Catechesi 79-2005 14390

Mercoledì, 14 marzo 1990

14390

1. L’esperienza dei profeti dell’Antico Testamento pone in evidenza particolare il legame tra la parola e lo spirito. Il profeta parla a nome di Dio e grazie allo Spirito. La stessa Scrittura è parola che viene dallo Spirito, sua registrazione di durata perenne. Essa è santa (“sacra”) a motivo dello Spirito, che, mediante la Parola detta o scritta, esercita la sua efficacia.

Anche in alcuni che non sono profeti, l’intervento dello spirito suscita la parola. Così nel primo Libro delle Cronache, dove è ricordata l’adesione a Davide dei “prodi”, che ne riconobbero la regalità, si legge che “lo spirito invase Amasai, capo dei trenta (prodi)”, e gli fece rivolgere a Davide le parole: “Siamo tuoi . . . Pace, pace a te, pace a chi ti aiuta, perché il tuo Dio ti aiuta”. E “Davide li accolse e li costituì capi di schiere” (
1Ch 12,19). Più drammatico un altro caso, raccontato nel secondo Libro delle Cronache e che sarà ricordato da Gesù. Esso si verifica in un periodo di decadenza del culto nel tempio e di cedimento alle tentazioni dell’idolatria in Israele. Essendo rimasti inascoltati i profeti mandati da Dio agli israeliti perché tornassero a lui, “allora lo spirito di Dio investì Zaccaria, figlio del sacerdote Ioiada, che si alzò in mezzo al popolo e disse: “Dio dice: Perché trasgredite i comandi del Signore? Per questo non avete successo; poiché avete abbandonato il Signore, anch’egli vi abbandona”. Ma congiurarono contro di lui e per ordine del re lo lapidarono nel cortile del tempio” (2Ch 24,20-21). Sono manifestazioni significative della connessione tra spirito e parola, presente nella mentalità e nel linguaggio di Israele.

2. Altro legame analogo è quello tra spirito e sapienza. Esso appare nel Libro di Daniele, sulla bocca del re Nabucodonosor il quale, nel raccontare il sogno fatto e la spiegazione avutane da Daniele, riconosce il profeta come “un uomo nel quale è lo spirito degli dèi santi” (Da 4,5): ossia l’ispirazione divina, che anche il faraone a suo tempo riconobbe in Giuseppe per la saggezza dei suoi consigli. Nel suo linguaggio pagano il re di Babilonia parla ripetutamente di “spirito degli dèi santi”, mentre alla fine del suo racconto parlerà di “Re del cielo” (Da 4,34), al singolare. Ad ogni modo, riconosce che uno spirito divino si manifesta in Daniele, come dirà anche il re Baldassar: “Ho inteso dire che tu possiedi lo spirito degli dèi santi e che si trova in te luce, intelligenza e sapienza straordinaria”. E l’autore del Libro sottolinea che “Daniele era superiore agli altri governatori e ai satrapi, perché possedeva uno spirito eccezionale, tanto che il re pensava di metterlo a capo di tutto il suo regno” (Da 5,14 Da 6,3).

Come si vede, la “sapienza straordinaria” e lo “spirito eccezionale” vengono attribuiti giustamente a Daniele, testimoniando la connessione di queste qualità nel giudaismo del II secolo a.C., quando il Libro viene scritto per sostenere la fede e la speranza dei giudei perseguitati da Antioco Epifane.

3. Nel Libro della Sapienza, testo redatto quasi alla soglia del Nuovo Testamento, cioè secondo alcuni autori recenti, nella seconda metà del I secolo a.C., in ambiente ellenistico, il legame tra la sapienza e lo spirito viene talmente sottolineato che se ne ha quasi una identificazione. Fin da principio vi si legge che “la sapienza è uno spirito amico degli uomini”. Esso si manifesta e si comunica in forza di un amore fondamentale verso l’umanità. Ma questo spirito amico non è cieco e non tollera il male, anche segreto, negli uomini. “La sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato. Il santo spirito che ammaestra rifugge dalla finzione, se ne sta lontano dai discorsi insensati . . . Non lascerà impunito chi insulta con le labbra, perché Dio è testimone dei suoi sentimenti e osservatore verace del suo cuore, e ascolta le parole della sua bocca” (Sg 1,4 Sg 1,6).

