Catechesi 79-2005 51088

Mercoledì, 5 ottobre 1988

51088

1. “Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”.

Nell’ultima catechesi facendo riferimento a queste parole del Simbolo della fede, abbiamo considerato la morte di Cristo come un evento che ha una sua dimensione storica, e che si spiega anche alla luce delle circostanze storiche nelle quali si è prodotto. Il Simbolo ci dà indicazioni anche a questo riguardo, facendo eco ai Vangeli, dove si trovano notizie più abbondanti. Ma il Simbolo mette in rilievo anche il fatto che la morte in croce di Cristo è avvenuta come sacrificio per i peccati ed è perciò diventata il “prezzo” della redenzione dell’uomo: “Fu crocifisso per noi”, “per noi uomini e per la nostra salvezza”.

È spontaneo domandarsi quale consapevolezza abbia avuto Gesù di questa finalità della sua missione: quando e come egli abbia percepito la vocazione ad offrirsi in sacrificio per i peccati del mondo.

Al riguardo, occorre premettere che non è facile penetrare nell’evoluzione storica della coscienza di Gesù: il Vangelo fa cenno ad essa (cf.
Lc 2,52), ma senza offrire dati precisi per determinarne le tappe.

Molti testi evangelici, riportati nelle catechesi precedenti, documentano questa coscienza ormai chiara di Gesù circa la sua missione: una coscienza talmente viva da reagire con vigore e persino con rudezza a chi tentava, sia pure per affetto verso di lui, di distoglierlo da quella sua via: come accadde con Pietro, al quale Gesù non esitò a opporre il suo “Vade retro, Satana!” (Mc 8,33).

2. Gesù sa che sarà investito da un “battesimo” di sangue (cf. Lc 12,50), prima ancora di vedere che la sua predicazione e il suo comportamento incontrano l’opposizione e suscitano l’ostilità delle cerchie del suo popolo che hanno il potere di decidere la sua sorte. Egli è consapevole che sul suo capo pende un “oportet” rispondente all’eterno disegno del Padre (cf. Mc 8,31), ben prima che le circostanze storiche conducano al compimento di quanto è previsto. Senza dubbio Gesù si astiene per qualche tempo dall’annunciare quella sua morte, pur essendo fin da principio conscio della sua messianicità, come attesta la sua autopresentazione nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-21); egli sa che la ragion d’essere dell’incarnazione, la finalità della sua vita è quella contemplata nell’eterno disegno di Dio circa la salvezza. “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

3. Nei Vangeli possiamo rintracciare non poche altre prove della coscienza di Gesù circa la sua sorte futura in dipendenza dal piano divino della salvezza. Già la risposta di Gesù dodicenne in occasione del ritrovamento nel Tempio è in qualche modo la prima espressione di questa sua consapevolezza. Il fanciullo, infatti, spiegando a Maria e a Giuseppe di dover “occuparsi delle cose del Padre suo” (cf. Lc 2,49), fa capire di essere interiormente orientato verso gli eventi futuri, mentre, pur essendo appena dodicenne, sembra voler preparare all’avvenire gli esseri a lui più cari, specialmente sua Madre.

Quando è giunto il tempo di dare inizio all’attività messianica, Gesù si trova nella fila di coloro che ricevono il battesimo di penitenza da Giovanni nel Giordano. Egli cerca di far capire, nonostante la protesta del Battista, che si sente mandato per diventare “solidale” con i peccatori, per assumersi il giogo dei peccati dell’umanità, come del resto indica la presentazione che di lui fa Giovanni: “Ecco l’Agnello di Dio, . . . che toglie il peccato del mondo” (Jn 1,29). In queste parole si trova l’eco e in qualche modo la sintesi di ciò che aveva annunziato Isaia sul servo del Signore, “trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità . . . Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti . . . come agnello condotto al macello . . . il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità” (Is 53,5-7 Is 53,11). Senza dubbio vi era sintonia tra la coscienza messianica di Gesù e quelle parole del Battista che esprimevano la profezia e l’attesa dell’antico testamento.

