Catechesi 79-2005 20103

Mercoledì, 20 ottobre 1993

20103

1. Tra le tematiche della catechesi sul diaconato, è particolarmente importante e attraente quella che riguarda lo spirito del diaconato, che tocca e coinvolge tutti coloro che ricevono questo sacramento per esercitarne le funzioni secondo una dimensione evangelica. È questa la via che porta alla perfezione cristiana i suoi ministri e permette loro di rendere un servizio (diaconia) veramente efficace nella Chiesa, “al fine di edificare il Corpo di Cristo” (
Ep 4,12).

Scaturisce di qui la spiritualità diaconale, che ha la sua sorgente in quella che il Concilio Vaticano II chiama “grazia sacramentale del diaconato” (Ad Gentes AGD 16). Oltre ad essere un aiuto prezioso nel compimento delle varie funzioni, essa incide profondamente nell’animo del Diacono impegnandolo all’offerta, alla donazione di tutta la persona a servizio del Regno di Dio nella Chiesa. Come è indicato dal termine stesso di diaconato, ciò che caratterizza l’intimo sentire e volere di chi riceve il sacramento è lo spirito di servizio. Col diaconato si tende a realizzare ciò che Gesù ha dichiarato in merito alla sua missione: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28).

Senza dubbio Gesù rivolgeva queste parole ai Dodici, che egli destinava al sacerdozio, per far loro comprendere che, anche se muniti dell’autorità da lui conferita, essi dovevano comportarsi come lui, da servi. Il monito vale, dunque, per tutti i ministri di Cristo; esso, tuttavia, ha un particolare significato per i Diaconi, per i quali, in forza della ordinazione, l’accento è posto espressamente su questo servizio. Essi, che non dispongono dell’autorità pastorale dei Sacerdoti, sono particolarmente destinati a manifestare, nell’espletamento di tutte le loro funzioni, l’intenzione di servire. Se il loro ministero è coerente con questo spirito, essi mettono maggiormente in luce quel tratto qualificante del volto di Cristo: il servizio. L’essere non solo “servi di Dio”, ma anche dei propri fratelli.

2. È un insegnamento di vita spirituale di origine evangelica, passato nella prima tradizione cristiana come conferma quell’antico testo che porta il nome di “Didascalia degli Apostoli” (sec. III). I Diaconi vi sono incoraggiati a ispirarsi all’episodio evangelico della lavanda dei piedi: “Se il Signore ha fatto questo, – vi è scritto – voi Diaconi non esitate a farlo per coloro che sono ammalati e infermi, perché voi siete operai della verità, rivestiti dell’esempio di Cristo” (XVI, 36: ed. Connolly, 1904, p. 151). Il diaconato impegna alla sequela di Gesù in questo atteggiamento di umile servizio che non s’esprime soltanto nelle opere di carità, ma investe e modella tutto il modo di pensare e di agire.

In questa prospettiva si comprende la condizione enunciata dal documento Sacrum Diaconatus Ordinem per l’ammissione di giovani alla formazione diaconale: “Siano ammessi al tirocinio diaconale soltanto quei giovani che abbiano manifestato una naturale propensione dello spirito al servizio della sacra gerarchia e della comunità cristiana” (n. 8: Ench. Vat., II, 1378). La “naturale propensione” non deve essere intesa nel senso di una semplice spontaneità delle disposizioni naturali, quantunque anche questa sia un presupposto di cui tener conto. Si tratta di una propensione della natura animata dalla grazia, con uno spirito di servizio che conforma il comportamento umano a quello di Cristo. Il sacramento del diaconato sviluppa questa propensione: rende il soggetto più intimamente partecipe dello spirito di servizio di Cristo, ne penetra la volontà con una speciale grazia, facendo sì che egli, in tutto il suo comportamento, sia animato da una propensione nuova al servizio dei fratelli.

Si tratta di un servizio da rendere prima di tutto in forma di aiuto al Vescovo e al Presbitero, sia nel culto liturgico che nell’apostolato. È appena necessario osservare, qui, che chi fosse dominato da una mentalità di contestazione, o di opposizione all’autorità non potrebbe adempiere adeguatamente alle funzioni diaconali. Il diaconato non può essere conferito che a coloro che credono al valore della missione pastorale del Vescovo e del Presbitero, e all’assistenza dello Spirito Santo che li guida nella loro attività e nelle loro decisioni. In particolare va ripetuto che il Diacono deve “professare al Vescovo riverenza ed obbedienza” (Ivi, 30: Ench. Vat., II, 1400).

Ma il servizio del Diacono è rivolto, poi, alla propria comunità cristiana ed a tutta la Chiesa, per la quale non può non nutrire un profondo attaccamento a motivo della sua missione e della sua istituzione divina.