Lo spirito del Signore è dunque uno spirito santo, che vuole comunicare la sua santità, ed esercita una funzione educatrice: “Il santo spirito che ammaestra”. Esso si oppone all’ingiustizia. Non è un limite al suo amore, ma un’esigenza di questo amore. Nella lotta contro il male, si oppone a tutte le iniquità, senza mai lasciarsi ingannare, perché non gli sfugge nulla, “neppure una parola segreta”. Lo spirito infatti “riempie l’universo”: è onnipresente. “E, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce” (Sg 1,11 Sg 1,7). L’effetto della sua onnipresenza è la conoscenza di tutte le cose, anche segrete.

Essendo uno “spirito amico degli uomini”, non intende solamente sorvegliare gli uomini, ma riempirli della sua vita e della sua santità. “Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza . . .” (Sg 1,13-14). L’affermazione di questa positività della creazione, in cui si riflette il concetto biblico di Dio come “colui che è” e come creatore di tutto l’universo, dà un fondamento religioso alla concezione filosofica e all’etica dei rapporti con le cose; soprattutto avvia un discorso sulla sorte finale dell’uomo, che nessuna filosofia avrebbe potuto sostenere senza l’appoggio della rivelazione divina. San Paolo dirà poi che, se la morte è stata introdotta per il peccato dell’uomo, Cristo è venuto come nuovo Adamo per redimere l’uomo dal peccato e liberarlo dalla morte. L’apostolo aggiungerà che Cristo ha portato una nuova vita nello Spirito Santo, dando il nome e, anzi, rivelando la missione della Persona divina avvolta di mistero nelle pagine del Libro della Sapienza.

4. Il re Salomone, che con un espediente letterario viene presentato come autore di questo Libro, a un certo momento si rivolge ai suoi colleghi: “Ascoltate, o re . . .”, per invitarli ad accogliere la sapienza, segreto e norma della regalità, e per spiegare “che cos’è la sapienza . . .”. Egli ne fa l’elogio, con una lunga enumerazione delle caratteristiche dello spirito divino, che attribuisce alla sapienza, quasi personificandola; “In essa c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice . . .” (Sg 6,1 Sg 6,22-23). Sono ben ventuno gli attributi qualificativi (3 x 7), consistenti in vocaboli presi in parte dalla filosofia greca e in parte dalla Bibbia. Ecco i più significativi.

È uno spirito “intelligente”, cioè non un impulso cieco, ma un dinamismo guidato dalla conoscenza della verità; è uno spirito “santo”, perché vuole non solo illuminare gli uomini, ma santificarli; è “unico e molteplice”, così da poter penetrare dappertutto; è “sottile”, e pervade tutti gli spiriti: la sua azione è dunque essenzialmente interiore, come la sua presenza; è “onnipotente e onniveggente”, ma non costituisce una potenza tirannica o distruttrice, perché è “benefico e amico degli uomini”, vuole il loro bene e tende a “formare amici di Dio”. L’amore sorregge e dirige l’esercizio della sua potenza.

La sapienza ha dunque le qualità e svolge le funzioni tradizionalmente attribuite allo spirito divino: “spirito di sapienza e di intelligenza . . . ecc.” (Is 11,2-3), perché con esso si identifica nel fondo misterioso della realtà divina.

5. Tra le funzioni dello Spirito-Sapienza vi è quella di far conoscere la volontà divina: “Chi ha conosciuto la tua volontà, se tu non hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall’alto?”. L’uomo, da solo, non è capace di conoscere la volontà divina: “Quale uomo può conoscere il volere di Dio?”. Per mezzo del suo santo spirito, Dio fa conoscere la propria volontà, il suo disegno sulla vita umana, ben più profondamente e sicuramente che con la sola promulgazione di una legge in formule del linguaggio umano. Agendo dall’interno col dono dello Spirito Santo, Dio permette di “raddrizzare i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito; essi furono salvati per mezzo della sapienza”. E a questo punto l’autore descrive in dieci capitoli l’opera dello Spirito-Sapienza nella storia, da Adamo a Mosè, all’alleanza con Israele, alla liberazione, alla cura continua del popolo di Dio . . . E conclude: “In tutti i modi, o Signore, hai magnificato e reso glorioso il tuo popolo e non l’hai trascurato, assistendolo in ogni tempo e in ogni luogo . . .” (Sg 9,17 Sg 9,13 Sg 9,18 Sg 19,22).

6. In questa rievocazione storico-sapienziale emerge un passo dove l’autore ricorda, parlando al Signore, il suo spirito onnipresente che ama e protegge la vita dell’uomo. Ciò vale anche per i nemici del popolo di Dio e, in generale, per gli empi, i peccatori. Anche in loro vi è lo spirito divino di amore e di vita: “Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose” (Sg 11,26 Sg 12,1).

