. Gesù Cristo è il salvatore del mondo, poiché è venuto per liberare l’uomo da quel male fondamentale, che ha invaso l’intimo dell’uomo lungo tutto il corso della sua storia, dopo la prima rottura dell’alleanza con il Creatore. Il male del peccato è proprio questo male fondamentale che allontana dall’umanità la realizzazione del regno di Dio. Gesù di Nazaret, che sin dall’inizio della sua missione annunzia l’“avvicinarsi del regno di Dio”, viene come salvatore. Egli non solo annunzia il regno di Dio, ma elimina l’ostacolo essenziale alla sua realizzazione, che è il peccato radicato nell’uomo secondo la legge dell’ereditarietà originale, e che in lui fomenta i peccati personali (“fomes peccati”). Gesù Cristo è il salvatore in questo senso fondamentale della parola: raggiunge la radice del male che è nell’uomo, la radice che consiste nel voltare le spalle a Dio, accettando il dominio del “padre della menzogna” (cf. Jn 8,44) che come “principe delle tenebre” (cf. Col 1,13) è divenuto per mezzo del peccato (e sempre continua a diventarlo da capo) il “principe di questo mondo” (Jn 12,31 Jn 14,30 Jn 16,11).

4. Il significato più immediato dell’opera della salvezza, già rivelato con la nascita di Gesù, verrà espresso da Giovanni Battista al Giordano. Egli infatti, indicando in Gesù di Nazaret colui che “doveva venire”, dirà: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Jn 1,29). In queste parole è contenuto un chiaro riferimento all’immagine di Isaia del servo sofferente del Signore. Il profeta parla di lui come dell’“agnello” che viene condotto al macello, ed egli in silenzio (come “pecora muta”) (Is 53,7) accetta la morte, per mezzo della quale “giustificherà molti, si addosserà la loro iniquità” (Is 53,11). Così la definizione “agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, radicata nell’antico testamento, indica che l’opera della salvezza - cioè la liberazione dai peccati - si compirà a prezzo della passione e della morte di Cristo. Il Salvatore è allo stesso tempo il Redentore dell’uomo (Redemptor Hominis ). Opera la salvezza a prezzo del sacrificio salvifico di se stesso.

5. Tutto ciò, prima ancora di realizzarsi negli eventi della Pasqua di Gerusalemme, trova espressione, passo dopo passo, in tutta la predicazione di Gesù di Nazaret, come leggiamo nei Vangeli: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). “Il Figlio dell’uomo . . . non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28). Qui si scopre facilmente il riferimento all’immagine isaiana del servo di Jahvè. E se il Figlio dell’uomo, in tutto il suo modo di agire, si fa conoscere come “amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19), non fa con ciò che mettere in rilievo la caratteristica fondamentale della sua missione salvifica. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Jn 3,17).

6. Queste parole del Vangelo di Giovanni, scritto per ultimo, rispecchiano quanto appare in tutto lo svolgimento della missione di Gesù che trova conferma alla fine nella sua passione, morte e risurrezione. Gli autori del nuovo testamento vedono acutamente, attraverso il prisma di questo evento definitivo - il mistero pasquale - la verità di Cristo, che ha operato la liberazione dell’uomo dal male principale, il peccato, mediante la redenzione. Colui che è venuto per “salvare il suo popolo” (cf. Mt 1,21), “l’uomo Cristo Gesù . . . ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5-6). “Dio mandò - nella pienezza del tempo - il suo Figlio . . . per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (cf. Ga 4,4-5). In lui “abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati” (Ep 1,7).

Questa testimonianza di Paolo viene completata dalle parole della lettera agli Ebrei: “Cristo . . . con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, dopo averci ottenuto una redenzione eterna . . .”; “con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” (He 9,11 He 9,12 He 9,14).

7. Le lettere di Pietro sono altrettanto univoche come il “corpus paulinum”: “Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati . . . ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1P 1,18-19). “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1P 2,24-25).

Il “riscatto per tutti” - l’infinito “prezzo” del sangue dell’agnello - la “redenzione eterna”: questo seguito di concetti, contenuti negli scritti del nuovo testamento, ci fa scoprire alle sue stesse radici la verità su Gesù (= Dio salva), il quale come Cristo (= Messia, Unto) libera l’umanità dal male del peccato, radicato ereditariamente nell’uomo e sempre nuovamente commesso. Cristo-Liberatore: colui che libera davanti a Dio. E l’opera della redenzione è anche la “giustificazione” operata dal Figlio dell’uomo, come “mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tm 2,5) col sacrificio di se stesso, a nome di tutti gli uomini.

8. La testimonianza del nuovo testamento è particolarmente forte. Contiene non solo una limpida immagine della verità rivelata sulla “liberazione redentiva”, ma risale alla sua altissima fonte, che si trova in Dio stesso. Il suo nome è amore.

Ecco ciò che dice Giovanni: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10). Poiché . . . “il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato” (1Jn 1,7). “. . . Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Jn 2,2). “. . . Egli è apparso per togliere i peccati e . . . in lui non v’è peccato” (1Jn 3,5). Proprio in questo è contenuta la più completa rivelazione dell’amore, con cui Dio amò l’uomo: questa rivelazione si è compiuta in Cristo e per mezzo di lui. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi . . .” (1Jn 3,16).

9. Troviamo in tutto ciò una sorprendente coerenza, quasi una profonda “logica” della rivelazione, che unisce tra loro i due Testamenti - da Isaia alla predicazione di Giovanni al Giordano - e ci perviene attraverso i Vangeli e le testimonianze delle lettere apostoliche. L’apostolo Paolo esprime a modo suo le stesse cose contenute nelle lettere di Giovanni. Dopo aver osservato che “a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto”, egli dichiara: “Dio però dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7-8).

Dunque la redenzione è il dono d’amore da parte di Dio in Cristo. L’Apostolo è consapevole che la sua “vita nella carne” è la vita “nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Ga 2,20). Nello stesso senso l’autore dell’Apocalisse vede le schiere della futura Gerusalemme come coloro che venendo dalla “grande tribolazione hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

10. Il “sangue dell’Agnello”: da questo dono d’amore di Dio in Cristo, del tutto gratuito, prende inizio l’opera della salvezza cioè la liberazione dal male del peccato, in cui il regno di Dio “si è avvicinato” definitivamente, ha trovato una nuova base, ha dato inizio alla sua realizzazione nella storia dell’uomo.

Così l’incarnazione del Figlio di Dio ha il suo frutto nella redenzione. Nella notte di Betlemme “è nato” veramente il “Salvatore” del mondo (Lc 2,11).

Ai fedeli francesi

Ai pellegrini di espressione inglese


Ad un folto pellegrinaggio giapponese

Sia Lodato Gesù Cristo!

SALUTO I DILETTISSIMI componenti delle Università femminili “Junshin” e “Seishin” e del gruppo YBU (movimento del Buon Pastore) di Tokyo, ed anche le studentesse dell’Università “Nanzan” di Nagoya.

Come ben sapete, l’Anno Mariano sta ormai per concludersi. Ma io desidero e auguro che tutta la vostra vita sia, d’ora in poi, un prolungamento dell’Anno Mariano, ossia una vita con Maria, la Madre di Gesù e nostra.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad un gruppo di pellegrini tedeschi

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai giovani

Rivolgo ora un pensiero di saluto ai giovani.

CARISSIMI, SIAMO nel pieno delle vacanze, le quali, oltre che come periodo di meritato riposo e distacco dalle consuete attività, si presentano anche come utile occasione per allargare le proprie conoscenze a contatto con esperienze e modi di vita diversi da quelli abituali. A chi sa esserne attento osservatore si aprono spunti nuovi e fecondi di riflessione e, in una visione di fede, anche motivi di preghiera di fronte ai problemi che emergono, per la cui soluzione s’avverte l’interiore esigenza di rendersi in qualche modo utili. Vi invito a perfezionare questa penetrante visione delle cose e ad assecondare generosamente le mozioni dello Spirito, il quale spinge ad un impegno concreto ed attivo.

Vi accompagni e vi sia propizia la mia Benedizione.

Agli ammalati

SALUTO ANCHE con affetto gli ammalati che, nonostante la stagione calda, hanno voluto affrontare il disagio del viaggio per esser presenti a questa Udienza. Vi ringrazio per l’esempio che date e che stimola ed incoraggia coloro che si trovano in particolari difficoltà a superarle con determinazione e fiducia nella riuscita. Quello che voi, nel vostro stato, potete offrire al Signore ed ai fratelli è senz’altro frutto del vostro vivo desiderio di bene, ma anche evidente segno della sua grazia, che opera in voi e che, proprio quando interviene a sostegno dei limiti umani, si manifesta più luminosamente.

Nell’augurarvi un pronto miglioramento, vi seguo con la preghiera e vi benedico uno per uno.

