Catechesi 79-2005 29123

Mercoledì, 29 dicembre 1993

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1. Domenica scorsa, nella Festa liturgica della Santa Famiglia, la Chiesa ha dato avvio all’Anno della Famiglia, in sintonia con l’iniziativa promossa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’inaugurazione ecclesiale di tale Anno è avvenuta con l’Eucaristia celebrata dal Legato Pontificio a Nazaret. L’Anno della Famiglia, infatti, deve essere soprattutto un anno di preghiera, per implorare dal Signore grazia e benedizione per tutte le famiglie del mondo.

Ma l’aiuto che chiediamo al Signore, come sempre, suppone il nostro impegno ed esige la nostra corrispondenza. Dobbiamo dunque metterci in ascolto della Parola di Dio, valorizzando questo anno come occasione privilegiata per una catechesi sulla famiglia, compiuta sistematicamente in tutte le Chiese locali sparse nel mondo, per offrire alle famiglie cristiane l’opportunità di una riflessione che le aiuti a crescere nella consapevolezza della loro vocazione. Nell’odierna catechesi, desidero pertanto offrire degli spunti di meditazione, tratti da alcuni brani della Sacra Scrittura.

2. Un primo tema ci viene proposto dal Vangelo di Matteo (
Mt 2,13-23), e riguarda la minaccia subita dalla Santa Famiglia quasi subito dopo la nascita di Gesù. La violenza gratuita che insidia la sua vita si abbatte anche su tante altre famiglie, provocando la morte dei Santi Innocenti, dei quali ieri abbiamo fatto memoria.

Ricordando questa terribile prova vissuta dal Figlio di Dio e dai suoi coetanei, la Chiesa si sente invitata a pregare per tutte le famiglie minacciate dall’interno o dall’esterno. Essa prega in particolare per i genitori, dei quali specialmente il Vangelo di Luca evidenzia la grande responsabilità. Dio infatti affida il suo Figlio a Maria, ed entrambi a Giuseppe. Occorre insistentemente pregare per tutte le madri e per tutti i padri, perché siano fedeli alla loro vocazione e si mostrino degni della fiducia che Dio ripone in loro, con l’affidamento dei figli alle loro cure.

3. Un altro tema è quello della famiglia come luogo in cui matura la vocazione. Possiamo cogliere questo aspetto nella risposta data da Gesù a Maria e Giuseppe, che lo cercavano angosciati mentre egli si intratteneva coi dottori nel tempio di Gerusalemme: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). Nella Lettera che ho indirizzato ai giovani di tutto il mondo nel 1985, in occasione della Giornata della Gioventù, ho cercato di evidenziare come è prezioso questo progetto di vita che proprio durante l’età giovanile ciascun giovane deve sforzarsi di elaborare. Come Gesù dodicenne era tutto dedito alle cose del Padre, così ciascuno è chiamato a porsi la domanda: quali sono queste “cose del Padre”, in cui devo impegnarmi per tutta la vita?

4. Altri aspetti inerenti alla vocazione della famiglia ci vengono illustrati dalla parenesi apostolica, quale ad esempio si trova nelle Lettere agli Efesini e ai Colossesi. Per gli Apostoli, così come più tardi per i Padri della Chiesa, la famiglia è la “chiesa domestica”. A questa grande tradizione rimane fedele il Papa Paolo VI nella sua meravigliosa omelia su Nazaret e sull’esempio che ci viene dalla Santa Famiglia: “Nazaret ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile...” (Insegnamenti di Paolo VI, II, 1964, p. 25).

5. Così dunque, fin dall’inizio, la Chiesa scrive la sua Lettera alle famiglie, e io stesso intendo muovermi in questo solco, preparando una Lettera per l’Anno della Famiglia: essa sarà resa pubblica tra non molto. La Santa Famiglia di Nazaret è per noi una sfida permanente, che ci obbliga ad approfondire il mistero della “chiesa domestica” e di ogni famiglia umana. Essa ci è di stimolo a pregare per le famiglie e con le famiglie e a condividere tutto ciò che per loro costituisce gioia e speranza, ma anche preoccupazione e inquietudine.

6. L’esperienza familiare, infatti, è chiamata a diventare, nella vita cristiana, il contenuto di un offertorio quotidiano, come un’offerta santa, un sacrificio a Dio gradito (cf. 1P 2,5 Rm 12,1). Ce lo suggerisce anche il Vangelo della presentazione di Gesù al tempio. Gesù, che è “la luce del mondo” (Jn 8,12), ma anche “segno di contraddizione” (Lc 2,34), desidera accogliere questo offertorio di ogni famiglia come accoglie il pane e il vino nell’Eucaristia. Queste umane gioie e speranze, ma anche le inevitabili sofferenze e preoccupazioni, proprie di ogni vita di famiglia, egli vuole unire al pane e al vino destinato alla transustanziazione, assumendole così in certo modo nel mistero del suo Corpo e del suo Sangue. Questo Corpo e questo Sangue egli poi dona nella comunione come fonte di energia spirituale, non soltanto per ogni singola persona ma anche per ogni famiglia.

