Catechesi 79-2005 10993

Mercoledì, 1° settembre 1993

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1. La “comunità sacerdotale” o presbiterio, di cui abbiamo parlato nelle precedenti catechesi, comporta tra coloro che ne fanno parte una rete di relazioni reciproche che si situano nell’ambito della comunione ecclesiale originata dal Battesimo. Il fondamento più specifico di tali relazioni è la comune partecipazione sacramentale e spirituale al sacerdozio di Cristo, da cui deriva uno spontaneo senso di appartenenza al presbiterio.

Lo ha ben rilevato il Concilio: “I Presbiteri costituiti nell’Ordine del Presbiterato mediante l’Ordinazione, sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico Presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo” (Presbyterorum Ordinis
PO 8). Per rapporto a questo Presbiterio diocesano, in ragione della mutua conoscenza, vicinanza e consuetudine di vita e di lavoro, si sviluppa maggiormente quel senso dell’appartenenza che crea e alimenta la comunione fraterna e l’apre nella collaborazione pastorale.

I vincoli della carità pastorale si esprimono nel ministero e nella liturgia, come annota ancora il Concilio: “Ciascuno è unito agli altri membri di questo Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: il che viene liturgicamente rappresentato, fin dai tempi più antichi, nella cerimonia in cui i Presbiteri assistenti all’Ordinazione sono invitati a imporre le mani, assieme al Vescovo che ordina sul capo del nuovo eletto, o anche quando celebrano la sacra Eucaristia in unione di affetti” (PO 8). Si ha in questi casi la rappresentazione della comunione sacramentale, ma anche di quella spirituale, che trova nella liturgia l’“una vox” per proclamare a Dio e testimoniare ai fratelli l’unità dello spirito.

2. La fraternità sacerdotale si esprime altresì nell’unità del ministero pastorale, in tutto l’ampio ventaglio di mansioni, di uffici e di attività a cui sono assegnati i presbiteri, i quali “anche se si occupano di mansioni differenti, esercitano sempre un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini” (PO 8).

La varietà dei compiti può essere notevole. Così, per esemplificare, il ministero nelle parrocchie e quello interparrocchiale o sovraparrocchiale, le opere diocesane nazionali, internazionali, l’insegnamento nelle scuole, la ricerca, l’analisi, l’insegnamento nei vari settori della dottrina religiosa e teologica, ogni apostolato in forma di testimonianza, a volte con la coltivazione e l’insegnamento di qualche ramo dello scibile umano; e ancora, la diffusione del messaggio evangelico per il tramite dei media, l’arte religiosa nelle sue molte espressioni, i molteplici servizi di carità, l’assistenza morale alle varie categorie di ricercatori o di operatori, e infine, oggi attualissime e importantissime, le attività ecumeniche. Questa varietà non può creare delle categorie o dei dislivelli perché si tratta di compiti che per i Presbiteri rientrano sempre nel disegno della evangelizzazione. “È chiaro – diciamo col Concilio – che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del Corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi” (PO 8).

3. È perciò importante che ogni Presbitero sia disposto – e convenientemente formato – a comprendere e stimare l’opera compiuta dai suoi fratelli nel sacerdozio. È questione di spirito cristiano ed ecclesiale, oltre che di apertura ai segni dei tempi. Egli dovrà saper comprendere, ad esempio, che vi è diversità di bisogni nell’edificazione della comunità cristiana, come vi è diversità di carismi e di doni; vi è inoltre diversità di modi di concepire e di compiere le opere apostoliche, giacché possono essere proposti e impiegati nuovi metodi di lavoro nel campo pastorale, pur mantenendosi sempre nell’ambito della comunione di fede e di azione della Chiesa.

La reciproca comprensione è la base del mutuo aiuto nei vari campi. Ripetiamolo col Concilio: “È assai necessario che tutti i Presbiteri, sia diocesani che religiosi si aiutino a vicenda, in modo da essere sempre cooperatori della verità” (PO 8). Il reciproco aiuto può essere dato in molti modi: dalla disponibilità a prestarsi a un Confratello in necessità all’accettazione di programmare il lavoro secondo uno spirito di cooperazione pastorale che si rivela sempre più necessario tra i vari enti e gruppi e nello stesso ordinamento globale dell’apostolato. A questo proposito, si terrà presente che la stessa parrocchia (come a volte anche la diocesi), pur avendo una sua autonomia, non può essere un’isola, specialmente in un tempo come il nostro, nel quale abbondano i mezzi di comunicazione, la mobilità della gente, la confluenza in taluni punti di attrazione, le nuove omologazioni di tendenze, abitudini, mode, orari. Le parrocchie sono organi vivi dell’unico Corpo di Cristo, dell’unica Chiesa, in cui si accolgono e si servono sia i membri delle comunità locali, sia tutti coloro che per qualsiasi ragione vi affluiscono in un certo momento che può significare la comparsa di Dio in una coscienza, in una vita. Naturalmente ciò non deve diventare fomite di disordine o di irregolarità in relazione alle leggi canoniche, che sono pure a servizio della pastorale.

