Catechesi 79-2005 14290

Mercoledì, 14 febbraio 1990

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1. Ricollegandoci alla precedente catechesi, possiamo cogliere tra i dati biblici già riferiti l’aspetto profetico dell’azione esercitata dallo spirito di Dio sui capi del popolo, sui re, e sul Messia. Tale aspetto richiede un’ulteriore riflessione, perché il profetismo è il filone lungo il quale scorre la storia di Israele, dominata dalla figura preminente di Mosè, il “profeta” più eccelso, “con il quale il Signore parlava a faccia a faccia” (
Dt 34,10). Lungo i secoli gli israeliti prendono sempre più familiarità col binomio “la Legge e i Profeti”, come sintesi espressiva del patrimonio spirituale, affidato da Dio al suo popolo. Ed è mediante il suo spirito che Dio parla e agisce nei padri, e di generazione in generazione prepara i tempi nuovi.

2. Senza dubbio il fenomeno profetico, che si osserva storicamente, è legato alla parola. Il profeta è un uomo che parla a nome di Dio, consegna a coloro che lo ascoltano o lo leggono ciò che Dio vuol far conoscere sul presente e sull’avvenire. Lo spirito di Dio anima la parola e la rende vitale. Comunica al profeta e alla sua parola un certo pathos divino, per cui diviene vibrante, a volte appassionata e sofferente, sempre dinamica.

Non di rado la Bibbia descrive episodi significativi, nei quali si osserva che lo spirito di Dio si posa su qualcuno, e questi subito pronuncia un oracolo profetico. Così avviene per Balaam: “Lo spirito di Dio fu sopra di lui”. Allora “pronunciò il suo poema e disse: . . . Oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell’Altissimo, di chi vede la visione dell’Onnipotente, e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi . . .” (NM 24,2 NM 24,3-4). È la famosa “profezia”, che anche se si riferisce, nell’immediato, a Saul e a Davide, nella lotta contro gli amaleciti, evoca nello stesso tempo il futuro Messia: “Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe, e uno scettro sorge da Israele . . .” (1S 15,8 1S 30,1 ss).

3. Un altro aspetto dello spirito profetico a servizio della parola è che esso si può comunicare e quasi “suddividere”, secondo le necessità del popolo, come nel caso di Mosè preoccupato del numero degli israeliti da condurre e governare, che contavano ormai “600.000 adulti”. Il Signore gli comandò di scegliere e riunire “70 uomini tra gli anziani d’Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come loro scribi”. Ciò fatto, il Signore “prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui 70 anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono . . .” (cf. NM 24,16-25).

Nella successione di Eliseo a Elia, il primo vorrebbe addirittura ricevere “due terzi dello spirito” del grande profeta, una specie di doppia parte dell’eredità che toccava al figlio maggiore, per essere così riconosciuto come suo principale erede spirituale tra la moltitudine di profeti e di “figli dei profeti”, raggruppati in corporazioni. Ma lo spirito non si trasmette da profeta a profeta come un’eredità terrena: è Dio che lo concede. Difatti così avviene, e i “figli dei profeti” lo constatano: “Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo” (2S 2,15).

4. Nei contatti di Israele con i popoli confinanti non mancarono manifestazioni di falso profetismo, che portarono alla formazione di gruppi di esaltati, i quali sostituivano con musiche e gesticolazioni lo spirito proveniente da Dio e aderivano addirittura al culto di Baal. Elia condusse una decisa battaglia contro questi profeti, rimanendo solitario nella sua grandezza. Eliseo, per parte sua, ebbe maggiori rapporti con alcuni gruppi, che sembravano rinsaviti.

Nella genuina tradizione biblica si difende e rivendica la vera idea del profeta come uomo della parola di Dio, istituito da Dio, al pari e al seguito di Mosè: “Io susciterò loro un profeta come te in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà quanto io gli comanderò” (Dt 18,18). Questa promessa è accompagnata da un ammonimento contro gli abusi del profetismo: “Il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire. Se tu pensi: Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore” (Dt 18,20-22).

Altro aspetto di tale criterio di giudizio è la fedeltà alla dottrina consegnata a Israele da Dio, nella resistenza alle seduzioni dell’idolatria. Si spiega così l’ostilità contro i falsi profeti. Compito del profeta, come uomo della parola di Dio, è di combattere lo “spirito di menzogna” che si trova sulla bocca dei falsi profeti, per tutelare il popolo dalla loro influenza. È una missione ricevuta da Dio, come proclama Ezechiele (Ez 13,2-3): “Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, profetizza contro i profeti di Israele, e di’ a coloro che profetizzano secondo i propri desideri: Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito senza aver avuto visioni”.