7. La Santa Famiglia di Nazaret voglia introdurci ad una comprensione sempre più profonda della vocazione di ogni famiglia, che trova in Cristo la fonte della sua dignità e della sua santità. Nel Natale Dio ha incontrato l’uomo e lo ha unito indissolubilmente a sé: questo “admirabile consortium” include anche il “familiare consortium”. Contemplando questa realtà, la Chiesa piega le ginocchia come di fronte a un “grande mistero” (cf. Ep 5,32): essa vede nell’esperienza di comunione a cui è chiamata la famiglia un riflesso nel tempo della comunione trinitaria e sa bene che il matrimonio cristiano non è soltanto una realtà naturale, ma anche il sacramento dell’unità sponsale di Cristo con la sua Chiesa. È questa sublime dignità della famiglia e del matrimonio che il Concilio Vaticano II ci ha invitato a promuovere. Benedette le famiglie, che sapranno cogliere e realizzare questo originario e meraviglioso progetto di Dio, camminando per le vie indicate da Cristo.

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai pellegrini giunti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi membri del Gruppo YBU (Movimento del Buon Pastore), guidato dal Reverendo P. Hyatt.

Siamo ormai alla soglia del 1994. Pregate affinché il Nuovo Anno sia l’anno della riconciliazione e della pace tra i popoli, sotto la materna guida e protezione della Madre di Dio. Offrite la vostra vita per questo scopo: così il vostro pellegrinaggio avrà raggiunto il suo vero motivo.

Con questo auspicio, a voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli polacchi

Ad alcuni gruppi italiani

Accolgo con gioia i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo dell’Azione Cattolica Ragazzi di Pompei. Cari ragazzi e ragazze e tutti voi, giovani qui presenti! In questo Tempo di Natale abbiamo davanti agli occhi il meraviglioso mistero di Gesù fanciullo e adolescente, che, come racconta l’evangelista Luca, “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. 283 Sappiate anche voi crescere come lui: obbedienti ai genitori e sempre pronti a capire e a seguire la volontà del Padre che è nei cieli.

Agli ammalati e alle coppie di sposi novelli

Mi è poi gradito porgere un saluto cordiale a voi, cari malati, augurandovi di scorgere, nella vivida luce di Betlemme, il senso della vostra sofferenza, ed anche a voi, cari sposi novelli, esortandovi a mantenere costanti, nel costruire la vostra famiglia, l’amore e la dedizione oltre ogni sacrificio. L’intrepido esempio di San Tommaso Becket, di cui oggi facciamo memoria liturgica, aiuti tutti ad essere tenaci nella fede guardando al divino Bambino, che nel mistero del Natale si offre all’intera umanità. Vi accompagni la mia benedizione.





Mercoledi 5 Gennaio 1994: La famiglia, "chiesa domestica", è chiamata a riflettere un raggio della gloria di Dio apparsa sulla Chiesa

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1. "Entrati nella casa, (i Magi) videro il Bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono" (
Mt 2,11).

Esiste un legame strettissimo fra l'epifania e la famiglia: mi piace sottolinearlo in questi primi giorni dell'Anno della Famiglia. E' nella casa ove abita la Santa Famiglia che i Magi incontrano e riconoscono l'atteso Messia. Li questi sapienti ricercatori del mistero divino ricevono la luce che illumina e dà gioia. E' detto infatti che, entrati in casa, i Magi adorarono il Bambino e a Lui presentarono i loro simbolici doni, dando compimento con questo loro gesto agli oracoli messianici dell'Antico Testamento, preannuncianti l'omaggio di tutte le nazioni al Dio d'Israele (cfr. Nb 24,17; Is 49,23 Ps 72,10-15).

Il Cristo si rivela così, nell'umile e nascosta famiglia di Nazareth, come la vera luce delle genti che, mentre avvolge l'intera umanità, riversa un particolare fulgore spirituale sulla realtà della famiglia stessa.


2. Il tema della luce è al centro della liturgia dell'Epifania, che domani solennemente celebreremo.

Il Concilio Vaticano II afferma, con un'immagine di straordinaria eloquenza, che "sul volto della Chiesa" si riflette "la luce di Cristo" (LG 1).