4. Un particolare sforzo di mutua comprensione e di reciproco aiuto e da auspicare e favorire specialmente nei rapporti fra i Presbiteri più anziani e quelli più giovani: gli uni e gli altri così necessari alla comunità cristiana, e così cari ai Vescovi e al Papa. È il Concilio stesso a raccomandare agli anziani di avere comprensione e simpatia per le iniziative dei giovani; e ai giovani di avere rispetto per l’esperienza degli anziani e di riporre in loro fiducia; agli uni e agli altri di trattarsi con sincero affetto, secondo l’esempio dato da tanti Sacerdoti di ieri e di oggi (cf. PO 8).

Quante cose salirebbero dal cuore al labbro su questi punti, nei quali si manifesta concretamente la “comunione sacerdotale” che lega i Presbiteri! Contentiamoci di riferire quelle suggerite dal Concilio: “Animati da spirito fraterno, i Presbiteri non trascurino l’ospitalità (cf. He 13,1-2), pratichino la beneficenza e la comunità di beni (cf. He 13,16), avendo speciale cura di quanti sono infermi, afflitti, sovraccarichi di lavoro, soli, o in esilio, nonché di coloro che soffrono la persecuzione (cf. Mt 5,10)”.

Ogni Pastore, ogni Sacerdote, percorrendo a ritroso la strada della sua vita, la trova disseminata di esperienze del bisogno di comprensione, aiuto, cooperazione di tanti Confratelli, come di altri fedeli, che si ritrovano sotto le varie forme di necessità appena elencate; e di quante altre! Chissà se non sarebbe stato possibile fare di più per tutti quei “poveri”, amati dal Signore e da lui affidati alla carità della Chiesa. Anche per coloro che, come ci rammenta il Concilio (Mt 5,10), potevano trovarsi in momenti di crisi. Pur nella coscienza di aver seguito la voce del Signore e del Vangelo, dobbiamo proporci ogni giorno di fare sempre di più e sempre meglio per tutti.

5. Il Concilio suggerisce anche qualche iniziativa comunitaria per promuovere l’aiuto reciproco nei casi di bisogno, e anche in modo permanente e quasi istituzionale in favore dei confratelli.

Accenna innanzitutto a periodiche riunioni fraterne a scopo di distensione e di riposo, per rispondere all’umana esigenza di ripresa delle forze fisiche, psichiche e spirituali, che già il “Signore e Maestro” Gesù, nella sua delicata attenzione alle condizioni altrui, aveva avuto presente quando rivolse agli Apostoli l’invito: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’!” (Mc 6,31). Questo invito vale anche per i Presbiteri in ogni epoca, e nella nostra più che mai, dato l’incalzare delle occupazioni e la loro complicatezza anche nel ministero pastorale (cf. PO PO 8).

Il Concilio incoraggia poi le iniziative che mirano a rendere possibile e agevole in modo permanente la vita comune dei Presbiteri, anche in forma di coabitazione saggiamente istituita e ordinata, o almeno di mensa facilmente accessibile e praticabile in luoghi convenienti. Le ragioni non solo economiche e pratiche, ma anche spirituali, di tali iniziative, in armonia con le istituzioni della primitiva comunità di Gerusalemme (cf. Ac 2,46-47), sono evidenti e pressanti nella condizione odierna di molti Presbiteri e Prelati, ai quali occorre offrire attenzione e cura per sollevarne difficoltà e fatiche (cf. PO PO 8).

“Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall’autorità ecclesiastica competente, fomentano – grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e approvato, e all’aiuto fraterno – la santità dei Sacerdoti nell’esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l’ordine dei Presbiteri” (PO 8).

