Catechesi 79-2005 40893

Mercoledì, 4 agosto 1993

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1. Nelle precedenti catechesi abbiamo riflettuto sulla importanza che le proposte, o consigli evangelici, della verginità e della povertà hanno nella vita sacerdotale, e sulla misura e i modi di praticarle secondo la tradizione spirituale e ascetica cristiana e secondo la legge della Chiesa. Oggi è bene ricordare che, a coloro che volevano seguirlo mentre svolgeva il suo ministero messianico, Gesù non esitò a dire che, per essere veramente suoi discepoli, bisogna “rinnegare se stessi e prendere la propria croce” (
Mt 16,24 Lc 9,23). È una grande massima di perfezione, universalmente valida per la vita cristiana come criterio definitivo circa l’eroicità che caratterizza la virtù dei santi. Essa vale soprattutto per la vita sacerdotale, nella quale prende forme più rigorose, giustificate dalla particolare vocazione e dallo speciale carisma dei ministri di Cristo.

Un primo aspetto di tale “rinnegamento di sé” si manifesta nelle rinunce connesse con l’impegno della comunione che i Sacerdoti sono chiamati ad attuare fra loro e con il Vescovo (cf. Lumen Gentium LG 28 Pastores dabo vobis PDV 74). L’istituzione del sacerdozio ministeriale è avvenuta nel quadro di una comunità e comunione sacerdotale. Gesù raccolse un primo gruppo, quello dei Dodici, chiamandoli a formare un’unità nel mutuo amore. A questa prima comunità “sacerdotale”, volle che si aggregassero dei cooperatori. Inviando in missione i settantadue discepoli, come pure i dodici Apostoli, li mandò a due a due (cf. Lc 10,1 Mc 6,7), sia per un reciproco aiuto nella vita e nel lavoro, sia perché si creasse l’abitudine dell’azione comune e nessuno agisse come fosse solo, indipendente dalla comunità-Chiesa, e dalla comunità-Apostoli.

2. Ciò viene confermato dalla riflessione sulla chiamata di Cristo che dà origine alla vita e al ministero sacerdotale di ciascuno. Ogni sacerdozio nella Chiesa ha origine da una vocazione. Questa è rivolta a una persona particolare, ma è legata alle chiamate che sono rivolte agli altri, nel contesto di un medesimo disegno di evangelizzazione e di santificazione del mondo. Come gli Apostoli, anche i Vescovi e i Sacerdoti sono chiamati insieme, pur nella molteplicità delle vocazioni personali, da Colui che vuole impegnarli tutti a fondo nel mistero della Redenzione. Questa comunità di vocazione comporta senza dubbio un’apertura degli uni agli altri e di ciascuno a tutti, per vivere e operare nella comunione.

Ciò non avviene senza rinuncia all’individualismo sempre vivo e insorgente, senza un’attuazione del “rinneghi se stesso” (Mt 16,24) nella vittoria della carità sull’egoismo. Il pensiero della comunità di vocazione, tradotta in comunione, deve tuttavia incoraggiare tutti e ciascuno al lavoro concorde, al riconoscimento della grazia concessa singolarmente e collettivamente a Vescovi e Presbiteri: grazia accordata a ciascuno non perché dovuta a meriti e qualità personali, e non solo per la santificazione personale, ma in vista della “edificazione del Corpo” (Ep 4,12 Ep 4,16).

La comunione sacerdotale si radica profondamente ancora nel sacramento dell’Ordine, nel quale il rinnegamento di se stessi diventa una partecipazione spirituale ancor più intima al sacrificio della Croce. Il sacramento dell’Ordine implica la libera risposta di ciascuno alla chiamata che gli è stata rivolta personalmente. La risposta è altrettanto personale. Ma nella consacrazione, l’azione sovrana di Cristo, operante nell’ordinazione mediante lo Spirito Santo, crea quasi una nuova personalità, trasferendo nella comunità sacerdotale, oltre la sfera della finalità individuale, mentalità, coscienza, interessi di chi riceve il sacramento. È un fatto psicologico derivante dal riconoscimento del legame ontologico di ogni Presbitero con tutti gli altri. Il sacerdozio conferito a ciascuno dovrà esercitarsi nell’ambito ontologico, psicologico e spirituale di questa comunità. Allora si avrà veramente la comunione sacerdotale. Dono dello Spirito Santo: ma anche frutto della risposta generosa del Presbitero.