“Tu risparmi . . .”. I nemici di Israele avrebbero potuto essere castigati in modo ben più terribile di quanto è avvenuto. Avrebbero potuto essere “dispersi dallo spirito della tua potenza. Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso”. Il Libro della Sapienza esalta la “moderazione” di Dio e ne dà la ragione: lo spirito di Dio non agisce solo come soffio potente, capace di distruggere i colpevoli, ma come spirito di sapienza che vuole la vita e con ciò rivela il suo amore. “Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi, se tu non l’avessi chiamata all’esistenza?” (Sg 11,20 Sg 11,23-25).

7. Siamo al vertice della filosofia religiosa non solo di Israele, ma di tutti i popoli antichi. La tradizione biblica, già espressa nella Genesi, qui offre una risposta alle grosse questioni non risolte nemmeno dalla cultura ellenica.

Qui la misericordia di Dio si salda con la verità della sua creazione di tutte le cose: l’universalità della creazione comporta l’universalità della misericordia. E tutto in forza dell’amore eterno, con cui Dio ama tutte le sue creature: amore in cui noi ora riconosciamo la persona dello Spirito Santo.

Il Libro della Sapienza già ci fa intravedere questo Spirito-Amore che, come la Sapienza, prende i lineamenti di una persona, con le seguenti caratteristiche: spirito che conosce tutto e che fa conoscere agli uomini i disegni divini; spirito che non può accettare il male; spirito che, per il tramite della sapienza, vuole condurre tutti alla salvezza; spirito di amore che vuole la vita; spirito che riempie l’universo della sua benefica presenza.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli e ai visitatori di lingua inglese

A un gruppo di fedeli giapponesi

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai numerosi gruppi di pellegrini italiani

Accolgo con gioia i fedeli della Diocesi di Cremona che, in preparazione al loro XIV Sinodo diocesano, hanno voluto incontrare il Successore di Pietro: saluto pure i rappresentanti dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, venuti a Roma per l’annuale pellegrinaggio presso il Centro della Cristianità. Cari fratelli e sorelle, sappiate trarre da questo soggiorno romano incoraggiamento e stimolo a proseguire nella fedeltà al Vangelo e siate sempre disponibili a servire con impegno la Chiesa.

Rivolgo poi un cordiale benvenuto al gruppo degli ingegneri milanesi dell’Associazione laicale della Fraternità di Comunione e Liberazione, ai sacristi ed addetti al Culto bergamaschi dell’Associazione diocesana “San Guido”, con le loro famiglie, ed ai membri del “Lions” di Molfetta e Bitonto: vi esorto tutti a perseverare nella preziosa testimonianza di laici cristiani nei vari ambienti di lavoro, comunicando a coloro che incontrerete la gioia della vostra fede.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto, come di consueto, i giovani, i malati, gli sposi novelli, presenti a questa udienza. Ricordo a tutti la necessità dell’impegno ascetico che comporta, specialmente in questo tempo di Quaresima, uno sforzo generoso e costante per crescere nella virtù e nella perfezione cristiana. Sia dunque tale ascesi il segno distintivo di voi, giovani, che siete forti e avete vinto il maligno, secondo l’espressione dell’Evangelista Giovanni. Avvalorate con l’ascesi la vostra sofferenza, cari malati, a cui si chiede tanta pazienza per trasformare ogni pena in gesto d’amore per la salvezza dell’umanità. Sia, infine, l’ascesi un prezioso programma di vita per voi sposi, perché nelle vostre famiglie ogni scelta vi conduca ad una serena condotta cristiana. A tutti la mia Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 21 marzo 1990

21390

1. Non sarebbe completa l’analisi degli accenni allo Spirito Santo, che si possono cogliere in vari libri dell’Antico Testamento, sia pure in termini non ancora ben precisi per ciò che riguarda la sua persona divina, se non dedicassimo qualche considerazione a un testo di Isaia (Deutero-Isaia), nel quale è affermato il rapporto tra lo spirito divino e il “Servo di Jahvè”. Nella figura di questo Servo si riassumono le varie forme di azione - profetica, messianica, santificatrice - che abbiamo illustrato nelle catechesi precedenti.

Il rapporto è affermato nel versetto col quale ha inizio il primo dei quattro cosiddetti “canti del Servo del Signore”, carichi di lirismo e vibranti di profezia. Esso dice: “Ecco il mio Servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui” (
Is 42,1). Fin da principio, dunque, viene affermato che la missione del servo è opera dello spirito di Dio che è stato posto in lui. Come per i capi carismatici del popolo nei tempi antichi, i Giudici, e come per i primi re, Saul e Davide, l’elezione del Servo è accompagnata da un’effusione dello Spirito, sicché si può osservare un rapporto tra quanto viene detto del Servo del Signore e quanto aveva predetto Isaia del “germoglio” che doveva “spuntare dal tronco di Iesse”, cioè dalla stirpe di Davide: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore: spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is 11,2). Nel canto citato vi è una novità, che consiste nell’attribuire al personaggio annunciato la qualità di Servo. Essa non elimina la qualità di re tradizionalmente riconosciuta al Messia, ma senza dubbio svela un nuovo orientamento della speranza messianica, che avviene sotto l’influsso dello Spirito.

