Catechesi 79-2005 40189

Mercoledì, 4 gennaio 1989

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Carissimi fratelli e sorelle.

1. Il disegno salvifico di Dio si manifesta, nel ciclo natalizio che stiamo intensamente vivendo, con una catena di festività liturgiche quanto mai atte a preservarci nel giro di pochi giorni un’ampia visione d’insieme. Dalla contemplazione del Figlio di Dio, per noi divenuto bambino nella grotta di Betlemme, passiamo attraverso il modello inarrivabile della Sacra Famiglia, via via, fino all’evento del Battesimo del Signore, all’inizio della sua vita pubblica.

L’udienza generale in questo mercoledì cade in mezzo a due caratteristiche festività: la maternità divina di Maria e l’Epifania. Son due misteri altamente significativi, che hanno fra loro un collegamento profondo, sul quale mette conto di riflettere.

2. Il termine “epifania” significa manifestazione: si celebra infatti in essa la prima manifestazione al mondo pagano del Salvatore neonato.

Nella storia della Chiesa l’Epifania appare come una delle festività più antiche, con tracce già nel II secolo, ed è sentita come il giorno teofanico per eccellenza, dies sanctus.Nei primi tempi la celebrazione fu principalmente legata al ricordo del Battesimo del Signore, quando il Padre celeste ha reso testimonianza pubblica al Figlio in terra invitando tutti all’ascolto della sua Parola. Ben presto, però ebbe prevalenza la visita dei magi, nei quali sono ravvisati i rappresentanti dei popoli, chiamati a conoscere Cristo dal di fuori della comunità d’Israele.

Sant’Agostino, attento testimone della tradizione ecclesiale, ne spiega le ragioni di portata universale affermando che i magi, i primi pagani a conoscere il Redentore, meritarono di significare la salvezza di tutte le genti (cf. Hom. 203). E così nell’arte cristiana primitiva la scena affascinante di uomini dotti, ricchi e potenti, venuti di lontano per inginocchiarsi davanti al Bambino, meritò l’onore di essere la più rappresentata tra le vicende dell’infanzia di Gesù.

Più tardi, nella stessa festività si cominciò a celebrare anche la teofania delle nozze di Cana, quando Gesù, operando il suo primo miracolo, si manifestò pubblicamente come Dio. Molte, dunque, sono le epifanie, perché diverse sono le vie attraverso le quali Dio si manifesta agli uomini. Oggi desidero sottolineare come una di queste, quella anzi che sta alla base di tutte le altre, sia la maternità di Maria.

3. Nella antichissima professione di fede, detta “Simbolo Apostolico”, il cristiano proclama che Gesù è nato “dalla” Vergine Maria. In questo articolo del “Credo” sono contenute due verità evangeliche essenziali.

La prima è che Dio è nato da una donna (
Ga 4,4). egli ha voluto essere concepito, rimanere nove mesi nel seno della Madre e nascere da lei in modo verginale. Tutto questo indica chiaramente che la maternità di Maria entra come parte integrante nel mistero di Cristo per il piano divino di salvezza.

La seconda è che il concepimento di Gesù nel seno di Maria è avvenuto per opera dello Spirito Santo, cioè senza la collaborazione di padre umano. “Non conosco uomo” (Lc 1,34), puntualizza Maria all’inviato del Signore, e l’arcangelo dà l’assicurazione che nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37). Maria è la sola origine umana del Verbo incarnato.

4. In questo contesto dogmatico non è difficile vedere come la maternità di Maria costituisca una epifania nuova e del tutto caratteristica di Dio nel mondo.

Intanto, la scelta stessa della verginità perpetua, fatta da Maria anteriormente all’Annunciazione, ha già un valore epifanico quale richiamo alle realtà escatologiche, che stanno al di là degli orizzonti della vita terrena. Tale scelta, infatti, è indice di una decisa volontà di consacrazione totale a Dio e al suo amore, capace da solo di appagare pienamente le esigenze di un cuore umano. Il fatto poi della concezione del Figlio, avvenuta fuori del contesto delle naturali leggi biologiche, è un’altra manifestazione della presenza operante di Dio. Infine, il lieto evento della nascita di Gesù costituisce il coronamento del rivelarsi di Dio al mondo in Maria e per mezzo di Maria.