4. In seguito, i Vangeli ci presentano altri momenti e altre parole, da cui risulta l’orientamento della coscienza di Gesù verso la morte sacrificale. Si pensi a quella immagine degli amici dello sposo, i suoi discepoli, che non devono “digiunare” finché lo sposo è con loro: “Ma verranno i giorni - prosegue Gesù - in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno” (Mc 2,20). È un’allusione significativa, che lascia trasparire lo stato di consapevolezza di Cristo.

Risulta inoltre dai Vangeli che Gesù non accettò mai alcun pensiero o discorso che potesse lasciare intravedere la speranza del successo terreno della sua opera. I “segni” divini che egli offriva, i miracoli che operava, potevano creare un terreno propizio per tale aspettativa. Ma Gesù non esitò a smentire ogni intenzione, a dissipare ogni illusione al riguardo, perché sapeva che la sua missione messianica non poteva compiersi diversamente che mediante il sacrificio.

5. Con i suoi discepoli Gesù seguiva il metodo di una opportuna “pedagogia”. Ciò si vede in modo particolarmente chiaro al momento in cui gli apostoli sembravano giunti alla convinzione che Gesù fosse il vero Messia (il “Cristo”); convinzione espressa da quella esclamazione di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), che si poteva considerare come il punto culminante del cammino di maturazione dei dodici nell’ormai notevole esperienza compiuta al seguito di Gesù. Ed ecco, proprio dopo questa confessione (avvenuta nei pressi di Cesarea di Filippo), Cristo per la prima volta parla della sua passione e morte: “E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8,31 cf. anche Mt 16,21 Lc 9,22).

6. Anche le parole di severo rimprovero rivolte a Pietro che non voleva accettare quello che udiva (“Signore, questo non ti accadrà mai”) (Mt 16,22), provano quanto la coscienza di Gesù fosse immedesimata nella certezza del futuro sacrificio. L’essere messia per lui voleva dire “dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Sin dall’inizio Gesù sapeva che questo era il senso definitivo della sua missione e della sua vita.

Perciò respingeva tutto ciò che avrebbe potuto essere o apparire come la negazione di quella finalità salvifica. Lo si scorge già nell’ora della tentazione, quando Gesù respinge risolutamente il lusingatore che tenta di sviarlo verso la ricerca di successi terreni (cf. Mt 4,5-10 Lc 4,5-12).

7. Dobbiamo però notare che nei testi riportati, quando Gesù annuncia la sua passione e morte, tiene a parlare anche della risurrezione che avverrà “il terzo giorno”. È un’aggiunta che non muta affatto il significato essenziale del sacrificio messianico mediante la morte in croce, ma ne mette invece in rilievo il significato salvifico e vivificante. E diciamo fin d’ora che ciò appartiene alla più profonda essenza della missione di Cristo: il Redentore del mondo è colui nel quale deve compiersi la “Pasqua”, cioè il passaggio dell’uomo ad una nuova vita in Dio.

8. In questo stesso spirito Gesù forma i suoi apostoli e delinea la prospettiva in cui dovrà muoversi la sua futura Chiesa. Gli apostoli, i loro successori e tutti i seguaci di Cristo, sulle orme del Maestro crocifisso, dovranno percorrere la via della croce. “Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti ai governatori e re a causa mia, per rendere testimonianza davanti a loro” (Mc 13,9). “Vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome” (Mt 24,9). Ma sia agli apostoli sia ai futuri seguaci, che parteciperanno alla passione e morte redentrice del loro Signore, Gesù preannuncia altresì: “In verità, in verità vi dico: . . . Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Jn 16,20). Sia gli apostoli sia la Chiesa sono chiamati, per tutti i tempi, a prendere parte al mistero pasquale di Cristo nella sua interezza. E’un mistero, nel quale dalla sofferenza e “afflizione” di chi partecipa al sacrificio della croce, nasce la “gioia” della nuova vita in Dio.

Ai pellegrini francesi

Ai visitatori di lingua inglese

Ai numerosissimi pellegrini di espressione tedesca


Ai pellegrini giunti dalla Spagna e da alcuni Paesi latinoamericani


Ai fedeli di lingua portoghese

Ad un pellegrinaggio nazionale ungherese promosso in onore di Santo Stefano

ALL’UDIENZA GENERALE è presente oggi un gruppo numerosissimo di ungheresi, che partecipano al pellegrinaggio nazionale organizzato in onore di Santo Stefano, fondatore della nazione magiara.