2. Subito dopo aver detto del Servo: “Ho posto il mio spirito su di lui”, Dio dichiara: “Egli porterà il diritto (“giudizio”) alle nazioni” (Is 42,1). È un testo di grande importanza. Evidentemente il Servo è presentato come un profeta, eletto e predestinato da Dio, animato dal suo spirito, investito di una missione, che è di “proclamare il diritto con fermezza”, senza perdersi d’animo malgrado le opposizioni. Tuttavia questa fermezza non sarà durezza. Anzi, sotto la spinta e la guida dello spirito, il Servo-profeta avrà un comportamento di mitezza (“Non griderà né alzerà il tono”) e di indulgenza misericordiosa: “Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,1-3). Il profeta Geremia aveva ricevuto la missione di “sradicare e demolire, distruggere e abbattere” (Jr 1,10). Niente di simile nella missione del Servo del Signore, mite e umile di cuore.

Alla mitezza viene unito un atteggiamento di apertura universale. Il Servo del Signore annuncerà la giustizia a tutte le nazioni e diffonderà la sua dottrina fino alle “isole”, cioè fino ai paesi più lontani. Infatti, nel secondo canto, il Servo interpella tutte le genti, dicendo: “Ascoltatemi, o isole; udite attentamente nazioni lontane” e Dio riafferma la dimensione universale della missione affidatagli: “è troppo poco che tu sia mio Servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,1-6). Tale universalità va ben oltre quella del messaggio degli altri profeti.

Tanto più che nella figura del Servo vi è qualcosa di trascendente, che consente di identificarlo con la sua missione. Egli viene proclamato “alleanza del popolo” e “luce delle nazioni” nella propria persona. Dio gli dice: “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni” (Is 49,6). Nessun semplice profeta avrebbe potuto presumere tanto.

3. La figura del Servo delineata nel poema di Isaia non è solo profetica, ma anche messianica. Se la sua missione è quella di “stabilire il diritto sulla terra” (Is 42,4), questo compito appartiene a un re. Il profeta annunzia la giustizia; il re deve stabilire questa giustizia. Secondo il Salmo (Ps 71,1-2), nel quale la tradizione giudaica e cristiana ha visto ritratto il re messianico predetto dai profeti, questa è la funzione essenziale del re, che viene implorata da Dio: “Dio, da’ al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia; regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine”. E lo stesso Isaia, nel suo oracolo sul re davidico sul quale “si poserà lo spirito del Signore”, asseriva di lui: “giudicherà con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese” (Is 11,4).

Il Servo sul quale “Dio ha posto il suo spirito”, secondo il canto, ha la missione che compete al re messianico: liberare il popolo. Egli stesso è stato stabilito “come alleanza del popolo e luce delle nazioni”, per aprire gli occhi ai ciechi, far uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. Questa missione, che è propria di un principe e re, nel caso del Messia è compiuta con la forza del Signore, come il Servo proclama nel suo secondo canto: “Dio è stato mia forza”, e nel terzo: “Il Signore mi assiste, per questo non resto confuso” (Is 49,5 Is 50,7). Questa forza operatrice nella missione regale del Servo è lo spirito divino, che Isaia, in un oracolo messianico, mette in stretto rapporto con la “giustizia” da rendere ai miseri e agli oppressi: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore . . . Giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese . . .” (Is 11,2-4).

4. Nel primo e nel secondo canto del Servo, Dio parla della “salvezza” e della “giustizia”. Nel terzo e nel quarto canto, il concetto di “salvezza” è completato con aspetti nuovi, particolarmente significativi in ordine alla futura passione di Cristo. Prima di tutto si nota che la mitezza, che caratterizza la missione del Servo, si manifesta con la sua docilità a Dio e la sua pazienza di fronte ai persecutori: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio: non mi sono tirato indietro; ho presentato il dorso ai flagellatori” (Is 50,5-6). “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca, era come un agnello condotto al macello” (Is 53,7). Bastano questi due testi per illuminarci sulla perfetta disponibilità nell’oblazione di sé, a cui lo Spirito divino doveva portare il Servo-Messia sulla via della mitezza. Quando Giovanni Battista indicava Gesù alla folla come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Jn 1,29), forse faceva eco al quarto canto del Servo di Jahvè.