3. Il Concilio Vaticano II parla anche dei doveri e degli obblighi che i Diaconi assumono in virtù di una propria partecipazione alla missione e alla grazia del supremo sacerdozio: essi “servendo ai misteri di Cristo e della Chiesa, devono mantenersi puri da ogni vizio e piacere a Dio e studiarsi di fare ogni genere di opere buone davanti agli uomini (cf. 1Tm 3,8-10 1Tm 3,12-13)” (Lumen Gentium LG 41). È dunque, il loro, un dovere di testimonianza, che investe non solo il loro servizio ed apostolato, ma tutta la loro vita.

Su questa responsabilità e sugli obblighi che essa comporta, attira l’attenzione Paolo VI nel già citato documento Sacrum Diaconatus Ordinem: “I Diaconi, come quelli che si dedicano ai misteri di Cristo e della Chiesa, si astengano da qualsiasi cattiva abitudine e procurino di essere sempre graditi a Dio, “pronti a qualunque opera buona” per la salvezza degli uomini. A motivo, dunque, dell’Ordine ricevuto, essi devono superare di gran lunga tutti gli altri nella pratica della vita liturgica, nell’amore alla preghiera, nel servizio divino, nell’esercizio dell’obbedienza, della carità e della castità” (n. 25: Ench. Vat., II, 1395).

In particolare, per quanto concerne la castità, i giovani che sono ordinati Diaconi si impegnano a conservare il celibato e a condurre una vita di più intensa unione con Cristo. In questo campo, anche coloro che sono più anziani, “ricevuta l’ordinazione... sono inabili a contrarre matrimonio in virtù della tradizionale disciplina ecclesiastica” (Ivi., 16: Ench. Vat., II, 1386).

4. Per soddisfare a questi obblighi e, ancor più profondamente, per rispondere alle esigenze dello spirito del diaconato con l’aiuto della grazia sacramentale, è richiesta una pratica degli esercizi di vita spirituale, che la Lettera apostolica di Paolo VI così enuncia: 1) si dedichino assiduamente alla lettura e all’intima meditazione della parola di Dio; 2) spesso, o anche ogni giorno, partecipino attivamente al sacrificio della Messa, si ristorino spiritualmente con il sacramento della SS. Eucaristia e ad esso devotamente rendano visita; 3) purifichino frequentemente la propria anima con il sacramento della Penitenza e, al fine di riceverlo più degnamente, ogni giorno esaminino la propria coscienza; 4) con intenso esercizio di filiale pietà venerino e amino la Vergine Maria, Madre di Dio (cf. Ivi, 26: Ench. Vat., II, 1396).

“È cosa sommamente conveniente che i diaconi stabilmente costituiti recitino ogni giorno almeno una parte dell’Ufficio divino, da stabilirsi dalla Conferenza episcopale” (Ivi, 27: Ench. Vat., II, 1397). Le stesse Conferenze Episcopali hanno il compito di stabilire norme più particolari per la vita dei Diaconi, secondo le condizioni dei luoghi e dei tempi.

Infine, per chi riceve il diaconato vi è un obbligo di formazione dottrinale permanente, che perfezioni e attualizzi sempre più quella richiesta prima dell’ordinazione: “I Diaconi non interrompano gli studi, particolarmente quelli sacri; leggano assiduamente i libri divini della Scrittura; si dedichino all’apprendimento delle discipline ecclesiastiche in modo da poter rettamente esporre agli altri la dottrina cattolica e divenire sempre più capaci di istruire e rafforzare gli animi dei fedeli. A tal fine, i diaconi siano invitati a partecipare ai convegni periodici in cui vengono affrontati e trattati problemi relativi alla loro vita e al sacro ministero” (Ivi, 29: Ench. Vat., II, 1399).

5. La catechesi sul diaconato, che ho voluto svolgere per tracciare il quadro completo della gerarchia ecclesiastica, mette dunque in risalto ciò che in quest’Ordine, come in quelli del Presbiterato e dell’Episcopato, è di somma importanza: una specifica partecipazione spirituale al Sacerdozio di Cristo e l’impegno della vita nella conformità a Lui sotto l’azione dello Spirito Santo. Non posso concludere senza ricordare che anche i Diaconi, come i Presbiteri e i Vescovi, impegnati nella via del servizio al seguito di Cristo, sono associati più specialmente al Sacrificio redentore, secondo la massima formulata da Gesù nel parlare ai Dodici del Figlio dell’uomo, venuto per “servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). I Diaconi sono dunque chiamati a partecipare al mistero della Croce, a condividere la sofferenze della Chiesa, a soffrire dell’ostilità che la colpisce, in unione con Cristo Redentore. È quest’aspetto doloroso del servizio diaconale è ciò che lo rende più fecondo.

Ai gruppi di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai rappresentanti della Rissho–Kosei–kai

Rispettabili membri della Rissho–Kosei–kai.

Il mondo attuale vaga nella confusione perché non conosce la Verità. Farla conoscere ed amare è compito nostro. Perciò, rivolgo a voi, stimatissimi signori, questo invito: cooperiamo insieme affinché il mondo comprenda lo splendore della Verità e diventi un mondo più giusto.