Ai connazionali polacchi


Ad alcuni pellegrinaggi italiani

DESIDERO ORA porgere il mio saluto ai rappresentanti dell’Ordine degli Ingegneri italiani, la cui associazione celebra in Roma il 23° Congresso. Li ringrazio per il gentile pensiero di partecipare a questa Udienza e saluto con loro i familiari che li accompagnano, mentre invoco dal Signore la protezione sul loro lavoro e sulle loro iniziative. Li esorto altresì a considerare sempre con coscienza retta e con generosa dedizione le responsabilità che ad essi spettano nel recare il proprio contributo alla promozione umana, alla pace nei rapporti interni delle aziende e delle organizzazioni di lavoro. La grazia divina, con il dono della carità li assista e li conforti.
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SALUTO POI le famiglie religiose qui, presenti per alcune significative circostanze; le Suore di Gesù Buon Pastore, che ricordano il 50° anniversario della loro donazione: ad esse auguro di tenere sempre viva la fiamma del carisma di Don Alberione, il quale le ha istituite come collaboratrici dei Pastori d’anime; le Suore Figlie di Sant’Anna, che partecipano ad un corso di formazione permanente, per aggiornare il loro ministero a favore delle famiglie e della gioventù femminile: possano tornare alle loro attività con una nuova carica di ardore apostolico.
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IL PENSIERO, infine, va agli ospiti ed agli accompagnatori dell’Istituto Cottolengo di Firenze, ai quali mi rivolgo con affetto per esprimere l’invito a vivere la missione della carità verso i fratelli più umili, nello spirito del Vangelo e con la consolazione che viene dal Cuore di Cristo.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

IN QUESTO GIORNO che segue immediatamente la festa di San Francesco di Assisi, Patrono d’Italia, desidero rivolgermi a voi, giovani, ammalati e sposi novelli, col suo saluto di “pace e bene”.

Voi giovani, ispiratevi nella vostra vita a questa figura veramente evangelica per guardare al futuro con ottimismo; esorto voi malati ad affrontare, come il Santo di Assisi, le difficoltà con fortezza e coraggio cristiani; voi sposi, sappiate creare nell’ambito della famiglia un’atmosfera di vero amore, di armonia e di “perfetta letizia”, sull’esempio di San Francesco.

Vi benedico tutti di cuore, assicurandovi la mia costante preghiera.




Mercoledì, 12 ottobre 1988

12108

1. Al termine del mio viaggio apostolico nella regione francese dell’Alsazia-Lorena conclusosi ieri sera, desidero in questa udienza generale ripercorrere con voi le tappe principali di questa mia quarta visita in Francia, dedicata alle istituzioni europee insediate nella capitale alsaziana, e alle diocesi di Strasburgo, Metz e Nancy.

La mia gratitudine si eleva innanzitutto al Signore, che nella sua amorevole Provvidenza mi ha concesso di tornare all’amata nazione francese, raggiungendo nel mio pellegrinaggio pastorale quelle comunità ecclesiali dell’Alsazia e della Lorena che - in quanto regioni di frontiera, teatro di tante storiche vicissitudini - hanno una speciale vocazione per l’incontro dei popoli europei e per l’unità politica e spirituale del continente.

Ringrazio anche di cuore tutti coloro che hanno organizzato e reso possibile l’attuazione di questa mia visita: in primo luogo il Presidente della Repubblica, signor François Mitterrand, che mi ha accolto a Strasburgo, e col quale ho avuto un lungo incontro privato; ringrazio pure sentitamente il primo ministro signor Rocard, il presidente del Consiglio di Europa Louis Jung e il segretario generale Marcelino Oreja, il presidente Lord Plumb e i singoli membri del Parlamento europeo: dappertutto l’accoglienza è stata calorosa e cortese, a testimonianza della nobiltà di sentimenti di quanti ho incontrato.

Ma l’espressione della mia riconoscenza si rivolge in modo speciale ai Vescovi delle diocesi visitate e a tutte le autorità religiose e civili, che si sono impegnate con grande diligenza per la buona riuscita del pellegrinaggio. Infine ringrazio con profonda commozione tutti i francesi, che hanno pregato con me e mi hanno ascoltato con grande cordialità.

