Catechesi 79-2005 27129

Mercoledì, 27 dicembre 1989

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Carissimi fratelli e sorelle.

1. Abbiamo appena festeggiato il Santo Natale, ed ancora permane viva nei nostri cuori l’eco profonda, spirituale, che questa solennità della liturgia cristiana lascia sempre in noi.

La festa del Natale, opportunamente preparata dal periodo dell’Avvento, dà come l’avvio ad un’ulteriore serie di festività liturgiche, che quasi irradiano da essa e la circondano dappresso come per sottolinearne l’altissima dignità: santo Stefano, san Giovanni evangelista, i santi Innocenti, la Santa Famiglia, la maternità di Maria, e poi, a conclusione di questo ciclo straordinario di ricorrenze così significative, la solennità dell’Epifania.

Come se non bastasse, questa concentrazione, per così dire, di feste liturgiche coincide con l’inizio dell’anno nuovo, ed anche questa concomitanza è assai significativa: quasi a suggerirci l’idea e il proposito che l’ignoto avvenire, che ci attende, dev’essere affrontato e vissuto nel segno di quell’abbondantissima grazia divina che ci è dato di ricevere, se ne avremo le dovute disposizioni, nel corso di questo susseguirsi di festività.

2. Particolare eco nell’animo della gente hanno soprattutto le feste del Natale e dell’anno nuovo. Il Natale esercita un fascino ed un’attrattiva misteriosi anche in tanti che non frequentano la Chiesa, o che forse non credono più: fra i travagli e gli affanni della loro vita inquieta, si direbbe che il Natale crei quasi un’irresistibile sosta di pace, di speranza e come di ricupero di un’innocenza perduta. L’anno nuovo, poi, non può non toccare l’immaginazione e la sensibilità di tutti, credenti e non credenti, ricordando il fluire inesorabile del tempo e portandoci a sperare, nonostante le delusioni, che l’anno che viene possa essere migliore del precedente.

Noi cristiani non abbiamo dubbi circa questa prospettiva di progresso in luce escatologica. Sappiamo infatti che la storia, pur con i suoi alti e bassi, è avviata verso il definitivo trionfo di Cristo. In nostro potere è di corrispondere, giorno per giorno, a quel continuo aumento di grazia, che Dio, nella sua infinita bontà, vuole donarci, per farci avanzare senza soste né inciampi verso il Regno di Dio.

Noi sappiamo di essere chiamati a tendere continuamente a questo Regno di pace, di giustizia e di universale fratellanza, che ci è annunciato dal Natale di Cristo. E siamo chiamati non solo a camminare, ma, vorrei dire, anche a correre. Sì, a correre verso Cristo, come fa l’apostolo Giovanni nella narrazione evangelica della Messa di oggi, che è la sua festa. Siamo chiamati ad avanzare e a fare avanzare il mondo, come “luce del mondo” e “sale della terra”. I cristiani non possono avere, nella storia, un ruolo di retroguardia, né tanto meno di involuzione: il Vangelo che essi hanno tra le mani, le parole e gli esempi di Cristo che in esso sono registrati, devono renderli nonostante tutte le loro umane debolezze, uomini di avanguardia e di speranza. Ad essi tocca tracciare il cammino che l’umanità deve compiere verso la salvezza e quella “vita eterna”, celeste e trascendente, della quale parla la prima lettura della Messa di oggi, tratta appunto dall’apostolo Giovanni: “La vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (
1Jn 1,2).

3. I cristiani non traggono questa forza di rinnovamento e questa invincibile speranza di Redenzione e di liberazione da ideologie semplicemente umane, bensì, come dice san Paolo, dalla “manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (1Co 2,4). È solo mettendosi alla scuola di Cristo, del divino fanciullo donato a noi nel Natale, che l’uomo può diventare guida di altri uomini sul cammino di una perfezione finale e definitiva - personale e sociale -, che oltrepassa le deboli forze dell’umana natura, ferita dal peccato, e spezza una volta per tutte la catena delle amarezze e delle delusioni, dalla quale la storia di quaggiù è imprigionata!

Carissimi fratelli e sorelle!