Agli sposi novelli

Un cordiale ed augurale saluto agli sposi novelli.

IERI, NELLA LITURGIA, abbiamo ricordato i santi Gioacchino ed Anna, genitori della Beata Vergine Maria. A considerare questo grande ed unico privilegio, è facile intuire quale eccezionale coppia di sposi sia stata questa che il Signore ha scelto perché da loro nascesse, fosse allevata ed educata la futura Madre del suo Unigenito Figlio; sicché il silenzio che li circonda diventa eloquente lezione di stile da cui apprendere come essere coppia secondo il cuore di Dio. Per questo, carissimi sposi, vi esorto a vedere in san Gioacchino e in Sant’Anna i protettori e il modello della vostra famiglia. Quanto più Dio sarà al centro della vostra vita, tanto più voi sperimenterete il suo sostegno anche nella delicata opera di educazione dei figli, a cui insegnerete a crescere ricchi di fede e saldamente ancorati ai valori autentici e immutabili. Auspico per voi ogni bene, di cui è pegno la mia Benedizione.



Agosto 1988





Castel Gandolfo - Mercoledì, 3 agosto 1988

1. Cristo è il salvatore, è venuto infatti nel mondo per liberare, a prezzo del suo sacrificio pasquale, l’uomo dalla schiavitù del peccato. Lo abbiamo visto nella catechesi precedente. Se il concetto di “liberazione” fa riferimento da un lato al male, liberati dal quale troviamo “la salvezza”, dall’altro lato fa riferimento al bene, per il cui conseguimento siamo stati liberati da Cristo, redentore dell’uomo e del mondo con l’uomo e nell’uomo. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Jn 8,32). Queste parole di Gesù precisano in modo molto conciso il bene, per il quale l’uomo è stato liberato ad opera del Vangelo nell’ambito della redenzione di Cristo. È la libertà nella verità. Essa costituisce il bene essenziale della salvezza, operata da Cristo. Attraverso questo bene il regno di Dio realmente “è vicino” all’uomo e alla sua storia terrena.

2. La liberazione salvifica che Cristo opera nei riguardi dell’uomo contiene in sé, in un certo senso, le due dimensioni: liberazione “dal” (male) e liberazione “per il” (bene), che sono intimamente unite, si condizionano e si integrano reciprocamente.

Tornando ancora al male dal quale Cristo libera l’uomo - cioè al male del peccato - bisogna aggiungere che mediante i “segni” straordinari della sua potenza salvifica (cioè: i miracoli), da lui operati guarendo i malati dalle varie infermità, egli indicava sempre, almeno indirettamente, questa essenziale liberazione, che è la liberazione dal peccato, la sua remissione. Ciò appare chiaramente nella guarigione del paralitico, al quale Gesù, prima disse: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, e solo dopo: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2,5 Mc 2,11). Compiendo questo miracolo Gesù si rivolse a coloro che lo circondavano (specialmente a coloro che lo tacciavano di bestemmia, poiché solamente Dio può rimettere i peccati): “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” (Mc 2,10).

3. Negli Atti degli Apostoli leggiamo che Gesù “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Ac 10,38). Infatti appare dai Vangeli che Gesù sanava i malati da molte infermità (come per esempio quella donna curva che “non poteva drizzarsi in nessun modo” [cf. Lc 13, 10-16]). Quando gli accadeva di “scacciare gli spiriti cattivi”, se lo accusavano di far questo con l’aiuto del maligno, egli rispondeva dimostrando il non senso di una tale insinuazione e diceva: “Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12,28 cf. Lc 11,20). Col liberare gli uomini dal male del peccato, Gesù smaschera colui che è il “padre del peccato”. Proprio da lui, dallo spirito maligno, ha inizio “la schiavitù del peccato” nella quale si trovano gli uomini. “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Jn 8,34-36).

4. Di fronte all’opposizione dei suoi ascoltatori, Gesù aggiungeva: “. . . Da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Jn 8,42-44). È difficile trovare un testo in cui il male del peccato sia mostrato in modo così forte nella sua radice di falsità diabolica.

5. Sentiamo ancora una volta le parole di Gesù: “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Jn 8,36). “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Jn 8,31-32). Gesù Cristo venne per liberare l’uomo dal male del peccato. Questo male fondamentale ha il suo inizio nel “padre della menzogna” (come si vede già nel libro della Genesi) (cf. Gn 3,4). Per questo la liberazione dal male del peccato, operata sino alle sue stesse radici, deve essere la liberazione verso la verità e per mezzo della verità. Gesù Cristo rivela questa verità. Egli stesso è “la verità” (Jn 14,6). Questa verità porta con sé la vera libertà. È la libertà dal peccato e dalla menzogna. Coloro che erano “schiavi del peccato” perché si trovavano sotto l’influsso del “padre della menzogna”, vengono liberati mediante la partecipazione alla verità, che è il Cristo - e nella libertà del Figlio di Dio essi stessi raggiungono “la libertà dei figli di Dio” (cf. Rm 8,21). San Paolo può assicurare; “La legge dello Spirito che dà la vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8,2).

6. Nella stessa lettera ai Romani l’Apostolo presenta in modo eloquente la decadenza umana, che il peccato porta con sé. Guardando il male morale dei suoi tempi, scrive che gli uomini, avendo dimenticato Dio, “hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa” (Rm 1,21). “Hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno” (Rm 1,28).

7. In altri passi della sua lettera l’Apostolo passa dalla descrizione esterna all’analisi dell’interno umano, dove si combattono tra loro il bene e il male. “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me” (Rm 7,15-17). “Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato . . .”. “Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rm 7,23-25). Da questa analisi paolina risulta che il peccato costituisce una profonda alienazione; in un certo senso “rende estraneo” l’uomo a se stesso nel suo intimo “io”. La liberazione viene con la “grazia e la verità” (cf. Jn 1,17) portata da Cristo.

8. Si vede chiaro in che cosa consiste la liberazione operata da Cristo: verso quale libertà egli ci ha resi liberi. La liberazione operata da Cristo si distingue da quella attesa dai suoi contemporanei in Israele. Infatti ancora prima di andare definitivamente al Padre, Cristo veniva interrogato da coloro che erano i suoi più intimi: “Signore è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?” (Ac 1,6). E dunque ancora allora - dopo l’esperienza degli eventi pasquali - essi continuavano a pensare alla liberazione in senso politico: sotto questo aspetto veniva atteso il Messia, discendente di Davide.

9. Ma la liberazione operata da Cristo a prezzo della sua passione e morte in croce, ha un significato essenzialmente diverso: è la liberazione da ciò che nel più profondo dell’uomo ostacola il suo rapporto con Dio. A quel livello il peccato significa schiavitù; e Cristo ha vinto il peccato per innestare nuovamente nell’uomo la grazia della divina figliolanza, la grazia liberatrice. “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»” (Rm 8,15).

Tale liberazione spirituale, cioè “la libertà nello Spirito Santo”, è dunque il frutto della missione salvifica di Cristo: “Dove c’è lo Spirito del Signore ivi è la libertà” (2Co 3,17). In questo senso siamo “stati chiamati alla libertà” (Ga 5,13) in Cristo e per mezzo di Cristo. “La fede che opera per mezzo della carità” (Ga 5,6) è l’espressione di questa libertà.

10. Si tratta della liberazione dell’uomo interiore, della “libertà del cuore”. La liberazione in senso sociale e politico non è la vera opera messianica di Cristo. D’altra parte bisogna constatare che senza la liberazione da lui operata, senza la liberazione dell’uomo dal peccato, e quindi da ogni specie di egoismo, non si può compiere neppure alcuna reale liberazione in senso socio-politico. Nessun cambiamento puramente esteriore delle strutture porta a una vera liberazione della società, sino a quando l’uomo è sottomesso al peccato e alla menzogna, fino a quando dominano le passioni, e con esse lo sfruttamento e le varie forme di oppressione.

11. Anche quella che si potrebbe chiamare liberazione in senso psicologico non si può compiere pienamente, se non con le forze liberatrici che provengono da Cristo. Essa fa parte della sua opera di redenzione. Solamente il Cristo è “la nostra pace” (Ep 2,14). La sua grazia e il suo amore liberano l’uomo dalla paura esistenziale davanti alla mancanza di senso della vita e da quel tormento della coscienza che è il retaggio dell’uomo caduto nella schiavitù del peccato.