6. Quest’ultima esperienza in non pochi luoghi è stata fatta da santi preti anche in passato. Il Concilio ne desidera e zela l’estensione più ampia possibile, e non sono mancate nuove Istituzioni, dalle quali proviene un grande beneficio al clero e al popolo cristiano. La loro fioritura ed efficacia è proporzionale all’adempimento delle condizioni fissate dal Concilio: la finalità della santificazione sacerdotale, l’aiuto fraterno tra i Presbiteri, la comunione con l’autorità ecclesiastica, al livello diocesano o a quello della Sede apostolica, secondo i casi. Questa comunione comporta degli statuti approvati come regola di vita e di lavoro, senza i quali gli associati sarebbero quasi inevitabilmente condannati al disordine o alle arbitrarie imposizioni di qualche personalità più forte. È un vecchio problema per ogni forma di associazione, che si ripresenta anche nel campo religioso ed ecclesiastico. L’autorità della Chiesa adempie la sua missione di servizio verso i Presbiteri e tutti i fedeli anche con lo svolgere questa funzione di discernimento dei valori autentici, di tutela della libertà spirituale delle persone e di garanzia della validità delle associazioni, come di tutta la vita delle comunità.

Anche in questo si tratta di attuare il santo ideale della “comunione sacerdotale”.

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

A fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Rispettabili componenti della “Nippon Television”.

Vi ringrazio di cuore perché con il vostro valido aiuto la Cappella Sistina ha potuto riprendere tutto il suo splendore, e perciò il mondo intero gioisce. Vi ricompensi abbondantemente il Signore Dio.

E voi, care alunne di “ Seibo Jiogakuin ” di Kyoto, vi benedico volentieri, affinché il vostro viaggio di aggiornamento porti molti frutti sotto la protezione della Madonna.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai gruppi di visitatori italiani

Nel salutare i pellegrini di lingua italiana desidero oggi rivolgere un pensiero ai giovani di Vimodrone, diocesi di Milano, i quali ricordano con questa visita il 25° anniversario di fondazione del loro oratorio parrocchiale, ed in segno di comunione con l’intera Chiesa vogliono dare il via ad un rinnovato cammino spirituale, partendo da questa Città con una simbolica fiaccola. Carissimi giovani, fate in modo che il vostro centro giovanile sia un punto di riferimento efficace per costruire in voi un’esistenza improntata alla sequela di Cristo. Seguire Cristo, imparare da lui ad operare scelte conformi alla santità della vita, apprendere dal Signore a servire il prossimo, divenire suoi discepoli, cooperare al cammino del Vangelo. Ecco un programma per un oratorio che vuole essere un’autentica scuola di vita cristiana.

Accolgo con gioia anche i bambini croati ospiti della Caritas diocesana di Montecassino e mi congratulo con i Sacerdoti e le Religiose che li assistono.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto, infine, tutti voi, giovani, malati e sposi novelli, invocando su ciascuno l’effusione della grazia di Dio. Questo dono ineffabile del Signore è forza redentrice che sostiene il pieno sviluppo di voi, giovani; conforto che dona salute a voi, cari malati; sapienza che rinsalda il vostro amore, sposi novelli. Nessuno dimentichi che la grazia, insieme dono ed impegno, interpella le vostre vite e costruisce in voi l’identità dei figli di Dio. Sia propiziatrice di questo dono della grazia la benedizione apostolica che volentieri imparto a tutti.



Mercoledì, 15 settembre 1993

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Ringrazio la Provvidenza Divina per il recente pellegrinaggio che mi è stato dato di realizzare in Lituania, Lettonia ed Estonia. Già nel 1986 l’Episcopato di tali Paesi situati sul Baltico aveva invitato il Papa per le celebrazioni del 600° anniversario del Battesimo della Lituania. In quel tempo però, e ancora in seguito, un tale pellegrinaggio non si poté realizzare. Esso si è reso possibile solo allorquando i Paesi baltici riconquistarono l’indipendenza, di cui godevano fino all’anno 1939, prima della seconda guerra mondiale.

Sono altresì grato alle Autorità dei tre popoli – Lituano, Lettone ed Estone – per l’invito rivoltomi; ringrazio allo stesso tempo le Chiese situate sul Baltico per quanto hanno fatto affinché questa visita potesse offrire loro ciò che giustamente aspettavano dal Vescovo di Roma nello svolgimento del suo “ministerium petrinum”. Ringrazio quanti, in qualsiasi modo, hanno collaborato con questo ministero per il bene della Chiesa e della società.

La “Collina delle Croci”: una parola scritta nella storia dell’Europa del XX secolo

2. “La Collina delle Croci”. L’itinerario della visita mi ha condotto attraverso le principali città della Lituania (Vilnius, Kaunas), della Lettonia (Riga), e dell’Estonia (Tallinn). Esso però è diventato il pellegrinaggio ai luoghi dove in modo particolare si sono espressi la fede, la speranza e l’amore del Popolo di Dio, specialmente durante le recenti dolorose esperienze. Tra tali luoghi emerge quello situato nelle vicinanze della città di Siauliai: è conosciuto come “La Collina delle Croci”. Una piccola collina su cui già dal secolo scorso ma soprattutto negli ultimi tempi, i Lituani portavano la testimonianza delle loro molteplici sofferenze (deportazioni, incarcerazioni, persecuzioni) sotto forma di grandi o piccoli crocifissi. In questo modo, attorno alla croce di Cristo, è cresciuto il bosco delle croci umane, che hanno coperto la collina.