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini portoghesi

Ai gruppi di fedeli italiani

Saluto cordialmente i pellegrini italiani; in particolare i Sacerdoti della Diocesi di Verona, che ricordano i 40 anni di Ordinazione, e i novelli Diaconi del Collegio “Redemptoris Mater” di Roma. Auguro agli uni di conservare sempre l’entusiasmo degli inizi ed agli altri di prepararsi degnamente al futuro ministero pastorale.

Saluto poi il titolare ed il personale della casa editrice Mario D’Arcangelo editore; ed il gruppo del Lions Club di Cremona, esprimendo particolare apprezzamento per l’iniziativa da quest’ultimo promossa alla memoria del giovane concittadino Fabio Moreni, morto durante una missione umanitaria nei Paesi balcanici.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora uno speciale saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. In questo mese di ottobre la Chiesa esorta a pregare per le missioni e ad accogliere l’invito di Cristo ad essere suoi attivi collaboratori.

Cari giovani, date al Signore la vostra generosa disponibilità. È un grande onore poter prendere parte all’opera della salvezza!

Voi, cari ammalati, offrite le vostre sofferenze perché si compia presto il disegno salvifico del Padre celeste.

E voi, sposi novelli, fate di Cristo il punto di riferimento di ogni vostro progetto, lasciando nelle sue mani il timone dell’intera vostra vita. Vi accompagni tutti la mia benedizione apostolica.



Mercoledì, 27 ottobre 1993

27103

1. Nel corso delle catechesi ecclesiologiche, dopo aver fissato il nostro sguardo sulla Chiesa come Popolo di Dio, come comunità sacerdotale e sacramentale, ci siamo soffermati sui vari uffici e ministeri. Siamo così passati dagli Apostoli, eletti e mandati da Cristo, ai Vescovi loro successori ai Presbiteri collaboratori dei Vescovi ai Diaconi. È logico occuparci adesso della condizione e del ruolo dei laici, che costituiscono la grande maggioranza del “Populus Dei”. Ne tratteremo sempre seguendo la linea del Concilio Vaticano Il, ma anche riprendendo le indicazioni e gli orientamenti della Esortazione apostolica Christifideles laici (CL), pubblicata il 30 dicembre 1988, a seguito del Sinodo dei Vescovi del 1987.

2. È abbastanza noto che il vocabolo “laico” proviene dal termine greco laikós, che a sua volta deriva da laós: popolo. “Laico” dunque significa “uno del popolo”. Sotto questo aspetto è una parola bella. Purtroppo una lunga evoluzione storica ha fatto sì che, nel linguaggio profano, soprattutto politico, “laico” abbia assunto un significato di opposizione alla religione e in particolare alla Chiesa, così da esprimere un atteggiamento di separazione, di rifiuto o, almeno, di dichiarata indifferenza. Tale evoluzione costituisce certamente un dato increscioso.

Nel linguaggio cristiano invece si dicono “laici” gli appartenenti al Popolo di Dio, e più specialmente coloro che, non avendo funzioni e ministeri legati al sacramento dell’Ordine, non fanno parte del “clero”, secondo la distinzione tradizionalmente stabilita tra “chierici” e “laici” (cf. CIC, can.
CIC 207 § 1). I chierici sono i ministri sacri, cioè il Papa i Vescovi, i Presbiteri i Diaconi; i laici gli altri Christifideles, che, insieme con i Pastori e Ministri, costituiscono il Popolo di Dio.

Facendo questa distinzione, il Codice di Diritto Canonico aggiunge che dalle due parti – cioè chierici e laici – vi sono fedeli consacrati a Dio in modo speciale con la professione, canonicamente riconosciuta, dei consigli evangelici (can. CIC 207 § 2). Secondo la distinzione ricordata sopra, un certo numero di “religiosi” o di “consacrati” che emettono i voti ma non ricevono gli Ordini sacri, sotto questo aspetto devono essere annoverati tra i laici. Tuttavia per il loro stato di consacrazione, occupano un posto speciale nella Chiesa di modo che si distinguono dagli altri laici. Da parte sua, il Concilio ha preferito trattarne a parte, ed ha considerato come laici coloro che non sono né chierici né religiosi (cf. Lumen Gentium LG 31): e questa ulteriore distinzione, senza comportare complicazioni o confusioni di ordine dottrinale, è utile per semplificare e facilitare il discorso sui vari ceti e categorie presenti nell’organismo della Chiesa.

Qui adottiamo la triplice distinzione accennata trattando dei laici come membri del Popolo di Dio che non appartengono al clero e che non sono impegnati nello stato religioso o nella professione dei consigli evangelici (cf. CL 9 e CEC 897, che riprendono il concetto del Concilio). Dopo aver parlato dello stato e del ruolo di questa grande maggioranza di componenti del Popolo di Dio, potremo successivamente parlare dello stato e del ruolo dei Christifideles religiosi o consacrati.