12. La liberazione operata da Cristo con la verità del suo Vangelo, e definitivamente con il vangelo della sua croce e risurrezione, conservando il suo carattere soprattutto spirituale ed “interiore”, può estendersi su di un raggio d’azione universale, ed è destinata a tutti gli uomini. Le parole “per grazia infatti siete stati salvati” (Ep 2,5) riguardano tutti. Nello stesso tempo, però, questa liberazione, che è “una grazia”, cioè un dono, non può compiersi senza la partecipazione dell’uomo. L’uomo deve accoglierla con fede, speranza e carità. Deve “attendere alla sua salvezza con timore e tremore” (cf. Ph 2,12). “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Ph 2,13). Consapevoli di questo dono soprannaturale, noi stessi dobbiamo collaborare con la potenza liberatrice di Dio, che col sacrificio redentore di Cristo è entrata nel mondo come fonte eterna di salvezza.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ad un gruppo di pellegrini provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

SALUTO CORDIALMENTE Sua Eccellenza Monsignor Hamao con il gruppo dei fedeli di Yokohama, giunti a Roma in pellegrinaggio per celebrare il 50° di fondazione della loro Diocesi.

Vi auguro che la vostra vita di fede e quella degli altri fedeli di Yokohama sia un’autentica testimonianza per tutti i cittadini della vostra amata nazione.

Saluto pure gli altri due gruppi di pellegrini provenienti dal Giappone e imparto volentieri a tutti la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini provenienti dalla Polonia

Ai pellegrini italiani

SALUTO ORA i pellegrini di lingua italiana ed in particolare il gruppo dei giovani atleti tedofori di Forino di Montoro, in provincia di Avellino, e dei loro accompagnatori. Ben volentieri accenderò la “fiaccola” che essi hanno qui recato per portarla poi, secondo la tradizione, presso la statua di San Nicola di Bari, loro Protettore, in occasione degli annuali festeggiamenti. Mentre li invito ad essere testimoni coerenti della fede tra i fratelli, con generoso impegno e grande amore per Cristo, luce delle genti, imparto a tutti loro la mia Benedizione.

Ai giovani

Rivolgo ora, come di consueto, il mio cordiale saluto ai giovani, ai ragazzi ed alle ragazze, qui presenti.

CARISSIMI, in questo tempo delle vacanze estive, in cui siete liberi dagli impegni della scuola o dalle occupazioni del vostro lavoro, profittate per approfondire la vostra cultura religiosa mediante la lettura di buoni libri. Siate assidui nella esplorazione delle zone più riposte del vostro mondo interiore. Affinate la vostra spiritualità e vivete la vostra giovinezza secondo lo stile cristiano: così costruirete il vostro futuro con i tesori della tradizione bimillenario della Chiesa, e imparerete ad amare sempre di più Gesù che è vostro contemporaneo, come lo è stato di ogni epoca, e di ogni generazione essendo egli il Vivente, il compagno di viaggio e l’amico di ogni uomo. Siate autentici amici di Gesù e fate conoscere la sua vita, la sua speranza e il suo Regno.

A tutti imparto la mia Benedizione.

Agli ammalati

UN PENSIERO PARTICOLARE a tutti voi, fratelli e sorelle ammalati, che partecipate a questa Udienza, e a quanti soffrono nelle corsie degli ospedali o nella solitudine delle proprie case.

Vi invito ad offrire le vostre infermità e le prove, al Crocifisso, perché possiate, in unione con lui, portare il vostro contributo alla redenzione del mondo. Il dolore infatti, se accettato con fede, non cade invano, ma edifica la Chiesa.

Vi sia di sostegno la mia particolare Benedizione.

Agli sposi novelli

UNA PAROLA di felicitazione e di augurio voglio esprimere pure a voi, sposi novelli, che avete voluto prendere parte a questo incontro per suggellare la vostra Unione matrimoniale con la Benedizione del Successore di Pietro. Vi auguro di essere sempre fedeli alla grazia del sacramento e di far sì che la vostra fede cristiana sia il fondamento stabile della vostra nascente famiglia. Vi benedico e vi assicuro la mia preghiera.

Prima di concludere l’udienza generale di oggi, il Santo Padre esprime ai fedeli presenti all’incontro la sua partecipazione alla gioia della famiglia di Marco Fiora, il ragazzo torinese liberato ieri mattina, 2 agosto, in Calabria. Giovanni Paolo II rivolge un appello in favore della liberazione delle altre persone tuttora in mano ai loro sequestratori.
Queste le parole del Santo Padre.

Desidero esprimere a voi qui presenti la mia partecipazione alla gioia della famiglia di Marco Fiora, il ragazzo liberato proprio ieri dopo un sequestro durato lungo tempo. Già nel febbraio scorso anch’io avevo implorato la sua liberazione.

Ora ringraziamo il Signore perché nella sua provvidenza e bontà ha disposto gli eventi nel senso buono e desiderato, mentre porgo al piccolo Marco ed ai suoi cari l’augurio di ogni bene.

Rimane ancora, tuttavia, l’ansia e il desiderio per la liberazione di tante altre persone, tutt’ora misteriosamente sequestrate, e per queste chiedo ancora ai responsabili la liberazione.

Prevalga il sentimento della giustizia e della fraternità sulla suggestione del ricatto.





Castel Gandolfo - Mercoledì, 10 agosto 1988



1. È bene ribadire ciò che abbiamo detto nelle ultime catechesi considerando la missione salvifica di Cristo come liberazione, e Gesù come liberatore. Si tratta della liberazione dal peccato come male fondamentale, che “imprigiona” l’uomo dal di dentro, sottoponendolo alla schiavitù di colui che da Cristo viene chiamato il “padre della menzogna” (Jn 8,44). Si tratta, nello stesso tempo, della liberazione verso la verità, che ci dà la partecipazione alla “libertà dei figli di Dio” (cf. Rm 8,21). Gesù dice: “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Jn 8,36). La “libertà dei figli di Dio” proviene dal dono di Cristo, che porta all’uomo la partecipazione alla figliolanza divina, cioè la partecipazione alla vita di Dio.

Dunque l’uomo liberato da Cristo, non solo riceve la remissione dei peccati, ma viene elevato a “una nuova vita”. Cristo, come autore della liberazione dell’uomo, è il creatore della “nuova umanità”. In lui diventiamo “una creatura nuova” (cf. 2Co 5,17).

2. Nella presente catechesi chiariamo ulteriormente questo aspetto della liberazione salvifica, che è opera di Cristo. Essa appartiene all’essenza stessa della sua missione messianica.

Gesù stesso ne parlava, per esempio, nella parabola del Buon Pastore, quando diceva: “Io sono venuto perché (le pecore) abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Jn 10,10). Si tratta di quella abbondanza di vita nuova, che è la partecipazione alla vita stessa di Dio.

Anche in questo modo si realizza nell’uomo “la novità” dell’umanità di Cristo: l’essere “una creatura nuova”.

3. È ciò che con un parlare figurato e molto suggestivo, Gesù dice nel suo colloquio con la Samaritana presso il pozzo di Sicar: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva. Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva?» . . . Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»” (Jn 4,10-14).

4. Anche alla folla Gesù ripeté questa verità con parole molto simili, insegnando durante la festa delle Tende: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Jn 7,37-38). I “fiumi di acqua viva” sono l’immagine della nuova vita a cui partecipano gli uomini in virtù della morte in croce di Cristo. In questa visuale la Tradizione patristica e la liturgia leggono anche il testo di Giovanni, secondo il quale dal costato (dal cuore) di Cristo, dopo la sua morte in croce, “uscì sangue e acqua”, quando un soldato romano “gli colpì il costato” (Jn 19,34).

5. Ma, secondo un’interpretazione cara a gran parte dei padri orientali e tuttora seguita da vari esegeti, fiumi di acqua viva sgorgheranno anche “dal seno” dell’uomo che beve l’“acqua” della verità e della grazia di Cristo. “Dal seno” significa: dal cuore. Viene infatti creato “un cuore nuovo” nell’uomo, come annunziavano - in modo molto chiaro - i profeti, e in particolare Geremia ed Ezechiele.

Leggiamo in Geremia: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Jr 31,33). In Ezechiele, ancora più esplicitamente: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,26-27).

Si tratta dunque di una profonda trasformazione spirituale, che Dio stesso realizza dentro l’uomo mediante “il soffio del suo Spirito” (cf. Ez 36,26). I “fiumi di acqua viva” di cui parla Gesù significano la fonte di una vita nuova che è la vita “in Spirito e verità”, vita degna dei “veri adoratori del Padre” (cf. Jn 4,23-24).

6. Gli scritti degli apostoli, e in particolare le lettere di san Paolo, abbondano di testi su questo tema: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove” (2Co 5,17). Il frutto della redenzione compiuta da Cristo è proprio questa “novità di vita”: “Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza (di Dio), ad immagine del suo Creatore” (Col 3,9-10). “L’uomo vecchio” è “l’uomo del peccato”. “L’uomo nuovo” è colui che grazie a Cristo ritrova in sé l’originale “immagine e somiglianza” del suo Creatore. Di qui anche quella energica esortazione dell’Apostolo a superare tutto ciò che in ciascuno di noi è peccato e retaggio del peccato: “Deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze, e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri . . .” (Col 3,8-9).