Ora, nel medesimo Documento si afferma pure che la famiglia è "chiesa domestica" (ivi, 11): essa, dunque, è a sua volta chiamata a riflettere, nel calore delle relazioni interpersonali dei suoi membri, un raggio della gloria di Dio, apparsa sulla Chiesa (cfr. Is 60,2). Un raggio, certamente, non è tutta la luce, ma è pur sempre luce: ogni famiglia, con i suoi limiti, a pieno titolo è segno dell'amore di Dio. L'amore coniugale, l'amore paterno e materno, l'amore filiale, immersi nella grazia del Matrimonio, formano un autentico riverbero della gloria di Dio, dell'amore della Santissima Trinità.


3. Nella Lettera agli Efesini, san Paolo parla del "mistero" che è stato rivelato nella pienezza del tempo (cfr. Ep 3,2-6): mistero dell'amore divino che, in Cristo, offre la salvezza agli uomini di ogni razza e di ogni cultura. Ebbene, nella medesima Lettera, l'Apostolo fa riferimento al "mistero grande" a proposito anche del Matrimonio, in relazione all'amore che unisce Cristo alla Chiesa (cfr. Ep 5,32).

La famiglia cristiana, pertanto, quando è fedele al dinamismo che è intrinseco al patto sacramentale, diventa segno autentico dell'amore universale di Dio. Sacramento di unità aperto a tutti, vicini e lontani, parenti e non, in forza del nuovo legame - più forte del sangue - che Cristo stabilisce tra quanti lo seguono.

Un simile modello di famiglia è "epifania" di Dio, manifestazione del suo Amore gratuito ed universale e, in quanto tale, essa è di per sé missionaria, perché annuncia col suo stile di vita che Dio è amore e vuole la salvezza di tutti gli uomini. "La famiglia cristiana - dice sempre il Concilio Vaticano II -, poiché nasce dal Matrimonio, che è l'immagine e la partecipazione del patto d'amore di Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore del mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, sia con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri" (GS 48).


4. Il Vangelo dell'Epifania (Mt 2,1-12) ci presenta i Magi che, venuti da oriente con la guida della stella, giungono a Betlemme, "nella casa" (v. 11) dove abita la Santa Famiglia e si prostrano dinanzi al Bambino. Il centro della scena è Lui, Gesù: è Lui che viene adorato, perché è Lui "il re... che è nato" (v. 2); è sua la stella che i tre sapienti hanno visto sorgere da lontano (cfr. ); è Lui che, nato a Betlemme di Giudea, è destinato a pascere come capo il popolo di Dio (cfr. v. 6); a Lui i Magi offrono i loro doni simbolici.

E, tuttavia, tutto ciò avviene "nella casa", dove essi, entrati, "videro il Bambino con Maria sua madre" (v. 11). E Giuseppe? Qui Matteo - che pure negli altri episodi dell'infanzia lo pone in grande risalto - sembra volerlo lasciare nell'ombra. Perché? Forse perché il nostro sguardo, come quello dei Magi, vada a posarsi su quella che è senza dubbio l'autentica icona di Natale: il Bambino in braccio alla Vergine Madre.

Mentre contempliamo tale icona, comprendiamo come Giuseppe, lungi dall'essere escluso dalla scena, ne è invece, a modo suo, pienamente partecipe.

Chi infatti se non lui, Giuseppe, accoglie i Magi, chi li fa entrare nella casa, e con loro, anzi, prima di loro, si prostra dinanzi a Gesù, che la Madre stringe fra le braccia? Il quadro dell'Epifania suggerisce che ogni famiglia cristiana si nutre spiritualmente di un duplice dinamismo interiore, il cui primo momento è l'adorazione di Gesù, "Dio con noi", e il secondo è la venerazione per la sua Madre Santissima. I due aspetti stanno insieme, sono inseparabili, perché formano i due momenti di un unico movimento dello Spirito, che oggi vediamo esprimersi profeticamente nel gesto dei Magi.


5. Carissimi fratelli e sorelle! Siamo all'inizio dell'Anno della Famiglia, un tempo quanto mai propizio per riflettere sul ruolo e l'importanza della famiglia nella vita della Chiesa e della società. Un anno di approfondimento dottrinale, certo, ma un anno soprattutto di preghiera, e di preghiera in famiglia, per ottenere dal Signore il dono di riscoprire e valorizzare appieno la missione che la Provvidenza affida ad ogni famiglia in questo nostro tempo.

La contemplazione della scena dei Magi ci aiuti a renderci sempre conto che l'intera esistenza familiare trova il suo senso pieno solo se è illuminata da Cristo luce, pace e speranza dell'uomo.