Significativamente il Vangelo pone anche la Vergine al centro della visita dei magi, quando scrive che questi “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11).

Alla luce della fede la maternità della Vergine appare così come segno eloquente della divinità di Gesù, che si fa uomo nel seno di una donna, senza rinunciare alla personalità di Figlio di Dio. Già gli antichi padri, come san Giovanni Damasceno, avevano osservato che la maternità della santa Vergine di Nazaret contiene in sé tutto il mistero della salvezza, che è puro dono proveniente da Dio.

Maria è la Theotokos, come ha proclamato il Concilio di Efeso, poiché nel suo grembo verginale il Verbo si è fatto carne per rivelarsi al mondo. Ella è il luogo privilegiato scelto da Dio per farsi visibilmente presente fra gli uomini.

Guardando alla Vergine santissima in questi giorni di Natale, ciascuno deve sentire più vivo l’impegno di accogliere, come lei, Cristo nella propria vita, per poi farsene portatore nel mondo. Ciascuno deve sforzarsi di essere, nella propria famiglia e nel proprio ambiente di lavoro, una piccola, ma luminosa “epifania di Cristo”.

È l’augurio che porgo a tutti voi, carissimi, in questa prima udienza generale dell’Anno Nuovo.


Ad un gruppo di visitatori giunti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

DILETTISSIMI DIRIGENTI del “Junior College Yamada” di Nagoya, innanzi tutto un augurio per il nuovo anno: “Felice anno a voi!”. Auspico che sia un anno di ulteriore sviluppo per la vostra rinnovata scuola.

Salutando voi e le vostre alunne, vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ad alcuni gruppi italiani

DESIDERO RIVOLGERE, ora, un saluto alle Religiose presenti; in particolare alle Suore della Casa di Riposo “Madre Caterina” di Ragusa ed alle Carmelitane Missionarie di Santa Teresa di Gesù Bambino: la vostra operosa carità vi spinga ogni giorno a crescere nella fedeltà al carisma delle vostre Congregazioni.
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SALUTO ANCHE le Suore della Sacra Famiglia di Spoleto, fondate cento anni fa dal sacerdote Pietro Bonilli, che io stesso ho avuto la gioia di proclamare Beato lo scorso anno. La vostra venuta a Roma rafforzi il proposito di essere al servizio della famiglia presso tutti i popoli della terra dove siete chiamate dallo Spirito a portare l’annuncio del Vangelo.
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RIVOLGO, INFINE, un saluto agli Oblati di San Giuseppe e ai loro Collaboratori Laici, venuti a questa Udienza in occasione del Convegno su la “Pastorale Giovanile Oratoriana”, promosso dalla loro Congregazione.

Carissimi, nell’esprimere vivo apprezzamento per l’opportuna iniziativa, vi esorto a perseverare generosamente nella dedizione all’attività formativa dei giovani nei quali, come diceva il vostro Fondatore, il Venerabile Giuseppe Marello, “devono essere collocate le migliori speranze dell’avvenire”. Da essi infatti dipende il futuro della Chiesa e della società.

Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

DESIDERO ORA rivolgere un caro saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Le festività natalizie, che ancora stiamo trascorrendo, hanno, nella ricchezza del loro significato, una parola per tutte le condizioni della vita ed offrono a ciascuno motivi validi di miglioramento morale e spirituale: per voi, giovani, la festa sia gioia nel Signore e sprone all’impegno serio e laborioso; per voi, cari malati, sia motivo di sollievo, di conforto e di speranza; per voi, sposi novelli, sia luce che guida nello sforzo, spesso faticoso, di crescita nella virtù e di generosa donazione reciproca per l’edificazione di una famiglia saldamente fondata sulla legge del Signore.