7. Una simile esortazione si trova nella lettera agli Efesini: “Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ep 4,22-24). “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” (Ep 2,10).

8. La redenzione è dunque la nuova creazione in Cristo. Essa è il dono di Dio - la grazia - e nello stesso tempo porta in sé una chiamata rivolta all’uomo. L’uomo deve cooperare all’opera di liberazione spirituale, compiuta in lui da Dio per mezzo di Cristo. È vero che “per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene” (Ep 2,8). Certo l’uomo non può attribuire a se stesso la salvezza, la liberazione salvifica, che è dono di Dio in Cristo, ma nello stesso tempo deve vedere in questo dono anche la fonte di una incessante esortazione a compiere opere degne di un tale dono. Il quadro completo della liberazione salvifica dell’uomo comporta una profonda consapevolezza del dono di Dio nella croce di Cristo e nella risurrezione redentrice, e, nello stesso tempo, la consapevolezza della propria responsabilità per questo dono: consapevolezza degli impegni di natura morale e spirituale, che quel dono e quella chiamata impongono. Tocchiamo qui le radici di quello che possiamo chiamare l’“ethos della redenzione”.

9. La redenzione compiuta da Cristo, che opera con la potenza del suo Spirito di verità (Spirito del Padre e del Figlio, Spirito di verità), ha una dimensione personale, che riguarda ogni uomo, e nello stesso tempo una dimensione inter-umana e sociale, comunitaria e universale.

È un tema che vediamo svolto nella lettera agli Efesini, dove è descritta la riconciliazione delle due “parti” dell’umanità in Cristo: cioè di Israele, popolo eletto dell’antica alleanza, e di tutti gli altri popoli della terra: “Egli infatti (Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due (generi di uomini) un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (Ep 2,14-16).

10. Ecco la definitiva dimensione della “creatura nuova” e della “novità di vita” in Cristo: la liberazione dalla divisione, l’“abbattimento del muro” che separa Israele dagli altri. In Cristo tutti sono il “popolo eletto”, perché in Cristo l’uomo è eletto. Ogni uomo, senza eccezione e differenza, viene riconciliato con Dio e - per ciò stesso - chiamato a partecipare all’eterna promessa di salvezza e di vita. L’umanità intera è nuovamente creata come “l’uomo nuovo . . . secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ep 4,24). La riconciliazione di tutti con Dio per mezzo di Cristo deve diventare la riconciliazione di tutti tra di loro; una dimensione comunitaria e universale della redenzione, piena espressione dell’“ethos della redenzione”.

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di lingua inglese

Ai numerosi pellegrini di lingua tedesca


Ai numerosi fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli polacchi

Ad un gruppo di pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

CARISSIMI TERZIARI francescani e voi tutti giovani pieni di vitalità, vi saluto cordialmente.

In questi giorni voi sicuramente avete goduto della esperienza del pellegrinaggio, e avete approfondito la conoscenza nel campo delle vostre attività.

Ora desidero che il frutto di questi giorni giovi ancor più a voi stessi e ai vostri connazionali.

Con questo augurio vi benedico volentieri.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai giovani

ED ORA RIVOLGO una parola di saluto e di augurio a voi, giovani, che siete qui presenti per manifestare la vostra testimonianza di fede cristiana e per essere incoraggiati a crescere in essa.

Carissimi, vi accolgo con gioia e, mentre assicuro il mio particolare ricordo nella preghiera, perché ciascuno di voi sappia scorgere i segni della Provvidenza in ogni circostanza della vita quotidiana, vi invito ad essere testimoni convinti della lieta e buona verità evangelica, nutrendovi della Parola di Dio e del Cibo Eucaristico, che dona la vita divina e la forza di portare agli altri la novità e la pienezza di un’esistenza redenta.

La Vergine Santa, che nulla antepose all’amore del Signore e divenne la Madre della Vita, sostenga la vostra fedeltà ai propositi di bene, da cui siete animati, ed ottenga per voi la grazia di aderire con tutto il cuore a Cristo, servendolo nei fratelli.

Vi sono spiritualmente vicino con la Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

SALUTO VOI, cari ammalati, a cui ricordo che il Redentore è vostro conforto e vostra consolazione; in ogni circostanza Egli è il Dio vicino, che santifica il soffrire, e che lenisce le vostre ferite fisiche e morali, rendendole luminose come le stigmate della sua Risurrezione.

La Vergine Maria, “Salute degli infermi”, vi assista con la sua materna sollecitudine, vi sia di sostegno la mia Apostolica Benedizione che imparto a voi ed a quanti vi sono cari.

Agli sposi novelli

GIUNGA INFINE la mia parola di saluto e di benvenuto a voi, sposi novelli. Carissimi, all’augurio di una vita familiare gioiosa e serena unisco l’esortazione a vivere il vostro reciproco amore, reso santo dal sacramento del matrimonio, per una costante crescita nella carità di Cristo e per contribuire all’edificazione della Chiesa.

Mediante Maria, che non delude quanti a Lei si affidano, ponete quotidianamente la vostra esistenza nelle mani provvide di Dio.

Vi accompagno con la mia Benedizione.





Castel Gandolfo - Mercoledì, 17 agosto 1988



1. Nel graduale sviluppo della catechesi sul tema della missione di Gesù Cristo, abbiamo visto che egli è colui che opera la liberazione dell’uomo per mezzo della verità del suo Vangelo, la cui ultima e definitiva parola è la croce e la risurrezione. Cristo libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e gli dona una nuova vita mediante il suo sacrificio pasquale. La redenzione è divenuta una nuova creazione. Dal sacrificio redentore e dalla risurrezione del Redentore prende inizio una “umanità nuova”. Dio accogliendo il sacrificio di Cristo, “crea” l’uomo nuovo “nella giustizia e nella santità vera” (Ep 4,24): l’uomo che diventa adoratore di Dio “in spirito e verità” (Jn 4,23).

Nella sua figura storica Gesù Cristo ha per questo “uomo nuovo” il significato di un perfetto modello - cioè dell’ideale. Colui, che nella sua propria umanità era la perfetta “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), diventa per mezzo della sua vita terrena - per mezzo di tutto ciò che “fece e insegnò” (Ac 1,1) - e soprattutto mediante il sacrificio - un modello visibile per gli uomini. Il modello più perfetto.

2. Entriamo qui nell’ambito del tema della “imitazione di Cristo” che è chiaramente presente nei testi evangelici e in altri scritti apostolici, anche se la parola “imitazione” non appare nei vangeli. Gesù esorta i suoi discepoli a “seguirlo (greco [termine greco]) (cf. Mt 16,24), “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (cf. anche Jn 12,26).

Solo in Paolo troviamo questa parola, quando l’Apostolo scrive: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (greco [termine greco]) (1Co 11,1). E altrove: “E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione” (1Th 1,6).

3. Ma bisogna osservare che la parola “imitazione” non è la cosa più importante qui. Importantissimo è il fatto, ad essa soggiacente: cioè, che l’intera vita e opera di Cristo, coronata dal sacrificio della croce, compiuto per amore, “per i fratelli”, rimane un duraturo modello e ideale. Induce dunque ed esorta non solo a conoscere ma anche e soprattutto ad imitare. Gesù stesso, del resto, dice nel cenacolo, dopo aver lavato i piedi agli apostoli: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Jn 13,15).

La parola di Gesù non si riferisce solo al gesto di lavare i piedi, ma, mediante tale gesto, a tutta la sua vita, considerata un umile servizio. Ciascun discepolo viene invitato a seguire le orme del “Figlio dell’uomo”, il quale “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per la moltitudine” (Mt 20,28). È proprio alla luce di questa vita, di quest’amore, di questa povertà, infine di questo sacrificio, che l’“imitazione” di Cristo diventa un’esigenza per tutti i suoi discepoli e seguaci. Diventa in un certo senso la “struttura portante” dell’“ethos” evangelico, cristiano.

4. Proprio in questo consiste quella “liberazione” per la vita nuova, di cui abbiamo parlato nelle precedenti catechesi. Cristo non ha trasmesso all’umanità solamente una magnifica “teoria”, ma ha rivelato in che senso e in quale direzione deve compiersi la trasformazione salvifica dell’uomo “vecchio” - l’uomo del peccato - nell’uomo “nuovo”. Questa trasformazione esistenziale, e in conseguenza morale, deve arrivare a conformare l’uomo a quel “modello” originalissimo, secondo il quale egli è stato creato. Solamente ad un essere creato “ad immagine e somiglianza di Dio” possono essere rivolte le parole che leggiamo nella lettera agli Efesini: “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio” (Ep 5,1-2).