Con i Magi entriamo anche noi nella povera dimora di Betlemme e adoriamo con fede il Salvatore che ci è nato. Riconosciamo in Lui il Signore della storia, il Redentore dell'uomo, il Figlio della Vergine, "sole che sorge" venuto tra noi per "dirigere i nostri passi sulla via della pace" (cfr. Lc 1,79).



Mercoledi 12 Gennaio 1994: La preghiera unita al sacrificio costituisce la forza più potente della storia umana

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"Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo...".


1. Come sapete, ho indetto per domenica 23 gennaio una speciale Giornata di preghiera, preceduta da un giorno di digiuno, il venerdi 21 gennaio, per la pace nei Balcani. E' quanto mai urgente che si elevi dall'intera Comunità ecclesiale e da tutti i credenti un'insistente implorazione per quelle care popolazioni, circa le quali trovano applicazione con drammatica evidenza le parole di Pascal: "Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo" (Pensées, "Le mystère de Jésus", 553).

Cristo continua a morire tra gli avvenimenti tragici in atto nei Balcani Queste parole sono emerse come un pensiero dominante nel corso del recente incontro di studio svoltosi in Vaticano sul tema della pace nei Balcani.

La riunione è stata dedicata ad una attenta analisi della situazione delle popolazioni nei Balcani, che ha permesso una percezione più approfondita delle cause, della realtà e delle conseguenze del sanguinoso conflitto. E' difficile non intravvedere negli avvenimenti, che da anni vanno svolgendosi nell'ex Jugoslavia, proprio "l'agonia di Cristo che continua fino alla fine del mondo"... Benché San Paolo ricordi che "Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui" (
Rm 6,9), quest'ultima non cessa, tuttavia, di essere presente nell'esistenza degli uomini. Siamo testimoni di un processo di morte proprio nei Balcani, e purtroppo testimoni impotenti. Cristo continua a morire tra gli avvenimenti tragici in atto in quella parte del mondo, e questo è stato oggetto della nostra comune riflessione. Continua Cristo la sua agonia in tanti nostri fratelli e sorelle: negli uomini e nelle donne, nei bambini, nei giovani e negli anziani; in tanti cristiani e musulmani, in credenti e non credenti.

Nella guerra dei Balcani la stragrande maggioranza delle vittime è costituita da persone innocenti


2. Nella guerra dei Balcani la stragrande maggioranza delle vittime è costituita da persone innocenti. E tra gli stessi militari non sono molti quelli che hanno la piena responsabilità delle operazioni belliche in atto. così fu sul Golgota, dove in realtà pochi erano i veri colpevoli della morte di Cristo. Gli esecutori materiali della sua uccisione e perfino quanti gridavano "Crocifiggilo, crocifiggilo!" (Lc 23,21), non sapevano quel che facevano o chiedevano. perciò Gesù disse dalla croce: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

Ma è veramente possibile affermare che le persone e gli ambienti responsabili dei tragici eventi dell'ex Jugoslavia non sanno quello che fanno? In realtà, non possono non saperlo. Forse la verità è che cercano di trovare delle giustificazioni per il loro operare. Il nostro secolo purtroppo ci ha fornito non pochi esempi del genere. I totalitarismi, sia quelli di matrice nazionalista che quelli di matrice collettivista, hanno avuto nel recente passato una notevole diffusione, e si basavano tutti sull'obbedienza ad ideologie "di salvezza", che promettevano il paradiso sulla terra per le singole persone e per l'intera società. In tale contesto si potrebbe dire che quanto sta verificandosi ora nei Balcani, sullo sfondo della storia recente dell'Europa, non costituisce una novità. Abbiamo purtroppo già conosciuto la rivendicazione dello "spazio vitale" (Lebensraum), come pure l'idea di una nazione eletta, di una razza o classe privilegiata.

Dopo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ancora nei Balcani questi diritti vengono violati in maniera spaventosa


3. Alla fine della seconda guerra mondiale, nel momento del risveglio delle coscienze, l'umanità si rese conto di quanto tutto ciò fosse contrario al bene dell'uomo e delle nazioni. La prima risposta alle crudeltà di quel tremendo conflitto fu la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ed ecco, nei Balcani sembra che si sia ritornati, in un certo senso, al punto di partenza. I diritti dell'uomo vengono violati in maniera spaventosa e tragica ed i responsabili arrivano a giustificare le loro azioni col principio dell'obbedienza agli ordini e a determinate ideologie. Risuonano così, pure adesso, le parole di Cristo rivolte al Padre: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno".