A tutti voi ed ai vostri cari la mia affettuosa Benedizione.

Al convegno nazionale vocazioni

UN SALUTO TUTTO particolare, poi, voglio rivolgere ai numerosi partecipanti all’annuale Convegno di studio su “Nuovi adolescenti e vocazione”, promosso dal Centro Nazionale Vocazioni della Conferenza Episcopale Italiana. Il vostro raduno si svolge all’insegna della speranza. All’inizio del nuovo anno le energie e le esperienze vocazionali delle Diocesi italiane si confrontano, alla luce della divina Parola, per proporre con sempre più avvertita consapevolezza l’amorevole ed incessante chiamata del Signore agli adolescenti ed ai giovani di oggi.




Mercoledì, 11 gennaio 1989

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1. Nelle catechesi più recenti abbiamo spiegato, con l’aiuto di testi biblici, l’articolo del Simbolo degli apostoli che dice di Gesù: “Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso . . . e fu sepolto”. Non si trattava solo di narrare la storia della passione, ma di penetrare la verità di fede che vi è racchiusa e che il Simbolo ci fa professare: la Redenzione umana operata da Cristo col suo sacrificio. Ci siamo particolarmente soffermati nella considerazione della sua morte e delle parole da lui pronunciate durante l’agonia sulla Croce, secondo la relazione che ce ne hanno tramandato gli evangelisti. Tali parole ci aiutano a scoprire e a capire maggiormente in profondità lo spirito con cui Gesù si è immolato per noi.

Quell’articolo di fede si conclude, come abbiamo appena ripetuto, con le parole: “. . . e fu sepolto”. Sembrerebbe una pura annotazione di cronaca: è invece un dato il cui significato rientra nell’orizzonte più ampio di tutta la cristologia. Gesù Cristo è il Verbo che si è fatto carne per assumere la condizione umana e farsi simile a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cf.
He 4,15). È diventato veramente “uno di noi” (cf. Gaudium et Spes GS 22), per potere operare la nostra redenzione, grazie alla profonda solidarietà instaurata con ogni membro della famiglia umana. In quella condizione di uomo vero, ha subìto interamente la sorte dell’uomo, fino alla morte, alla quale consegue abitualmente la sepoltura, almeno nel mondo culturale e religioso nel quale egli si è inserito ed è vissuto. La sepoltura di Cristo è dunque oggetto della nostra fede in quanto ci ripropone il suo mistero di Figlio di Dio che si è fatto uomo e s’è spinto fino all’estremo della vicenda umana.

2. A queste parole conclusive dell’articolo sulla Passione e morte di Cristo, si ricollega in certo modo l’articolo successivo che dice: “Discese agli inferi”. In tale articolo si riflettono alcuni testi del nuovo testamento che vedremo subito. È bene però premettere che, se nel periodo delle controversie con gli ariani la formula suddetta si trovava nei testi di quegli eretici, essa però era stata introdotta anche nel cosiddetto “Simbolo di Aquileia”, che era una delle professioni della fede cattolica allora vigenti, redatta alla fine del IV secolo (cf. Denz-Schönm DS 16). Essa entrò definitivamente nell’insegnamento dei Concili col Lateranense IV (1215) e col II Concilio di Lione nella professione di fede di Michele Paleologo (1274).

Va inoltre chiarito in partenza che l’espressione “inferi” non significa l’inferno, lo stato di dannazione, ma il soggiorno dei morti, ciò che in ebraico era detto “sheol” e in greco “hades” (cf. Ac 2,31).

3. I testi del nuovo testamento, dai quali è derivata quella formula, sono numerosi. Il primo si trova nel discorso di Pentecoste dell’apostolo Pietro, il quale, richiamandosi al Salmo 16 per confermare l’annunzio della Risurrezione di Cristo, ivi contenuto, afferma che il profeta Davide “previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi né la sua carne vide corruzione” (Ac 2,31). Un significato simile ha la domanda che pone l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Chi discenderà nell’abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti” (Rm 10,7).