2. Il movente particolare che ha suggerito la visita è stata la commemorazione del secondo millennio della fondazione di Strasburgo, città veramente ricca di storia, iniziata dai romani, prima dell’era cristiana, con una serie di accampamenti militari presso il Reno, fra cui quello di Argentoratum sul luogo della città attuale. All’inizio del IV secolo gli insediamenti delle genti germaniche seguirono all’occupazione romana; gli alemanni si stabilirono in Alsazia; è a questo periodo che risalgono le prime vestigia del cristianesimo.

Strasburgo è famosa per la sua splendida cattedrale gotica, iniziata nel secolo XII, e per le grandi figure di Alberto Magno e dei “mistici renani”: maestro Eckart, Tauler. Drammatiche e dolorose vicende si svolsero a Strasburgo durante la Riforma. Grandi furono pure le sofferenze della popolazione durante la guerra del 1870 e la prima e la seconda guerra mondiale. Al termine dell’ultimo, terribile conflitto Strasburgo riacquistava la sua antica fisionomia, e proprio in quella storica città, diventata sede del Consiglio d’Europa e una delle sedi della Comunità Economica Europea, e da me ora elevata alla dignità di arcidiocesi, si sono concentrati i momenti principali della mia visita.

3. Anzitutto sabato scorso, 8 ottobre, ha avuto luogo l’incontro con i membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che attualmente comprende 21 nazioni, e in seguito con la corte e con la Commissione dei diritti dell’uomo. Ieri, martedì 11 ottobre, è avvenuto l’incontro con i membri del Parlamento europeo. Numerosi sono stati poi gli incontri con i fedeli della città: ricordo le celebrazioni eucaristiche nella Cattedrale di Notre-Dame e nello stadio; l’incontro con i giovani, sabato sera, nello stadio “Meinau”, con tre rappresentazioni allegoriche sui temi: “creare-amare-sognare” e con la riflessione sulla “Carta dei giovani”; la visita al centro “Louis Braille” dove sono curati i non-vedenti e gli audiolesi; il suggestivo percorso fluviale sul Reno e l’incontro con i portuali e i battellieri, venuti anche dalla Germania e dai Paesi Bassi, ai quali, oltre che dei problemi sociali, ho pure parlato del rispetto che, dal punto di vista ecologico, si deve al fiume. Molto importanti sono pure stati gli incontri con i fratelli protestanti nella chiesa di San Tommaso e con i rappresentanti della comunità ebraica: in essi è stata ribadita la necessità di approfondire la fede in tutta la sua ricchezza rivelata nell’Antico e nel Nuovo Testamento e gli impegni di carità fraterna e di collaborazione per il bene sociale e spirituale dei popoli.

Infine sulla piazza della Cattedrale si è commemorato ufficialmente il “bimillenario” della fondazione della città: in quell’occasione alle autorità civili e alla popolazione ho espresso il caldo invito a rimanere fedeli alla vocazione di Strasburgo, crocevia dell’Europa, e simbolo di riconciliazione.

4. La visita pastorale è continuata a Metz, l’antica città della Lorena, in un fervente appuntamento eucaristico nella grandiosa Cattedrale gotica; in seguito, nella Cattedrale di Nancy, ho parlato ai membri del Sinodo diocesano e poi ai fedeli in una “celebrazione della Parola” svoltasi nella piazza Carnot. Nell’occasione dell’incontro ho consegnato ad un cappellano delle carceri un messaggio indirizzato a tutti i detenuti del Paese. Al Santuario di Mont Sainte Odile ho avuto la gioia di incontrare i religiosi e le religiose, e infine nello stadio dell’Ill a Mulhouse si è svolta l’ultima celebrazione eucaristica.