Se c'è di fatto una certa non consapevolezza della gravità del momento, ciò non disimpegna noi dal prendere posizione secondo criteri di oggettività di fronte ad una situazione tanto tragica. I responsabili dei crudeli delitti della seconda guerra mondiale sono stati giudicati ed il processo in Occidente si è concluso in un arco di tempo relativamente breve. Nell'Europa dell'Est invece si è dovuto in gran parte aspettare sino all'anno 1989, e non tutti i colpevoli delle molteplici e documentate violazioni dei diritti umani sono stati sinora sottoposti a una giusta condanna.

La Sede Apostolica non cessa di ricordare il principio dell'intervento umanitario: non in primo luogo un intervento di tipo militare, ma ogni tipo di azione che miri a un "disarmo" dell'aggressore


4. Quel che sta succedendo nei Balcani suscita spontaneamente riflessioni di questo tipo. Tuttavia, mentre riconosciamo la doverosa esigenza di fare giustizia nei confronti dei colpevoli, non possiamo dimenticare il grido di Cristo sulla Croce: "Perdonali!...". Non possono dimenticarlo la Chiesa e la Sede Apostolica, né gli ambienti ecumenici che veramente portano in cuore la causa dell'unità dei cristiani. Non possono dimenticarlo i difensori dei diritti dell'uomo, che parlano a nome delle Organizzazioni internazionali europee e mondiali. Non è certo questione di una indulgenza superficiale di fronte al male, ma di un sincero sforzo di imparzialità e della necessaria comprensione nei riguardi di coloro che hanno agito mossi da una coscienza erronea.

Di tutto ciò si è parlato nel corso dell'incontro svoltosi di recente in Vaticano. E la conclusione generale che è emersa è la seguente: problemi tanto gravi non si possono risolvere senza far riferimento a Cristo.

E' stato detto che nei Balcani i cristiani, per aver ceduto a pressioni ideologiche di vario tipo, hanno perso credibilità. Ciascuno deve, di conseguenza, assumere la propria parte di responsabilità. Tuttavia, la debolezza dei cristiani mette in risalto ancora di più la potenza di Cristo. Senza di Lui non è possibile risolvere problemi che si complicano di giorno in giorno per le istituzioni e le organizzazioni internazionali, nonché per i diversi governi coinvolti nel conflitto.

Se appare impossibile pervenire ad una durevole e pacifica soluzione, è forse solo per mancanza di buona volontà delle parti in lotta? Si può applicare anche qui il grido di Cristo: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno"? E' da supporre che tutti coloro che sono implicati vogliano ragionevolmente evitare il peggio, l'espandersi cioè degli scontri armati fino al pericolo di divenire l'inizio di una guerra europea o addirittura mondiale.

La Sede Apostolica, da parte sua, non cessa di ricordare il principio dell'intervento umanitario. Non in primo luogo un intervento di tipo militare, ma ogni tipo di azione che miri a un "disarmo" dell'aggressore. E' principio che nei preoccupanti avvenimenti dei Balcani trova una precisa applicazione.

Nell'insegnamento morale della Chiesa ogni aggressione militare è giudicata come moralmente cattiva; la legittima difesa invece è ritenuta ammissibile e talora doverosa. La storia del nostro secolo ha fornito a tale insegnamento numerose conferme.

La preghiera un'arma per i deboli e per quanti subiscono l'ingiustizia


5. L'intervento umanitario più potente rimane sempre la preghiera. Essa costituisce una enorme potenza spirituale, soprattutto quando è accompagnata dal sacrificio e dalla sofferenza. Quanti sacrifici, quante sofferenze vengono affrontati dagli uomini e dalle nazioni di quella regione tormentata dei Balcani! Anche se ciò non appare a uno sguardo superficiale e molti non lo riconoscono, la preghiera unita al sacrificio costituisce la forza più potente della storia umana.

Essa assomiglia, come dice san Paolo, ad un "ammassare carboni ardenti sopra il capo" di coloro che commettono delitti e ingiustizie (cfr. Rm 12,20); assomiglia alla "spada a doppio taglio, che penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (He 4,12).

La preghiera è anche un'arma per i deboli e per quanti subiscono l'ingiustizia. E' l'arma di quella lotta spirituale che la Chiesa combatte nel mondo: essa non dispone di altre armi. La Giornata Mondiale per la Pace è un forte richiamo annuale alla preghiera. L'anno scorso essa è stata come prolungata dallo speciale incontro svolto in Assisi, con la partecipazione dei rappresentanti delle nazioni balcaniche. Quest'anno invece è prevista per domenica 23 gennaio una giornata di orazione per la pace, durante l'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani.

Il recente incontro di studio, a cui hanno preso parte esperti qualificati, aveva lo scopo di dare un contributo alla preparazione della speciale "Giornata" del prossimo 23 gennaio, affinché risulti ancor più partecipata e fervente. La preghiera ci deve unire realmente tutti di fronte a Dio, Padre giusto e ricco di misericordia.