5. Cristo dunque è il modello sulla via di questa “imitazione di Dio”. Nello stesso tempo è lui solo che rende realizzabile questa imitazione, quando, mediante la redenzione, ci offre la partecipazione alla vita di Dio. A questo punto Cristo diventa non solo il modello perfetto, ma il modello efficace. Il dono, cioè la grazia della vita divina, per opera del mistero pasquale della redenzione diventa la radice stessa della nuova somiglianza con Dio in Cristo, e dunque è anche la radice dell’imitazione di Cristo come modello perfetto.

6. Da questo fatto attingono la loro forza ed efficacia esortazioni come quella di san Paolo (ai Filippesi): “Se c’è . . . qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi con tutta l’umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Ph 2,1-4).

7. Dove fa riferimento una tale “parenesi”? Dove fanno riferimento tali esortazioni e tali esigenze poste ai Filippesi? Tutta la risposta è contenuta nei successivi versetti della lettera: “Tali sentimenti . . . erano in Gesù Cristo . . . e abbiate in voi gli stessi sentimenti” (cf. Ph 2,5). Cristo, infatti, “assumendo la condizione di servo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,7-8).

L’Apostolo tocca ciò che costituisce il punto centrale e nevralgico di tutta l’opera della redenzione, compiuta da Cristo. Qui si trova anche la pienezza del modello salvifico per ognuno dei redenti. Qui c’è il punto culminante dell’imitazione del Maestro. Lo stesso principio di imitazione troviamo enunciato anche nella lettera di san Pietro: “Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo pati per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1P 2,20-21).

8. Nella vita umana la sofferenza ha il significato di una prova morale. Ciò significa soprattutto una prova delle forze dello spirito umano. Una tale prova ha un significato “liberatorio”: essa libera le forze nascoste dello spirito, permette loro di manifestarsi, e contemporaneamente diventa occasione di purificazione interiore. Qui si applicano le parole della parabola della vite e dei tralci proposta da Gesù, quando presenta il Padre come colui che coltiva la vigna: “Ogni tralcio che in me non porta frutto lo pota perché porti più frutto” (Jn 15,2). Quel frutto infatti, dipende dal rimanere (come i tralci) in Cristo, la vite, nel suo sacrificio redentore, poiché “senza di lui non possiamo far nulla” (cf. Jn 15,5). Invece, come afferma l’apostolo Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Ph 4,13). E Gesù stesso dice: “Chi crede in me, compirà le opere che io compio” (Jn 14,12).

9. La fede in questa potenza trasformatrice di Cristo nei riguardi dell’uomo ha le sue più profonde radici nell’eterno disegno di Dio circa la salvezza umana: “Quelli che egli (Dio) da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29). In questa direzione il Padre “pota” ogni tralcio, come leggiamo nella parabola (Jn 15,2). E per questa via si compie la graduale trasformazione del cristiano secondo il modello di Cristo, fino al punto che in lui, “riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore”. Così l’Apostolo nella seconda lettera ai Corinzi (2Co 3,18).

10. Si tratta di un processo spirituale, da cui scaturisce la vita: e, in tale processo, è la morte generosa di Cristo che porta frutti, introducendo nella dimensione pasquale della sua risurrezione. Esso viene iniziato in ciascuno di noi dal Battesimo, sacramento della morte e risurrezione di Cristo, come leggiamo nella lettera ai Romani: “Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Da quel momento, il processo di questa trasformazione salvifica in Cristo si sviluppa in noi “finché arriviamo tutti . . . allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ep 4,13).

Ai pellegrini di lingua francese



Ad un folto gruppo di visitatori provenienti da Hong Kong, da Taiwan, da Singapore e dalla Malaysia

Ad un gruppo di insegnanti ed alunni del Collegio femminile di Kyoto

Sia lodato Gesù Cristo!

VI SALUTO CORDIALMENTE, carissimi Insegnanti del Collegio femminile di Kyoto. Siate i benvenuti a questo incontro.

Kyoto richiama subito l’antica e nobile capitale e il centro delle migliori tradizioni giapponesi. Sta a voi, ora, carissimi, trasmettere nell’insegnamento tali tradizioni alle nuove generazioni, adattandole alle esigenze della odierna società giapponese.

Vi auguro di cuore di poter adempiere questo ufficio trovando la migliore cooperazione delle vostre alunne.

A Voi e a Loro ogni augurio di bene.

A gruppi di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai numerosi fedeli di espressione portoghese

Ai pellegrini polacchi

Ad alcuni gruppi di pellegrini italiani

Rivolgo ora un particolare saluto ai pellegrini italiani.

ANZITUTTO A VOI della diocesi di Acireale, venuti dalla Sicilia a Roma sotto la guida del vostro Pastore, Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Malandrino.

Saluto anche le religiose presenti:

- le Suore Domenicane del SS.mo Sacramento, guidate dalla nuova Madre Generale, Suor Tarcisia Ippolito;

- e il gruppo di Ancelle dell’Amore Misericordioso, che ha partecipato a Collevalenza ad una intensa esperienza di preghiera e di rinnovamento.

A tutti auguro di proseguire il cammino di fede illuminati dallo Spirito Santo, sostenuti da Maria e rafforzati dalla testimonianza degli Apostoli Pietro e Paolo.

Ai giovani

RIVOLGO ORA un affettuoso saluto ai giovani qui presenti. Voi sapete che il Papa vi vuole bene, vi vuole buoni, vi vuole lieti sempre. Mi è perciò gradito rivolgere a voi l’invito dell’Apostolo ai Filippesi: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi”. Affinché la vostra gioia sia piena e duratura bisogna che essa scaturisca da un cuore puro, da una coscienza retta e, in particolare, dall’amicizia sincera con Cristo Gesù. Da tale amicizia imparerete ad essere veramente buoni, lieti e generosi.

Concludo questa mia affettuosa esortazione benedicendovi di cuore.

Agli ammalati

UN SALUTO e un abbraccio a voi, cari ammalati qui presenti, che rappresentate i tanti fratelli che soffrono nelle loro case, negli ospedali, nelle case di cura.

Dal vangelo sappiamo quanto Gesù abbia prediletto gli infermi, riservando ad essi i palpiti più teneri del suo cuore, i miracoli più grandi della sua potenza ed assicurando loro “la consolazione” del suo Regno. Questo pensiero vi conforti nelle presenti tribolazioni, vi stimoli ad offrire le vostre pene al Signore e vi impegni a soffrire con Cristo, per purificare le vostre anime e, in pari tempo, contribuire al bene della Chiesa.

Con tali pensieri vi benedico di cuore.


Agli sposi novelli

CARI SPOSI NOVELLI vi rivolgo un grazie per la vostra presenza, insieme ad un cordiale saluto e ad un fervido augurio.

Il Signore benedica il vostro amore, suggellato dal Sacramento del Matrimonio, sostenga il vostro generoso proposito di dare testimonianza di vita cristiana esemplare, vi sia vicino, col suo aiuto, lungo il cammino che avete scelto di percorrere insieme sino alla fine.

La Vergine Santa vi protegga sempre e vi conceda di vivere secondo giustizia, cioè virtuosamente, nella fedeltà vicendevole e nel serio impegno di trasmettere la vita e di educare cristianamente i figli.

Confermo tali voti con la mia Benedizione.




Castel Gandolfo - Mercoledì, 24 agosto 1988


1. Gesù Cristo è il Redentore. Ciò che costituisce il centro e l’apice della sua missione, cioè l’opera della redenzione, comprende anche questo aspetto: egli è diventato il perfetto modello della trasformazione salvifica dell’uomo. A dire il vero già tutte le precedenti catechesi di questo ciclo si sono svolte nella prospettiva della redenzione. Abbiamo visto che Gesù annuncia il Vangelo del regno di Dio, ma abbiamo pure appreso da lui che solo nella redenzione per mezzo della croce e risurrezione il regno entra definitivamente nella storia dell’uomo. Allora egli “consegnerà” questo regno agli apostoli, perché esso perduri e si sviluppi nella storia del mondo mediante la Chiesa. È la redenzione, infatti, che porta in sé la “liberazione” messianica dell’uomo, che dalla schiavitù del peccato passa alla vita nella libertà dei figli di Dio.

2. Gesù Cristo è il più perfetto modello di tale vita, come abbiamo appreso dagli scritti apostolici citati nella precedente catechesi.

Colui, che è il Figlio consostanziale al Padre, unito con lui nella divinità “Io e il Padre siamo una cosa sola”(Jn 10,30), mediante tutto quello che “fa e insegna” (cf. Ac 1,1) costituisce l’unico modello, nel suo genere, di vita filiale rivolta e unita al Padre. Riferendoci a questo modello, rispecchiandolo nella nostra coscienza e nel nostro comportamento, possiamo sviluppare in noi una tale forma e direzione di vita “Cristo-somigliante”, nella quale si esprima e si realizzi la vera “libertà dei figli di Dio” (cf. Rm 8,21).