5. Ma in questo canto vi è ben di più. La missione del Servo vi appare in luce nuova: “Portare il peccato di molti e intercedere per i peccatori” (Is 53,12). La prospettiva già delineata da Isaia: “Giudicare con giustizia i poveri e prendere decisioni eque per gli oppressi del paese” (Is 11,4), viene qui trasformata in un’opera di “giustificazione” o santificazione mediante il sacrificio: “Il giusto mio Servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità” (Is 52,13). Fino a tanto il Servo sarà portato dallo spirito in lui presente, che, come abbiamo visto, è spirito di “santità”.

E ancora: il trionfo definitivo del Servo viene annunciato all’inizio del quarto canto: “Il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente”, e poi alla fine: “Io gli darò in premio le moltitudini . . .” (Is 52,13 Is 53,12). Ma questo trionfo, che nella profezia come nella storia garantisce il compimento della speranza messianica, si verificherà su di una via sorprendente per chi sognava un avvento trionfale del re messianico: la via del dolore e, come sappiamo, della croce.

6. Da tutto il quarto canto vediamo infatti emergere la figura di un Servo che è “uomo dei dolori”, immerso in un mare di sofferenza fisica e morale, in ragione di un misterioso disegno di Dio, che tende alla glorificazione dello stesso Servo. Il Servo del Signore “è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5). Questa è la via che era stato chiamato a percorrere l’eletto, sul quale si era posto lo Spirito del Signore.

Siamo al paradosso della croce, che appare così in contrasto con le attese di un messianismo trionfalistico, come pure con le pretese di una intelligenza avida di dimostrazioni razionali. San Paolo non esita a definirla: “Scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”. Ma, essendo opera di Dio, è necessario lo Spirito di Dio per capirne il valore. Perciò l’apostolo proclama: “I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (2Co 2,11-12).

Ai giovani

Saluto tutti voi, giovani, ragazzi e ragazze, che siete venuti così numerosi a questo incontro, proprio nel giorno in cui inizia la primavera. Come la natura che in questi giorni si ridesta e comincia a fiorire, così anche voi, che costituite la primavera della Chiesa e dell’Umanità, aprite il vostro spirito a Cristo, il Vivente, perché Egli possa fare delle vostre persone altrettanti testimoni del suo Vangelo di gioia e di salvezza. Il suo Vangelo, infatti, è sempre attuale e sempre giovane. Come già un giorno fece con i primi discepoli, Gesù continua a chiamare anche voi, cari ragazzi; accogliete il suo invito come un dono prezioso e ponete la sua parola a fondamento di ogni vostro progetto di vita. Sarete, così, sempre pieni di ottimismo e di entusiasmo, perché il Signore non vi farà mancare la sua forza e la sua luce.

Agli ammalati

A voi, cari ammalati, un saluto particolare, mentre vi esorto a riascoltare ancora il richiamo della speranza che scaturisce pure dall’incipiente primavera. Talora l’esistenza sembra pesante ed i momenti della prova difficili da superare. La primavera, stagione della Risurrezione, vi ricorda però che la vita può rinascere e difatti rinasce. Il Signore vi conceda di comprendere che la sofferenza, pur difficile e dura da accettare, è la porta misteriosa che introduce nella pienezza della Vita. Vi accompagni nei vostri propositi di bene e nelle vostre aspirazioni più profonde l’aiuto materno di Maria, Consolatrice degli afflitti. Su tutti impartisco la mia Apostolica Benedizione.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese

A un gruppo proveniente dal Giappone

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua castigliana

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


A gruppi italiani

Accolgo con gioia i componenti del Coro “Monte Orsaro” di Parma ed i membri del “Lions Club” di Castel San Giovanni e della Valle Tidone, venuti per manifestare la loro fede e il loro attaccamento alla Chiesa. Carissimi, attraverso la musica e le vostre diverse attività, voi cercate di mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo nel concreto servizio del prossimo. Vi sostenga nel vostro apostolato la grazia del Signore.

Un caloroso benvenuto al gruppo di Cerignolani giunti in pellegrinaggio da Torino per far benedire la venerata Icona di Maria Ss.ma di Ripalda, protettrice della Città di Cerignola e patrona dei Pugliesi in Piemonte. La Vergine Madre di Dio, della quale siete così devoti, benedica i vostri buoni propositi e vi mantenga sotto la sua costante protezione.