La pace nei Balcani è possibile Niente è impossibile presso Dio!


6. L'anno scorso è stata beatificata suor Faustina Kowalska, che Cristo chiamo ad un vasto apostolato di misericordia, alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Suor Faustina era cosciente dell'importanza del messaggio affidatole da Cristo, ma non poteva sapere ancora quanto ampiamente esso si sarebbe diffuso nel mondo già qualche anno dopo la sua morte. L'umanità intera ha bisogno di tale messaggio sulla misericordia di Dio. Ne ha bisogno il mondo di oggi, in particolare la tormentata terra dei Balcani. Il messaggio della misericordia di Dio è, al tempo stesso, un forte richiamo ad una fiducia più viva: "Gesù, confido in te!". E' difficile trovare parole più eloquenti di quelle trasmesseci da suor Faustina.

Gesù, confido in te! Ecco la speranza che ci ha guidato nei trascorsi giorni di comune riflessione, tenendo viva la consapevolezza che la pace nei Balcani è possibile. "Spes contra spem!". Niente è impossibile presso Dio! E' possibile soprattutto la conversione, capace di trasformare l'odio in amore e la guerra nella pace.

Per questo più insistente e fiduciosa diviene la nostra preghiera: Gesù, confido in te!




Mercoledi 19 Gennaio 1994: Invito alla riconciliazione e al dialogo

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S'impone una universale conversione alla pace, l'unità è una concreta vocazione dei discepoli di Cristo

"La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un'anima sola: né vi era chi dicesse suo quello che possedeva, ma tutto era tra loro comune" (
Ac 4,32).


1. Il tema per la celebrazione della "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani" 1994 è stato tratto da questo importante testo degli Atti degli Apostoli, che descrive la vocazione della comunità cristiana di ogni tempo. La Chiesa è chiamata ad avere un'anima sola e un cuore solo, in una profonda comunione di fede, di preghiera e di solidarietà per contrapporsi a quanto di negativo esiste nel mondo, e in special modo alle tensioni, alle incomprensioni, ai conflitti e alle guerre.

L'unità di tutti i cristiani non è, pertanto, una aspirazione utopistica o un ideale puramente escatologico, bensi una solida e concreta vocazione dei discepoli di Cristo, da realizzare nella vita quotidiana.


2. E' significativo che il tema della "Settimana di preghiera" di quest'anno sia stato inizialmente proposto da un gruppo ecumenico costituito in Irlanda.

L'urgenza della riconciliazione e della pace si impone infatti con maggiore forza nelle situazioni di tensione e di confronto cruento. Ecco perché ho voluto che il 21 e il 23 gennaio prossimi, nell'ambito della "Settimana di preghiera per l'unità dei Cristiani", fossero rispettivamente un giorno di digiuno ed uno di speciale preghiera, per chiedere al Signore il dono di una pace giusta e stabile nei Balcani. Nei Balcani la pace è infatti realmente possibile nonostante tutto ciò che da tempo ormai sta verificandosi in quella martoriata regione.

La pace è possibile, pero, se l'intera comunità internazionale, nei suoi diversi livelli, "ha il coraggio di assumere pienamente il suo obbligo di far rispettare i diritti dell'uomo, il diritto umanitario e così pure il diritto internazionale su cui è fondata la propria esistenza" (Appello del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax, la pace è possibile nei Balcani, 9).

S'impone una universale conversione alla pace. Per questo vogliamo digiunare e pregare. Possa il Signore, a cui nulla è impossibile, illuminare con il suo Spirito le menti degli uomini e condurli a ritrovare le vie della riconciliazione, della fraternità e della pace.


3. "La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un'anima sola". Negli Atti degli Apostoli si legge che la comunità nata dalla Pentecoste era formata da fedeli diversi per origine, linguaggio e condizione sociale, ma si sottolinea che "quando ebbero pregato, si scosse il luogo dove erano radunati e furono tutti ripieni di Spirito Santo" (Ac 4,31).

E' dunque lo Spirito a trasformare in comunità quella folla riunita in preghiera, suscitando la concordia, la comunione ("un cuor solo") e l'unità di intenti e di ispirazione ("un'anima sola"). "Dio è amore" (1Jn 4,7), afferma l'apostolo Giovanni. Non deve stupire che l'amore sia la caratteristica dei veri discepoli del Signore: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).

Il testo degli Atti degli Apostoli si conclude ricordando che "ogni cosa era fra loro comune" (Ac 4,32): l'amore genera solidarietà.