3. Pur facendo osservare che i laici non sono tutta la Chiesa il Concilio intende riconoscere pienamente la loro dignità: se, sotto l’aspetto ministeriale e gerarchico, gli Ordini sacri collocano i fedeli che li ricevono in una condizione di particolare autorità in funzione del ruolo che viene loro assegnato i laici hanno in pienezza la qualità di membri della Chiesa, tanto quanto i ministri sacri o i religiosi. In effetti, secondo il Concilio, “sono stati incorporati a Cristo col Battesimo”, e hanno ricevuto il segno indelebile della loro appartenenza a Cristo in virtù del “carattere” battesimale. Essi fanno parte del Corpo mistico di Cristo.

D’altra parte, la consacrazione iniziale, compiuta col Battesimo li impegna nella missione di tutto il Popolo di Dio: “nella loro misura” sono “resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo”. Dunque ciò che abbiamo detto nelle catechesi che trattavano della Chiesa come comunità sacerdotale e comunità profetica, si applica anche ai laici, che, accanto ai membri della Chiesa investiti di funzioni e ministeri gerarchici, sono chiamati a sviluppare le loro potenzialità battesimali in comunione con Cristo unico Capo del Corpo mistico.

4. Il riconoscimento dei laici quali membri di pieno diritto della Chiesa esclude l’identificazione di questa con la sola Gerarchia. Sarebbe una concezione riduttiva, e anzi un errore antievangelico e antiteologico, concepire la Chiesa esclusivamente come corpo gerarchico: una Chiesa senza popolo! Secondo il Vangelo e la tradizione cristiana, la Chiesa è una comunità in cui c’è una Gerarchia, sì, ma proprio perché vi è un popolo di “laici” che deve essere servito e guidato sulle vie del Signore. È auspicabile che di ciò prendano sempre più coscienza sia i chierici che i laici lungi dal considerare la Chiesa dall’esterno, come una organizzazione che si impone ad essi, senza essere loro “corpo”, loro “anima”. Chierici e laici, Gerarchia e fedeli “non ordinati”, sono l’unico Popolo di Dio, l’unica Chiesa, l’unica comunione dei seguaci di Cristo, sicché la Chiesa è di tutti e di ciascuno, e tutti siamo responsabili della sua vita e del suo sviluppo. Anzi, rimasero famose le parole di Pio XII, che in un discorso del 1946 rivolto “ai nuovi Cardinali”, affermava: i laici “debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere Chiesa” (AAS 38 [1946] 149, cit. in CL 9 e CEC 899). Dichiarazione memorabile, che segnò una svolta nella psicologia e nella sociologia pastorale, alla luce della migliore teologia.

5. Questa stessa convinzione è stata affermata dal Concilio Vaticano II, come consapevolezza dei Pastori (cf. LG 30).

Bisogna dire che negli ultimi decenni era maturata una coscienza più netta e più ricca di questo ruolo, col contributo, oltre che dei Pastori anche di esimi teologi e di esperti di pastorale che, prima e dopo l’intervento, di Pio XII e il Primo Congresso Mondiale per l’Apostolato dei laici (1951), avevano cercato di chiarire le questioni teologiche concernenti il laicato nella Chiesa, scrivendo quasi un nuovo capitolo della ecclesiologia. A questo erano serviti anche gli incontri e convegni, in cui uomini di studio ed esperti di azione e di organizzazione mettevano a confronto i risultati delle loro riflessioni e i dati acquisiti nel loro lavoro pastorale e sociale, preparando così un prezioso materiale per il Magistero papale e conciliare. Tutto rientrava però nella linea di una tradizione che risaliva ai primi tempi cristiani, ed in particolare alla esortazione paolina, citata dal Concilio (cf. LG 30), che a tutta la comunità chiedeva la solidarietà e ricordava la responsabilità del lavoro per l’edificazione del Corpo di Cristo (cf. Ep 4,15-16).

6. In realtà, ieri e oggi innumerevoli laici hanno operato ed operano nella Chiesa e nel mondo secondo le esortazioni e le richieste dei Pastori. Essi sono ben degni di ammirazione! Accanto a quelli che svolgono un ruolo più appariscente, molto più numerosi sono i laici che senza attirare l’attenzione, vivono intensamente la loro vocazione battesimale, effondendo nella Chiesa intera i benefici della loro carità. Dal loro silenzio fiorisce un apostolato che lo Spirito rende efficace e fecondo.

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini del Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini provenienti da ogni parte del Giappone.

Voi nutrite una grande devozione verso la Madre di Gesù, come evidenzia il nome particolare del vostro gruppo. E poiché questo mese è dedicato al Rosario, vi esorto caldamente a recitarlo sempre e bene, anche perché sul mondo si stabilisca la vera giustizia e la pace.