5. Uomo della parola, il profeta deve essere anche “uomo dello spirito”, come già lo chiama Osea: deve avere lo spirito di Dio, e non solo il proprio spirito, se deve parlare a nome di Dio.

Il concetto è sviluppato soprattutto da Ezechiele, che lascia intravedere la presa di coscienza ormai avvenuta circa la profonda realtà del profetismo. Parlare in nome di Dio richiede, nel profeta, la presenza dello spirito di Dio. Questa presenza si manifesta in un contatto che Ezechiele chiama “visione”. In chi ne beneficia, l’azione dello spirito di Dio garantisce la verità della parola pronunciata. Troviamo qui un nuovo indizio del legame fra parola e spirito, che prepara linguisticamente e concettualmente il legame che a un livello più alto, nel Nuovo Testamento, viene posto tra il Verbo e lo Spirito Santo.

Ezechiele ha coscienza di essere personalmente animato dallo spirito: “Uno spirito entrò in me, - egli scrive - mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava”. Lo spirito entra all’interno della persona del profeta. Lo fa stare in piedi: dunque ne fa un testimone della parola divina. Lo solleva e lo mette in movimento: “Uno spirito mi sollevò . . . e mi portò via”. Così si manifesta il dinamismo dello spirito. Ezechiele, peraltro, precisa che sta parlando dello “Spirito del Signore” (Ez 2,2 Ez 3,12-14 Ez 11,5).

6. L’aspetto dinamico dell’azione profetica dello Spirito divino risalta fortemente nelle profezie di Aggeo e di Zaccaria, i quali, dopo il ritorno dall’esilio, hanno vigorosamente spinto gli ebrei rimpatriati a mettersi al lavoro per ricostruire il tempio di Gerusalemme. Il risultato della prima profezia di Aggeo fu che “il Signore destò lo spirito di Zorobabele . . . governatore della Giudea e di Giosuè . . . sommo sacerdote e di tutto il resto del popolo ed essi si mossero e intrapresero i lavori per la causa del Signore degli eserciti”. In un secondo oracolo, il profeta Aggeo intervenne di nuovo e promise l’aiuto potente dello Spirito del Signore: “Coraggio, Zorobabele . . . Coraggio, Giosuè . . . Coraggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro . . . il mio spirito sarà con voi, non temete” (Ag 2,4-5). E similmente il profeta Zaccaria proclamava: “Questa è la parola del Signore a Zorobabele: Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti” (Za 4,6).

Nei tempi che precedettero più immediatamente la nascita di Gesù, non c’erano più profeti in Israele e non si sapeva fino a quando sarebbe durata tale situazione. Uno degli ultimi profeti, Gioele, aveva però annunciato un’effusione universale dello Spirito di Dio che doveva verificarsi “prima che venisse il giorno del Signore, grande e terribile”, e doveva manifestarsi con una straordinaria diffusione del dono di profezia. Il Signore aveva proclamato per suo tramite: “Io effonderò il mio spirito sopra ogni essere umano e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni rivelatori; i vostri giovani avranno visioni” (Jl 3,4 Jl 3,1).

Così si doveva finalmente adempiere l’augurio espresso, molti secoli prima, da Mosè: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito” (NM 11,29). L’ispirazione profetica avrebbe raggiunto perfino “gli schiavi e le schiave”, superando ogni distinzione di livelli culturali o condizioni sociali. Allora la salvezza sarebbe stata offerta a tutti: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Jl 3,5).

Come abbiamo visto in una catechesi precedente, questa profezia di Gioele trovò il suo compimento nel giorno di Pentecoste, sicché l’apostolo Pietro, rivolgendosi alla folla stupefatta, poté dichiarare: “Accade quello che predisse il profeta Gioele”; e recitò l’oracolo del profeta, spiegando che Gesù “innalzato alla destra di Dio aveva ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso e lo aveva effuso” abbondantemente. Da quel giorno in poi, l’azione profetica dello Spirito Santo si è continuamente manifestata nella Chiesa per darle luce e conforto.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola


A numerosi pellegrini di espressione portoghese

Ai fedeli di lingua polacca


Ad alcuni gruppi di lingua italiana

Do ora il benvenuto ai partecipanti al III Congresso mondiale dei Maestri di Cappella sul tema “Unità nella diversità della musica sacra al servizio del culto divino”. Provenienti da 43 Paesi, voi state riflettendo sulla valorizzazione delle molteplici forme musicali legate alle diverse culture che, se ben armonizzate, arricchiscono il già vasto e prezioso patrimonio della Musica Sacra nella Chiesa.