Anche nella lettera agli Efesini, vi è un testo che, sempre in relazione a un versetto dal Salmo 69: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini” (Ps 69,19), pone una domanda significativa: “Ma che significa la Parola “ascese” se non che prima era disceso nelle parti inferiori della terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire tutte le cose” (Ep 4,8-10). In questo modo l’autore sembra collegare la “discesa” di Cristo nell’abisso (in mezzo ai morti), di cui parla la lettera ai Romani, con la sua ascensione al Padre, che dà inizio al “compimento” escatologico di ogni cosa in Dio.

A questo concetto corrispondono anche le parole messe in bocca a Cristo: “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1,17-18).

4. Come si vede dai testi riportati, l’articolo del Simbolo degli apostoli “discese agli inferi”, trova il suo fondamento nelle affermazioni del nuovo testamento sulla discesa di Cristo, dopo la morte sulla Croce, nel “paese della morte”, nel “luogo dei morti”, che nel linguaggio dell’antico testamento era chiamato l’“abisso”. Se nella lettera agli Efesini si dice “nelle parti inferiori della terra”, è perché la terra accoglie il corpo umano dopo la morte, e così accolse anche il corpo di Cristo spirato sul Golgota, come descrivono gli evangelisti (cf. Mt 27,59 s. et par; Jn 19,40-42). Cristo è passato attraverso un’autentica esperienza della morte, compreso il momento finale che generalmente fa parte della sua economia globale: è stato deposto nel sepolcro.

È una conferma che la sua fu una morte reale, e non solo apparente. La sua anima, separata dal corpo, era glorificata in Dio, ma il corpo giaceva nel sepolcro allo stato di cadavere.

Durante i tre giorni (non completi) passati tra il momento in cui “spirò” (cf. Mc 15,37) e la Risurrezione, Gesù ha sperimentato lo “stato di morte”, cioè la separazione dell’anima dal corpo, nello stato e condizione di tutti gli uomini. Questo è il primo significato delle parole “discese agli inferi”, legate a ciò che lo stesso Gesù aveva preannunziato quando, riferendosi alla storia di Giona, aveva detto: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra” (Mt 12,40).

5. Proprio di questo si trattava: il cuore, o il seno della terra. Morendo sulla Croce, Gesù ha rimesso il suo spirito nelle mani del Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Se la morte comporta la separazione dell’anima dal corpo, ne consegue che anche per Gesù si è avuto da una parte lo stato di cadavere del corpo, e dall’altra la piena glorificazione celeste della sua anima sin dal momento della morte. La prima lettera di Pietro parla di questa dualità, quando, riferendosi alla morte subita da Cristo per i peccati, dice di lui: “Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito” (1P 3,18). Anima e corpo si trovano dunque nella condizione terminale rispondente alla loro natura, anche se sul piano ontologico l’anima tende a ricomporre l’unità col proprio corpo. L’Apostolo però aggiunge: “In spirito (Cristo) andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1P 3,19). Questa sembra essere una rappresentazione metaforica dell’estensione della presenza del Cristo crocifisso anche a coloro che erano morti prima di lui.

6. Pur nella sua oscurità, il testo petrino conferma gli altri quanto alla concezione della “discesa agli inferi” come adempimento, fino alla pienezza, del messaggio evangelico della salvezza. È Cristo che, deposto nel sepolcro quanto al corpo, ma glorificato nella sua anima ammessa alla pienezza della visione beatifica di Dio, comunica il suo stato di beatitudine a tutti i giusti di cui, quanto al corpo, condivide lo stato di morte.

Nella lettera agli Ebrei si trova descritta l’opera di liberazione dei giusti da lui compiuta: “Poiché . . . i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (He 2,14-15). Come morto - e nello stesso tempo come vivo “per sempre” - Cristo ha “potere sopra la morte e sopra gli inferi” (cf. Ap 1,17-18). In questo si manifesta e realizza la potenza salvifica della morte sacrificale di Cristo, operatrice di Redenzione nei riguardi di tutti gli uomini: anche di coloro che erano morti prima della sua venuta e della sua “discesa agli inferi”, ma che furono raggiunti dalla sua grazia giustificatrice.