Con questa esortazione desidero impartirvi la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ad alcuni gruppi di lingua italiana

Rivolgo un saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al folto gruppo dell’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani d’Azienda, proveniente dall’Emilia Romagna. Carissimi, voi vi proponete di tenere alto il valore fondamentale del lavoro praticato con fedeltà e mettete la vostra pluriennale esperienza a servizio delle nuove generazioni. Auspico che possiate perseguire sempre con successo tali obiettivi, più che mai validi nell’attuale società.

Saluto anche gli studenti che ieri hanno ricevuto dal Presidente della Repubblica Italiana l’attestato di “Alfieri del Lavoro”; mi congratulo con loro e li esorto a mettere a frutto la buona preparazione conseguita.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Carissimi, desidero adesso rivolgere il mio saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli qui presenti.

Invito voi, giovani, a trasmettere col vigore della vostra età il messaggio della salvezza evangelica, che i Santi Apostoli Simone e Giuda, dei quali domani celebreremo la festa, hanno testimoniato con la loro vita.

Esorto voi, ammalati, ad essere coraggiosi nell’accettare il dolore, con spirito apostolico e missionario.

E voi, sposi novelli, arricchite sempre la Chiesa mediante il vostro amore fedele e fecondo. A tutti la mia apostolica benedizione.



Mercoledì, 3 novembre 1993

31193

1. È noto che il Concilio Vaticano II nel distinguere, tra i membri della Chiesa, i laici da coloro che appartengono sia al clero sia agli Istituti religiosi, riconosce come nota distintiva dello stato laicale l’indole secolare. “L’indole secolare è propria e peculiare dei laici”, esso afferma (Lumen Gentium
LG 31), indicando così una condizione di vita che specifica la vocazione e la missione dei laici, come l’Ordine sacro e il ministero sacerdotale specificano lo stato dei Chierici, e la professione dei consigli evangelici quello dei Religiosi, sulla base della consacrazione battesimale, comune a tutti.

2. Si tratta di una vocazione speciale, che precisa la vocazione cristiana comune, per la quale tutti siamo chiamati a “operare” secondo le esigenze del nostro “essere”, cioè come membri del Corpo mistico di Cristo e, in Lui, figli adottivi di Dio. Sempre secondo il Concilio (Ivi), i ministri ordinati sono chiamati a svolgere le funzioni sacre con una particolare concentrazione della loro vita in Dio per procurare agli uomini i beni spirituali, La verità, la vita e l’amore di Cristo. I Religiosi, a loro volta, testimoniano la ricerca dell’“unico necessario” con la rinuncia ai beni temporali in funzione del Regno di Dio: testimoni, dunque, del Cielo. I laici, come tali, sono chiamati e destinati a onorare Dio nell’uso delle cose temporali e nella cooperazione al progresso temporale della società. In questo senso il Concilio parla dell’indole secolare del laicato nella Chiesa. Quando applica questa espressione alla vocazione dei laici, il Concilio valorizza l’ordine temporale e, possiamo dire, il secolo; ma il modo in cui definisce poi tale vocazione ne dimostra la trascendenza sulle prospettive del tempo e sulle cose del mondo.

3. Secondo il testo conciliare, infatti, vi è nel laico cristiano, in quanto cristiano, una vera vocazione, che, in quanto laico, ha una sua connotazione specifica: ma è pur sempre vocazione al regno di Dio! Il laico cristiano è certamente uno che vive “nel secolo”, dove si occupa delle cose temporali per provvedere alla soddisfazione dei bisogni propri, a livello personale, familiare e sociale, e cooperare, a misura delle proprie possibilità e capacità, allo sviluppo economico e culturale di tutta la comunità, di cui deve sentirsi membro vivo, attivo e responsabile. In questo genere di vita lo chiama e sostiene Cristo, e lo riconosce e rispetta la Chiesa. In forza di questa sua collocazione nel mondo, egli deve “cercare il Regno di Dio” e “ordinare” le cose temporali secondo il disegno di Dio. Ecco il testo conciliare: “È proprio dei laici, per la loro vocazione, cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG 31). È ciò che ribadisce il Sinodo del 1987 (propositio 4, in Christifideles Laici CL 15 e Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 898).

Il Concilio precisa ancora che i laici “vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta” (LG 31). E in questo testimoniano che la Chiesa, fedele al Vangelo, non ritiene il mondo essenzialmente cattivo e irreformabile, ma capace di accogliere la forza salvifica della Croce.