Un saluto particolare ai pellegrini della Fraternità Francescana “La Pace” di Massa Martana, in diocesi di Todi, venuti a Roma per commemorare il IV centenario della presenza dei Frati Francescani del Terzo Ordine Regolare e per far benedire una statua della Madonna della Pace.

Ringrazio poi cordialmente i fedeli della parrocchia di San Leone I, a Via Prenestina, che, insieme al parroco, sono venuti a restituirmi la visita che ho fatto loro lo scorso dicembre. Saluto inoltre il gruppo degli scouts della parrocchia di San Tommaso Moro, in Roma, i quali ricordano quest’anno il decennale della loro fondazione.

Annuncio del nuovo ciclo di Jasna Gora:

In preparazione al prossimo pellegrinaggio in terra patria, Giovanni Paolo II indice un nuovo “ciclo di Jasna Gora”. Lo annuncia il Santo Padre stesso durante l’udienza generale di oggi, giorno dedicato ai Santi Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi. Queste le parole rivolte dal Santo Padre ai pellegrini polacchi.

Oggi è la festa dei Santi Cirillo e Metodio i quali, insieme con San Benedetto, sono venerati dalla Chiesa come patroni d’Europa. In questo giorno desidero iniziare il nuovo “ciclo di Jasna Gora”. Circa dieci anni fa con un simile ciclo mi sono preparato al secondo pellegrinaggio alla patria. Esso ha avuto luogo nel 1983, nel periodo dopo l’applicazione dello stato di guerra e dopo la dichiarazione di illegalità di “Solidarnosc”. Dall’anno scorso la situazione è cambiata notevolmente. Nello stesso tempo siamo entrati negli anni Novanta del nostro secolo e del secondo millennio dopo Cristo. Dato che dobbiamo prepararci al prossimo pellegrinaggio in terra patria, vedo la necessità di un nuovo “ciclo di Jasna Gora”. La cosa migliore sarà quando la preparazione acquisterà la forma delle brevi visite (spirituali) che ogni settimana, come in passato, si faranno nel santuario della Madonna di Jasna Gora, Madre della Chiesa e della nazione. Per la prima volta la prospettiva del pellegrinaggio in Polonia si allarga. E per questa ragione ho deciso di scegliere proprio il giorno di oggi, che è la festa degli apostoli degli Slavi, compatroni d’Europa, per iniziare il nuovo “ciclo di Jasna Gora”.

Esortazione a costruire un mondo libero:

Una nuova esortazione a costruire un mondo libero dalle contrapposizioni etniche, razziali e religiose, mentre cadono tante barriere ideologiche, è rivolta dal Papa ai fedeli che gremiscono l’Aula Paolo VI. Queste le parole del Santo Padre.

Mi è gradito rivolgere infine il consueto saluto a tutti i giovani, agli ammalati, ai loro accompagnatori e alle coppie di sposi novelli. In questo giorno, nel quale la Chiesa celebra la festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa, mentre cadono tante barriere ideologiche, vi invito tutti a costruire un mondo libero dalle contrapposizioni etniche, razziali e religiose. A voi giovani, particolarmente, affido l’impegno di fondare il futuro sulla parola di Dio che libera, sulla speranza che si fa vita e smuove le montagne di ogni egoismo. Voi, ammalati, offrite al Signore le vostre sofferenze, che sono tanto preziose, per la causa del Vangelo e la salvezza del mondo. A voi, sposi novelli, chiedo di testimoniare l’impegno di amore e di fedeltà che vi siete assunti davanti all’altare guardando sempre a Cristo come unica sorgente di gioia e forza di liberazione. A tutti impartisco la mia benedizione.

Saluto a visitatori provenienti dall’Unione Sovietica:

Un breve e cordiale saluto il Santo Padre rivolge nel corso dell’udienza generale a un significativo gruppo di visitatori proveniente dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina.

Saluto cordialmente gli egregi direttori delle superiori Istituzioni di ricerche scientifiche, tecnologiche e industriali della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina, partecipanti al corso di aggiornamento scientifico presso il Politecnico Europeo di Milano, che in tale occasione hanno voluto recarsi a Roma e far visita al Pontefice Romano. A voi tutti qui presenti, onorevoli scienziati, ai vostri congiunti e amici esprimo i migliori auguri di ogni bene e impartisco di tutto cuore la mia benedizione.