Rivolgo pure un particolare saluto al Comandante, agli Ufficiali e agli Allievi della Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto e ai professori e agli studenti della Scuola Internazionale Americana “Notre Dame” a Roma. Cari Giovani, coltivate sempre in voi i grandi ideali cristiani e crescete ogni giorno, sia nella scuola come nella vita militare, soprattutto nell’amore per la verità e nell’impegno per il bene.

Agli sposi novelli

Incoraggio, infine, voi, sposi novelli, a costruire il vostro futuro sul solido fondamento della Fede. Come casa saldamente fondata sulla roccia, potrà, allora, la vostra famiglia resistere a tutte le prove della vita, perseverare nella fedeltà e crescere nell’amore.

Le discriminazioni razziali vanno respinte fermamente, “nella profonda consapevolezza della comune filiazione divina di ogni persona e di ogni razza e, quindi, della nostra radicale fratellanza in Cristo”. Lo afferma Giovanni Paolo II ricordando durante l’udienza generale la Giornata contro la discriminazione razziale, indetta dalle Nazioni Unite. Il Santo Padre auspica per il Sud Africa “che la via del dialogo tra i legittimi rappresentanti delle diverse parti in causa sia percorsa senza violenze fino in fondo” e rivolge il suo saluto e il suo augurio al popolo della Namibia, Paese che dopo lungo tempo di attesa, giunge ora all’indipendenza. Queste sono le parole pronunciate dal Santo Padre.

Oggi la comunità internazionale celebra la Giornata contro la discriminazione razziale, indetta dalle Nazioni Unite. Tale iniziativa ci invita a riflettere sul principio che la discriminazione razziale è inaccettabile, ovunque. È motivo di apprensione osservare come in vari Paesi del mondo si manifesti una recrudescenza di penosi, seppur isolati, episodi a sfondo razzista. Simili manifestazioni vanno respinte fermamente, nella profonda consapevolezza della comune filiazione divina di ogni persona e di ogni razza e, quindi, della nostra radicale fratellanza in Cristo.

Quest’anno la ricorrenza merita di essere sottolineata in special modo, perché dal Sud Africa sono venute recentemente notizie confortanti, che fanno ben sperare per il superamento delle ingiustizie e delle tensioni razziali, da troppo tempo causa di dolorosi conflitti e di gravi sofferenze in quel Paese. Auspico che la via del dialogo tra tutti i legittimi rappresentanti delle diverse parti in causa sia percorsa senza violenze fino in fondo, per garantire un futuro in cui ogni cittadino possa contribuire con uguale dignità alla realizzazione del bene comune.

La celebrazione della Giornata contro la discriminazione razziale coincide, poi, felicemente con quella fissata per l’indipendenza della Namibia, un Paese che da lungo tempo attendeva di acquistare la propria completa autonomia: al suo popolo e ai suoi nuovi dirigenti vanno il mio saluto e il mio augurio di prosperità materiale e spirituale. Su tutti gli abitanti della Namibia invoco le più abbondanti benedizioni del Signore!




Mercoledì, 28 marzo 1990

28390

1. Nelle precedenti catechesi abbiamo potuto rilevare come da tutta la tradizione veterotestamentaria affiorino riferimenti, accenni, allusioni alla realtà dello Spirito divino, che appaiono quasi un preludio alla rivelazione dello Spirito Santo come persona quale si avrà nel Nuovo Testamento. In realtà, noi sappiamo che Dio ispirava e guidava gli autori sacri di Israele, preparando la rivelazione definitiva che sarebbe stata compiuta da Cristo e che da lui sarebbe stata consegnata agli apostoli perché la predicassero e diffondessero in tutto il mondo.

Nell’Antico Testamento vi è, dunque, una rivelazione iniziale e progressiva, riguardante non solo lo Spirito Santo, ma anche il Messia-Figlio di Dio, la sua azione redentrice e il suo regno. Questa rivelazione fa apparire una distinzione tra Dio Padre, l’eterna Sapienza da lui procedente e lo Spirito potente e benigno, con cui Dio opera nel mondo fin dalla creazione e conduce la storia secondo il suo disegno di salvezza.

2. Senza dubbio non si trattava ancora di una chiara manifestazione del mistero divino. Ma era pur sempre una sorta di propedeutica alla futura rivelazione, che Dio stesso andava svolgendo nella fase dell’antica alleanza mediante “la Legge e i Profeti” (
Mt 22,40 Jn 1,45) e la stessa storia di Israele, poiché “omnia in figura contingebant illis”: tutto, in quella storia aveva valore figurativo e preparatorio del futuro (1Co 10,11 1P 3,21 He 9,24). Di fatto, sulle soglie del Nuovo Testamento troviamo alcune persone quali Giuseppe, Zaccaria, Elisabetta, Anna, Simeone, e soprattutto Maria che - grazie all’interiore illuminazione dello Spirito - sanno scoprire il vero senso dell’avvento di Cristo nel mondo.