L’incontro con “la Collina delle Croci” è stata un’esperienza commovente. Quel luogo sta a ricordare che l’uomo continuamente “completa... quello che manca ai patimenti di Cristo” secondo le parole di San Paolo (
Col 1,24). Dopo quella visita appariva a tutti più chiara la verità espressa dal Concilio Vaticano II: l’uomo non può capire fino in fondo Collina delle Croci”, al riguardo, costituisce una eloquente testimonianza ed un avvertimento. È l’eloquenza di quel santuario è universale: è una parola scritta nella storia dell’Europa del XX secolo.

I Santuari mariani sul Baltico prendono il loro pieno significato in rapporto alla Croce di Cristo

3. I Santuari mariani. Sono tanti, ma il pellegrinaggio pastorale mi ha condotto a tre di essi: la “Porta dell’Aurora” (Ausros Vartai) e Šiluva (in Lituania), Aglona (in Lettonia). Se il Santuario della “Porta dell’Aurora” di Vilnius da secoli attrae i pellegrini non solo di Lituania ma anche di Polonia, Bielorussia, Russia, Ucraina, quello di Šiluva, invece, è prima di tutto santuario dei Lituani. Aglona, in Lettonia (Latgalia), riunisce non solo i Lettoni, ma anche i popoli vicini che accorrono sempre più numerosi.

Il culto della Madre di Dio è sempre cristocentrico. I Santuari mariani sul Baltico prendono il loro pieno significato in rapporto alla croce di Cristo e alla “Collina delle Croci”. La vittoria sta nella nostra fede; la Croce rivela in sé la Pasqua della Risurrezione di Cristo.

L’unità dei cristiani è la condizione per l’affermarsi della fede nel mondo, anche nel mondo contemporaneo

4. L’ecumenismo. La visita nei Paesi Baltici ha rivestito contemporaneamente una singolare dimensione ecumenica. Quei Paesi sono il luogo d’incontro delle due scie dell’evangelizzazione nel continente europeo (cf. Angelus del 22.08.93): la scia che viene da Roma e quella proveniente da Costantinopoli); essi sono anche il luogo in cui bisogna cercare l’avvicinamento e l’unità dei cristiani che sono ancora tra loro divisi.

In Lettonia, e ancor più in Estonia, tale divisione è avvenuta insieme con la Riforma, nel XVI secolo. Le Comunità nate in seguito alla Riforma, specialmente quelle luterane dopo le esperienze del passato, sono aperte al dialogo ecumenico, alla comune preghiera per l’unità di tutti i discepoli di Cristo. Tale preghiera è diventata, in certo senso il punto centrale dell’incontro a Riga e a Tallinn.

Agli incontri ecumenici e alla preghiera per l’unità dei cristiani hanno preso parte membri della gerarchia e fedeli delle Chiese ortodosse. Il Patriarca di Mosca, Alessio II, è stato rappresentato da un suo inviato speciale. Sorge la speranza che le esperienze del passato preparino ora il terreno ad una più viva coscienza del mistero della Chiesa e delle esigenze dell’ecumenismo. Cristo ha pregato il Padre: “che tutti siano una sola cosa... perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,20-21).

L’unità dei cristiani è la condizione per l’affermarsi della fede nel mondo, anche nel mondo contemporaneo.

Fede e cultura convergono nel servizio all’uomo

5. L’incontro col mondo della cultura. Nel corso del pellegrinaggio ho pure avuto occasione di incontrare, in Lituania, Lettonia ed Estonia, gli uomini della cultura e della scienza, il cui ruolo è certamente insostituibile, specialmente nell’attuale momento storico. In quei Paesi, infatti, usciti dal tunnel dell’oppressione totalitaria, si avverte l’esigenza di una “nuova alleanza” e di un rinnovato dialogo tra la Chiesa e il variegato mondo della cultura. Ciò vale per quanto concerne i problemi economici e sociali per i quali la Chiesa pone a disposizione il ricco patrimonio della sua dottrina sociale. Questo diventa particolarmente significativo in rapporto all’esigenza di identità linguistica e culturale, oggi fortemente avvertita tra quelle popolazioni: esigenza legittima a cui i credenti sono sensibili, ma che va sempre congiunta all’apertura cordiale alle istanze della solidarietà e al rispetto delle minoranze.