4. A questo punto, la vocazione dei laici e l’indole secolare della loro condizione e missione pongono un problema fondamentale della evangelizzazione: il rapporto della Chiesa col “mondo”, il suo giudizio su di esso e l’impostazione autenticamente cristiana dell’azione salvifica. Certo, non si può ignorare che nel Vangelo di san Giovanni col termine “il mondo” si designa spesso l’ambiente ostile a Dio e al Vangelo: quel mondo umano che non accoglie la luce (Jn 1,10), non riconosce il Padre (Jn 17,25), né lo Spirito di verità (Jn 14,17); è acceso d’odio verso Cristo e i suoi discepoli (Jn 7,7 Jn 15,18-19). Gesù rifiuta di pregare per questo mondo (Jn 17,9) e caccia via il “principe di questo mondo”, che è Satana (Jn 12,31). In questo senso i discepoli non sono del mondo, come Gesù stesso non è del mondo (Jn 17,14 Jn 17,16 Jn 8,23). La netta opposizione viene espressa anche nella Prima Lettera di Giovanni: “Noi sappiamo che siamo di Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Jn 5,19).

E tuttavia non si deve dimenticare che nello stesso Vangelo di san Giovanni il concetto di “mondo” viene riferito anche all’intero ambito umano, a cui è destinato il messaggio della salvezza: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (1Jn 3,16). Se Dio ha amato il mondo, dove regnava il peccato, questo mondo riceve con l’Incarnazione e la Redenzione un nuovo valore e deve essere amato. È un mondo destinato alla salvezza: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (1Jn 3,17).

5. Sono numerosi i testi evangelici che provano l’atteggiamento di clemenza e misericordia che Gesù ha verso il mondo, in quanto ne è il Salvatore: il pane che discende dal Cielo “dà la vita al mondo” (Jn 6,33); nell’Eucaristia, la carne di Cristo viene data “per la vita del mondo” (Jn 6,51). Il mondo riceve così la vita divina di Cristo. Esso ne riceve anche la luce: Cristo infatti è “la luce del mondo” (Jn 8,12 Jn 9,5). Anche i suoi discepoli sono chiamati a essere “luce del mondo” (Mt 5,14): essi sono mandati, come Gesù, nel mondo” (Jn 17,18). Il mondo è dunque il campo dell’evangelizzazione e della conversione: il campo in cui il peccato esercita e fa sentire il potere, ma nel quale opera la redenzione, in una sorta di tensione che il credente sa destinata a risolversi con la vittoria della Croce, vittoria della quale si vedono i segni nel mondo dal giorno della Risurrezione.

In questa prospettiva si colloca il Concilio Vaticano II specialmente nella Costituzione Gaudium et spes, che tratta delle relazioni della Chiesa col mondo, inteso come “l’intera famiglia umana”, dove opera la forza redentrice di Cristo e si attua il piano di Dio che egli porta man mano a compimento (cf. Gaudium et Spes GS 2,2). Il Concilio non ignora l’influsso del peccato sul mondo, ma sottolinea che il mondo è buono in quanto creato da Dio e in quanto salvato da Cristo. Si capisce pertanto che il mondo, considerato nella positività che riceve dalla creazione e dalla Redenzione, costituisca “l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo” (CL 15). A loro, dunque, secondo il Concilio, spetta particolarmente di operarvi, perché si attui in esso l’opera del Redentore.

6. Perciò i laici, lungi dal fuggire dal mondo, sono chiamati a impegnarvisi per santificarlo. Ripetiamolo ancora una volta, con un bel testo del Concilio, che può servire come conclusione della presente catechesi: i laici “sono chiamati da Dio a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico e, in questo modo, a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità” (LG 31).

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi di fedeli italiani

Rivolgo ora un cordiale saluto ai vari pellegrini di lingua italiana, presenti a questa Udienza. La solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei Fedeli Defunti, che abbiamo recentemente celebrato, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sull’autentico significato dell’esistenza terrena e sul suo valore per l’eternità.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Questi giorni di riflessione e di preghiera costituiscano per voi, cari giovani, un invito ad imitare l’eroismo dei Santi, rimasti fedeli al progetto divino per tutta la vita. Siano di grande conforto specialmente per voi, cari ammalati, associati, in maniera profonda, al mistero della passione di Cristo. Infine, diventino un’occasione propizia per voi, cari sposi novelli, per comprendere sempre meglio che siete chiamati a testimoniare con la vostra reciproca fedeltà l’amore infinito con cui Dio circonda ogni uomo.




Mercoledì, 10 novembre 1993

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1. Abbiamo già osservato che l’indole secolare, caratteristica della vita dei laici, non può essere concepita secondo una dimensione puramente “mondana”, perché include il rapporto dell’uomo con Dio entro quella comunità di salvezza che è la Chiesa. Vi è dunque nel cristiano un valore trascendente della laicità, che deriva dal Battesimo col quale l’uomo diventa figlio adottivo di Dio e membro del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa.

Per questo abbiamo pure detto, fin dalla prima catechesi sui laici, che questo vocabolo – “laici” – solo abusivamente può essere inteso e impiegato in opposizione a Cristo o alla Chiesa, come indicativo di un atteggiamento di separazione, di indipendenza, o anche solo di indifferenza. Nel linguaggio cristiano, “laico” è colui che è membro del Popolo di Dio e nello stesso tempo vive inserito nel mondo.