4. Carissimi fratelli e sorelle! Di anno in anno, prendiamo atto del cammino percorso sul difficile sentiero dell'unità fra i cristiani. Ogni passo, anche piccolo, è un contributo importante che rincuora i credenti nella consapevolezza che il Signore non fa mancare il sostegno della sua grazia.

L'esperienza compiuta testimonia come il cosiddetto "dialogo della carità", sempre necessario nella comunità cristiana, abbia di fatto aiutato tutti i discepoli di Cristo a sentirsi più vicini, come s'addice a coloro che il Battesimo ha reso fratelli. Ha contribuito, in particolare, a favorire il "dialogo teologico", sempre più chiaramente orientato a mettere in luce le autentiche esigenze della comunione ecclesiale. Tra i non pochi segni di tale progresso nel dialogo ecumenico, ha avuto singolare rilievo, nel corso dell'ultimo anno, la quinta Conferenza della Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese, svoltasi a Santiago de Compostela, dal 3 al 14 agosto 1993, sul tema: "Verso la Koinônia nella fede, nella vita e nella testimonianza". Per la prima volta, in una riunione di quel tipo, hanno partecipato a pieno titolo, in qualità di membri, ed in modo attivo, rappresentanti della Chiesa cattolica.

Alla Conferenza ho espresso fervidi auguri assicurando la mia preghiera per un lavoro benedetto dal Signore sul cammino verso la piena unità visibile dei cristiani.

La ricerca continua e va proseguita attraverso un dialogo saggio, studi attenti, contatti fraterni, e con la mente rivolta al disegno del Signore: egli vuole che i figli dispersi siano finalmente "una cosa sola affinché il mondo creda" (Jn 17,21).

Preghiamo in particolare perché lo spirito di dialogo nell'unità e nella carità sia vissuto dai cattolici e dagli ortodossi, specie nelle regioni in cui essi vivono fianco a fianco, in modo da promuovere effettivamente la concordia, la collaborazione pastorale, la comune testimonianza della fede.


5. Il cammino dei cristiani verso la piena comunione richiede l'impegno di ognuno; richiede soprattutto la preghiera. Al di là di quanto si possa umanamente fare, l'unità resta un dono di Dio. Lo aveva già sottolineato il Concilio Vaticano II, affermando che il "santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le doti e le forze umane". Per questo motivo occorre riporre la speranza "nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo" (UR 24).

La preghiera offre la possibilità concreta di partecipare ad una impresa che investe la coscienza di ogni fedele, indipendentemente dal servizio e dal ruolo che egli occupa nella Chiesa.

Anche noi oggi vogliamo chiedere al Signore di concedere ai suoi discepoli il dono della piena unità. Lo facciamo riprendendo alcune belle espressioni della preghiera recitata a Santiago de Compostela: "O santa Trinità d'amore: Veniamo a te rendendo grazie per il dono della koinônia, che accogliamo come primizia del tuo Regno...

Veniamo a te nell'attesa di poter più profondamente entrare nella gioia della koinônia.

Veniamo a te fiduciosi, per impegnarci di nuovo nel tuo disegno d'amore, di giustizia e di koinônia...".

Ecco la nostra preghiera ed il nostro impegno. Che il Signore conceda a tutti i cristiani un rinnovato slancio nel perseguimento di quella piena comunione visibile per la quale Cristo ha dato la sua vita.




Mercoledi 26 Gennaio 1994: Partecipazione dei laici all'ufficio profetico di Cristo

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1. Secondo il Concilio Vaticano II, nella Chiesa, Corpo mistico di Cristo, viene partecipata a tutti non solo la dignità e missione di Cristo sommo ed eterno Sacerdote, come abbiamo visto nelle catechesi dedicate al "sacerdozio comune", ma anche la sua dignità e la missione di "grande Profeta", come ci preme considerare nella catechesi presente.

Cominciamo a rileggere il testo della Costituzione Lumen gentium, secondo la quale Cristo "adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della Gerarchia, la quale insegna in nome e con la potestà di Lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola, perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale" (
LG 35 cfr. CEC 904).


2. Come si rileva dal testo, si tratta di una investitura da parte di Cristo stesso, che "costituisce suoi testimoni" i laici, dotandoli del "senso della fede" e della "grazia della parola", con una finalità prettamente ecclesiale ed apostolica: scopo della testimonianza e della investitura è infatti di far si che il Vangelo di Cristo risplenda nel "secolo", ossia nei vari campi dove i laici svolgono la loro vita e compiono i loro doveri terreni. Aggiunge il Concilio: "Questa evangelizzazione o annunzio di Cristo, fatta con la testimonianza della vita e con la parola, acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo" (LG 35 cfr. CEC 905). Questa è dunque la caratteristica della vocazione dei laici a partecipare all'ufficio profetico di Cristo, il Testimone verace e fedele (cfr. Ap 1,5): mostrare che non vi è opposizione tra la sequela di Lui e l'adempimento dei compiti che i laici devono assolvere nella loro condizione "secolare", e che anzi la fedeltà al Vangelo serve anche alla bonifica e al miglioramento delle istituzioni e strutture terrene.