L’apostolo Giovanni, colui che - come dice la preghiera della Messa di oggi - “posò il capo sul petto del Signore e conobbe i segreti del cielo”, colui che ci ha rivelato “le misteriose profondità del Verbo divino”, il discepolo prediletto di Gesù, ci faccia comprendere profondamente il senso del Natale che abbiamo appena celebrato, ci dia una nuova, più sentita e più convinta conoscenza di Cristo; consenta anche a noi di divenire veri amici e confidenti del Signore, e di poterne, in qualche modo, sperimentare la presenza nell’intimo del nostro cuore, così da essere veramente in comunione con lui e col Padre, e quindi con i fratelli, e da essere annunciatori convinti e convincenti di quanto abbiamo “visto” e “toccato” del Verbo della Vita.

Così potremo prepararci veramente all’anno nuovo, che perciò non potrà non essere per noi ricco di promesse e di frutti nuovi sulla via del bene. Con la mia benedizione.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai numerosi fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai moltissimi polacchi presenti

Ai fedeli italiani

Ed ora desidero esprimere il mio benvenuto ai gruppi italiani presenti: anzitutto ai pellegrini della Parrocchia di Castelnuovo Calcea, in diocesi di Asti. La vostra parrocchia è dedicata a Santo Stefano, il primo martire della storia della Chiesa, che abbiamo festeggiato ieri. Certamente è molto significativo il vostro gesto d’aver voluto associare il culto del Protomartire all’omaggio alla Sede di Pietro, che custodisce quel deposito di Verità rivelata per la quale i martiri hanno dato il proprio sangue.
* * *


Saluto la qualificata rappresentanza della comunità cristiana di Bolsena, la quale, accompagnata dal Sindaco, dal parroco e dai membri del Comitato Eucaristico, ha voluto prendere parte a questa Udienza per testimoniare la fede cristiana e, in particolare, la devozione all’Eucaristia, tanto sentita in quella Città. E il Natale è vicino all’Eucaristia! Il Verbo divino è nato a Betlemme, “Casa del pane”, per offrirsi a noi come “cibo di vita eterna”.
* * *


Un saluto, infine, ai soci del centro diocesano di cultura “Giuseppe Toniolo”, provenienti da Verona. Desidero esprimere il mio compiacimento per l’attività vostra, ispirata all’esempio ed agli insegnamenti di quell’illustre e benemerito esponente del laicato cattolico. Toniolo ci insegna che è possibile e doveroso santificarsi nell’amministrazione del bene pubblico e nell’esercizio dell’attività sociale.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Con l’augurio che il Bambino Gesù, venuto tra noi per mostrare la benevolenza e la bontà divina all’umanità, abbia recato la sua profonda pace a voi giovani, ammalati e sposi novelli, presenti a questa Udienza, vi saluto tutti di vero cuore.

È da poco trascorso il Santo Natale, ma la luce di questo mistero di carità é ancora radiosa, e, da parte mia, prego il Redentore dell’uomo affinché la sua grazia si diffonda su ciascuno di voi e conforti la speranza di voi giovani, consoli la sofferenza di voi malati, confermi l’amore reciproco di voi sposi novelli.

A questi sentimenti unisco i voti di un nuovo anno lieto e sereno e, mentre vi affido alla Madonna, perché maternamente vi conduca ad una salda amicizia con Cristo, imparto a tutti la Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 3 gennaio 1990

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1. Nelle catechesi dedicate allo Spirito Santo - persona e missione - abbiamo voluto anzitutto ascoltarne l’annuncio e la promessa da parte di Gesù, particolarmente nell’ultima cena, rileggere la narrazione che gli Atti degli apostoli fanno della sua venuta, riesaminare i testi del Nuovo Testamento, che documentano la predicazione su di lui e la fede in lui nella Chiesa primitiva. Ma nella nostra analisi dei testi ci siamo più volte incontrati con l’Antico Testamento. Sono gli stessi apostoli che nella prima predicazione, dopo la Pentecoste, presentano espressamente la venuta dello Spirito Santo come adempimento delle promesse e degli annunci antichi, vedendo l’antica alleanza e la storia di Israele come tempo di preparazione a ricevere la pienezza di verità e di grazia, che doveva essere portata dal Messia.