In tal modo, fede e cultura convergono nel servizio all’uomo al quale la Chiesa non annuncia una ideologia astratta, bensì la persona viva di Cristo, Redentore dell’uomo.

I grandi compiti della “nuova evangelizzazione”

6. La Chiesa Cattolica in Lituania conta una considerevole maggioranza della nazione (73,4%).

In Lettonia la Comunità cattolica è formata da una minoranza (25% della popolazione), in Estonia, poi, i cattolici costituiscono dal punto di vista numerico una piccola minoranza (0,3%). Sono comunità che escono da un periodo di persecuzione e di dura oppressione e tutte devono ricuperare le perdite subite in passato. Davanti ad esse stanno pertanto i grandi compiti della “nuova evangelizzazione”.

Le accompagni la consapevolezza fiduciosa che “sanguis martyrum est semen christianorum”. All’intero Popolo di Dio, ai sacerdoti, alle famiglie religiose maschili e femminili auguro la grazia di un servizio fruttuoso al Vangelo. Ai miei fratelli nell’Episcopato auguro l’amore pastorale che “spinge” ad impegnarsi per il gregge: “caritas Christi urget nos” (2Co 5,14).

Con venerazione ricordiamo coloro che hanno dato la vita per Cristo e per la Chiesa. La loro speranza “è piena di immortalità” (Sg 3,4) e già oggi possiamo ringraziare Dio per la Chiesa che è sopravvissuta e non ha mai smesso, durante l’oppressione, di essere sostegno per gli uomini e la società.

Desidero rivolgere queste parole anche ai Vescovi e sacerdoti dei Paesi vicini, venuti per partecipare al pellegrinaggio papale. Se Dio mi permetterà un giorno di visitare anche le loro comunità, potremo rendere insieme il dovuto ringraziamento per “le grandi cose che Egli ha fatto” (cf. Lc 1,49).

“Ecco, sto alla porta e busso” (Ap 3-20). È il “Redentore dell’uomo”, il Signore della storia che di nuovo bussa alla porta. Che l’uomo gli apra le porte. Egli ha “parole di vita eterna” (Jn 6,68).

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli di lingua italiana

Sono lieto di salutare ora tutti i pellegrini di lingua italiana, ed in particolare due gruppi di suore qui presenti. Si tratta delle capitolari della Congregazione delle Suore Serve dei Poveri, fondata dal beato Giacomo Cusmano; e delle Suore domenicane di Santa Caterina da Siena, insegnanti e infermiere, che ricordano il 50° anniversario della proclamazione di questa santa a patrona delle donne italiane che si dedicano ai malati. Il mio augurio ad ambedue le comunità è che con l’aiuto di Dio seguano attentamente l’appello della carità evangelica ed impegnino la vita per il servizio del prossimo. Saluto collaboratori, infermieri e medici che condividono la medesima vocazione.

Il mio pensiero va poi al gruppo parrocchiale di San Matteo Apostolo in Albisola Superiore (Savona), presente con il Parroco per la benedizione della prima pietra della nuova chiesa; e a quelli delle parrocchie di San Pietro in Rogliano (Cosenza) e di Santa Maria di Costantinopoli di Bitritto (Bari). A tutti l’augurio che il cammino della nuova evangelizzazione trovi nelle vostre comunità un importante punto di irradiazione e si attui con la solidale collaborazione di tutti, sacerdoti e fedeli.

Saluto, infine, i membri del complesso musicale bandistico di “San Michele Arcangelo” in Mapello (Bergamo) e il numeroso e sempre carissimo gruppo di ufficiali, sottufficiali, soldati e familiari della Scuola di artiglieria contraerea di Sabaudia, partecipanti ad uno speciale corso di addestramento. A tutti un augurio di bene e di pace, avvalorato dalla benedizione apostolica.

Ai partecipanti ad un simposio su san Giuseppe

Rivolgo ora uno speciale saluto agli organizzatori e ai partecipanti al VI Simposio internazionale sul tema: “San Giuseppe nel secolo XIX”, che si svolge in questi giorni a Roma. A loro esprimo il mio vivo compiacimento per così valida iniziativa culturale e spirituale, atta ad offrire un significativo contributo per l’approfondimento della devozione verso il patrono della Chiesa universale. Questo importante incontro si colloca nella scia di altre analoghe manifestazioni svoltesi negli anni passati, e tiene conto della fioritura di opere sociali e religiose, sorte nel secolo scorso e ispirate alla spiritualità giuseppina Esse sono state accompagnate da un rinnovato impegno di ricerca teologica sulla persona e sulla missione di san Giuseppe: ne è autorevole testimonianza l’esortazione apostolica Quamquam pluries del mio venerato predecessore Leone XIII.