Mercoledì, 21 febbraio 1990

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1. Lo spirito divino, secondo la Bibbia, non è solo luce che illumina dando la conoscenza e suscitando la profezia, ma anche forza che santifica. Lo spirito di Dio, infatti, comunica la santità, perché lui stesso è “spirito di santità”, “spirito santo”. Questo appellativo viene attribuito allo spirito divino nel capitolo 63 del Libro di Isaia, quando, nel lungo poema o salmo dedicato a esaltare i benefici di Jahvè e a deplorare gli smarrimenti del popolo durante la storia di Israele, l’autore sacro dice che “essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito”(
Is 63-10). Ma aggiunge che, dopo il castigo divino, “si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo”, per chiedersi: “Dov’è colui che gli pose nell’intimo il suo santo spirito . . .?”(Is 63-11).

Questo appellativo risuona anche nel Salmo 50, dove, nel chiedere perdono e misericordia al Signore (“Miserere mei, Deus, secundum misericordiam tuam”), l’autore lo implora: “Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito” (Ps 51,13). Si tratta del principio intimo del bene, che agisce all’interno per portare alla santità (“spirito di santità”).

2. Il Libro della Sapienza afferma l’incompatibilità tra lo spirito santo e ogni mancanza di sincerità o di giustizia: “Il santo spirito che ammaestra rifugge dalla finzione, se ne sta lontano dai discorsi insensati ed è cacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia” (Sg 1,5). Una relazione molto stretta viene poi espressa tra la sapienza e lo spirito. Nella sapienza, dice l’autore ispirato, “c’è uno spirito intelligente e santo” (Sg 7,22), il quale è dunque “senza macchia” e “amante del bene”. Questo spirito è lo spirito stesso di Dio, perché è “onnipotente e onniveggente” (Sg 7,23). Senza questo “santo spirito di Dio” (cf. Sap Sg 9,17) che Dio “manda dall’alto”, l’uomo non può discernere la santa volontà di Dio cf. (Sg 9,17) e tantomeno, evidentemente, adempierla fedelmente.

3. L’esigenza di santità è fortemente legata, nell’Antico Testamento, alla dimensione culturale e sacerdotale della vita di Israele. Il culto si deve svolgere in un luogo “santo”, luogo della dimora di Dio tre volte santo (cf. Is 6,1-4). La nube è il segno della presenza del Signore (cf. Ex 40,34-35 1S 8,10-11); tutto, nella tenda, nel tempio, nell’altare, nei sacerdoti, fin dal primo consacrato Aronne (cf. Ex 29,1 ss.), deve rispondere alle esigenze del “sacro”, che è come un alone di rispetto e di venerazione creato intorno a persone, riti e luoghi privilegiati da un rapporto speciale con Dio.

Alcuni testi della Bibbia affermano la presenza di Dio nella tenda del deserto e nel tempio di Gerusalemme (Ex 25,8 Ex 40,34-35 1S 8,10-13 Ez 43,4-5). Tuttavia nel racconto stesso della dedicazione del tempio di Salomone, viene riferita una preghiera, nella quale il re mette in dubbio questa pretesa dicendo: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruita” (2Ch 6,18). Negli Atti degli apostoli (Ac 7,48), santo Stefano esprime la stessa convinzione a proposito del tempio: “L’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo”. La ragione di ciò è spiegata da Gesù stesso nel colloquio con la Samaritana: “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Jn 4,24). Una casa materiale non può ricevere pienamente l’azione santificante dello Spirito Santo e quindi non può essere davvero “dimora di Dio”. La vera casa di Dio deve essere una “casa spirituale”. come dirà san Pietro, formata da “pietre vive”, cioè da uomini e da donne santificati interiormente dallo Spirito di Dio (cf. 1P 2,4-10).

4. Perciò Dio promise il dono dello Spirito nei cuori, nella celebre profezia di Ezechiele, dove dice: “Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro . . . io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo . . . Porrò il mio spirito dentro di voi . . .”. Il risultato di questo dono stupendo è la santità effettiva, vissuta nell’adesione sincera alla santa volontà di Dio. Grazie alla presenza intima dello Spirito Santo, i cuori saranno finalmente docili a Dio e la vita dei fedeli sarà conforme alla legge del Signore.

Dio dice: “Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,27). Lo Spirito santifica così tutta l’esistenza dell’uomo.

5. Contro lo spirito di Dio combatte lo “spirito di menzogna”, lo “spirito immondo” che soggioga uomini e popoli piegandoli all’idolatria. Nell’oracolo sulla liberazione di Gerusalemme, in prospettiva messianica, che si legge nel Libro di Zaccaria, il Signore promette di operare lui stesso la conversione del popolo, facendo sparire lo spirito immondo: “In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità. In quel giorno . . . io estirperò dal paese i nomi degli idoli . . .: anche i profeti e lo spirito immondo farò sparire dal paese . . .” (Za 13,1-2).