Certo, la Pentecoste era un evento proiettato verso l’avvenire, perché dava inizio al tempo dello Spirito Santo, che Gesù stesso aveva indicato come protagonista, insieme col Padre e col Figlio, dell’opera della salvezza, destinata a dilatarsi dalla croce in tutto il mondo. Tuttavia, per una più completa conoscenza della rivelazione dello Spirito Santo, occorre risalire al passato, cioè all’Antico Testamento, per rintracciarvi i segni della lunga preparazione al mistero della Pasqua e della Pentecoste.

2. Dovremo, dunque, tornare a riflettere sui dati biblici riguardanti lo Spirito Santo e sul processo di rivelazione, che si delinea progressivamente dalle penombre dell’Antico Testamento fino alle chiare affermazioni del Nuovo, e si esprime prima all’interno della creazione e poi nell’opera della redenzione, prima nella storia e nella profezia di Israele, e poi nella vita e nella missione di Gesù Messia, dal momento dell’incarnazione a quello della risurrezione.

Tra i dati da esaminare vi è anzitutto il nome con cui lo Spirito Santo viene adombrato nell’Antico Testamento, nonché i diversi significati espressi con questo nome.

Sappiamo che nella mentalità ebraica il nome ha un grande valore per rappresentare la persona. Si può ricordare, in proposito, l’importanza che nell’Esodo e in tutta la tradizione di Israele viene attribuita al modo di nominare Dio. Mosè aveva chiesto al Signore Dio qual era il suo nome. La rivelazione del nome era considerata manifestazione della persona stessa: il nome sacro metteva il popolo in relazione con l’essere, trascendente ma presente, di Dio stesso (cf.
Ex 3,13-14).

Il nome con cui viene adombrato, nell’Antico Testamento, lo Spirito Santo ci aiuterà a comprenderne la proprietà, anche se la sua realtà di persona divina, consostanziale al Padre e al Figlio, ci è fatta conoscere soltanto nella rivelazione del Nuovo Testamento. Possiamo pensare che il termine sia stato scelto con accuratezza dagli autori sacri; e anzi che lo stesso Spirito Santo, il quali li ha ispirati, abbia guidato il processo concettuale e letterario che già nell’Antico Testamento ha fatto elaborare un’espressione adatta a significare la sua persona.

3. Nella Bibbia il termine ebraico che designa lo Spirito è ruah. Il primo senso di questo termine, come della sua traduzione latina spiritus, è “soffio”. In italiano è ancora osservabile la parentela tra “spirito” e “respiro”. Il soffio è la realtà più immateriale che percepiamo; non la si vede, è sottilissima; non è possibile afferrarla con le mani; sembra un niente, eppure ha un’importanza vitale; chi non respira non può vivere. Tra un uomo vivente e un uomo morto c’è questa differenza che il primo ha il soffio e l’altro non ce l’ha più. La vita viene da Dio; il soffio dunque viene da Dio, che lo può anche riprendere (cf. Ps 103,29-30). Da queste osservazioni sul soffio, si è arrivati a capire che la vita dipende da un principio spirituale, che è stato chiamato con la stessa parola ebraica “ruah”. Il soffio dell’uomo sta in rapporto con un soffio esterno molto più potente, il soffio del vento.

L’ebraico “ruah”, come il latino spiritus, designano anche il soffio del vento. Nessuno vede il vento, però i suoi effetti sono impressionanti. Il vento spinge le nuvole, agita gli alberi. Quando è violento, solleva il mare e può inabissare le navi (Ps 106,25-27). Agli antichi il vento appariva come una potenza misteriosa, che Dio aveva a disposizione (Ps 103,3-4). Lo si poteva chiamare il “soffio di Dio”.