In particolare, la grazia dell’Ordine stabilisce uno speciale legame tra i Vescovi e i Sacerdoti, perché è dal Vescovo che si riceve l’Ordinazione sacerdotale, è da lui che si propaga il sacerdozio, è lui che fa entrare i nuovi ordinati nella comunità sacerdotale, di cui egli stesso è membro.

3. La comunione sacerdotale suppone e comporta l’attaccamento di tutti, Vescovi e Presbiteri, alla persona di Cristo. Quando Gesù volle partecipare ai Dodici la sua missione messianica, dice il Vangelo di Marco che li chiamò e costituì “perché stessero con Lui” (cf. Mc 3,14). Nell’ultima Cena, egli si rivolse ad essi come a coloro che avevano perseverato con Lui nelle prove (cf. Lc 22,28), e raccomandò loro e chiese al Padre per loro l’unità. Rimanendo tutti uniti in Cristo, rimanevano uniti tra loro (cf. Jn 15,4-11). La coscienza di questa unità e comunione in Cristo rimase viva negli Apostoli, durante la predicazione che da Gerusalemme li portò nelle varie regioni del mondo allora conosciuto, sotto l’azione impellente e nello stesso tempo unificante dello Spirito della Pentecoste. Tale coscienza traspare dalle loro Lettere, dai Vangeli e dagli Atti.

Anche nel chiamare i nuovi Presbiteri al sacerdozio, Gesù Cristo chiede loro l’offerta della vita alla sua persona, intendendo così unirli tra loro grazie ad uno speciale rapporto di comunione con Lui. Questa è la vera fonte dell’accordo profondo della mente e del cuore che unisce i Presbiteri e i Vescovi nella comunione sacerdotale.

Questa comunione si nutre della collaborazione a una stessa opera: l’edificazione spirituale della comunità di salvezza. Certo, ogni Presbitero ha un campo personale d’attività, in cui può impegnare tutte le sue facoltà e qualità, ma tale campo rientra nel quadro dell’opera più vasta con cui ogni Chiesa locale tende a sviluppare il Regno di Cristo. L’opera è essenzialmente comunitaria, sicché ciascuno deve agire in cooperazione con gli altri operai dello stesso Regno.

Si sa quanto la volontà di lavorare a una stessa opera possa sostenere e stimolare lo sforzo comune di ciascuno. Essa crea un sentimento di solidarietà e fa accettare i sacrifici che richiede la cooperazione, nel rispetto dell’altro e con l’accoglimento della sua differenza. È importante osservare fin d’ora che questa cooperazione si articola intorno al rapporto tra il Vescovo e i Presbiteri, la subordinazione dei quali al primo è essenziale per la vita della comunità cristiana. L’opera per il Regno di Cristo può svolgersi e svilupparsi solo secondo la struttura da lui stesso stabilita.

4. Ora mi è caro sottolineare il ruolo che in questa comunione ha l’Eucaristia. Nell’ultima Cena, Gesù ha voluto instaurare – nella maniera più completa – l’unità del gruppo degli Apostoli, ai quali per primi affidava il ministero sacerdotale. Di fronte alle loro dispute per il primo posto, Egli, con la lavanda dei piedi (cf. Jn 13,2-15), dà l’esempio dell’umile servizio che risolve i conflitti suscitati dall’ambizione, e insegna ai suoi primi Sacerdoti a cercare l’ultimo posto piuttosto che il primo. Sempre durante la Cena, Gesù enuncia il precetto del mutuo amore (cf. Jn 13,34 Jn 15,12), e apre la fonte della forza di osservarlo: da soli, infatti, gli Apostoli non sarebbero stati capaci di amarsi gli uni gli altri come il Maestro li aveva amati; ma con la comunione eucaristica essi ricevono la capacità di vivere la comunione ecclesiale e, in questa, la loro specifica comunione sacerdotale. Offrendo loro, col sacramento, questa superiore capacità d’amore, Gesù poteva rivolgere al Padre una supplica audace, quella di realizzare nei suoi discepoli una unità simile a quella che regna tra il Padre e il Figlio (Jn 17,21-23). Nella Cena, infine, Gesù investe solidalmente gli Apostoli della missione e del potere di fare l’Eucaristia in sua memoria approfondendo così ancor più il legame che li univa. La comunione del potere di celebrare l’unica Eucaristia non poteva non essere per gli Apostoli – e per i loro successori e collaboratori – segno e sorgente di unità.