2. L’appartenenza dei laici alla Chiesa, come una sua parte viva, attiva e responsabile, deriva dalla stessa volontà di Gesù Cristo, che ha voluto la sua Chiesa aperta a tutti. Qui basti ricordare il comportamento del padrone della vigna, nella parabola così significativa e suggestiva narrata da Gesù. Vedendo degli uomini disoccupati, il padrone dice loro: “Andate anche voi nella mia vigna” (
Mt 20,4). Questo appello, commenta il Sinodo dei Vescovi del 1987 (Christifideles Laici CL 2), “non cessa di risuonare da quel lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che viene in questo mondo”. “La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo”. Tutti sono invitati a “lasciarsi riconciliare con Dio” (2Co 5,20), a lasciarsi salvare e a cooperare alla salvezza universale, perché Dio “vuole che tutti siano salvi” (1Tm 2,4). Tutti sono invitati con le loro qualità personali a lavorare nella “vigna” del Padre, dove ognuno ha il suo posto e il suo premio.

3. La chiamata dei laici comporta una loro partecipazione alla vita della Chiesa ed una conseguente intima comunione alla vita stessa di Cristo. È dono divino ed è, al tempo stesso, impegno di corrispondenza. Non chiedeva forse Gesù ai discepoli che lo avevano seguito di rimanere costantemente uniti a lui e in lui, e di lasciar irrompere nella loro mente e nel loro cuore il suo stesso slancio di vita? “Rimanete in me, e io in voi. Senza di me non potete far nulla” (Jn 15,4-5). Come per i Sacerdoti, così per i laici, la vera fecondità dipende dall’unione a Cristo.

È vero che il “senza di me non potete far nulla” non significa che senza Cristo essi non possano esercitare le loro facoltà e qualità nell’ordine delle attività temporali; ma quella parola di Gesù, trasmessa dal Vangelo di Giovanni, ammonisce noi tutti, chierici e laici, che senza Cristo non possiamo produrre il frutto più specifico della nostra esistenza cristiana. Per i laici tale frutto è specificamente il contributo alla trasformazione del mondo mediante la grazia, e all’edificazione di una società migliore. Solo con la fedeltà alla grazia è possibile aprire nel mondo le vie della grazia: sia con l’adempimento dei propri compiti familiari, specialmente nell’educazione dei figli, sia nel proprio lavoro, sia nel servizio alla società, a tutti i livelli e in tutte le forme di impegno per la giustizia, l’amore e la pace.

4. In armonia con questa dottrina evangelica, ripetuta da san Paolo (cf. Rm 9,16) e ribadita da sant’Agostino (cf. De correptione et gratia, c. 2), il Concilio di Trento ha insegnato che, pur essendo possibile fare delle “opere buone” anche senza essere in stato di grazia (cf. DS 1957), tuttavia solo la grazia dà un valore salvifico alle opere (DS 1551). A sua volta il Pontefice san Pio V, pur condannando la sentenza di chi sosteneva che “tutte le opere dei senza-fede sono peccati e le virtù dei filosofi [pagani] non sono altro che vizi” (DS 1925), rifiutava altresì ogni naturalismo e legalismo, per affermare che il bene meritorio e salvifico deriva dallo Spirito Santo che infonde la grazia nel cuore dei figli adottivi di Dio (DS 1912-1915). È la linea di equilibrio seguita da san Tommaso d’Aquino, che alla questione “se l’uomo possa volere e compiere il bene, senza la grazia”, rispondeva: “Non essendo la natura umana del tutto corrotta col peccato, al punto di essere privata di ogni bene naturale, l’uomo può compiere in virtù della sua natura alcuni beni particolari, come costruire case, piantare vigne e altre cose del genere [campo dei valori e delle attività di ordine lavorativo, tecnico, economico...], ma non può compiere tutto il bene a lui connaturale... come un infermo, da se stesso, non può compiere perfettamente i movimenti di un uomo sano, se non viene risanato con l’aiuto della medicina...” (Summa theologiae, I-II 109,2). Ancor meno può compiere il bene superiore e soprannaturale (“bonum superexcedens, supernaturale”), che è opera delle virtù infuse, e soprattutto della carità derivante dalla grazia (cf. Ivi I-II 109,2).

Come si vede, anche su questo punto riguardante la santità dei laici, è coinvolta una delle tesi fondamentali della teologia della grazia e della salvezza!

5. I laici possono attuare nella propria vita la conformazione al mistero dell’Incarnazione, proprio mediante l’indole secolare del loro stato. Sappiamo infatti che il Figlio di Dio ha voluto condividere la nostra condizione umana, facendosi simile a noi in tutto, escluso il peccato (cf. He 2,17 He 4,15). Gesù si è definito come “colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Jn 10,36). Il Vangelo ci attesta che l’eterno Figlio si è pienamente impegnato nella nostra condizione vivendo nel mondo la propria consacrazione. La vita integralmente umana di Gesù nel mondo è il modello che illumina e ispira la vita di tutti i battezzati (cf. Gaudium et Spes GS 32): è il Vangelo stesso che invita a scoprire nella vita di Cristo una perfetta immagine di quella che può e deve essere la vita di quanti lo seguono come discepoli e partecipano alla missione e alla grazia dell’apostolato.