3. Di fatto tutta la vita di Gesù di Nazaret era, come più volte abbiamo fatto notare, rivolta al Padre. Ciò appare già nella risposta data ai genitori dal dodicenne Gesù in occasione del “ritrovamento nel tempio”: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Verso la fine della sua vita, il giorno prima della passione, “sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre” (Jn 13,1), quello stesso Gesù dirà agli apostoli: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io . . . Nella casa del Padre mio vi sono molti posti” (Jn 14,2-3).

4. Dall’inizio sino alla fine questa direzione teocentrica della vita e dell’azione di Gesù è chiara e univoca. Egli conduce i suoi “verso il Padre”, creando un chiaro modello di vita orientata verso il Padre. “Io ho osservato il comandamento del Padre mio e rimango nel suo amore”. E Gesù ritiene suo “cibo” questo “rimanere nell’amore” del Padre, cioè il compimento della sua volontà: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Jn 4,34). Così egli dice ai suoi discepoli presso il pozzo di Giacobbe a Sicar. E già prima, nel corso del dialogo con la Samaritana, egli ha indicato che lo stesso “cibo” dovrà diventare il retaggio spirituale dei suoi discepoli e seguaci: “Ma e giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Jn 4,23).

5. I “veri adoratori” sono anzitutto coloro che imitano Cristo in ciò che fa. E lui fa ogni cosa imitando il Padre: “Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Jn 5,36). Anzi: “Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Jn 5,19).

In questo modo troviamo un perfetto fondamento alle parole dell’Apostolo, secondo le quali siamo chiamati ad imitare Cristo (cf. 1Co 11,1 1Th 1,6), e, di conseguenza, Dio stesso: “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi” (Ep 5,1). La vita “Cristo-somigliante” è al tempo stesso una vita simile a quella di Dio, nel senso più pieno della parola.

6. Il concetto del “cibo” di Cristo, che durante la sua vita è stato il compimento della volontà del Padre, ci introduce nel mistero della sua obbedienza, che giunse fino alla morte in croce. Fu allora un cibo amaro, come appare soprattutto durante la preghiera nel Getsemani, e poi nel corso di tutta la passione e l’agonia della croce: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice. Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Per comprendere questa obbedienza, per comprendere anche perché questo “cibo” dovette essere così amaro, bisogna guardare a tutta la storia dell’uomo sulla terra, segnata dal peccato, ossia dalla disobbedienza nei riguardi di Dio, Creatore e Padre. “Il Figlio che libera” (cf. Jn 8,36), libera dunque mediante la sua obbedienza fino alla morte. E lo fa, rivelando sino alla fine la sua dedizione piena di amore: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). In questo donarsi, in questo completo “abbandonarsi” al Padre si afferma sopra tutta la storia della disobbedienza umana la contemporanea unione divina del Figlio con il Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Jn 10,30). E qui si esprime quello che possiamo definire il profilo centrale della imitazione, alla quale l’uomo è chiamato in Cristo: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50 Mc 3,35).

7. Nella vita orientata completamente “verso il Padre”, e a lui profondamente unita, Gesù Cristo è anche modello della nostra preghiera, della nostra vita di orazione mentale e vocale. Egli non solo ci ha insegnato a pregare, principalmente nel Padre nostro (cf. Mt 6,9 ss), ma l’esempio della sua preghiera ci si offre come momento essenziale della rivelazione del suo legame e della sua unione col Padre. Si può dire che nella sua preghiera viene confermato in modo tutto particolare il fatto che “solo il Padre conosce il Figlio” - “e solo il Figlio conosce il Padre” (cf. Mt 11,27 Lc 10,22).

Ricordiamo i momenti più significativi della sua vita di orazione. Gesù passa molto tempo in preghiera (per esempio Lc 6,12 Lc 11,1), specialmente le ore notturne, cercando i luoghi adatti per questo (per esempio Mc 1,35 Mt 14,23 Lc 6,12). Con la preghiera si prepara al battesimo nel Giordano (Lc 3,21) e all’istituzione dei dodici apostoli (cf. Lc 6,12-13). Per il tramite della preghiera nel Getsemani si dispone ad affrontare la passione e morte in croce (cf. Lc 22,42). L’agonia sul Calvario è completamente attraversata dalla preghiera: dal salmo 22,1: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, al “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), all’abbandono finale: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Sì, in vita e in morte Gesù è modello di preghiera.

8. Della preghiera di Cristo leggiamo nella lettera agli Ebrei che “Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (He 5,7-8). Questa affermazione significa che Gesù Cristo ha compiuto in modo perfetto la volontà del Padre, l’eterno disegno di Dio sulla redenzione del mondo a prezzo del supremo sacrificio per amore. Secondo il Vangelo di Giovanni questo sacrificio era non solo una glorificazione del Padre da parte del Figlio ma anche la glorificazione del Figlio, conformemente alle parole della preghiera “sacerdotale” nel cenacolo: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato” (Jn 17,1-2). È ciò che si è adempiuto sulla croce. La risurrezione dopo i tre giorni fu la conferma e quasi lo esternarsi della gloria con cui “il Padre glorificò il Figlio” (cf. Jn 17,1). Tutta la vita d’obbedienza e di “pietà” filiale di Cristo si fondeva con la sua preghiera, che gli ottenne quindi la definitiva glorificazione.

9. Questo spirito di figliolanza amorosa, obbediente e pia, spicca anche nell’episodio già ricordato, quando i discepoli chiesero a Gesù di “insegnar loro a pregare” (cf. Lc 11,1-2), egli trasmise loro, e a tutte le generazioni dei suoi seguaci, una preghiera che comincia con quella sintesi verbale e concettuale così espressiva: “Padre nostro”. In queste parole è la manifestazione dello spirito di Cristo rivolto filialmente al Padre, e preso fino in fondo dalle “cose del Padre” (cf. Lc 2,49). Dandoci per tutti i tempi quella preghiera, Gesù ci ha trasmesso in essa e con essa un modello di vita unita in modo filiale col Padre. Se dobbiamo far nostro per la nostra vita questo modello, se dobbiamo, in particolare, partecipare al mistero della redenzione imitando Cristo, bisogna che non cessiamo di pregare il Padre come lui ci ha insegnato.

A gruppi di espressione linguistica francese


Ai gruppi di lingua inglese

Ad alcuni pellegrini della Chiesa Cattolica di Honjo, in Giappone

Diletti parrocchiani della parrocchia Honjo di Tokyo. Siate i benvenuti a questo incontro.

HO SENTITO DIRE che la vostra parrocchia è assai attiva e compie molte opere di bene a favore dei parrocchiani. Sappiate allargare sempre più il cerchio del vostro lavoro di cristiani impegnati affinché, sotto lo sguardo benedicente della Madonna, il Regno di Cristo venga presto in Giappone.

Con questo desiderio Vi imparto paternamente la mia Benedizione Apostolica.

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai numerosissimi pellegrini provenienti da Paesi di lingua spagnola

A diversi gruppi di espressione linguistica portoghese

Ai numerosi pellegrini provenienti dalla Polonia

Ad alcuni gruppi di fedeli di lingua italiana

DESIDERO PORGERE il mio cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana, ed in particolare alle numerose Suore che frequentano la Settimana Biblica, organizzata dalla Associazione Biblica Italiana, per approfondire la “Lettera agli Ebrei”.

Esprimo il mio compiacimento per tale iniziativa, auspicando per tutte le Religiose partecipanti al corso un incremento della loro fede nel mistero del Sacerdozio di Cristo, e ciò anche per un migliore servizio ecclesiale che esse svolgono nei vari campi dell’apostolato.

A tutti la mia Benedizione.

Ai giovani

DESIDERO ORA rivolgere il mio saluto a voi, cari giovani, insieme con l’invito a utilizzare il periodo estivo per un ulteriore arricchimento della mente e nuove ascensioni nello spirito. Può succedere che, in questa stagione, si effettuino scalate anche ardue sulle montagne, ma, a volte spiritualmente e moralmente si scenda in basso, verso i fondali inquinati, mettendo da parte gli imperativi del dovere.

Non sia così per voi. Non venite mai meno ai vostri impegni verso Dio, e così non verrete neppure meno agli impegni verso gli altri e verso voi stessi. Ritemprate le vostre forze fisiche, senza debilitare le energie più nobili dello spirito. Fate in modo che l’estate non sia solo un periodo di spensieratezza, ma anche di gioia e di elevazione.

Vi benedico di cuore.

Agli ammalati

UN PENSIERO particolarmente affettuoso a voi, carissimi malati, per cui la sofferenza non ha tregua, ed anzi, proprio in questo periodo di calura, conosce in certi casi un aggravamento. Per voi non ci sono ferie. Ma se considerate il dolore fisico e morale, quale veramente è, inserito nel tessuto di un disegno di amore e carico d’incalcolabili frutti per voi stessi, per la Chiesa, per il mondo, potete misurarne tutta la preziosità. Pensate che Dio vi è sempre vicino; Egli mostra preferenza per coloro che hanno più bisogno del suo aiuto. Anch’io mi sento vicino a voi e vi chiedo di offrire le vostre sofferenze per la Chiesa, per i sacerdoti, per la perseveranza dei buoni e la conversione di quanti sono lontani dal Signore.