5. È significativo che, nella preghiera sacerdotale dell’ultima Cena, Gesù preghi non solamente per la consacrazione (dei suoi Apostoli) nella verità (cf. Jn 17,17), ma per la loro unità, rispecchiante la stessa comunione delle divine Persone (cf. Jn 17,11). Quella preghiera, pur riguardando prima di tutto gli Apostoli che Gesù ha voluto particolarmente riunire intorno a sé, si estende anche ai Vescovi e ai Presbiteri, oltre che ai credenti, di tutti i tempi. Gesù chiede che la comunità sacerdotale sia riflesso e partecipazione della comunione trinitaria: quale sublime ideale! Tuttavia le circostanze in cui Gesù ha elevato la sua preghiera lasciano capire che questo ideale, per essere realizzato, esige dei sacrifici. Gesù chiede l’unità dei suoi Apostoli e dei suoi seguaci nel momento in cui offre la sua vita al Padre. È a prezzo del suo sacrificio che egli instaura la comunione sacerdotale nella sua Chiesa. Perciò i Presbiteri non possono stupirsi dei sacrifici che la comunione sacerdotale richiede loro. Edotti dalla parola di Cristo, essi scoprono in tali rinunce una concreta partecipazione spirituale ed ecclesiale al Sacrificio redentore del Maestro Divino.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini giapponesi

Rendiamo grazie a Dio!

Cari pellegrini giapponesi, benvenuti!

Vi auguro che il vostro pellegrinaggio romano vi permetta di conoscere la bellezza e la profondità della storia del Cristianesimo.

Benedico ognuno di voi e le vostre famiglie!

Rendiamo grazie a Dio!

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli di lingua italiana

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana.

Un pensiero speciale va ai numerosi religiosi e religiose. Alla Superiora generale e alle Superiore provinciali d’Italia della Congregazione delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù; alle Suore Francescane di Dillingen, riunite per il Capitolo generale; e ai membri del Capitolo generale della Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata. Di cuore tutti vi benedico, cari Fratelli e Sorelle, affinché il vostro servizio ecclesiale corrisponda sempre fedelmente alle esigenze spirituali e culturali del nostro tempo e soprattutto delle nuove generazioni.

Saluto con affetto i bambini Saharawi e quelli bosniaci, che si trovano a vivere, per motivi diversi, la dura condizione di rifugiati, e sono ospiti delle strutture della Provincia di Roma, rappresentata qui dalle sue più alte Autorità. Ai Comuni, alle famiglie e ai volontari che rendono possibile tale opera di solidarietà vada il mio vivo apprezzamento; a tutti voi, cari bambini, l’augurio di un futuro sereno nella vostra Patria. Saluto anche il folto gruppo di ragazzi di Chernobyl, accolti da alcune Parrocchie della diocesi di Orvieto-Todi.

Un benvenuto ai giovani dell’Opera “Giorgio La Pira”, che stanno svolgendo uno dei loro interessanti incontri estivi, e al gruppo di soci dell’AVIS e dell’AIDO, che porteranno la fiaccola dell’amicizia tra i popoli attraverso l’Europa. Faccio mio il vostro appello: non combattiamoci gli uni gli altri, ma lottiamo uniti contro la miseria e le malattie!

Saluto anche i ciclisti provenienti da Casaleone (Verona): il Signore ricompensi la vostra fatica.

Ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli

Mi rivolgo infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

Carissimi, la liturgia ricorda oggi un sacerdote molto amato dai suoi contemporanei: San Giovanni Maria Vianney. Il suo esempio e la sua intercessione aiutino voi, ammalati, a comprendere sempre meglio il valore della sofferenza accettata per amore del Signore, e voi, sposi novelli, a scoprire nella virtù dell’umiltà il fondamento della fedeltà e dell’armonia familiare.

Aiutino soprattutto voi, cari giovani, a corrispondere generosamente alla grazia divina. Mentre il nostro sguardo è rivolto ormai alla Giornata Mondiale della Gioventù, domando a voi e ai giovani credenti di tutto il mondo di accompagnare spiritualmente quanti si recheranno a Denver e di prepararsi, con la preghiera e la riflessione, a quell’incontro, affinché esso segni una tappa importante nel cammino di rinnovamento evangelico dell’umana società.