Nel libro dell’Esodo, un racconto in prosa dice: “Il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte soffio d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare all’asciutto . . .” (Ex 14,21-22). Nel capitolo successivo, gli stessi eventi vengono descritti in forma poetica e allora il soffio del vento d’oriente viene chiamato “il soffio delle narici” di Dio. Rivolgendosi a Dio, il poeta dice: “Al soffio delle tue narici si accumularono le acque . . . Soffiasti con il tuo soffio e il mare coprì i nemici” (Ex 15,8 Ex 15,10). Così viene espressa in modo molto suggestivo la convinzione che il vento fu, in queste circostanze, lo strumento di Dio.

Dalle osservazioni fatte sul vento invisibile e potente, si è arrivati a concepire l’esistenza dello “spirito di Dio”. Nei testi dell’Antico Testamento, si passa facilmente da un significato all’altro, e anche nel Nuovo Testamento vediamo che i due significati sono presenti. Per far capire a Nicodemo il modo di agire dello Spirito Santo, Gesù adopera il paragone del vento e si serve dello stesso termine per designare tanto l’uno quanto l’altro: “Il soffio - cioè il vento - soffia dove vuole . . . così è di chiunque è nato dal Soffio, cioè dallo Spirito Santo” (Jn 3,8).

4. L’idea fondamentale espressa dal nome biblico dello Spirito non è quindi quella di una potenza intellettuale, ma quella di un impulso dinamico, paragonabile all’impulso del vento. Nella Bibbia, la prima funzione dello Spirito non è di far capire, ma di mettere in moto; non d’illuminare, ma di comunicare un dinamismo.

Tuttavia questo aspetto non è esclusivo. Altri aspetti vengono espressi, i quali preparano la rivelazione successiva. Anzitutto l’aspetto d’interiorità. Il soffio, infatti, entra all’interno dell’uomo. In linguaggio biblico, questa constatazione si può esprimere dicendo che Dio mette lo spirito nei cuori (cf. Ez 36,26 Rm 5,5). Sottilissima, l’aria penetra non soltanto nel nostro organismo, ma in tutti gli spazi e interstizi; questo aiuta a capire che “lo Spirito del Signore riempie l’universo” e che “pervade”, in particolare, “tutti gli spiriti” (Sg 1,7 Sg 7,23) come dice il Libro della Sapienza.

All’aspetto d’interiorità si ricollega l’aspetto di conoscenza. “Chi conosce le cose dell’uomo, domanda san Paolo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui?” (1Co 2,11). Soltanto il nostro spirito conosce le nostre reazioni intime, i nostri pensieri non ancora comunicati ad altri. In modo analogo e a maggior ragione, lo Spirito del Signore, che è presente all’interno di tutti gli esseri dell’universo, conosce tutto dall’interno. Anzi, “lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio . . . Le cose di Dio nessuno le ha mai potute conoscere se non lo Spirito di Dio” (1Co 2,10-11).

5. Quando si tratta di conoscenza e di comunicazione tra le persone, il soffio ha una connessione naturale con la parola. Infatti per parlare adoperiamo il nostro soffio. Le corde vocali fanno vibrare il nostro soffio, il quale trasmette così i suoni delle parole. Ispirandosi a questo fatto, la Bibbia metteva volentieri in parallelo la parola e il soffio (cf. Is 11,4), o la parola e lo spirito. Grazie al soffio, la parola si propaga; dal soffio essa prende forza e dinamismo. Il Salmo 32 (v. 6) applica questo parallelismo all’evento primordiale della creazione e dice: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera . . .”.

In testi del genere, noi possiamo scorgere una lontana preparazione della rivelazione cristiana del mistero della santissima Trinità: Dio-Padre è principio della creazione; egli l’ha attuata mediante la sua Parola, cioè mediante il suo Verbo e Figlio e mediante il suo Soffio, lo Spirito Santo.

6. La molteplicità dei significati del termine ebraico “ruah”, adoperato nella Bibbia per designare lo Spirito, sembra dare adito a qualche confusione: effettivamente, in un dato testo, spesso non è possibile determinare il senso preciso della parola; si può esitare tra vento e respiro, tra alito e spirito, tra spirito creativo e Spirito divino.