La caratteristica fondamentale di questi incontri è stata la proclamazione della Parola di Dio applicata ai vari aspetti della vita cristiana. È stata ribadita l’urgenza della fedeltà al patrimonio cristiano tanto profondamente impresso nella cultura europea, per non cedere all’invadenza della scristianizzazione e per testimoniare sempre con coraggio e con carità la propria fede. Ho cercato di seminare con abbondanza la Parola di Dio, in aiuto del ministero dei Vescovi e dei sacerdoti; insieme con loro ho pregato la Vergine santissima, a lei affidando la speranza che, grazie alla sua intercessione, il seme gettato possa dare buoni frutti.

5. Come ho già detto, scopo speciale della visita a Strasburgo, è stato l’incontro con le istituzioni europee, in risposta all’invito che mi era stato rivolto da tempo. Già il 15 maggio 1985 avevo visitato tali Istituzioni presso il centro di Lussemburgo: in seguito, il 20 maggio, avevo fatto visita alla Comunità Economica Europea a Bruxelles, sottolineando la necessità per l’Europa di ritrovare non solo una coesione economica e politica, ma anche, e soprattutto, spirituale e morale nella prospettiva della sua dimensione geografica piena, che va dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mediterraneo.

6. Nei tre incontri fondamentali di Strasburgo ho lanciato un grido di allarme sulla necessità di salvaguardare alcuni valori umani che sono in serio pericolo. Tra questi, il senso della famiglia “che si destabilizza e si disgrega per concezioni che svalutano l’amore”; il rispetto dei processi genetici, sempre più esposti a “manipolazioni abusive”; la difesa della vita umana contro la pratica dell’aborto e la tentazione dell’eutanasia; la questione ecologica divenuta oggi impreteribile; il problema di una sana educazione dei giovani, e del loro inserimento nel lavoro in un contesto sociale particolarmente difficile. Nell’esprimere l’augurio che diventi più efficace la cooperazione già abbozzata con le altre nazioni, anche del Terzo Mondo, ma in particolare dell’Est europeo, mi sono fatto interprete del desiderio di milioni di uomini e donne “che sanno di essere legati da una storia comune e che sperano in un destino di unità e di solidarietà a misura di questo continente”.

Infine nel discorso programmatico, tenuto al Parlamento europeo, ho riaffermato l’interesse della Chiesa e l’appoggio per la integrazione dell’Europa, poiché il cristianesimo è l’eredità comune di tutti i suoi popoli, ed ho nuovamente sottolineato che la fede cristiana è l’elemento fondamentale della identità europea, esortando l’Europa a ridiventare un faro di civilizzazione mondiale mediante la fiducia in Dio, la pace tra gli uomini e il rispetto della natura.

7. Dando ora uno sguardo complessivo a questo viaggio apostolico, testé compiuto nel centro dell’Europa, sento il bisogno di sottolineare ancora, come ho fatto là, il problema veramente assillante della “seconda evangelizzazione” dell’Europa, e cioè della necessità di reagire con coraggio e decisione alla scristianizzazione e di ricostruire le coscienze alla luce del Vangelo di Cristo, cuore della civiltà europea, come già ebbi occasione di dire ai Vescovi europei partecipanti al VI Simposio (11 ottobre 1985) e di scrivere nella lettera ai presidenti delle Conferenze Episcopali Europee (2 gennaio 1986).

Dobbiamo impegnarci tutti a ricostruire l’unità nella verità, ascoltando il messaggio di Cristo e vivendolo con coerenza.

Ci assista, ci ispiri, ci aiuti Maria santissima, a cui chiediamo di sostenere la fede dei suoi figli in tutta l’Europa.

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai connazionali polacchi

Ai gruppi di lingua italiana

VOGLIO SALUTARE ora le Suore di diversi Istituti religiosi che partecipano ad un Convegno nazionale organizzato dall’Unione Superiore Maggiori Italiane per le aderenti alla Federazione delle Assistenti Sociali sul tema “Religiose e laici con gli ultimi”.

Ad esse raccomando vivamente di operare secondo il Vangelo, con viva fede ed animo generoso, per moltiplicare con la grazia dello Spirito Santo le risorse dell’amore nel soccorrere il prossimo.

A tutte loro ed ai pellegrini di lingua italiana la mia Benedizione.

Ai giovani

AI GIOVANI presenti rivolgo ora molto volentieri il mio saluto, unito all’augurio di un sereno e operoso avvenire, preparato oggi da sagge scelte e intenso impegno e orientato verso ideali di onestà e di solidarietà; tutto questo, certo, non senza l’aiuto divino.