Mercoledì, 18 agosto 1993

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1. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (
Jn 10,10).

Carissimi fratelli e sorelle! È stato questo il tema conduttore del raduno mondiale dei giovani, svoltosi nei giorni scorsi a Denver nel Colorado, al centro degli Stati Uniti d’America.

Lo scorso anno, il 12 ottobre, l’America aveva iniziato le celebrazioni commemorative del V centenario dell’evangelizzazione, che prese appunto l’avvio il 12 ottobre 1492 a Santo Domingo. Verso il termine dell’anno giubilare, che ricorda tale evento così importante, si è tenuto l’incontro dei giovani a Denver. Esso si inserisce pertanto organicamente nel quadro delle celebrazioni del suddetto V Centenario, proprio a partire dal suo stesso tema: l’evangelizzazione, la vita in Cristo, la pienezza della vita.

Ringrazio il Signore d’esser potuto ritornare in quel Continente, dal 9 al 15 agosto, per ripercorrere il sentiero della nuova evangelizzazione.

2. La prima tappa del Viaggio apostolico è stata Kingston, capitale della Giamaica. Là è stata particolarmente commovente la visita alla Casa dei Poveri tenuta dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta; calorosi sono stati gli incontri con i Sacerdoti e i Religiosi nella Cattedrale della SS. Trinità, con i Laici nell’auditorium del “St. George College” e con i rappresentanti delle Confessioni protestante ed anglicana e della Comunità ebraica nella Chiesa parrocchiale della “Holy Cross”.

La mia sosta in Giamaica si è conclusa con una solenne Celebrazione Eucaristica nello Stadio Nazionale. Ricordando i grandi mali prodotti dalla pratica della schiavitù che calpestava la dignità della persona umana, immagine di Dio, ho ribadito, nel corso dell’omelia, i valori fondamentali del matrimonio e della famiglia cristiana, valori annunziati dal Vangelo e costantemente richiamati dal Magistero della Chiesa.

3. Mi sono quindi recato nella penisola messicana dello Yucatàn, precisamente a Izamal e a Mérida dove, nel contesto del V Centenario dell’Evangelizzazione del Nuovo Mondo, ho desiderato rendere un doveroso omaggio ai discendenti di quanti abitavano il Continente americano all’epoca in cui la Croce di Cristo vi fu piantata, il 12 ottobre 1492. “Pellegrino” per la terza volta in Messico, ho voluto ribadire la mia solidarietà e quella della Chiesa intera alle gioie e alle sofferenze del grande e nobile popolo messicano.

Al Santuario di Nostra Signora di Izamal, dedicato all’Immacolata Concezione “Reina y Patrona de Yucatán” e costruito sulla base di una piramide maya, si è tenuto il significativo incontro con le popolazioni indigene. Ho rivolto il mio saluto ai popoli e alle etnie di tutta l’America, dal Nord al Sud, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, nominandoli singolarmente. Citando, oltre la cultura maya, anche quella azteca e quella inca, ho inteso sottolineare come i valori ancestrali e la visione sacrale della vita si sono aperti al messaggio evangelico e ricordare, allo stesso tempo, l’opera della Chiesa a difesa degli indios e per la promozione delle locali popolazioni di fronte alla minaccia di abusi e soprusi.

La solenne Celebrazione Eucaristica a Mérida, sulla spianata di Xoclan-Mulsay, ha concluso il mio passaggio in Messico.

4. Tappa importante quella di Denver, che mi ha dato occasione di incontrarmi con migliaia e migliaia di giovani, convenuti più numerosi del previsto. Con loro ho pregato, con loro ho riflettuto sul tema della vita sgorgante da Cristo. Con loro ho potuto guardare con speranza al presente e soprattutto al futuro, nonostante le difficoltà che l’umanità attraversa in questo singolare momento della sua storia.

In effetti, le Giornate Mondiali della Gioventù sono nate dal desiderio di offrire ai giovani significativi “momenti di sosta” nel costante pellegrinaggio della fede, che si alimenta anche dall’incontro con i coetanei di altri Paesi e dal confronto delle rispettive esperienze.