Lo “spirito immondo” sarà combattuto da Gesù, che parlerà, in proposito, dell’intervento dello Spirito di Dio e dirà: “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto a voi il regno di Dio” (Mt 12,28). Ai suoi discepoli, Gesù promette l’assistenza del “Consolatore”, che “convincerà il mondo . . . quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Jn 16,8-11). A sua volta Paolo parlerà dello Spirito che giustifica mediante la fede e la carità, e contrapporrà alle “opere della carne” i “frutti dello Spirito”, insegnando la nuova vita “secondo lo Spirito” (Ga 5,19): lo Spirito nuovo di cui parlavano i profeti.

6. Coloro, uomini o popoli, che seguono lo spirito che è in conflitto con Dio, “contristano” lo spirito divino. È una espressione di Isaia che abbiamo già riferita e che è opportuno riportare ancora nel suo contesto. Si trova nella meditazione del cosiddetto Trito-Isaia sulla storia di Israele: “Non un inviato né un angelo, ma egli stesso (Dio) li ha salvati con amore e compassione; li ha sollevati e portati su di sé, in tutti i giorni del passato. Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito” (Is 63,9-10). Il profeta contrappone la generosità dell’amore salvifico di Dio per il suo popolo e l’ingratitudine di questo. Nella sua descrizione antropomorfica, è conforme alla psicologia umana l’attribuzione allo spirito di Dio della tristezza causata dall’abbandono del popolo. Ma secondo il linguaggio del profeta, si può dire che il peccato del popolo contrista lo spirito di Dio specialmente perché questo spirito è santo: il peccato offende la santità divina. L’offesa è più grave perché lo spirito santo di Dio è stato non solo posto da Dio nell’intimo di Mosè suo servo, ma dato come guida al suo popolo durante l’esodo dall’Egitto, come segno e pegno della salvezza futura: “ed essi si ribellarono . . .” (Is 63,10).

Erede di questa concezione e di questo linguaggio, anche Paolo raccomanderà ai cristiani di Efeso: “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio col quale foste segnati per il giorno della redenzione”.

7. L’espressione “contristare lo Spirito Santo” dimostra bene come il popolo dell’Antico Testamento sia passato progressivamente da un concetto di santità sacrale, piuttosto esterna, al desiderio di una santità interiorizzata sotto l’influsso dello Spirito di Dio.

L’uso più frequente dell’appellativo “Spirito Santo” è un indizio di questa evoluzione. Inesistente nei libri più antichi della Bibbia, quest’appellativo s’impose a poco a poco, proprio perché suggeriva la funzione dello Spirito per la santificazione dei fedeli. Gli inni di Qumran a più riprese rendono grazie a Dio per la purificazione interiore che egli ha operato per mezzo del suo Spirito santo. Il desiderio intenso dei fedeli non era più soltanto di essere liberati dagli oppressori, come al tempo dei Giudici, ma anzitutto di poter servire il Signore “in santità e giustizia, al suo cospetto, tutti i giorni” (Lc 1,75). Per questo era necessaria l’azione santificatrice dello Spirito Santo.

A questa attesa corrisponde il messaggio evangelico. È significativo che, in tutti i quattro vangeli, la parola “santo” compaia per la prima volta in rapporto con lo Spirito, sia per parlare della nascita di Giovanni Battista e di quella di Gesù, sia per annunziare il battesimo nello Spirito Santo. Nel racconto dell’annunciazione, la Vergine Maria ascolta le parole dell’angelo Gabriele: “Lo Spirito Santo scenderà su di te . . . Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Così ha inizio la decisiva azione santificatrice dello Spirito di Dio, destinata a propagarsi a tutti gli uomini.

Ai pellegrini di lingua francese

Chers Frères et Soeurs,

Ai gruppi di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai numerosi pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo! Saluto i dilettissimi pellegrini che commemorano il 60º anniversario dell’arrivo di San Massimiliano Kolbe a Nagasaki: auspico che il messaggio di San Massimiliano trasformi sempre di più la vostra vita e il vostro Paese, sotto la protezione dell’Immacolata.