6. In particolare, possiamo notare che, scegliendo di vivere la vita comune degli uomini, il Figlio di Dio ha conferito a questa vita un nuovo valore, sollevandola alle altezze di quella divina (cf. S. Tommaso, Summa theologiae, III 40,1-2). Essendo Dio, egli ha immesso anche nei gesti più umili dell’esistenza umana una partecipazione della vita divina. In lui noi possiamo e dobbiamo riconoscere e onorare il Dio che, come uomo, è nato e vissuto come noi, e ha mangiato, bevuto, lavorato, esercitato le attività necessarie a tutti, sicché su tutta la vita, su tutte le attività degli uomini, elevate a un livello superiore, si riflette il mistero della vita trinitaria. Per chi vive nella luce della fede, come i laici cristiani, il mistero dell’Incarnazione penetra anche le attività temporali, infondendovi il lievito della grazia.

Alla luce della fede, i laici che seguono la logica dell’Incarnazione, avvenuta per la nostra Redenzione, partecipano anche al mistero della Croce salvifica. Nella vita di Cristo l’Incarnazione e la Redenzione costituiscono un solo mistero d’amore. Il Figlio di Dio si è incarnato per riscattare l’umanità mediante il suo sacrificio: “Il Figlio dell’uomo è venuto... per dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28).

Quando la Lettera agli Ebrei afferma che il Figlio è diventato simile a noi in tutto, escluso il peccato, parla di somiglianza e di condivisione delle prove dolorose della vita presente (cf. He 4,15). Anche nella Lettera ai Filippesi si legge che Colui che è diventato simile agli uomini si è fatto obbediente fino alla morte di croce (cf. Ph 2,7-8).

Come l’esperienza delle difficoltà quotidiane nella vita di Cristo culmina nella Croce, così nella vita dei laici le prove quotidiane culminano nella morte unita a quella di Cristo, che ha vinto la morte. In Cristo e in tutti i suoi seguaci, Sacerdoti e laici, la Croce è la chiave della salvezza.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Come la visita che Hasekura Tsunenaga compì in Europa 3 secoli fa diventò il ponte tra l’Oriente e l’Occidente, così anche la vostra visita in Europa possa diventare un nuovo ponte che unisca nella concordia e nella pace gli uomini di tutti i continenti.

Con questo auspicio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ad alcuni gruppi di fedeli italiani

Rivolgo ora un cordiale pensiero ai numerosi pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto il gruppo proveniente da Macerata, che, guidato dal Vescovo, Monsignor Tarcisio Carboni, è venuto a ricambiare la mia recente Visita pastorale alla loro Diocesi. Avendo sempre vivo nell’animo il ricordo della calorosa accoglienza ricevuta, esprimo a tutti, specialmente ai giovani, speranza della Chiesa e della società, l’augurio di testimoniare con gioiosa coerenza la loro adesione al Vangelo, per contribuire validamente alla crescita cristiana ed umana della Comunità. Sia essa sempre all’altezza dell’impegnativa qualifica di “Civitas Mariae” ereditata dai Padri.

Sono lieto di accogliere i partecipanti al Corso di Pastorale Sanitaria, promosso dall’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, e manifesto loro il mio apprezzamento per l’impegno col quale, nel delicato campo della sanità, si sforzano di unire preparazione scientifica, fedele adesione all’insegnamento morale della Chiesa e viva sensibilità pastorale. L’attenzione prioritaria alla persona del malato, carissimi, continui ad essere vostra costante preoccupazione, sì che il servizio da voi reso diventi sempre un autentico annuncio del Regno di Dio.

Saluto, poi, il Consiglio direttivo dell’Associazione “Giornalisti Brianza”, nel 1o anniversario della fondazione, ed esprimo di cuore l’auspicio che la loro professione sia intesa come vera e propria “missione”, da svolgere con competenza e responsabilità morale.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto infine tutti voi, giovani, ammalati e sposi novelli presenti a questa Udienza. Oggi la liturgia ricorda San Leone Magno, Papa e Dottore della Chiesa, che ha consacrato la sua esistenza alla difesa e alla diffusione della verità evangelica. Per sua intercessione, cari giovani, la vostra venuta a Roma e l’incontro col Papa vi aiutino a costruire il futuro con fede intrepida e gioiosa; voi, cari ammalati, seguite con costanza Cristo nel misterioso sentiero della sofferenza; e voi, sposi novelli, siate sempre, nella nuova via del Matrimonio, testimoni limpidi dell’amore del Signore.




Catechesi 79-2005 20103