Le annuali celebrazioni di tale “Giornata” segnano, in questo cammino di fede e di evangelizzazione, come delle tappe di approfondimento e di verifica: momenti comunitari di preghiera e di riflessione su temi precedentemente approfonditi all’interno delle Associazioni, dei Movimenti e dei Gruppi giovanili, a livello parrocchiale e diocesano.

5. I giovani si trovano così ad essere costantemente pellegrini per le strade del mondo. In essi la Chiesa vede se stessa e la sua missione fra gli uomini; con loro accoglie le grandi sfide del futuro, consapevole che l’intera umanità ha bisogno di una rinnovata giovinezza dello spirito.

Come non rendere grazie a Dio per i frutti di autentico rinnovamento prodotti da queste Giornate Mondiali? Dal primo raduno, tenutosi in Piazza San Pietro la Domenica delle Palme del 1986, s’è avviata una tradizione che vede alternarsi, di anno in anno, un appuntamento mondiale ed uno diocesano, quasi a sottolineare l’indispensabile dinamismo dell’impegno apostolico dei giovani, nella duplice dimensione locale ed universale. Si sono susseguiti, a scadenza biennale, il raduno di Buenos Aires in Argentina, di Santiago de Compostela in Spagna, di Czestochowa in Polonia.

E quest’anno era giusto che ci si ritrovasse in America, a conclusione del V centenario dell’Evangelizzazione di quel continente, per testimoniare l’urgenza viva di abbattere i “muri” della povertà e dell’ingiustizia, dell’indifferenza e dell’egoismo, al fine di costruire un mondo accogliente ed aperto, fondato su Cristo che è venuto sulla terra perché gli uomini “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

6. L’aspetto più interessante dell’incontro di Denver è certamente stata la risposta dei giovani, arrivati da tutte le diocesi degli Stati Uniti e da ogni Continente per manifestare la loro apertura alla vita che è Cristo. Erano venuti per pregare. Nei vari incontri hanno mostrato una profonda consapevolezza della presenza di Dio nella loro vita. Momenti significativi sono stati la Via Crucis, la Messa per i Delegati dell’“International Youth Forum”, e soprattutto la Veglia e la Messa solenne nel giorno della Festa dell’Assunzione.

Questo grande pellegrinaggio di giovani non ha avuto come meta un Santuario, ma una città moderna. Nel cuore di questa “metropoli”, i giovani del mondo hanno proclamato la loro identità di cattolici e il desiderio di costruire relazioni umane basate sulle verità e sui valori del Vangelo. Si sono radunati a Denver per dire “sì” alla vita e alla pace contro le minacce di morte che insidiano la cultura della vita. Il centro vero dell’ottava Giornata Mondiale dei Giovani sono stati i giovani stessi.

7. Carissimi fratelli e sorelle! Il mio grazie sincero va a tutti coloro che hanno reso possibile sia questo grande incontro sia le Visite Pastorali in Giamaica e a Mérida. Ringrazio tutte le Autorità dei Paesi visitati per la loro attenta collaborazione e, specialmente, il Governatore Generale di Giamaica, il Presidente del Messico e il Presidente degli Stati Uniti.

Ringrazio le Conferenze Episcopali delle tre Nazioni, i Presuli delle Arcidiocesi in cui mi sono recato e quanti, a vario titolo, hanno collaborato al successo di questo mio pellegrinaggio apostolico.

È a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che soprattutto innalzo il mio pensiero riconoscente. Lo Spirito Santo ispira nel cuore dei giovani amore e dedizione. A Denver, essi hanno mostrato di essere consapevoli delle sfide che li attendono; per compiere la loro missione essi fanno affidamento soprattutto sulla grazia del Signore.

Affido le attese e i frutti spirituali della Giornata Mondiale dei Giovani all’intercessione di Maria, Assunta in Cielo. Voglia Ella guidare e incoraggiare i giovani a proseguire il loro pellegrinaggio di fede e prepararli alla prossima Giornata Mondiale dei Giovani, che avrà luogo a Manila all’inizio del 1995.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai gruppi provenienti da diverse diocesi d’Italia

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, ed in particolare il gruppo delle famiglie che partecipano alla settimana di approfondimento spirituale presso il centro delle Figlie della Chiesa “Domus Aurea”, sul tema della famiglia cristiana, intesa come “luogo di evangelizzazione e di memoria”.

Esprimo il mio compiacimento per tale iniziativa e formulo voti che ogni focolare cristiano sia sempre consapevole di essere chiamato ad annunciare Cristo e diffondere il dono della fede.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Uno speciale saluto rivolgo ai giovani, ai malati, agli sposi novelli.