Come ho ricordato nella lettera indirizzata al signor Cardinale Segretario di Stato per l’apertura del convegno, “è proprio della fede intrepida di san Giuseppe che la Chiesa ha bisogno oggi per dedicarsi coraggiosamente al compito urgente della nuova evangelizzazione” (vedi il giorno 21 agosto 1993). Il santo Patriarca, infatti, rimase fedele alla speciale vocazione affidatagli di Custode degli inizi della redenzione anche in mezzo alle oscurità degli eventi, divenendo così, accanto a Maria, per i credenti un sublime modello di fede. Augurandovi di crescere costantemente nella conoscenza e nell’amore verso San Giuseppe, imparto a tutti, con viva cordialità, una speciale benedizione apostolica.

Ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli

Ed ora mi rivolgo a voi, giovani, ammalati e sposi novelli presenti a questa Udienza.

Cari giovani, oggi la Chiesa fa memoria di Maria Vergine Addolorata. Accoglietela nella vostra esistenza, accanto alle vostre piccole o grandi sofferenze, come guida che porta al senso pieno della vita e della morte, a Cristo Signore.

Voi, cari ammalati, aprite il cuore alla speranza cristiana, di cui l’Addolorata è dispensatrice.

E voi, sposi novelli, aprite le vostre case, povere o ricche che siano, a Maria, fedele al Figlio fino ai piedi della Croce. Ella vi accompagnerà in ogni momento della vostra esistenza, educandovi alla preghiera fiduciosa e al servizio generoso. A tutti imparto la benedizione apostolica.




Mercoledì, 22 settembre 1993

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1. La “comunità sacerdotale”, della quale abbiamo più volte parlato nelle precedenti catechesi, non è isolata dalla “comunità ecclesiale”, ma appartiene al suo intimo essere, ne è il cuore, in una costante intercomunicazione con tutte le altre membra del Corpo di Cristo. Di questa comunione vitale i Presbiteri sono a servizio in qualità di pastori, in virtù dell’Ordine sacramentale e del mandato che la Chiesa loro conferisce.

Nel Concilio Vaticano II, la Chiesa ha cercato di ravvivare nei Presbiteri questa coscienza di appartenenza e di partecipazione, perché ciascuno di loro tenga presente che, pur essendo un Pastore, continua ad essere un cristiano che deve conformarsi a tutte le esigenze del suo Battesimo e vivere come fratello di tutti gli altri battezzati, a servizio “dello stesso e unico Corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti” (Presbyterorum Ordinis
PO 9). È significativo che, in base alla ecclesiologia del Corpo di Cristo, il Concilio sottolinea il carattere fraterno delle relazioni del Sacerdote con gli altri fedeli, come già aveva affermato il carattere fraterno delle relazioni del Vescovo con i Presbiteri. Nella comunità cristiana le relazioni sono essenzialmente fraterne, come ha chiesto Gesù nel “suo” mandato rievocato con tanta insistenza dall’apostolo san Giovanni nel Vangelo e nelle Lettere (cf. Jn 13,14 Jn 15,12 Jn 15,17 1Jn 4,11 1Jn 4,21). Gesù stesso dice ai suoi discepoli: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8).

2. Secondo l’insegnamento di Gesù, presiedere la comunità non significa dominarla, ma servirla. Egli stesso ci ha dato l’esempio del Pastore che pasce e serve il suo gregge, e ha proclamato di essere venuto non per essere servito ma per servire (cf. Mc 10,45 Mt 20,28). Alla luce di Gesù, buon Pastore e unico Signore e Maestro (cf. Mt 23,8), il Presbitero capisce che non può ricercare il proprio onore né il proprio interesse, ma soltanto ciò che ha voluto Gesù Cristo, mettendosi a servizio del suo Regno nel mondo. Egli dunque sa – e il Concilio glielo rammenta – che deve comportarsi come servitore di tutti, con sincera e generosa donazione di se stesso, accettando tutti i sacrifici richiesti dal servizio e ricordando sempre che Gesù Cristo, unico Signore e Maestro, venuto per servire, lo ha fatto fino a dare “la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28).

3. Il problema dei rapporti dei Presbiteri con gli altri fedeli nella comunità cristiana prende un particolare rilievo in rapporto al cosiddetto laicato, che, come tale, ha assunto una speciale importanza nella nostra epoca, per la nuova coscienza del ruolo essenziale svolto dai fedeli laici nella Chiesa.