Agli ammalati

MENTRE A VOI, cari ammalati, sono vicino col più vivo affetto, che istintivamente si muta in preghiera perché il Signore vi sia largo dei suoi doni di grazia e di salute, di coraggio e di speranza.

Agli sposi novelli

INFINE A VOI, sposi novelli, auspico di cuore che la vostra nuova famiglia viva sempre nella concordia e nella pace, e che la luce e la presenza di Dio e della sua Madre Santissima rinnovino in essa ogni giorno la freschezza e la gioia del primo amore.

Con tali sentimenti tutti vi benedico.



Mercoledì, 19 ottobre 1988

19108

1. I dati biblici e storici sulla morte di Cristo, che abbiamo riassunto nelle catechesi precedenti, sono stati oggetto di riflessione nella Chiesa di tutti i tempi, dai primi Padri e Dottori, e dai Concili ecumenici, ai grandi teologi delle varie scuole che si sono formate e succedute nei secoli fino ad oggi.

L’oggetto principale dello studio e della ricerca, è stato ed è quello del valore della passione e morte di Gesù in ordine alla nostra salvezza. I risultati raggiunti su questo punto, oltre a farci conoscere meglio il mistero della redenzione, sono serviti a gettare nuova luce anche sul mistero della sofferenza umana, della quale si sono potute scoprire impensate dimensioni di grandezza, di finalità, di fecondità, da quando è stato reso possibile il suo confronto e anzi il suo collegamento con la croce di Cristo.

2. Alziamo gli occhi prima di tutto a colui che pende dalla croce, e chiediamoci: chi è questo sofferente? E’il Figlio di Dio: uomo vero, ma anche Dio vero, come sappiamo dai Simboli della fede. Per esempio, quello di Nicea lo proclama “Dio vero da Dio vero . . . che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso, si è incarnato e . . . ha sofferto” (Denz.-Schönm.,
DS 125). Il Concilio di Efeso, per parte sua, precisa che il “Verbo di Dio ha sofferto nella carne” (Denz.-Schönm., DS 263).

“Dei Verbum passum carne”: è una sintesi mirabile del grande mistero del Verbo Incarnato, Gesù Cristo, le cui sofferenze umane appartengono alla natura umana, ma devono essere attribuite, come tutte le sue azioni, alla persona divina. Si ha dunque, in Cristo, un Dio che soffre!

3. È una verità sconvolgente. Già Tertulliano chiedeva a Marcione: “Sarebbe forse tanto sciocco credere in un Dio che è nato, precisamente da una vergine, precisamente carnale e che è passato per le umiliazioni della natura? . . . Di’ invece che è saggezza un Dio crocifisso” (Tertulliani “De carne Christi” 4, 6-5, 1).

La teologia ha precisato che ciò che non possiamo attribuire a Dio come Dio, se non per una metafora antropomorfica che ci fa parlare della sua sofferenza, dei suoi patimenti, ecc., Dio lo ha realizzato nel suo Figlio, il Verbo, che ha assunto la natura umana in Cristo. E se Cristo è Dio che soffre nella natura umana, come vero uomo nato da Maria Vergine e sottoposto alle vicende e ai dolori di ogni figlio di donna, essendo egli, come Verbo, una persona divina, dà un valore infinito alla sua sofferenza e alla sua morte, che rientra così nell’ambito misterioso della realtà umano-divina, e tocca, senza scalfirla, la gloria e la felicità infinita della Trinità.

Senza dubbio, Dio nella sua essenza rimane al di sopra dell’orizzonte della sofferenza umano-divina: ma la passione e la morte di Cristo, penetrano, riscattano e nobilitano tutta la sofferenza umana, giacché egli incarnandosi ha voluto essere solidale con l’umanità la quale man mano si apre alla comunione con lui nella fede e nell’amore.

4. Il Figlio di Dio, che ha assunto la sofferenza umana, è dunque un modello divino per tutti coloro che soffrono, specialmente per i cristiani che conoscono e accettano nella fede il significato e il valore della croce. Il Verbo Incarnato ha sofferto secondo il disegno del Padre anche perché noi potessimo “seguirne le orme”, come raccomanda san Pietro (1P 2,21 cf. S. Thomae “Summa Theologiae”, ). Ha sofferto e ci ha insegnato a soffrire.