7. Nella prima lettera di san Pietro leggiamo ancora: “. . . è stata annunziata la buona Novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito” (1P 4,6). Anche questo versetto, pur non essendo di facile interpretazione, ribadisce il concetto della “discesa agli inferi” come l’ultima fase della missione del Messia: fase “condensata” in pochi giorni dai testi che tentano di farne una presentazione accessibile a chi è abituato a ragionare e a parlare in metafore temporali e spaziali, ma immensamente vasto nel suo significato reale di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, anche di coloro che nei giorni della morte e della sepoltura di Cristo giacevano già nel “regno dei morti”. La Parola del Vangelo e della Croce tutti raggiunge, anche quelli appartenenti alle generazioni passate più lontane, perché tutti coloro che si sono salvati sono stati resi partecipi della Redenzione, anche prima che avvenisse l’evento storico del sacrificio di Cristo sul Golgota. La concentrazione della loro evangelizzazione e Redenzione nei giorni della sepoltura vuole sottolineare che nel fatto storico della morte di Cristo s’innesta il mistero super-storico della causalità redentiva dell’umanità di Cristo, “strumento” della divinità onnipossente. Con l’ingresso dell’anima di Cristo nella visione beatifica in seno alla Trinità, trova il suo punto di riferimento e di spiegazione la “liberazione dalla prigione” dei giusti, che prima di Cristo erano discesi nel regno della morte. Per Cristo e in Cristo si apre davanti ad essi la libertà definitiva della vita dello Spirito, come partecipazione alla vita di Dio (cf. S. Thomae, Summa Theologiae III 52,6). Questa è la “verità” che si può trarre dai testi biblici citati e che è espressa nell’articolo del Credo che parla di “discesa agli inferi”.

8. Possiamo dunque dire che la verità espressa dal Simbolo degli apostoli con le parole “discese agli inferi”, mentre contiene una riconferma della realtà della morte di Cristo, nello stesso tempo proclama l’inizio della sua glorificazione. E non solo di lui, ma di tutti coloro che per mezzo del suo sacrificio redentore sono maturati alla partecipazione della sua gloria nella felicità del Regno di Dio.




Ai fedeli in lingua italiana.

Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in primo luogo voi, Direttori Salesiani dell’Ispettoria Lombardo-Emiliana e vi auguro che il Corso di aggiornamento, cui state partecipando ravvivi le vostre energie e consenta di approfondire l’intelligenza delle necessità dei giovani affidati alle vostre cure di sacerdoti e di educatori.
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Rivolgo poi la mia parola affettuosa alle novizie e postulanti della Congregazione delle Figlie del Divin Zelo, che volentieri esorto a perseverare nel cammino vocazionale, per rispondere all’amore di predilezione, con cui il Redentore vi ha chiamate.
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Giunga il mio saluto anche alle famiglie del Movimento dei Focolari. Cari fratelli e sorelle, l’aver meditato su “Maria modello di santità” vi conceda la serena disponibilità a rendere fruttuosa, quale prezioso talento, la grazia del sacramento nuziale, vivendo nello stesso spirito e clima spirituale della Santa Famiglia di Nazareth.
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Dirigo la mia parola di apprezzamento agli architetti ed alle maestranze di Benedello di Pavullo nel Frignano: la vostra sensibilità verso i disabili vi ha spinto a collaborare generosamente alla realizzazione del “Centro Gesù Bambino, mio fratello”, dove non solo il sofferente è accolto, ma è pure aiutato a vivere conformemente alla sua umana dignità.
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Mi è caro formare voti di civile e morale progresso per voi, pellegrini del Comune di Pescaglia e per la cittadinanza che rappresentate. A questo augurio unisco l’invito ad ispirarvi sempre nella vostra vita ai principi del Vangelo.
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Saluto infine voi, soci del Leo Club Cava-Vietri, che siete intervenuti a questa Udienza con i vostri familiari, per esprimere al Papa la vostra devozione. Ve ne ringrazio e volentieri corrispondo a tale gesto con l’auspicio di ogni bene.