La vostra presenza, carissimi giovani, mi ricorda il grande raduno appena concluso a Denver. Il mondo ha guardato con stupore allo spettacolo di tanti vostri coetanei, convenuti in una moderna metropoli nel nome di Cristo. Cristo è il segreto della vostra giovinezza, la sorgente della vita. Apritegli generosamente il cuore, per essere con lui dispensatori di vita e costruttori di pace.

Voi, cari ammalati, abbiate la certezza della vicinanza del Redentore, che vi chiama ad una più intima unione alla sua croce. Vi doni forza e pace interiore, non solo per affrontare le prove, ma anche per irradiare speranza intorno a voi.

Voi, cari sposi, avviatevi, con matura consapevolezza, nella via stupenda ed esigente della vostra vocazione. Siete chiamati ad essere “ministri della vita”! Non deludete la fiducia che Dio ha riposto in voi.

A tutti la mia apostolica benedizione.




Mercoledì, 25 agosto 1993

25893

1. La comunione, voluta da Gesù tra quanti partecipano del sacramento dell’Ordine, deve manifestarsi in modo tutto particolare nelle relazioni dei Presbiteri con i loro Vescovi. Il Concilio Vaticano II parla a questo proposito di una “comunione gerarchica”, derivante dall’unità di consacrazione e di missione. Leggiamo: “Tutti i Presbiteri, assieme ai Vescovi, partecipano in tal grado del medesimo e unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei Presbiteri con l’Ordine dei Vescovi, che viene a volte ottimamente espressa nella concelebrazione liturgica, quando (Vescovi e Presbiteri) uniti professano di celebrare la sinassi eucaristica” (Presbyterorum Ordinis
PO 7). Come si vede, anche qui si riaffaccia il mistero dell’Eucaristia come segno e fonte di unità. Con l’Eucaristia è collegato il sacramento dell’Ordine, che determina la comunione gerarchica fra tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo: “Per ragione dell’Ordine e del ministero, – aggiunge il Concilio – tutti i Sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale” (Lumen Gentium LG 28).

2. Questo legame tra i Sacerdoti di qualsiasi qualifica e grado e i Vescovi è essenziale nell’esercizio del ministero presbiterale. I Sacerdoti ricevono dal Vescovo la potestà sacramentale e l’autorizzazione gerarchica per tale ministero. Anche i Religiosi ricevono tale potestà e tale autorizzazione dal Vescovo che li ordina Sacerdoti e da colui che governa la diocesi dove essi svolgono il ministero. Anche quando appartengono a Ordini esenti dalla giurisdizione dei Vescovi diocesani per il loro regime interno, ricevono dal Vescovo, a norma delle leggi canoniche, il mandato e il consenso per l’inserimento e l’attività nell’ambito della diocesi, salva sempre l’autorità con cui il Pontefice Romano, come capo della Chiesa, può conferire agli Ordini religiosi o ad altri Istituti il potere di reggersi secondo le loro costituzioni e di operare a raggio universale. A loro volta, i Vescovi hanno nei Presbiteri dei “necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il Popolo di Dio” (PO 7).

3. Per questo legame tra Sacerdoti e Vescovi nella comunione sacramentale, i Presbiteri sono “aiuto e strumento” dell’Ordine episcopale, come scrive la Costituzione Lumen gentium (LG 28). Essi prolungano in ogni comunità l’azione del Vescovo, del quale in certo modo rendono presente la figura di Pastore nei diversi luoghi.

È chiaro che, in forza della sua stessa identità pastorale e della sua origine sacramentale, il ministero dei Presbiteri si esercita “sotto l’autorità del Vescovo”. Sempre secondo la Lumen gentium, è sotto questa autorità che essi portano “il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi”, santificando e governando la porzione del gregge del Signore loro affidata (Lumen Gentium LG 28).

È vero che i Presbiteri rappresentano Cristo e agiscono in suo nome, partecipando, nel loro grado di ministero, al suo ufficio di unico Mediatore. Ma essi possono agire solo come collaboratori del Vescovo, estendendo così il ministero del Pastore diocesano nelle comunità locali.