5. Ciò che più spicca nella passione e morte di Cristo è la sua perfetta conformità al volere del Padre, con quella obbedienza che è stata sempre considerata come la disposizione più caratteristica e più essenziale del sacrificio.

San Paolo dice di Cristo che si è fatto “obbediente sino alla morte di croce” (Ph 2,8), raggiungendo così lo sviluppo estremo della “kenosi” inclusa nell’incarnazione del Figlio di Dio, in contrasto con la disobbedienza di Adamo, che aveva voluto “rapire” l’uguaglianza con Dio (cf. Ph 2,6).

Il “nuovo Adamo” ha così compiuto un rovesciamento della condizione umana (una “recirculatio”, come dice sant’Ireneo): egli “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso” (Ph 2,6-7). La lettera agli Ebrei ricalca lo stesso concetto: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (He 5,8). Ma è egli stesso che in vita e in morte, secondo i Vangeli, offrì se stesso al Padre nella pienezza dell’obbedienza: “Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). San Paolo sintetizza tutto ciò quando dice che il Figlio di Dio fatto uomo “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Ph 2,8).

6. Al Getsemani vediamo quanto questa obbedienza sia stata dolorosa: “Padre, se è possibile, allontana da me questo calice . . . Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). In quel momento si svolge in Cristo un’agonia dell’anima, ben più dolorosa di quella corporale (cf. S. Thomae “Summa Theologiae”, III 46,6), per il conflitto interiore tra le “ragioni supreme” della passione, fissata nel disegno di Dio, e la percezione che Gesù ha, nella sensibilità finissima della sua anima, dell’enorme bruttura del peccato che sembra rovesciarsi su di lui, fatto quasi “peccato” (ossia vittima del peccato), come dice san Paolo (cf. 2Co 5,21), perché il peccato universale sia espiato in lui. Così Gesù arriva alla morte come all’atto supremo di obbedienza: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” (Lc 23,46): lo spirito, cioè il principio della sua vita umana.

Sofferenza e morte sono la definitiva manifestazione della totale obbedienza del Figlio al Padre. L’omaggio e il sacrificio dell’obbedienza del Verbo Incarnato sono una mirabile attuazione di disponibilità filiale che dal mistero dell’incarnazione sale e in qualche modo penetra nel mistero della Trinità! Con l’omaggio perfetto della sua obbedienza Gesù Cristo riporta una perfetta vittoria sulla disobbedienza di Adamo e su tutte le ribellioni che possono nascere nei cuori umani, più specialmente a causa della sofferenza e della morte, sicché anche qui si può dire che “dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Gesù riparava infatti la disobbedienza, che è sempre inclusa nel peccato umano, soddisfacendo al nostro posto le esigenze della giustizia divina.

7. In tutta quest’opera salvifica, consumata nella passione e nella morte in croce, Gesù ha spinto fino in fondo la manifestazione dell’amore divino per gli uomini, che è all’origine sia della sua oblazione, sia del disegno del Padre.

“Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53,3), Gesù ha dimostrato tutta la verità contenuta in quelle sue parole preannunciatrici: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Jn 15,13). Diventando “uomo dei dolori” egli ha stabilito una nuova solidarietà di Dio con le sofferenze umane. Figlio eterno del Padre, in comunione con lui nella sua eterna gloria, nel farsi uomo si è ben guardato dal rivendicare privilegi di gloria terrena o almeno di esenzione dal dolore, ma è entrato nella via della croce, ha scelto come sua parte le sofferenze non solo fisiche ma anche morali che lo accompagnano fino alla morte: tutto per nostro amore, per dare agli uomini la dimostrazione decisiva del suo amore, per riparare al loro peccato e ricondurli dalla dispersione all’unità (cf. Jn 11,52). Tutto, perché nell’amore di Cristo si rifletteva l’amore di Dio per l’umanità.