A tutti voi, pellegrini italiani qui presenti, imparto la Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie ed a quanti portate nel cuore e nella preghiera.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli.

Rivolgo ora il mio saluto ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli, presenti a questa Udienza.

Abbiamo celebrato pochi giorni fa la festa del battesimo di Gesù: essa ci ha portato a prendere rinnovata coscienza degli impegni assunti col nostro battesimo. Siamo, infatti, chiamati a testimoniare Dio, che è in noi, trasformando la nostra vita in maniera da renderla più che mai trasparenza del Signore, che vive nella nostra mente e nel nostro cuore.

Voi, giovani, potete testimoniare Dio con la gioia di vivere nella generosità e nella purezza.

Voi, ammalati, col dono fecondo e incalcolabile della vostra sofferenza.

Voi, sposi, con l’amore reciproco e con la dedizione ai figli che Dio vi concederà.

Occorre vivere in se stessi l’amore di Dio per poterlo donare agli altri.

A tutti la mia Benedizione.

Agli artisti del Circo “Moira Orfei”

Saluto con vivo compiacimento i dirigenti e gli artisti del Circo su ghiaccio “Moira Orfei”, i quali in questi giorni hanno presentato a Roma alcuni loro programmi. La vostra presenza dimostra che voi intendete avvalorare con senso di responsabilità umana e cristiana la vostra prestigiosa professione.

Agli artisti del “Circo di Mosca”

Saluto pure i dirigenti e gli artisti del “Circo di Mosca”. Vi esprimo il mio ringraziamento per la vostra gentile visita e vi auguro che la vostra attività artistica giovi sempre ad una migliore conoscenza dei grandi valori di bontà e di fraternità che hanno radici profonde nell’animo del popolo russo.

Dio benedica voi, le vostre famiglie e la vostra Patria.




Mercoledì, 18 gennaio 1989

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1. “Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno, per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (
Rm 12,5).

Queste parole di san Paolo descrivono nel modo più efficace la misteriosa e vitale comunicazione organica, che vige tra i battezzati in Cristo.

Il testo è stato perciò proposto come tema per la preghiera e la riflessione in questa “Settimana di preghiere per l’unità di tutti i cristiani”, che inizia oggi e si protrarrà, com’è noto, fino al prossimo 25 gennaio, festa della conversione di san Paolo apostolo.

Questa “settimana” vedrà congiunti i cattolici con gli ortodossi, gli anglicani e i protestanti nella preghiera. Ciò corrisponde allo spirito del Concilio Vaticano II, che ha ben definito la preghiera stessa, insieme con la conversione del cuore e la santità di vita, “come l’anima di tutto il movimento ecumenico” (Unitatis Redintegratio UR 8).

Nel contesto generale della preghiera per l’unità, ciascun anno viene proposto un tema particolare. Ormai da un ventennio ciò è deciso insieme dal segretariato per l’unione dei cristiani e dal consiglio ecumenico delle Chiese, a conferma della volontà condivisa di percorrere insieme il cammino che conduce alla piena unità, per la quale ha pregato il Signore.

L’ascolto della Parola di Dio e l’invocazione unanime al Padre celeste mettono i cristiani nella posizione migliore per ricevere e comprendere il dono dell’unità.

2. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, descrive quella che egli ritiene una situazione normale nella vita della comunità: “Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo” (Rm 12,5). La comunità viene considerata come un insieme organico di persone animate dalla stessa fede, da una sola speranza e, soprattutto, dalla carità reciproca. Esse partecipano alla stessa vita, che san Paolo nella lettera ai Romani, come altrove, sintetizza con l’immagine del “corpo”, esprimendo la natura organica della comunità cristiana.

Nonostante la varietà delle membra, la diversità e la complementarietà delle funzioni, il corpo sano è uno, tanto nel suo essere quanto nel suo agire.