3. A questo punto, pero, occorre precisare, con lo stesso Concilio, la natura della testimonianza e, possiamo dire, del "profetismo" dei laici come di tutta la comunità cristiana. Ne parla Gesù quando, prima dell'Ascensione, dice ai discepoli: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (Ac 1,8). Come per l'esercizio del sacerdozio universale, così per l'adempimento dell'ufficio di testimonianza è necessario l'intervento dello Spirito Santo. Non è solo questione di un temperamento profetico, legato a "carismi" particolari di ordine naturale, come a volte sono intesi nel linguaggio della psicologia e della sociologia moderne. E' piuttosto questione di un profetismo di ordine soprannaturale, quale è adombrato nell'oracolo di Gioele (3,2), citato da Pietro nel giorno della Pentecoste: "Negli ultimi giorni... i vostri figli e le vostre figlie profeteranno" (Ac 2,17). Si tratta di annunciare, comunicare, far vibrare nei cuori le verità rivelate, portatrici della vita nuova elargita dallo Spirito Santo!


4. Per questo il Concilio dice che i fedeli laici sono costituiti testimoni, essendo formati "nel senso della fede e nella grazia della parola" (LG 35). E l'Esortazione apostolica Christifideles laici aggiunge che essi vengono abilitati e impegnati "ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con le parole e con le opere, non esitando a denunciare coraggiosamente il male" (CL 14). Tutto ciò è possibile perché essi ricevono dallo Spirito Santo la grazia di professare la fede e di trovare la via più adatta per esprimerla e comunicarla a tutti.


5. I laici cristiani, come "figli della promessa", sono inoltre chiamati a testimoniare nel mondo la grandezza e la fecondità della speranza che portano in cuore, una speranza fondata sulla dottrina e sull'opera di Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza di tutti. In un mondo che, nonostante le apparenze, si trova così spesso in condizioni di angoscia per la sempre nuova e deludente esperienza dei limiti, delle carenze e persino del vuoto di molte strutture create per la felicità degli uomini sulla terra, la testimonianza della speranza è particolarmente necessaria per orientare gli spiriti nella ricerca della vita futura, oltre il valore relativo delle cose del mondo. In ciò i laici, quali operatori al servizio del Vangelo "attraverso le strutture della vita secolare", hanno una loro specifica rilevanza: mostrano che la speranza cristiana non significa evasione dal mondo né rinuncia a una piena realizzazione dell'esistenza terrena, ma la sua apertura alla dimensione trascendente della vita eterna, la quale sola dà a questa esistenza il suo vero valore.


6. La fede e la speranza, sotto l'impulso della carità, dilatano la loro testimonianza in tutto l'ambito di vita e di lavoro dei laici, chiamati a far si che "la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale" (LG 35). E' la "forza del Vangelo" che si manifesta nella "continua conversione" dell'anima al Signore, nella lotta contro le potenze del male operanti nel mondo, nell'impegno a rimediare ai danni causati dalle potenze, oscure o palesi, che tendono a distogliere gli uomini dal loro destino. E' la "forza del Vangelo" che traspare dalla condotta di ogni giorno, quando si rimane, in ogni ambiente e i tutte le circostanze, dei cristiani coraggiosi, che non hanno paura di mostrare le loro convinzioni, memori delle parole di Gesù: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi" (Lc 9,26 cfr. Mc 8,38). "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio" (Lc 12,8). E' la "forza del Vangelo" che si manifesta quando si conserva la pazienza nelle prove e ci si comporta da testimoni della Croce di Cristo.


7. La "forza del Vangelo" non è richiesta soltanto ai Sacerdoti e ai Religiosi nella loro missione di ministri della parola e della grazia di Cristo; essa è altrettanto necessaria ai laici per l'evangelizzazione degli ambienti e delle strutture secolari dove si svolge la loro vita quotidiana. In tali settori del mondo la loro testimonianza colpisce anche di più e può avere una efficacia inaspettata, a cominciare dall'ambito della "vita matrimoniale e familiare", come ricorda il Concilio (LG 35). Per loro e per tutti i seguaci di Cristo - chiamati a essere profeti della fede e della speranza - chiediamo la forza che solo dallo Spirito Santo si può ottenere con la preghiera assidua e fervorosa.



Catechesi 79-2005 29123