4. Su questo principio teologico di partecipazione, nell’ambito della comunione gerarchica, si fondano relazioni tra Vescovi e Presbiteri cariche di spiritualità. La Lumen gentium le enuncia così: “A ragione di questa loro partecipazione nel sacerdozio e nel lavoro apostolico, i Sacerdoti riconoscono nel Vescovo il loro padre e gli obbediscono con rispettoso amore. Il Vescovo, poi, consideri i Sacerdoti suoi cooperatori come figli e amici, al pari di Cristo che chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cf. Jn 15,15)”.

L’esempio di Cristo è anche qui la regola del comportamento, sia per i Vescovi che per i Presbiteri. Se Colui che aveva un’autorità divina non ha voluto trattare i suoi discepoli da servi ma da amici, il Vescovo non può considerare i suoi Sacerdoti come persone al suo servizio. Con lui, essi servono il Popolo di Dio. E da parte loro i Presbiteri devono rispondere al Vescovo come richiede la legge della reciprocità dell’amore nella comunione ecclesiale e sacerdotale: cioè da amici e da “figli” spirituali. L’autorità del Vescovo e l’obbedienza dei suoi collaboratori, i Presbiteri, devono dunque esercitarsi nel quadro della vera e sincera amicizia.

Questo impegno si basa non solo sulla fraternità che esiste in virtù del Battesimo fra tutti i cristiani e su quella che deriva dal sacramento dell’Ordine, ma sulla parola e l’esempio di Gesù, che anche nel suo trionfo di Risorto, si chinò da quell’incommensurabile altezza sui suoi discepoli chiamandoli “miei fratelli” e dichiarando il Padre suo anche il “loro” (cf. Jn 20,17 Mt 28,10). Così, sull’esempio e l’insegnamento di Gesù, il Vescovo deve trattare come fratelli e amici i Sacerdoti suoi collaboratori, senza che la sua autorità di Pastore e di superiore ecclesiastico ne sia diminuita. Un clima di fraternità e di amicizia favorisce la fiducia dei Presbiteri e la loro volontà di cooperazione e di corrispondenza nell’amicizia e nella carità fraterna e filiale verso i loro Vescovi.

5. Il Concilio scende anche ad alcuni particolari sui doveri dei Vescovi verso i Presbiteri. Basti qui rammentarli: i Vescovi devono aver a cuore, in tutto ciò che possono, il benessere materiale e soprattutto spirituale dei loro Sacerdoti; promuoverne la santificazione curandone la continua formazione, esaminando con loro i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi (cf. PO PO 7).

Ugualmente i doveri dei Presbiteri verso i loro Vescovi sono riassunti in questi termini: “I Presbiteri, avendo presente la pienezza del sacramento dell’Ordine di cui godono i Vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo, supremo Pastore. Siano dunque uniti al loro Vescovo con sincera carità e obbedienza” (PO 7).

Carità e obbedienza: il binomio essenziale dello spirito con cui comportarsi col proprio Vescovo. Si tratta di un’obbedienza animata dalla carità. L’intenzione fondamentale del Presbitero, nel suo ministero, non può che essere quella si cooperare col suo Vescovo. Se egli ha spirito di fede, riconosce la volontà di Cristo nelle decisioni del Vescovo.

È comprensibile che talora, particolarmente nei momenti di confronto tra pareri diversi, l’obbedienza possa essere più difficile. Ma l’obbedienza è stata la disposizione fondamentale di Gesù nel suo sacrificio e ha prodotto il frutto di salvezza che tutto il mondo ha ricevuto. Anche il Presbitero che vive di fede sa di essere chiamato a un’obbedienza che, attuando la massima di Gesù sull’abnegazione, gli dà il potere e la gloria di condividere la fecondità redentiva del Sacrificio della Croce.

6. Si deve infine aggiungere che, come a tutti è noto, oggi più che in altri tempi, il ministero pastorale richiede la cooperazione dei Presbiteri e quindi la loro unione coi Vescovi, in ragione della sua complessità e vastità. Come scrive il Concilio, “l’unione tra i Presbiteri e i Vescovi è particolarmente necessaria ai nostri giorni, dato che oggi, per diversi motivi, le imprese apostoliche debbono non solo rivestire forme molteplici, ma anche trascendere i limiti di una parrocchia o di una diocesi. Nessun Presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri Presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa” (PO 7).