Saluto pure gli studenti dell’Università Sophia di Tokyo, del Seibo Jogakuin di Kyoto e del Yamada-Gakuen di Nagoya: vi invito ad allargare non solo il vostro sguardo verso l’Europa, ma anche la vostra attenzione e il vostro interessamento verso le nazioni in via di sviluppo. Con questi auspici vi impartisco la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi di lingua italiana

Saluto ora i rappresentanti del “Progetto famiglia. Movimento per i diritti della famiglia” che si propone di attirare l’attenzione del mondo politico sui vari problemi che riguardano la famiglia. Vi incoraggio a farvi promotori di concrete iniziative a difesa del nucleo familiare, che è la cellula di base della società e piccola chiesa domestica.

Rivolgo pure il mio benvenuto ai membri della “Confraternita san Domenico Abate” appartenente alla parrocchia di Santa Maria di Loreto, in diocesi di Sulmona, i quali celebrano il bicentenario di fondazione della medesima: vi auguro di essere sempre più generosi nelle opere caritative e nel servizio liturgico, per restare fedeli alla vostra vocazione di laici impegnati.

Sono lieto poi di accogliere alcune postulanti e religiose della Congregazione delle Minime del Sacro Cuore, presenti a Roma per un convegno di aggiornamento pastorale, e un gruppo di Piccole sorelle dei Poveri che ricordano i 150 anni del loro Istituto, sorto per accogliere ed assistere le persone anziane. Saluto altresì le suore Missionarie della Carità che sono venute qui con un gruppo di persone da loro assistite nella Casa di San Gregorio al Celio.

La vostra presenza di anime consacrate nella Chiesa e il vostro apostolato siano sempre esempio di fedeltà a Dio e di amore al prossimo, specialmente ai sofferenti.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi rivolgo ora ai Giovani, tra i quali gli studenti dell’Istituto Professionale per il Commercio di Cuneo, agli Ammalati e agli Sposi Novelli. Vorrei richiamare la vostra attenzione sulla festività della Cattedra di S. Pietro che ricorderemo domani. Questa festa si celebrava a Roma fin dal IV secolo per significare il fondamento e l’unità della dottrina che poggia sopra la roccia che è il principe degli apostoli, al quale Cristo disse “Tu sei Pietro e su questa pietra io costruirò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Per questa intenzione preghiamo il Signore: voi giovani, mettete in questa preghiera l’entusiasmo e la speranza che vi sono propri; voi malati, offrite a questo scopo le preoccupazioni, le sofferenze e le incertezze della vita; voi, sposi novelli, ampliate a orizzonti sempre più vasti la vostra vita familiare. A tutti impartisco la mia Benedizione.




Mercoledì delle Ceneri, 28 febbraio 1990

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1. Nella precedente catechesi abbiamo riportato un versetto del Salmo 51, nel quale il salmista, pentito dopo il suo grave peccato, implora la misericordia divina e chiede al Signore: “Non privarmi del tuo santo spirito” (
Ps 51,13). È il “Miserere”, salmo molto conosciuto, ripetuto spesso non solo nella liturgia, ma anche nella pietà e pratica penitenziale del popolo cristiano, perché espressivo dei sentimenti di pentimento, di fiducia e di umiltà che facilmente sorgono in un “cuore affranto e umiliato” (Ps 51,9) dopo il peccato. Il Salmo merita di essere studiato e meditato ulteriormente, sulla scia dei Padri e degli scrittori di spiritualità cristiana: esso ci offre nuovi aspetti della concezione dello “spirito divino” dell’Antico Testamento, e ci aiuta a tradurre la dottrina in pratica spirituale e ascetica.

2. Per chi ha seguito i riferimenti ai profeti, fatti nella precedente catechesi, è facile scoprire la parentela profonda del “Miserere” con quei testi, specialmente con quelli di Isaia e di Ezechiele. Il senso della presenza al cospetto di Dio nella propria condizione di peccato, che si trova nel brano penitenziale di Isaia (Is 59,12), e il senso della responsabilità personale inculcato da Ezechiele (Ez 18,1-32) sono già presenti in questo salmo, che, in un contesto di esperienza di peccato e di bisogno profondamente sentito di conversione, chiede a Dio la purificazione del cuore, unitamente a uno spirito rinnovato. L’azione dello spirito divino prende così aspetti di maggiore concretezza e di più preciso impegno in ordine alla condizione esistenziale della persona.

3. “Pietà di me, o Dio!”. Il salmista implora la divina misericordia per ottenere la purificazione dal peccato: “cancella il mio peccato, lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato!” (Ps 51,3-4). “Purificami con issopo, e sarò mondo; lavami, e sarò più bianco della neve” (Ps 51,9). Ma egli sa che il perdono di Dio non può ridursi a una pura non-imputazione dall’esterno, senza che avvenga un rinnovamento interiore: e di questo l’uomo, da solo, non è capace. Perciò chiede: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me uno spirito generoso” (Ps 51,12-14).