Questa molteplicità, però, è anzitutto una ricchezza, perché mette tante realtà in comunicazione feconda. Qui conviene rinunciare parzialmente alle pretese di una razionalità preoccupata di precisione, per aprirsi a prospettive più larghe. Ci è utile, quando pensiamo allo Spirito Santo, tener presente che il suo nome biblico significa “soffio” e ha rapporto con il soffio potente del vento e con il soffio intimo del nostro respiro. Invece di attenerci a un concetto troppo intellettuale e arido, troveremo profitto nell’accogliere questa ricchezza di immagini e di fatti. Le traduzioni, purtroppo, non sono in grado di tramandarcela interamente, perché si trovano spesso costrette a scegliere altri termini. Per rendere la parola ebraica “ruah”, la traduzione greca dei Settanta adopera 24 termini diversi e quindi non permette di scorgere tutte le connessioni che si trovano tra i testi della Bibbia ebraica.

7. A conclusione di questa analisi terminologica dei testi dell’Antico Testamento sulla “ruah”, possiamo dire che da essi il soffio di Dio appare come la forza che fa vivere le creature. Appare come una realtà intima a Dio, che opera nell’intimità dell’uomo. Appare come una manifestazione del dinamismo di Dio, che si comunica alle creature.

Pur non essendo ancora concepito come Persona distinta, nell’ambito dell’essere divino, il “soffio” o “Spirito”, di Dio si distingue in certo modo da Dio che lo manda, per operare nelle creature. Così, anche sotto l’aspetto letterario, la mente umana viene preparata a ricevere la rivelazione della Persona dello Spirito Santo, che apparirà come espressione della vita intima di Dio e della sua onnipotenza.

Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di espressione inglese

Ad un gruppo di fedeli provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini giapponesi, guidati dal P. Hayat: all’inizio del nuovo anno auguro che la vostra vita cristiana sia, per i vostri connazionali, come l’evangelico grano di senape, affinché il Regno di Dio si instauri al più presto anche in Giappone.

Invoco su di voi la protezione della Madonna e vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai fedeli di espressione portoghese


Ai pellegrini polacchi


Ai gruppi di lingua italiana

Mi è gradito ora salutare voi, Sacerdoti, che celebrate il 25º o il 50º anniversario di ordinazione, e voi, Suore Benedettine, che festeggiate ricorrenze particolarmente significative della vostra professione religiosa. Sono vicino a voi, cari fratelli e sorelle, con la preghiera, in cui chiedo al Salvatore di ricolmarvi della sua bontà, affinché la vostra vita sia sempre orientata a Lui ed al prossimo. Questo augurio e questa invocazione viene da me elevata anche per le religiose Mercedarie del SS. Sacramento, alle quali rivolgo pure il mio benvenuto.

Cordialmente saluto, poi, voi alunni dei Seminari di Napoli e di Chioggia, che partecipate a questa udienza con i vostri superiori ed i vostri familiari. Carissimi, il ricordo della nascita di Gesù vi sia di sprone a crescere nella sua grazia e nel suo servizio.

Giunga poi una parola di saluto a voi, soci dell’Azione Cattolica della diocesi di Saluzzo, che con il vostro Vescovo, Monsignor Sebastiano Dho, siete oggi pellegrini a Roma. Vi esorto a perseverare nella testimonianza di fede e di amore a Cristo nella vita quotidiana, estendo tale invito ai rappresentanti di alcune Comunità di Sant’Egidio provenienti da diversi paesi. Saluto i bambini del coro denominato “Grillo Canterino” e i membri dell’Associazione dei “ Cantori di Assisi”.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo pure un saluto ed uno speciale augurio ai giovani, ai malati, agli sposi novelli. Sia sempre Gesù Cristo per tutti voi, la via che segni i passi del nuovo anno, da poco iniziato. Lo sia per voi, cari giovani, nel vostro cammino di crescita, nelle decisioni del vostro programma di vita, nelle scelte morali che vi impegnano. Lo sia ancora per voi, ammalati, nel comprendere e nell’accettare la sofferenza, come momento di redenzione e di grazia, sull’esempio del Redentore. E lo sia per voi, sposi novelli, perché possiate tracciare un cammino di vita familiare capace di testimoniare sempre nell’amore e nella visione cristiana della vostra esistenza la grandezza e la bellezza del Sacramento del Matrimonio. A tutti la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 10 gennaio 1990