Si sa come le stesse circostanze storiche abbiano favorito la rinascita culturale e organizzativa del laicato, specialmente nell’Ottocento, e come nella Chiesa si sia sviluppata tra le due guerre mondiali una teologia del laicato che ha portato a uno speciale Decreto del Concilio, Apostolicam actuositatem e, ancor più fondamentalmente, alla visione comunitaria della Chiesa che si ha nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, e al posto che in essa viene riconosciuto al laicato.

Quanto ai rapporti dei Presbiteri con i laici, il Concilio li considera nella luce della comunità viva, attiva e organica, che il Sacerdote è chiamato a formare e a guidare. A questo scopo il Concilio raccomanda ai Presbiteri di riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici: dignità di persone umane, elevate dal Battesimo alla figliolanza divina e insignite dei propri doni di grazia. Per ciascuna di esse, il dono divino comporta un ruolo proprio nella missione ecclesiale di salvezza anche in ambiti – come quelli della famiglia, della società civile, della professione, della cultura, ecc. – nei quali i Presbiteri ordinariamente non possono svolgere i ruoli specifici dei laici (cf. PO PO 9). La coscienza di questa specificità dev’essere acquisita sempre più sia dai laici sia dai Presbiteri, in base a un più perfetto senso dell’appartenenza e della partecipazione ecclesiale.

4. Sempre secondo il Concilio, i Presbiteri devono rispettare la giusta libertà dei laici, in quanto figli di Dio animati dallo Spirito Santo. In questo clima di rispetto della dignità e della libertà, si capisce l’esortazione del Concilio ai Presbiteri: “Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici”, tenendo conto delle loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nell’attività umana, per riconoscere “i segni dei tempi”. E ancora, i Presbiteri cercheranno di discernere, con l’aiuto del Signore, i carismi dei laici, “sia umili che eccelsi”, e vorranno “ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza” (PO 9).

È interessante ed importante che il Concilio osservi ed esorti: “Dei doni di Dio che si trovano abbondantemente tra i fedeli, meritano speciale attenzione quelli che spingono a una vita spirituale più elevata” (PO 9). Grazie a Dio, sappiamo che sono molti – anche nella Chiesa odierna, e spesso anche fuori delle sue organizzazioni visibili – i fedeli che si dedicano o desiderano dedicarsi alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza (almeno a quella del lavoro faticoso di ogni giorno, compiuto con diligenza e pazienza, e a quella della convivenza difficile), con o senza diretti impegni di apostolato militante. Essi spesso sentono il bisogno di un Sacerdote consigliere o addirittura direttore spirituale, che li accolga, ascolti e tratti in chiave di cristiana amicizia, con umiltà e con carità.

Si direbbe che la crisi morale e sociale del nostro tempo, con i problemi che apre sia negli individui sia nelle famiglie, faccia sentire più forte questo bisogno di aiuto sacerdotale nella vita spirituale. Un nuovo riconoscimento e una nuova dedizione al ministero del confessionale e della direzione spirituale sono da raccomandare vivamente ai Presbiteri anche in ragione delle nuove richieste dei laici più desiderosi di seguire la via della perfezione cristiana tracciata dal Vangelo.

5. Il Concilio raccomanda ai Presbiteri di riconoscere promuovere, fomentare la cooperazione dei laici all’apostolato e allo stesso ministero pastorale nell’ambito della comunità cristiana, non esitando ad “affidare ai laici degli incarichi al servizio della Chiesa” e “lasciando loro libertà d’azione e il conveniente margine di autonomia” (PO 9). Siamo nella logica del rispetto della dignità e della libertà dei figli di Dio, ma anche del servizio evangelico: “servizio alla Chiesa”, dice il Concilio. È bene ripetere che tutto ciò suppone un vivo sentimento dell’appartenenza alla comunità e della partecipazione attiva alla sua vita. E, ancora più a fondo, la fede e la fiducia nella grazia che opera nella comunità e nei suoi membri.

Come cardine della prassi pastorale in questo campo, potrà servire ciò che dice il Concilio, ossia che i Presbiteri “si trovano in mezzo ai laici per condurre tutti all’unità della carità” (PO 9). Tutto ruota intorno a questa verità centrale e, in particolare, l’apertura e l’accoglienza a tutti, lo sforzo costante per custodire o ristabilire l’armonia, per favorire la riconciliazione, per promuovere la mutua comprensione, per creare un clima di pace. Sì, i Presbiteri devono essere, sempre e dappertutto, degli uomini di pace.