4. Il linguaggio del salmista è quanto mai espressivo: egli chiede una creazione, cioè l’esercizio dell’onnipotenza divina in vista di un essere nuovo. Solo Dio può creare (“barà”), cioè mettere nell’esistenza qualcosa di nuovo (cf. Gn 1,1 Ex 34,10 Is 48,7 Is 65,17 Jr 31,21-22). Solo Dio può dare un cuore puro, un cuore che abbia la piena trasparenza di un volere totalmente conforme al volere divino. Solo Dio può rinnovare l’essere intimo, cambiarlo dall’interno, rettificare il movimento fondamentale della sua vita consapevole, religiosa e morale. Solo Dio può giustificare il peccatore, secondo il linguaggio della teologia e dello stesso dogma (cf. Denz.-S. DS 1521-1522 DS 1560), che traduce in tal modo il “dare un cuore nuovo” del profeta (Ez 36,26), il “creare un cuore puro” del salmista.

5. Si chiede poi “uno spirito saldo” (Ps 51,12), ossia l’inserimento della forza di Dio nello spirito dell’uomo, liberato dalla debolezza morale sperimentata e manifestata nel peccato. Questa forza, questa saldezza, può venire solo dalla presenza operante dello spirito di Dio, e perciò il salmista implora: “Non privarmi del tuo santo spirito”. È l’unica volta che nei Salmi si trova questa espressione: lo spirito santo di Dio”. Nella Bibbia ebraica è adoperata solo nel testo di Isaia che, meditando sulla storia di Israele, lamenta la ribellione a Dio per cui “essi contristarono il suo santo spirito”, e ricorda Mosè al quale Dio “pose nell’intimo il suo santo spirito” (Is 63,10-11). Il salmista ha già la coscienza della presenza intima dello spirito di Dio come fonte permanente di santità, e perciò prega: “Non privarmene!”. L’accostamento di questa richiesta con l’altra: “Non respingermi dalla tua presenza” lascia capire la convinzione del salmista che il possesso dello spirito santo di Dio è legato alla presenza divina nel suo intimo essere. La vera disgrazia sarebbe quella di essere privato di questa presenza. Se lo spirito santo rimane in lui, l’uomo sta con Dio in un rapporto non più soltanto di “faccia a faccia”, come dinanzi a un volto da contemplare: no, egli possiede in sé una forza divina, che anima il suo comportamento.

6. Dopo aver chiesto di non essere privato dello spirito santo di Dio, il salmista chiede la restituzione della gioia. Già prima aveva fatto la stessa preghiera, quando implorava Dio per la sua purificazione, sperando di diventare “più bianco della neve”: “Fammi sentire gioia e letizia; esulteranno le ossa che hai spezzato” (Ps 51,10). Ma nel processo psicologico-riflessivo da cui nasce la preghiera, il salmista sente che, per godere pienamente di questa gioia, non basta che siano cancellate tutte le colpe: è necessaria la creazione di un cuore nuovo, con uno spirito saldo legato alla presenza dello spirito santo di Dio. Solo allora egli può chiedere: “Rendimi la gioia di essere salvato!”.

La gioia fa parte del rinnovamento incluso nella “creazione di un cuore puro”. È il risultato della nascita a una nuova vita, come Gesù spiegherà nella parabola del figlio prodigo, nella quale il padre che perdona è il primo a gioire e vuole comunicare a tutti la gioia del suo cuore.

7. Con la gioia, il salmista chiede uno “spirito generoso”, cioè uno spirito d’impegno coraggioso. Lo chiede a Colui che, secondo il Libro di Isaia, aveva promesso la salvezza per i deboli: “In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi” (Is 57,15).

È da notare che, fatta questa richiesta, il salmista aggiunge subito la dichiarazione del suo impegno con Dio in favore dei peccatori, per la loro conversione: “Insegnerò agli erranti le tue vie, e i peccatori a te ritorneranno” (Ps 51,15). È un altro elemento caratteristico del processo interiore di un cuore sincero, che ha ottenuto il perdono dei propri peccati: egli desidera ottenere lo stesso dono per gli altri, suscitando la loro conversione, e a questo scopo intende e promette di operare. Questo “spirito d’impegno” deriva in lui dalla presenza del “santo spirito di Dio”, e ne è il segno. Nell’entusiasmo della conversione e nel fervore dell’impegno, il salmista esprime a Dio la convinzione dell’efficacia della propria azione: per lui sembra certo che “i peccatori a te ritorneranno”. Ma anche qui gioca la consapevolezza della presenza operante di una potenza interiore, quella dello “Spirito Santo”.