Così è anche e soprattutto della Chiesa, che viene appunto chiamata “Corpo di Cristo”.

Il Figlio di Dio, che ha redento l’uomo e lo ha trasformato in una nuova creatura (cf. Ga 6,15 2Co 5,17), comunicando il suo Spirito, “costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati fra tutte le genti” (Lumen Gentium LG 7). La fede e i sacramenti danno forma a questa misteriosa comunione: “Infatti noi tutti fummo battezzati in un solo Spirito, per costituire un solo corpo” (1Co 12,13). Il battesimo realizza una vera e propria incorporazione a Cristo, la quale raggiunge la sua completezza con la partecipazione all’Eucaristia.

La divisione purtroppo ha intaccato profondamente la vita dei cristiani, i quali, proprio perché fra loro disuniti, non possono celebrare insieme l’Eucaristia, segno di comunione perfetta. La divisione è contraria alla volontà del Signore sui suoi discepoli e genera un malessere profondo nei cristiani sensibili. Essa, tuttavia, non ha potuto distruggere totalmente la comunione generata dalla fede in Cristo e dall’unico Battesimo.

Il Concilio Vaticano II, nel definire l’impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico, ha chiaramente sottolineato questo fatto, ponendolo alla base della ricerca, paziente e sofferta, della ricomposizione della piena unità. Il decreto sull’ecumenismo dichiara: “Quelli che credono in Cristo ed hanno ricevuto debitamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta con la Chiesa cattolica” (Unitatis Redintegratio UR 3). Infatti gli altri cristiani, nostri fratelli nel Signore, “giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo” (Unitatis Redintegratio UR 3). Per questo il battesimo “costituisce il vincolo sacramentale dell’unità” del Corpo di Cristo, e per natura sua è ordinato alla piena comunione nella professione della fede, nella partecipazione all’istituzione della salvezza, nella celebrazione dell’Eucaristia (cf. Unitatis Redintegratio UR 22).

Il comune battesimo esige la pienezza della comunione.

3. San Paolo sviluppa l’immagine del corpo e specifica: “In un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione” (Rm 12,4).

Egli applica quest’immagine al corpo di Cristo, che è la Chiesa. All’idea della molteplicità e della varietà delle membra, egli aggiunge quella della reciproca solidarietà e della complementarietà, affermando: “Ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,5) e: “Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi” (Rm 12,6).

La comunità cristiana unita si esprime in una reale sinfonia e sinergia, cioè in una cooperazione armonica di voci diverse e di molteplici azioni, congiunte nell’intento di vivere e di annunciare l’unico Vangelo di Gesù Cristo. La pluriformità nell’unità è una caratteristica della comunità cristiana, diversificata nei suoi ministeri e nei carismi dei suoi membri e, allo stesso tempo sempre aperta a tutto il mondo nella diversità delle sue culture.

Il Concilio Vaticano II ha ricordato la tradizionale esperienza storica della Chiesa, affermando che “l’eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi, e, fin dai primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le diversità di carattere e di condizioni di vita” (Unitatis Redintegratio UR 14). Al tempo stesso il Concilio ha ricordato che, nonostante la divisione, anche tra gli altri cristiani tuttora “la fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento” per i benefici ricevuti da Dio ed opera in favore della carità verso il prossimo e della giustizia nel mondo. Infatti, “la vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo ed è aiutata dalla grazia del battesimo e della Parola di Dio ascoltata” (Unitatis Redintegratio UR 23).

La varietà di autentiche esperienze di vita secondo il Vangelo non può, anche tra gli altri cristiani, non provenire dallo Spirito Santo, “poiché anche in loro con la sua virtù santificante egli opera per mezzo di doni e di grazie, e ha fortificati alcuni di loro fino allo spargimento del sangue” (Lumen Gentium LG 15).

4. Nulla di tutto questo potrà andare perduto con l’unità. L’unità non mortifica l’autentica varietà, anzi fa sì che la vita in Cristo sia sempre più intensa, rifiorisca e si esprima in forme sempre più compiute.