6. Il Concilio affida ai Presbiteri questa missione di pace comunitaria: pace nella carità e nella verità. “A loro spetta armonizzare le diverse mentalità in modo che nessuno, nella comunità dei fedeli, possa sentirsi estraneo. Essi tutelano il bene comune, in nome del Vescovo, e sono nello stesso tempo strenui assertori della verità, nella quale cercano di conservare i fedeli, evitando che siano sconvolti “da qualsiasi vento di dottrina”, come ammonisce san Paolo (Ep 4,14). Specialmente devono avere cura di quanti hanno abbandonato la frequenza dei sacramenti o forse addirittura la fede e come buoni pastori sentono di non dover tralasciare la loro ricerca” (Ep 4,14).

La loro sollecitudine è dunque per tutti, dentro e fuori dell’ovile, secondo le esigenze della dimensione missionaria che non può non avere, oggi, la pastorale. Su quest’orizzonte pastorale ogni Presbitero porrà il problema dei contatti con i non credenti, i non religiosi, coloro che addirittura si dichiarano atei. Verso tutti si sentirà spinto dalla carità pastorale; a tutti cercherà di aprire le porte della comunità. Il Concilio a questo punto ricorda ai Presbiteri l’attenzione anche verso “i fratelli che non godono della piena comunione ecclesiastica con noi”. È l’orizzonte ecumenico. E infine conclude con l’invito a “considerare come particolarmente raccomandati (alla loro sollecitudine pastorale) coloro che non conoscono Cristo Salvatore di tutti” (Ep 4,14). Far conoscere Cristo, aprirgli le porte delle menti e dei cuori, cooperare al suo sempre nuovo avvento nel mondo: ecco la ragione essenziale del ministero pastorale.

7. Si tratta di un’ardua consegna che viene da Cristo ai Presbiteri mediante la Chiesa. È ben comprensibile che il Concilio chieda a tutti i fedeli la collaborazione che sono in grado di dare, come aiuto nel lavoro e nelle difficoltà, e prima ancora come comprensione e amore. I fedeli sono l’altro termine del rapporto di carità che deve legare i Presbiteri a tutta la comunità. La Chiesa, che raccomanda ai suoi Sacerdoti attenzione e cura dei fedeli richiama a loro volta i fedeli alla solidarietà verso i Pastori: “I fedeli, dal canto loro, abbiano coscienza del debito che hanno nei confronti dei Presbiteri, e li trattino perciò con amore filiale, come loro pastori e padri; e, condividendo le loro preoccupazioni, si sforzino, per quanto è possibile, di essere di aiuto ai loro Presbiteri con la preghiera e con l’azione” (Ep 4,14).

Questo ripete il Papa, rivolgendo a tutti i fedeli laici una richiesta pressante in nome di Gesù, nostro unico Signore e Maestro: aiutate i vostri Pastori con la preghiera e con l’azione, amateli e sosteneteli nel quotidiano esercizio del loro ministero.

Ai fedeli di espressione linguistica tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione linguistica inglese

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri del gruppo dell’harp giapponese di Hiroshima, Nagasaki Junshin College, Rissho–Koseikai (una setta buddista) e Asahi Cultur Center.

A ciascun vostro gruppo rivolgo il mio caloroso augurio che, pur operando in campi diversi, lo scopo della vostra azione non sia rivolto ad una forma di autosoddisfazione o di ricerca del semplice profitto, ma che sia orientato al consolidamento della pace nel mondo.

Con questo desiderio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua spagnola

A pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli di lingua italiana

Accolgo con gioia e gratitudine i pellegrini italiani. In particolare, saluto i giovani delle comunità dipendenti dall’Antoniano di Bologna ed auguro loro che la visita a Roma rafforzi in ciascuno la scelta per Cristo e l’impegno di lasciarsi modellare sul suo esempio da Dio, come argilla nelle mani di un sapiente artigiano.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo poi il mio saluto affettuoso a voi, giovani, che vi preparate ad affrontare le sfide dell’esistenza; a voi, malati, che sperimentate sul vostro corpo le sofferenze del dolore; a voi, sposi novelli, che, nel nome del Signore, vi siete da poco scambiati il dell’amore. Vi invito a seguire con generosità la Persona e gli insegnamenti di Colui che è la Vita e la Verità, come fece San Matteo, di cui ieri abbiamo celebrato la festa liturgica. Cristo, Maestro buono, è la vera Via, che conduce all’autentica felicità. Vi accompagni la mia benedizione.





Catechesi 79-2005 10993