Ha poi un valore universale la deduzione che il salmista enuncia: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi” (Ps 51,19). Profeticamente egli prevede che verrà il giorno in cui, in una Gerusalemme ricostituita, i sacrifici celebrati sull’altare del tempio secondo le prescrizioni della legge saranno graditi (cf. Ps 51,20-21). La ricostruzione delle mura di Gerusalemme sarà il segno del perdono divino, come diranno anche i profeti Isaia (Is 60,1 ss.), Geremia (Jr 30,15-18), Ezechiele (Ez 36,33). Ma rimane stabilito che ciò che più vale è quel “sacrificio dello spirito” dell’uomo che chiede umilmente perdono, mosso dallo spirito divino che, grazie al pentimento e alla preghiera, non gli è stato tolto (cf. Ps 51,13).

8. Come appare da questa succinta presentazione dei suoi temi essenziali, il salmo “Miserere” è per noi non solo un bel testo di preghiera e un’indicazione per l’ascesi del pentimento, ma anche una testimonianza sul grado di sviluppo raggiunto nell’Antico Testamento nella concezione dello “spirito divino”, con progressivo avvicinamento a quella che sarà la rivelazione dello Spirito Santo nel Nuovo Testamento.

Il salmo è dunque una grande pagina nella storia della spiritualità dell’Antico Testamento, in cammino, sia pure tra le ombre, verso la nuova Gerusalemme che sarà la sede dello Spirito Santo.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini italiani

Saluto cordialmente i gruppi delle Suore Adoratrici Ancelle del SS.mo Sacramento e delle Figlie della Carità, venute con alcune giovani Suore che si preparano alla prima professione religiosa. Care sorelle, offrite la vostra vita al Signore, che vi invita a seguirlo, e perseverate nella preghiera, nella rinuncia a voi stesse e nell’amore vicendevole, sapendo che l’efficacia del vostro apostolato dipende molto dalla vostra generosa disponibilità a compiere sino in fondo la volontà del Padre.

Ringrazio, poi, per la loro visita, gli Allievi Ufficiali di Complemento del Genio, appartenenti al 137º corso, che sono qui accompagnati dai propri ufficiali d’inquadramento. Vi esorto, cari giovani, a fare del vostro entusiasmo, del vostro vigore giovanile e del senso della disciplina una forza a difesa del bene comune, non dimenticando mai che Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Il mio cordiale benvenuto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, presenti a questo incontro, all’inizio della Quaresima.

A voi, giovani, ricordo che il diuturno allenamento spirituale della preghiera e della penitenza vi rende capaci di raggiungere i grandi ideali dell’esistenza cristiana.

Invito voi, cari ammalati, a riscoprire, in questo tempo, il volto misericordioso di Dio. Nei momenti più difficili della vostra vita, confidate nel Signore Gesù, che ha conosciuto il patire.

A voi, infine, cari sposi, affido quest’esortazione: fate del tempo quaresimale un’occasione privilegiata per rafforzare l’amore tra voi e verso il Signore, che è fonte della vita e della gioia cristiana.

Nel corso dell’udienza generale di oggi, Mercoledì delle Ceneri, il Santo Padre invita i fedeli alla conversione, con le parole di Cristo: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Queste sono le parole pronunciate dal Santo Padre.

Oggi è il mercoledì delle Ceneri. Con gesto austero ed eloquente la Chiesa impone le ceneri sul nostro capo come segno della Quaresima che oggi inauguriamo. Questo segno ricorda a ciascuno la verità espressa nelle parole del Libro della genesi: “Polvere tu sei e in polvere tornerai” (Gn 3,19). Al tempo stesso, però, la Chiesa ripete le parole che Gesù di Nazaret pronunciò all’inizio della sua missione: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

La Chiesa rivolge queste parole a tutti i credenti, anzi ad ogni uomo, perché il dono della salvezza è offerto a tutti. La potenza della redenzione di Cristo non conosce frontiere. Occorre però che il cuore si apra ad accogliere il dono del cielo. Il peccato ostacola questa apertura, perché rinchiude l’uomo nel suo egoismo, la Quaresima è il tempo favorevole per liberarsi da queste preclusioni e disporre il cuore alla gioia di un rinnovato più profondo incontro con Cristo nella luce della Pasqua.

Che ciascuno sappia profittarne!







Catechesi 79-2005 14290