Vi do la mia particolare Benedizione.

Agli sposi novelli

ANCHE A VOI, sposi novelli, un caro saluto con l’augurio che la vostra vita a due, da poco incominciata e benedetta da Dio nel Sacramento, possa essere una continua ascesa verso le vette dell’amore sulle orme della Vergine Madre.

Anche Maria disse il suo “Sì” davanti all’inviato del Signore. E “sì” disse pure Giuseppe all’invito dell’Angelo a prendere Maria come sposa. Da quel momento la loro esistenza cambiò e fu tutta per Chi li aveva scelti a vivere insieme con Lui. La loro fu una vita non facile, provata dal duro lavoro ed esposta, all’inizio, a vari pericoli e alla solitudine dell’esilio. Ma fu ricca di beatitudine: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Il loro duplice Sì fu inserito da Dio nel disegno di salvezza del mondo. E così l’Addolorata divenne l’Assunta, che tutto il mondo ha celebrato e onorato proprio in questi giorni.

Vi benedico nel nome di Maria.

Profondo dolore per le vittime del terremoto in India e in Nepal è espresso dal Papa nel corso dell’udienza odierna. Nell’elevare la sua preghiera per i poveri morti, il Santo Padre manifesta la sua solidarietà con quanti sono impegnati nella generosa opera di soccorso. Queste le sue parole.

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Della difficile situazione della Polonia il Papa parla anche oggi, al temine dell’udienza generale. Queste le sue parole.

CON LA PREGHIERA del “ Padre nostro ” cerchiamo di sostenere durante questo mese, in questi giorni, tutti i nostri cari, soprattutto i nostri connazionali. Ne ho parlato già Domenica. Dopodomani e la festa della Madonna di Czestochowa. Tutti questi difficili problemi della nostra vita polacca li affideremo alla nostra Madre e Regina.

Al termine dell’udienza generale di questa mattina il Santo Padre esprime il suo profondo dolore per le vittime causate dagli scontri etnici nel Burundi e chiede di pregare perché torni presto la pace. Queste le sue parole.

Nei giorni scorsi, sono giunte dal Burundi notizie di scontri a carattere etnico, avvenuti nella regione settentrionale del Paese, con molte vittime ed un gran numero di persone costrette a trovare rifugio oltre frontiera.

Vi invito ad unirvi a me nella preghiera, per affidare alla misericordia di Dio le anime dei morti ed implorare conforto per quanti portano ferite nel corpo e nello spirito, per i quali auspichiamo anche fraterna solidarietà ed efficace assistenza.

La nostra invocazione ottenga dal Signore, per intercessione della Vergine Maria, che nei cuori prevalgano sentimenti di riconciliazione e di fratellanza e la pace ritorni al più presto in quella cara nazione, così che tutti i suoi figli possano ritrovare, nell’ordine e nella giustizia, la certezza di una convivenza serena e di un promettente sviluppo.

Al termine dell’udienza generale, il Santo Padre incontra in una sala privata dell’Aula Paolo VI, un gruppo di Monaci Buddisti di Shingon, ai quali rivolge un breve saluto. Queste le parole pronunciate dal Papa.

Reverendissimi Monaci Buddisti di Shingon,
Vi do il benvenuto e Vi ringrazio vivamente di aver desiderato questo incontro.

Due anni fa, quando ci siamo riuniti assieme in Assisi per pregare per la Pace del mondo, anche diversi di Voi si sono uniti alla nostra iniziativa. In collegamento ideale con quell’Incontro, vi invito a continuare a pregare, come allora, per la Pace del mondo.

Anche per questo vi sono grato e vi auguro ogni bene.



Castel Gandolfo - Mercoledì, 31 agosto 1988



1. L’unione filiale di Gesù col Padre si esprime nel perfetto amore di cui egli ha fatto anche il principale comandamento del Vangelo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti” (Mt 22,37 s). Com’è noto, a questo comandamento Gesù ne affianca un secondo “simile al primo”, quello dell’amore per il prossimo (cf. Mt 22,39). E di questo amore egli si propone come esempio: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Jn 13,34). Egli insegna e consegna ai suoi seguaci un amore esemplato sul modello del suo.

A questo amore si possono veramente applicare le doti della carità elencate da san Paolo: “La carità è paziente, . . . benigna, . . . non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, . . . non cerca il suo interesse, . . . non tiene conto del male ricevuto, . . . si compiace della verità, . . . Tutto copre, . . . tutto sopporta” (1Co 13,4-7). Quando, nella sua lettera, l’Apostolo presentava ai suoi destinatari di Corinto una tale immagine della carità evangelica, certamente nella mente e nel cuore era pervaso dal pensiero dell’amore di Cristo, verso il quale desiderava orientare la vita delle comunità cristiane, sicché il suo inno della carità può considerarsi un commento al precetto dell’amarsi sul modello di Cristo amore (come avrebbe detto, tanti secoli dopo, santa Caterina da Siena): “(così) io vi ho amato” (Jn 13,34).

San Paolo sottolinea in altri testi che il culmine di questo amore è il sacrificio della croce: “Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio” . . . “Fatevi dunque imitatori di Dio . . . camminate nella carità” (Ep 5,1-2).

Per noi è ora istruttivo, costruttivo e consolante considerare queste proprietà dell’amore di Cristo.

2. L’amore, con cui Gesù ci ha amati, è umile e ha carattere di servizio. “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). La vigilia della passione, prima dell’istituzione dell’Eucaristia, Gesù lava i piedi agli apostoli e dice loro: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Jn 13,15). E in un’altra occasione li ammonisce: “Chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo fra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,43-44).

3. Alla luce di questo modello di umile disponibilità che giunge fino al definitivo “servizio” della croce, Gesù può invitare i discepoli: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

L’amore insegnato da Cristo si esprime nel servizio reciproco, che porta a sacrificarsi gli uni per gli altri, e la cui definitiva verifica sta nell’offrire la propria vita “per i fratelli” (1Jn 3,16). È ciò che san Paolo pone in risalto quando scrive che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (Ep 5,25).

4. Un’altra dote esaltata nell’inno paolino alla carità è che il vero amore “non cerca il suo interesse” (1Co 13,5): e noi sappiamo che Gesù ci ha lasciato il modello più perfetto di un tale amore disinteressato. San Paolo lo dice chiaramente in un altro passo: “Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso . . .” (Rm 15,2-3). Nell’amore di Gesù si concretizza e raggiunge il suo culmine il “radicalismo” evangelico delle otto beatitudini da lui proclamate: l’eroismo di Cristo sarà sempre il modello delle virtù eroiche dei santi.

5. Sappiamo infatti che l’evangelista Giovanni, quando ci presenta Gesù sulla soglia della passione, scrive di lui che “. . . dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Jn 13,1). Quel “sino alla fine” sembra testimoniare qui il carattere definitivo - ed insuperabile - dell’amore di Cristo. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Jn 15,13), dice Gesù stesso nel discorso riportato dal suo discepolo prediletto.

Lo stesso evangelista scriveva nella sua lettera: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi”. E aggiungerà: anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1Jn 3,16). L’amore di Cristo, che si manifestò definitivamente nel sacrificio della croce - ossia nel “dare la vita per i fratelli” - è il definitivo modello per ogni autentico amore umano. Se esso in non pochi seguaci del Crocifisso raggiunge la forma del sacrificio eroico, come vediamo spesso nella storia della santità cristiana, questa misura dell’“imitazione” del Maestro si spiega con la potenza dello Spirito di Cristo, da lui ottenuto e “mandato” dal Padre anche per i discepoli (cf. Jn 15,26).

6. Il sacrificio di Cristo è divenuto il “prezzo” ed il “compenso” per la liberazione dell’uomo: la liberazione dalla “schiavitù del peccato” (cf. Rm 6,6-17), il passaggio alla “libertà dei figli di Dio” (cf. Rm 8,21). Con questo sacrificio, derivato dal suo amore per noi, Gesù Cristo ha completato la sua missione salvifica. L’annuncio di tutto il nuovo testamento trova la sua espressione più concisa in quel passo del Vangelo di Marco: “Il Figlio dell’uomo . . . non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

Questa parola “riscatto” ha favorito la formazione del concetto e dell’espressione “redenzione” (greco: [termine greco] = riscatto, [termine greco] = redenzione). Questa verità centrale della nuova alleanza costituisce nello stesso tempo il compimento dell’annuncio profetico di Isaia riguardo al servo del Signore: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti . . ., per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5); “Egli ha portato i peccati di molti (Is 53,12). Si può dire che la redenzione era l’attesa di tutta l’antica alleanza.