Il riferimento che, per questi piissimi rappresentanti dell’antica alleanza, gli evangelisti Luca e Matteo fanno allo Spirito Santo, è la documentazione di un legame e, possiamo dire, di un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, riconosciuto poi pienamente alla luce della rivelazione di Cristo e dopo l’esperienza della Pentecoste. Rimane significativo il fatto che gli apostoli e gli evangelisti impiegano il termine “Spirito Santo” per parlare dell’intervento di Dio sia nell’incarnazione del Verbo che nella nascita della Chiesa il giorno di Pentecoste. Merita rilevare che in tutti e due i momenti, al centro del quadro descritto da Luca, vi è Maria, vergine e madre, che concepisce Gesù per opera dello Spirito Santo, e con gli apostoli e gli altri primi membri della Chiesa permane in preghiera nell’attesa del medesimo Spirito.

3. Gesù stesso illustra il ruolo dello Spirito quando chiarisce ai discepoli che solo col suo aiuto sarà loro possibile penetrare a fondo nel mistero della sua persona e della sua missione: “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera . . . Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà” (Jn 16,13-14). È, dunque, lo Spirito Santo che fa cogliere la grandezza di Cristo, e così “glorifica” il Salvatore. Ma è ancora lo stesso Spirito che fa scoprire il proprio ruolo nella vita e nella missione di Gesù.

È un punto di grande interesse, sul quale desidero attirare la vostra attenzione con questa nuova serie di catechesi. Se in antecedenza abbiamo illustrato le meraviglie dello Spirito Santo annunciate da Gesù e verificate nella Pentecoste e nel primo cammino della Chiesa nella storia, è giunto il tempo di sottolineare che la prima e suprema meraviglia compiuta dallo Spirito Santo è il Cristo stesso. È verso questa meraviglia che vogliamo rivolgere ora il nostro sguardo.

4. In realtà, abbiamo già riflettuto sulla persona, la vita e la missione di Cristo nelle catechesi cristologiche: ma ora possiamo rifare sinteticamente quel discorso in chiave pneumatologica, cioè alla luce dell’opera compiuta dallo Spirito Santo nel Figlio di Dio fatto uomo. Trattandosi del “Figlio di Dio”, nell’insegnamento catechetico si parla di lui dopo aver considerato “Dio-Padre”, e prima di parlare dello Spirito Santo, che “procede dal Padre e dal Figlio”. Per questo la Cristologia precede la Pneumatologia. Ed è giusto che sia così, perché anche sotto l’aspetto cronologico, la rivelazione di Cristo nel nostro mondo è avvenuta prima dell’effusione dello Spirito Santo, che ha formato la Chiesa il giorno della Pentecoste. Anzi, tale effusione è stata il frutto dell’offerta redentrice di Cristo e la manifestazione del potere acquisito dal Figlio ormai assiso alla destra del Padre.

5. E tuttavia sembra imporsi - come fanno giustamente osservare gli Orientali - un’integrazione pneumatologica della Cristologia, per il fatto che lo Spirito Santo si trova all’origine stessa di Cristo come Verbo incarnato venuto nel mondo “per opera dello Spirito Santo”, come dice il Simbolo.

Vi è stata una sua presenza decisiva nel compimento del mistero dell’Incarnazione, al punto che, se vogliamo cogliere ed enunciare più completamente questo mistero, non ci basta dire che il Verbo si è fatto carne: bisogna ancora sottolineare - come avviene nel Credo - il ruolo dello Spirito nella formazione dell’umanità del Figlio di Dio nel grembo verginale di Maria. Di questo parleremo. E successivamente cercheremo di seguire l’azione dello Spirito Santo nella vita e nella missione di Cristo: nella sua infanzia, nell’inaugurazione della vita pubblica mediante il battesimo, nel soggiorno nel deserto, nella preghiera, nella predicazione, nel sacrificio e, infine, nella risurrezione.

6. Dall’esame dei testi evangelici emerge una verità essenziale: non si può comprendere ciò che è stato Cristo, e ciò che egli è per noi, indipendentemente dallo Spirito Santo. Ciò significa che non solo la luce dello Spirito Santo è necessaria per penetrare nel mistero di Cristo, ma che si deve tener conto dell’influsso dello Spirito Santo nell’Incarnazione del Verbo e in tutta la vita di Cristo per spiegare il Gesù del Vangelo. Lo Spirito Santo ha lasciato l’impronta della propria personalità divina sul volto di Cristo. Perciò, ogni approfondimento della conoscenza di Cristo richiede anche un approfondimento della conoscenza dello Spirito Santo. “Sapere chi è Cristo” e “sapere chi è lo Spirito” sono due esigenze indissolubilmente legate, che si implicano a vicenda.