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1. Nel linguaggio biblico il rilievo dato alla “ruah” come “soffio di Dio” sembra dimostrare che l’analogia tra l’azione divina invisibile, spirituale, penetrante, onnipotente, e il vento, era radicata nella psicologia e nella tradizione, a cui attingevano e nello stesso tempo davano nuovo alimento gli autori sacri. Pur nella varietà di significati derivati, il termine serviva sempre per esprimere una “forza vitale” operativa dall’esterno o dall’interno dell’uomo e del mondo. Anche quando non designava direttamente la persona divina, il termine riferito a Dio - “spirito (o soffio) di Dio” - imprimeva e faceva crescere nell’anima di Israele l’idea di un Dio spirituale che interviene nella storia e nella vita dell’uomo, e preparava il terreno alla futura rivelazione dello Spirito Santo.

Così possiamo dire che già dalla narrazione della creazione, nel Libro della Genesi, la presenza dello “spirito (o vento) di Dio”, che aleggiava sulle acque mentre la terra era deserta e vuota e le tenebre coprivano l’abisso (cf.
Gn 1,2), è un riferimento di notevole efficacia a “quella forza vitale”. Esso suggerisce che il “soffio” o “spirito” di Dio ha avuto un ruolo nella creazione: quasi un potere di animazione, insieme con la “parola” che dà l’essere e l’ordine alle cose.

2. La connessione tra lo spirito di Dio e le acque, che osserviamo all’inizio del racconto della creazione, si ritrova in altra forma in diversi brani della Bibbia e vi diventa anche più stretta, perché lo Spirito stesso viene presentato come un’acqua fecondante, sorgente di nuova vita. Nel libro della consolazione, il Secondo-Isaia esprime questa promessa di Dio: “Io farò scorrere acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri; cresceranno come erba in mezzo all’acqua, come salici lungo acque correnti (Is 44,3-4). L’acqua che Dio promette di far scorrere è il suo spirito, che egli “verserà” sui figli del suo popolo. Non diversamente il profeta Ezechiele annuncia che Dio “effonderà” il suo spirito sulla casa d’Israele (Ez 39,29), e il profeta Gioele riprende la stessa espressione che assimila lo spirito a un’acqua versata: “Effonderò il mio spirito, dice Dio, sopra ogni carne . . .” (Jl 3,1).

Il simbolismo dell’acqua, con riferimento allo Spirito, sarà ripreso nel Nuovo Testamento e arricchito di nuove sfumature. Avremo occasione di tornarvi.

3. Nel racconto della creazione, dopo la menzione iniziale dello spirito o soffio di Dio che aleggiava sulle acque (Gn 1,2) non troviamo più la parola “ruah”, nome ebraico dello spirito. Il modo però in cui viene descritta la creazione dell’uomo suggerisce un rapporto con lo spirito o soffio di Dio. Infatti si legge che, dopo aver plasmato l’uomo con polvere del suolo, il Signore Dio “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un’anima vivente” (Gn 2,7). La parola “alito” (in ebraico “neshama”) è un sinonimo di “soffio” o “spirito” (“ruah”), come si vede dal parallelismo con altri testi: invece di “alito di vita” leggiamo “soffio di vita” (Gn 6,17).D’altra parte, l’azione di “soffiare”, attribuita a Dio nel racconto della creazione, viene ascritta allo Spirito nella visione profetica della risurrezione (Ez 37,9).

La Sacra Scrittura ci fa quindi capire che Dio è intervenuto per mezzo del suo soffio o spirito per fare dell’uomo un essere animato. Nell’uomo c’è un “alito di vita”, che proviene dal “soffiare” di Dio stesso. Nell’uomo c’è un soffio o spirito che assomiglia al soffio o spirito di Dio.

Quando il Libro della Genesi, al capitolo 2, parla della creazione degli animali (Gn 2,19), non accenna a una relazione così stretta col soffio di Dio. Dal capitolo precedente sappiamo che l’uomo è stato creato “a immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,26-27).