Così san Tommaso può asserire che la prima ragione di convenienza che spiega la liberazione umana mediante la passione e la morte di Cristo, è che “in questo modo l’uomo conosce quanto Dio lo ami, e l’uomo a sua volta viene indotto a riamarlo: e in tale amore consiste la perfezione dell’umana salvezza (S. Thomae “Summa Theologiae”, III 46,3). E qui il santo Dottore cita l’apostolo Paolo, che scrive: “Dio dimostra il suo amore per noi in questo, che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).

8. Dinanzi a questo mistero, possiamo dire che senza la sofferenza e la morte di Cristo, l’amore di Dio per gli uomini non si sarebbe manifestato in tutta la sua profondità e grandezza. E d’altra parte la sofferenza e la morte sono diventate, con Cristo, un invito, uno stimolo, una vocazione all’amore più generoso, come è avvenuto per tanti santi che giustamente possono essere definiti gli “eroi della croce”, e come sempre avviene in tante creature, note e ignote, che sanno santificare il dolore riflettendo in se stesse il volto piagato di Cristo. Esse si associano così alla sua oblazione redentrice.

9. Resta da aggiungere che, nella sua umanità congiunta alla divinità, e resa capace, in virtù dell’abbondanza della carità e dell’obbedienza, di riconciliare l’uomo con Dio (cf. 2Co 5,19), Cristo è stabilito come l’unico mediatore tra l’umanità e Dio, a un livello ben superiore a quello nel quale si pongono i santi dell’antico e nuovo testamento, e la stessa santissima Vergine Maria, quando si parla della loro mediazione o se ne invoca l’intervento.

Eccoci dunque dinanzi al nostro redentore, Gesù Cristo crocifisso, morto per noi per amore, e diventato per questo l’autore della nostra salvezza.

Santa Caterina da Siena, con una delle sue immagini tanto vivaci ed espressive, lo paragona ad un “ponte sul mondo”. Sì, egli è veramente il ponte e il mediatore, perché attraverso di lui viene agli uomini ogni dono del cielo e sale a Dio ogni nostro sospiro, ogni nostra invocazione di salvezza (cf. S. Thomae “Summa Theologiae”, III 26,2). Stringiamoci con Caterina e tanti altri “santi della croce” a questo nostro dolcissimo e misericordiosissimo Redentore, che la stessa senese chiamava Cristo-amore. Nel suo cuore trafitto è la nostra speranza, la nostra pace.

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese


Ai visitatori di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua spagnola ed ai fedeli giunti dal Panama

Ai fedeli polacchi


Ad alcuni gruppi italiani

SALUTO TUTTI i gruppi di lingua italiana qui presenti. Un particolare saluto rivolgo ai pellegrini della Santissima Annunziata di Lacco Ameno, Ischia, che guidati dal loro Vescovo sono venuti pellegrini alla Tomba di Pietro e alla Cattedra del Suo Successore. Possa la Benedizione Apostolica implorare su di loro, con l’intercessione della Vergine Annunziata, loro Patrona, incremento della loro fede e fedeltà alla Grazia del Signore.

All’indomani della festa di San Luca: nel ricordo di questo Evangelista, che è stato il cantore di Maria, la Madre di Gesù, desidero rivolgere il mio saluto a tutti i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli presenti a questa Udienza.

Nel suo Vangelo che mette in risalto la misericordia del Signore, troverete stimolo per vivere e testimoniare coerentemente la vostra fede cristiana: per voi giovani ci sono i grandi episodi che ricordano la necessità della bontà e del coraggio; a voi ammalati, specialmente quelli accompagnati qui dai responsabili dell’UNITALSI sarda e dai dirigenti dell’Ospedale “Santa Maria Maddalena” in Aversa, addito gli esempi di fortezza, di sacrificio e di pazienza del Cristo, crocifisso e risorto, descritti nel medesimo Vangelo; per voi sposi novelli gli episodi dell’amicizia, dell’amore, del perdono. Sono i misteri del Rosario, che meditiamo ogni giorno particolarmente in questo mese di ottobre.

Non cessate di guardare e di invocare la Madre di Gesù, che San Luca ci ha rappresentato con la sua penna e, secondo una tradizione, anche con il suo pennello.

Vi benedico tutti di cuore.





Catechesi 79-2005 51088