Lo scopo dell’intero movimento ecumenico, che per grazia di Dio si approfondisce sempre di più, è appunto la Unitatis Redintegratio, cioè il ristabilimento della piena unità visibile ed organica di tutti i cristiani “nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio” (Unitatis Redintegratio UR 2). E ciò potrà avvenire nel rigoroso rispetto delle legittime diversità delle espressioni spirituali, disciplinari, liturgiche e teologiche.

Questa visione è stata affermata dal Concilio Vaticano II (Unitatis Redintegratio UR 14-18) e con gioia lo abbiamo ribadito nella dichiarazione comune, che ha concluso la visita a Roma di sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico. Insieme abbiamo detto: “Quando l’unità nella fede è assicurata, una certa diversità di espressioni, spesso complementari, e di usi propri, non ostacola, ma arricchisce la vita della Chiesa e la conoscenza, sempre imperfetta, del mistero rivelato” (cf. 1Co 13,12).

Nello spirito di questa settimana, appena iniziata, terminiamo ora pregando insieme, affinché Dio, che in Gesù Cristo ha voluto unire tutti gli uomini in una sola comunità di salvezza, conceda ai suoi discepoli di dare una testimonianza di unità nel nostro tempo.

Ripetiamo dunque:
“Benedetto sei tu, o Signore”.

Santo Padre: Signore, tu hai inviato il tuo Figlio unigenito per redimere e salvare l’umanità intera.

Tutti: Benedetto sei tu, o Signore.

Santo Padre: Tu ci hai dato il tuo Spirito. Tu ci raduni nelle nostre comunità.

Tutti: Benedetto sei tu, o Signore.

Santo Padre: Tu vuoi fare di tutti gli uomini il tuo popolo santo; tu dispensi doni e talenti e chiami tutti all’unità di un solo corpo.

Tutti: Benedetto sei tu, o Signore.

Santo Padre: Concedi o Signore, che con fiducia possiamo rivolgerci a te come Padre, e dire con un solo cuore: Padre nostro.




Ai fedeli in lingua italiana

Rivolgo il mio saluto al folto gruppo dell’“Università della Terza Età” dell’Aquila, a cui esprimo il mio ringraziamento per la partecipazione a questa udienza: vi assicuro la mia preghiera affinché il Redentore vi conceda giorni sereni e ricchi di iniziative spirituali e culturali.
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Sono lieto di vedere il gruppo dei sacerdoti diocesani, che partecipano ad un incontro organizzato dal Movimento dei Focolari, tra i quali sono alcuni ministri della Chiesa Anglicana. Mi è caro dire a voi il mio apprezzamento per la testimonianza di comunione ecclesiale, che offrite, e vi esorto a porre sempre le vostre persone sotto la protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa.
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Un saluto particolare va pure a voi, membri della Famiglia Salesiana, convenuti a Roma da varie parti del mondo per partecipare al Congresso della “Consulta Mondiale dei Cooperatori Salesiani”. Sia per tutti voi, questo convegno, un’opportuna occasione per approfondire la spiritualità e la pedagogia del vostro Fondatore San Giovanni Bosco.
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Saluto infine le Suore della Congregazione Figlie di Santa Maria della Provvidenza e le insegnanti dell’istituzione teresiana. Carissime, l’amore che il Redentore vi ha donato vi faccia camminare con perseveranza sulla strada della sua verità e della sua pace.

A tutti imparto la mia Benedizione.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Rivolgo ora un affettuoso saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli, presenti a questa Udienza.

Carissimi, all’inizio della “Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani”, invito ciascuno di voi a pregare e ad operare affinché fra tutti i credenti in Cristo si affermi sempre più il cammino verso la piena comunione, e nello stesso tempo vi chiedo di impegnarvi, con totale dedizione ed in ogni ambiente di vita, ad essere costruttori di riconciliazione e di pace, affinché si possa avverare l’auspicio del Signore Gesù: “Che siano tutti una cosa sola . . . perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21).




Catechesi 79-2005 40189