Per questo anche i “Consigli presbiteriali” hanno cercato di rendere sistematica e organica la consultazione dei Presbiteri da parte dei Vescovi (cf. Sinodo dei Vescovi del 1971: Ench. Vat., IV, 1224). Da parte loro, i Presbiteri parteciperanno a questi Consigli con spirito di collaborazione illuminata e leale, nell’intento di cooperare alla edificazione dell’“unico Corpo”. E anche singolarmente, nei loro rapporti personali col proprio Vescovo, ricorderanno e avranno a cuore soprattutto una cosa: la crescita di ciascuno e di tutti nella carità, che è frutto dell’oblazione di sé nella luce della Croce.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai pellegrini provenienti dal Giappone

Rendiamo grazie a Dio!

Cari pellegrini che provenite da Osaka, Kyoto, Hiroshima, benvenuti.

Vi auguro che il vostro pellegrinaggio romano vi dia una buona occasione di toccare il cuore e la cultura del Cristianesimo.

Benedico tutte le persone della Parrocchia Kishiwada, della Scuola Saebo e della Città del Sole.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai gruppi italiani

Nel porgere ora il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana desidero anzitutto rivolgere un pensiero ai due gruppi di seminaristi qui presenti: agli Alunni del Seminario Vescovile di Bergamo e ai nuovi alunni del collegio internazionale “Maria Mater Ecclesiae”. Cari giovani, sappiate che è prezioso per voi questo tempo di discernimento e di preparazione per il vostro cammino verso il Sacerdozio ministeriale. Abbiate diligente cura della vostra vita di preghiera e della formazione intellettuale, per giungere così ad una più profonda conoscenza dei misteri divini, che dovrete trasmettere, da evangelizzatori nuovi ben disposti per il nostro tempo, alle numerose persone che incontrerete nel ministero pastorale.

Un pensiero poi va alle Suore capitolari della Congregazione delle Maestre Pie dell’Immacolata, qui convenute in occasione del loro Capitolo generale. Ad esse e all’intero Istituto un vivo incoraggiamento affinché sappiano affrontare i problemi dell’educazione giovanile con grande fiducia, seminando ampiamente nelle anime la parola di Dio. Saluto inoltre il numeroso gruppo dei lavoratori della Ditta “Contempora”, che produce piccoli elettrodomestici. Il Signore aiuti tutti voi, cari lavoratori, a vivere nelle vostre fabbriche e negli uffici confortati dal rapporto di collaborazione e fraternità, e doni sicurezza alle vostre attività, aiutandovi a superare qualsiasi momento di difficoltà.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi novelli

Nel salutare poi, come di consueto i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli qui presenti, rivolgo un pensiero particolare a quanti partecipano al “Campo Internazionale” organizzato dall’Azione Cattolica Italiana, e sono guidati dall’Assistente Centrale, Monsignor Salvatore De Giorgi. Si tratta di un bel gruppo di giovani non solo italiani, ma anche ungheresi, cechi, rumeni, irlandesi. A tutti e ai rispettivi Assistenti Spirituali un cordiale benvenuto. Cari giovani, alla luce del tema del Convegno “I giovani e l’Europa camminano insieme”, vi invito a farvi costruttori di questo Continente della civiltà della vita e dell’amore, con la luce e la forza che promanano dalla parola di Dio, dalla riconciliazione, dalla presenza di Cristo nell’Eucaristia. Insegnate alla nuova Europa come si superano le barriere storiche dell’odio, cercate con generoso impegno le vie della collaborazione, della solidarietà e della fraternità tra le nazioni. Saluto inoltre i ragazzi dell’organizzazione Polisportiva “San Giacomo”, di Nettuno, radunati oggi con diverse squadre, provenienti da varie parti d’Italia.

Si accresca nel cuore di tutti i giovani qui presenti il desiderio di entrare in amicizia con Cristo, di conoscere i suoi segreti e di servirlo con tutte le forze.

E voi carissimi ammalati, sappiate annunciare a tutti che i veri discepoli di Cristo in ogni situazione della vita, ed in particolar modo nei momenti della sofferenza, trovano in Lui e nella sua croce serenità e cristiana speranza.

Infine, ai vari sposi novelli, auguro di essere sempre segno e profezia della presenza di Dio in mezzo agli uomini, mediante il dono dell’amore fedele, indefettibile e fecondo.

A tutti la mia benedizione apostolica.






Catechesi 79-2005 40893