Possiamo aggiungere che anche la relazione del cristiano con Cristo è solidale con la sua relazione con lo Spirito. Lo fa capire la Lettera agli Efesini (cf. Ep 3,16-19) quando augura ai credenti di essere “potentemente rafforzati” dallo Spirito del Padre nell’uomo interiore, per essere in grado di “conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. Ciò significa che per giungere a Cristo nella conoscenza e nell’amore - come avviene nella vera sapienza cristiana - abbiamo bisogno dell’ispirazione e della guida dello Spirito Santo, maestro interiore di verità e di vita.

Ad un pellegrinaggio proveniente dalla Francia

A numerosi pellegrini di espressione inglese

Ad alcuni pellegrini di espressione tedesca

Ad un gruppo di cattolici giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini provenienti da Tokyo, Nagasaki, Hiroshima e da ogni altra parte del Giappone.

Sono molto lieto che nella Chiesa giapponese si è iniziato il cosiddetto movimento “ Nice ”.

Ora, carissimi cattolici giapponesi, come gli Apostoli hanno potuto diffondere il regno di Dio con l’aiuto e la presenza della Madonna, così dovrete fare anche voi: pregare e lavorare strettamente uniti alla Madre di Dio.

Con questo auspicio vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli dell’America Latina e della Spagna

A gruppi di lingua portoghese


Ai connazionali polacchi


Ai diversi gruppi di lingua italiana

Accolgo con gioia e saluto i numerosi delegati della Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo (FAIAT), riuniti in assemblea per ricordare il 40º anniversario della loro fondazione. Cari fratelli, vi ringrazio per la vostra visita e vi invito a far sì che la vostra attività professionale e sociale sia sempre vivificata dal calore dell’accoglienza umana e cristiana, memore dell’insegnamento di Gesù, il quale ha affermato che quanto viene fatto al prossimo è fatto a Lui stesso.

Do pure il mio cordiale benvenuto ad un gruppo di medici impegnati nel servizio dei più poveri e nell’attività missionaria. Possa la vostra opera contribuire alla crescita del Regno di Dio nel mondo e testimoniare costantemente, attraverso la cura amorosa dei sofferenti, la speranza che vi rende gioiosi testimoni del Vangelo di Cristo.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo a voi, giovani, ragazzi e ragazze il mio saluto particolarmente affettuoso. La vostra presenza all’Udienza Generale è segno di fede e di testimonianza cristiana e io sono profondamente lieto di incontrarvi e rivolgervi una parola di esortazione. Mentre insieme percorriamo il cammino quaresimale verso la Pasqua, vi ricordo il messaggio spirituale che la Liturgia odierna ci affida: “Chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna” (Jn 5,24), ed ancora: “Paziente e misericordioso è il Signore, buono verso tutti; la sua tenerezza si espande su tutte le creature! Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero!” (Ps 145,8-9 Ps 145,18). Cari giovani, ricordate che la vostra giovinezza ha bisogno di nutrirsi della parola di Dio per poter crescere in umanità e nella vita divina. Approfittate di questi giorni che ci separano dalla Giornata Mondiale della Gioventù che celebreremo la domenica delle Palme per approfondire questo appello interiore che Dio vi rivolge in modo da costruire il vostro futuro con Lui che conosce bene il vostro cuore. Confidate sempre nel Signore, seguendo gli insegnamenti di Cristo e della sua Chiesa!

E voi, cari Ammalati, abbiate fiducia nell’Amore di Dio e nella sua Provvidenza, perché Egli non dimentica nessuno (cf. Is 49,15) e in Lui ognuno trova il significato della propria vita. Anzi, quanti si abbandonano in Lui sono sorretti nella prova e scoprono anche nel mistero del dolore la divina chiamata alla gioia e alla vita. Accompagni tutti voi la mia speciale Benedizione!

A voi sposi novelli, il mio cordiale saluto. Sia sempre viva in voi la coscienza della missione di apostoli dell’Amore, affidatavi da Cristo nel sacramento del Matrimonio. Con la reciproca fedeltà e l’impegno a fare della vostra famiglia una “Chiesa domestica”, rendete visibile la tenerezza con cui Dio accoglie ogni uomo e lo circonda con la sua carità. A tutti la mia Benedizione Apostolica.




Catechesi 79-2005 14390