4. Altri testi, tuttavia, ammettono che anche gli animali hanno un alito o soffio vitale e che l’hanno ricevuto da Dio. Sotto questo aspetto l’uomo, uscito dalle mani di Dio, appare solidale con tutti gli esseri viventi. Così il Salmo 104 non pone distinzione tra gli uomini e gli animali quando dice, rivolgendosi a Dio creatore: “Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono” (Ps 104,27-28). Poi il Salmista aggiunge: “Se togli loro il soffio, muoiono e ritornano nella polvere. Mandi il tuo soffio, sono creati e rinnovati la faccia della terra” (Ps 104,29-30). L’esistenza delle creature dipende dunque dall’azione del soffio-spirito di Dio, che non solo crea, ma anche conserva e rinnova continuamente la faccia della terra.

5. La prima creazione, purtroppo, fu devastata dal peccato. Dio, però, non l’abbandonò alla distruzione, ma ne preparò la salvezza, che doveva costituire una “nuova creazione” (cf. Is 65,17 Ga 6,15 Ap 21,5). L’azione dello Spirito di Dio per questa nuova creazione viene suggerita dalla famosa profezia di Ezechiele sulla risurrezione. In una visione impressionante, il profeta ha sotto gli occhi una vasta pianura “piena di ossa”, e riceve l’ordine di profetizzare su queste ossa e di annunziare: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo Spirito e rivivrete . . .” (Ez 37,1-5). Il profeta esegue l’ordine divino e vede “un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente” (Ez 37,7). Poi appaiono i nervi, la carne cresce, la pelle ricopre i corpi e infine, alla voce del profeta, lo spirito entra in quei corpi, che ritornano allora in vita e si alzano in piedi (Ez 37,8-10).

Il senso primo di questa visione era di annunciare la restaurazione del popolo d’Israele dopo la devastazione e l’esilio: “Queste ossa sono tutta la gente d’Israele”, dice il Signore. Gli israeliti si consideravano perduti, senza speranza. Dio promette loro: “Farò entrare in voi il mio spirito e vivrete” (Ez 37,14). Alla luce però del mistero pasquale di Gesù, le parole del profeta acquistano un senso più forte, quello di annunciare una vera risurrezione dei nostri corpi mortali grazie all’azione dello Spirito di Dio.

L’apostolo Paolo esprime questa certezza di fede, dicendo: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11).

La nuova creazione, infatti, ha avuto il suo inizio grazie all’azione dello Spirito Santo nella morte e risurrezione di Cristo. Nella sua Passione, Gesù ha accolto pienamente l’azione dello Spirito Santo nel suo essere umano (cf. He 9,14), il quale ha condotto attraverso la morte a una nuova vita (cf. Rm 6,10), che egli è ormai in grado di comunicare a tutti i credenti, trasmettendo loro questo stesso Spirito, prima in modo iniziale, nel battesimo, poi pienamente nella risurrezione finale.

La sera di Pasqua, Gesù risorto, apparendo ai discepoli nel Cenacolo, rinnova su di loro la stessa azione che Dio creatore aveva compiuto su Adamo. Dio aveva “soffiato” sul corpo dell’uomo per dargli vita. Gesù “soffia” sui discepoli e dice loro: “Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,22).

Il soffio umano di Gesù serve così all’attuazione di un’opera divina più meravigliosa ancora di quella iniziale. Non si tratta soltanto di creare un uomo vivente, come nella prima creazione, ma d’introdurre gli uomini nella vita divina.

6. A buon diritto, perciò, san Paolo stabilisce un parallelismo e un’antitesi tra Adamo e Cristo, tra la prima e la seconda creazione, quando scrive: “Se c’è un corpo animato (in greco psychikon, da psyché che significa anima), vi è anche un corpo spirituale (pneumatikon, cioè completamente permeato e trasformato dallo Spirito di Dio), poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un’anima vivente (Gn 2,7), ma l’ultimo Adamo è divenuto spirito che fa vivere” (1Co 15,45). Cristo risorto, nuovo Adamo, è talmente permeato, nella sua umanità, dallo Spirito Santo, che può essere chiamato lui stesso “spirito”.