7. Così dunque, “avendo amato sino alla fine” (cf. Jn 13,1) coloro che il Padre gli “ha dato” (Jn 17,6), Cristo ha offerto la sua vita sulla croce come “sacrificio per i peccati” (secondo le parole di Isaia). La consapevolezza di questo compito, di questa suprema missione, è sempre stata presente nel pensiero e nella volontà di Gesù. Ce lo dicono quelle sue parole sul “buon pastore”, che “offre la vita per le pecore” (Jn 10,11). E quella sua misteriosa ma trasparente aspirazione: “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). E quella suprema dichiarazione sopra il calice del vino durante l’ultima cena: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28).

8. La predicazione apostolica sin dall’inizio inculca la verità che “Cristo morì - conformemente alla Scrittura - per i nostri peccati” (1Co 15,3).

Paolo lo diceva risolutamente ai Corinzi: “Così predichiamo e così avete creduto” (1Co 15,11). Lo stesso predicava agli anziani ad Efeso: “. . . Io Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue” (Ac 20,28). E la predicazione di Paolo è pienamente consona con la voce di Pietro: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio” (1P 3,18).

Paolo ricalca lo stesso concetto, ossia che in Cristo “abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia” (Ep 1,7).

Per la sistematicità e continuità di questo insegnamento l’Apostolo proclama con risolutezza: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Co 1,23). “Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Co 1,25). L’Apostolo è consapevole della “contraddizione” svelata dalla croce di Cristo. Perché dunque questa croce è la suprema potenza e sapienza di Dio? La risposta è una sola: perché nella croce si è manifestato l’amore: “Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8); “Cristo vi ha amati e ha consegnato se stesso per voi” (Ep 5,2). Le parole di Paolo riecheggiano quelle di Cristo stesso: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita” (Jn 15,13) per i peccati del mondo.

9. La verità sul sacrificio redentore di Cristo amore rientra nella dottrina contenuta nella lettera agli Ebrei. Cristo vi è mostrato come “sommo sacerdote dei beni futuri”, che “entrò una volta per sempre nel santuario . . . con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna” (He 9,11-12). Infatti egli non ha presentato solo quel sacrificio rituale del sangue degli animali, che nell’antica alleanza veniva offerto nel santuario “fatto da mani d’uomo”: ha offerto se stesso, trasformando la propria morte violenta in mezzo di comunione con Dio. In questo modo, mediante le “cose che patì” (He 5,8), Cristo divenne “causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (He 5,9). Questo solo sacrificio ha il potere di “purificare la nostra coscienza dalla opere morte” (cf. He 9,14). Solo esso “rende perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (cf. He 10,14). In questo sacrificio, in cui Cristo, “con uno Spirito eterno offrì se stesso . . . a Dio” (He 9,14), ha trovato espressione definitiva il suo amore: l’amore con cui “amò sino alla fine” (Jn 13,1); l’amore che egli ha comandato di farsi obbediente “fino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,8).

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese



A pellegrini della parrocchia Senri di Osaka ed ad universitari di altre città del Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

SALUTO I FEDELI della parrocchia Senri di Osaka e gli studenti dell’Università “Nanzan” di Nagoya e dell’Università Femminile “Kaisei” di Kobe.

State facendo un pellegrinaggio o dei corsi di aggiornamento. Auspico che i frutti del vostro pellegrinaggio o del vostro studio portino dei benefici nell’ambiente in cui vivete, così che la vostra fatica abbia uno scopo valido.

Mentre vi incoraggio a dedicarvi al bene della società nella quale siete inseriti, vi imparto ben volentieri la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca

A gruppi di espressione linguistica spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai numerosi pellegrini provenienti dalla Polonia

A vari gruppi di fedeli di lingua italiana

DESIDERO ORA rivolgere un cordiale saluto ai parrocchiani di Maria SS.ma Incoronata e dell’Immacolata Concezione di Minervino Murge, in diocesi di Andria, i quali festeggiano il centenario di fondazione delle rispettive Parrocchie e i giubilei sacerdotali dei propri parroci.

Al gruppo parrocchiale di Rosà, in diocesi di Vicenza, che ha compiuto un pellegrinaggio in bicicletta al Santuario della Madonna del Divino Amore; e al gruppo parrocchiale dei Ss. Pietro Apostolo e Giovanni Battista, di Grotte di Castro, in diocesi di Viterbo. Quest’ultimo gruppo mi ha chiesto di accendere una simbolica fiaccola, che verrà portata in parrocchia; ben volentieri accondiscendo alla richiesta.
* * *


A VOI TUTTI cari fratelli e sorelle, un caloroso benvenuto, e l’augurio che questo vivo senso della realtà parrocchiale, del quale date testimonianza, possa consolidarsi in voi ed allargarsi ad una cerchia sempre più vasta di fratelli in una forte spinta missionaria ed evangelizzatrice.

Con la mia affettuosa Benedizione.
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UN PENSIERO e un saluto cordiale anche ai seminaristi di Bergamo, qui presenti, insieme con i superiori ed alcuni familiari.

Il vostro pellegrinaggio, cari fratelli, è divenuto quasi una tradizione, e conosco bene l’affettuosa devozione che vi lega alla Sede di Pietro, nella quale vedete una guida sicura nella preparazione al sacerdozio e nella ricerca del Regno di Dio. Gioisco con voi per la vostra fede e ne ringrazio il Signore, pregandolo per la vostra fedeltà alla vocazione.

Vi accompagno con la mia Benedizione.
* * *


UN CARO SALUTO, infine, alle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, che hanno partecipato ad un corso di esercizi spirituali.

Vi auguro che possiate riprendere, care sorelle, il vostro cammino di fede e di amore con rinnovato fervore, facendo tesoro delle esortazioni che avete ricevuto in questo periodo di più intenso colloquio con Dio, perché possiate vivere con maggior frutto e convinzione la missione che vi attende al servizio della Chiesa e delle anime.

Vi sono vicino con la mia Benedizione.

Ai giovani

CARI GIOVANI, Vi accolgo e vi saluto tutti con affetto e fede nel vostro incontro con Roma cristiana.

Rivolgo con voi lo sguardo a Cristo, sapienza eterna e sole di giustizia.

In ogni stagione della vita, e particolarmente nella vostra, Cristo è sapore e luce, signore del tempo e centro della storia. Egli è la Parola eterna del Padre, che si fa storia nella vostra storia, nella vostra chiamata e nelle vostre scelte, mediante il suo Spirito di vita.

In ogni situazione gioiosa o difficile, quando gli orizzonti umani vi stimolano e ancor più quando sembrano schiacciarvi, insieme con la Chiesa dite: “Cristo, sapienza eterna, / donaci di gustare / la tua dolce amicizia” . . . È l’amicizia dell’Uomo-Dio, di colui che si è fatto “punto focale dei desideri della storia e della civiltà”. A Lui, Cuore più grande del nostro cuore, aprite la vostra esistenza, oggi e sempre, voi giovani e voi tutti che volete restare giovani.

Con grande affetto vi benedico.

Agli ammalati

SALUTO POI i malati, presenti a questa udienza, e tutti quelli che, da casa o dagli ospedali, si uniscono alla nostra preghiera.

L’esperienza della malattia spesso costringe all’isolamento, rende più difficile la sopportazione del dolore e la maturazione delle proprie decisioni. Sì, perché anche un malato ha tante cose da decidere in cuor suo.

È per questo che oggi faccio mie le parole della “Liturgia delle Ore” e con voi invoco Cristo “angelo del consiglio”: è Lui che “guida e protegge il popolo che spera nel suo nome”; è Lui “la nostra forza, la roccia che ci salva dagli assalti del male”.

In lui ritroviamo il fondamento della vera comunione con gli altri, la luce per vedere nella nostra situazione il limite e il dono, il coraggio per decidere nel nostro cuore i “Sì” più difficili al nostro dolore e alla sua offerta per amore.

Vi benedico e prego per voi.

Agli sposi novelli

CARI SPOSI NOVELLI, il mio saluto si rivolge a voi con particolare affetto. Davanti all’altare, ai familiari e agli amici vi siete detto il vostro sì. In ascolto di quel sì, era lì presente tutta la Chiesa, che oggi, col Papa, ancora una volta, prega per voi e con voi.

Il sacramento del matrimonio vi rende capaci di essere segno credibile dell’alleanza di Dio con gli uomini, in Cristo. La grazia del sacramento continuamente vi sollecita a tale credibilità; ma vi sollecita anche la società in cui vivete, così spesso disorientata dalla banalizzazione dei sentimenti e dell’amore umano.

La Chiesa vi dice: siate autentici, siate fedeli, siate coraggiosi. Le vostre famiglie siano strumenti di unità e scuole di pace, nel nome di Cristo e insieme con Maria.

Di cuore vi benedico.




Catechesi 79-2005 13788