Infatti questa sua umanità non ha solo la pienezza dello Spirito Santo per se stessa, ma anche la capacità di comunicare la vita dello Spirito a tutti gli uomini. “Se qualcuno è in Cristo, scrive ancora San Paolo, è una nuova creatura” (2Co 5,17).

Si manifesta così pienamente, nel mistero di Cristo morto e risorto, l’azione creatrice e rinnovatrice dello Spirito di Dio, che la Chiesa invoca dicendo: “Veni Creator Spiritus”, “Vieni, Spirito Creatore”.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua castigliana

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai numerosi gruppi italiani

Sono lieto di salutare i partecipanti al II Convegno Nazionale sul personalismo comunitario, dal titolo “Persona e Sviluppo verso il tempo del Post-Liberismo” svoltosi nei giorni scorsi a Teramo. Essi, guidati dall’Arcivescovo Monsignor Antonio Nuzzi, hanno chiesto di poter prendere parte a questa udienza, che s’inserisce nelle celebrazioni internazionali in occasione del 40º anniversario della morte del filosofo Emmanuel Mounier. Mi compiaccio per il vostro convegno, nel quale in modo concreto avete voluto affrontare le problematiche sulla persona umana e sullo sviluppo, in questa particolare epoca storica, caratterizzata da rapidi e radicali mutamenti. Vi incoraggio a proseguire in questa ricerca, che vi offre l’opportunità di uno scambio di idee tra persone impegnate nel campo della cultura, in armonia con l’ispirazione cristiana dell’etica personalista.

Do pure il mio benvenuto ai membri del Consiglio di Amministrazione e ai soci della Cassa Rurale ed Artigiana del Sannio, giunti, numerosi, in pellegrinaggio sulla tomba degli Apostoli. Vi auguro che la visita a Roma, centro del Cristianesimo, renda ancor più salde le antiche tradizioni di fede e di vita cristiana che animano le vostre popolazioni e di cui è testimonianza eloquente la concreta solidarietà che è all’origine del Movimento Cooperativistico della vostra provincia.

Il mio saluto va inoltre ai componenti del Consiglio Centrale dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau che, unitamente ai responsabili dell’Associazione brasiliana Morhan, hanno voluto testimoniare, con la loro presenza l’impegno costante nella lotta alla lebbra in Italia e nel mondo. Quest’incontro si svolge a breve distanza dalla Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra, occasione concreta di fratellanza e di solidarietà cristiana tra tutti gli uomini, che quest’anno ha come tema: “vivere è aiutare a vivere”. Poiché in tale data sarò, a Dio piacendo, in visita pastorale nell’Africa dell’Ovest, rivolgerò da un lebbrosario di quel continente un particolare messaggio per la ricorrenza, affinché quella Giornata sia davvero un fraterno “appuntamento d’amore” con i malati di lebbra.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Desidero ora rivolgere il mio affettuoso saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli, che sono convenuti a Roma, quali pellegrini, in questi primi giorni del nuovo anno, ancora soffusi del clima gioioso delle Festività natalizie. Carissimi giovani, vi auguro di vivere sempre nell’entusiasmo che proviene dalla fede, sapendo continuamente ricercare in Cristo, Verbo Incarnato, il vostro migliore amico e compagno di viaggio. E voi, cari ammalati, che state sperimentando i limiti e le sofferenze causate da malattie o handicap fisici, sappiate guardare al vostro presente e al vostro futuro, con la fiducia di chi sa di essere prediletto da Cristo e con la consapevolezza che le vostre prove offerte al Signore aiuteranno tanti fratelli a ritrovare la salute dell’anima. Infine auguro a voi, cari sposi novelli, di essere testimoni sempre più credibili di quell’amore che il Salvatore, vivendo tra noi, ha portato sulla terra, e che, se realizzato, renderà tanto bella e feconda di frutti di bene la vostra nascente comunità familiare.





Catechesi 79-2005 27129