Catechesi 79-2005 7110

Mercoledì, 7 novembre 1990

7110

1. Quando professiamo la nostra fede “nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”, aggiungiamo: “e procede dal Padre e dal Figlio”. Come si sa, queste parole sono state introdotte nel simbolo niceno, che diceva soltanto: “Crediamo nello Spirito Santo” (cf. Denz.
DS 125). Già nel Concilio di Costantinopoli (381) venne inserita l’esplicazione che lo Spirito Santo “procede dal Padre”, sicché parliamo di simbolo niceno-costantinopolitano. La formula conciliare del 381 suonava così: “Credo nello Spirito Santo, che procede dal Padre”. La formula più completa: “che procede dal Padre e dal Figlio” (“qui a Patre Filioque procedit”), già presente in antichi testi e riproposta dal Sinodo di Aquisgrana nell’809, venne infine introdotta anche a Roma nel 1014 in occasione dell’incoronazione dell’imperatore Enrico II. Si diffuse da allora in tutto l’Occidente, e venne ammessa dai Greci e dai Latini nei concili ecumenici di Lione (1274) e di Firenze (1439). Era una precisazione, che non cambiava nulla nella sostanza della fede antica, ma che gli stessi Romani Pontefici erano restii ad ammettere, per rispetto alla formula antica ormai diffusa dappertutto, e usata anche nella basilica di san Pietro.

L’introduzione dell’aggiunta, accolta senza gravi difficoltà in Occidente, suscitò riserve e polemiche tra i nostri fratelli orientali, che attribuirono agli occidentali un cambiamento sostanziale in materia di fede. Oggi possiamo ringraziare il Signore per il fatto che anche su questo punto si va chiarendo in Oriente e in Occidente il vero senso della formula, e la relatività della questione stessa.

In questa sede, però, dobbiamo ora occuparci dell’“origine” dello Spirito Santo, sia pure prendendo in considerazione la questione del “Filioque”.

2. Nella Sacra Scrittura si accenna, innanzitutto, alla processione dello Spirito Santo dal Padre. Ad esempio, nel Vangelo secondo Matteo, al momento di inviare i Dodici per la prima missione, Gesù li rassicura così: “Non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire . . .; non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,19-20). Nel Vangelo secondo Giovanni, poi, Gesù afferma: “Il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza” (Jn 15,26). Secondo molti esegeti, queste parole di Gesù si riferiscono direttamente alla missione temporale dello Spirito da parte del Padre; in esse, tuttavia, è legittimo veder riflessa la processione eterna, e quindi l’origine dello Spirito Santo dal Padre.

Evidentemente, trattandosi di Dio, bisogna liberare la parola “origine” da ogni riferimento all’ordine creato e temporale: cioè, in senso attivo, è da escludere la comunicazione dell’esistenza a qualcuno, e quindi la priorità e la superiorità su di lui, e, in senso passivo, il passaggio dal non-essere all’essere ad opera di un altro, e quindi la posteriorità e la dipendenza da lui. In Dio tutto è eterno, fuori del tempo: l’origine dello Spirito Santo - come quella del Figlio - nel mistero trinitario, nel quale le tre divine Persone sono consostanziali, è dunque eterna. È appunto una “processione” di origine spirituale, come avviene (ma è pur sempre un’analogia molto imperfetta) nella “produzione” del pensiero e dell’amore che rimangono nell’anima in unità con la mente da cui hanno origine. “E in questo senso - scrive san Tommaso - la fede cattolica ammette delle processioni in Dio” (Summa theologiae, I 27,1 I 27,3-4).

3. Quanto alla processione e all’origine dello Spirito Santo dal Figlio, i testi del Nuovo Testamento, pur non parlandone apertamente, tuttavia mettono in rilievo relazioni quanto mai strette tra lo Spirito e il Figlio. L’invio dello Spirito Santo sui credenti non è opera del solo Padre, ma anche del Figlio. Infatti, nel cenacolo, dopo aver detto: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome” (Jn 14,26), Gesù aggiunge: “Quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Jn 16,17).

Altri passi evangelici esprimono il rapporto tra lo Spirito e la rivelazione effettuata dal Figlio, come là dove Gesù dice: “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Jn 16,14-15).

Il Vangelo dice chiaramente che il Figlio - non soltanto il Padre - “manda” lo Spirito Santo, e anzi che lo Spirito “prende” dal Figlio ciò che rivela, poiché tutto quello che il Padre possiede è anche del Figlio. Dopo la risurrezione, questi annunzi troveranno la loro realizzazione quando Gesù, entrato “a porte chiuse” nel luogo in cui gli apostoli s’erano nascosti per timore dei Giudei, “aliterà” su di loro e dirà: “Ricevete lo Spirito Santo” (Jn 20,22).

4. Accanto a questi passi evangelici, che sono i più essenziali per la nostra questione, ve ne sono altri nel Nuovo Testamento che dimostrano che lo Spirito Santo non è soltanto lo Spirito del Padre, ma anche lo Spirito del Figlio, lo Spirito di Cristo. Così nella lettera ai Galati leggiamo che “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio” che grida: “Abbà, Padre!” (Ga 4,6). In altri testi l’apostolo parla dello “Spirito di Gesù Cristo” (Ph 1,19), dello “Spirito di Cristo” (Rm 8,9), e afferma che ciò che Cristo opera per mezzo suo (dell’apostolo) avviene “con la potenza dello Spirito” (Jn 15,19). Non mancano altri testi simili a questi (cf. Jn 8,2 2Co 3,17-18 1P 1,11).

5. In verità, la questione dell’“origine” dello Spirito Santo, nella vita trinitaria del Dio unico, è stata oggetto di una lunga e molteplice riflessione teologica, basata sulla Sacra Scrittura. In Occidente sant’Ambrogio nel suo “De Spiritu Sancto” e sant’Agostino nell’opera De Trinitate diedero un grande apporto alla chiarificazione di questo problema. Il tentativo di penetrare più a fondo nel mistero della vita intima di Dio-Trinità, compiuto da questi e altri Padri e Dottori latini e greci (a cominciare da sant’Ilario, san Basilio, Dionigi, san Giovanni Damasceno), certamente ha preparato il terreno per l’introduzione nel Simbolo di quella formula sullo Spirito Santo che “procede dal Padre e dal Figlio”. I fratelli orientali però si attenevano alla formula pura e semplice del Concilio di Costantinopoli (381), tanto più che il Concilio di Calcedonia (451) ne aveva confermato il carattere “ecumenico” (anche se di fatto vi avevano preso parte quasi solamente vescovi dell’Oriente). Così il “Filioque” occidentale e latino divenne nei secoli seguenti un’occasione dello scisma, già operato da Fozio (882), ma consumato ed esteso a quasi tutto l’Oriente cristiano nel 1054. Le Chiese orientali separate da Roma ancora oggi professano nel Simbolo la fede “nello Spirito Santo che procede dal Padre”, senza far menzione del “Filioque”, mentre in Occidente diciamo espressamente che lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”.

6. Questa dottrina non manca di precisi riferimenti nei grandi Padri e Dottori d’Oriente (Efrem, Atanasio, Basilio, Epifanio, Cirillo d’Alessandria, Massimo, Giovanni Damasceno) e d’Occidente (Tertulliano, Ilario, Ambrogio, Agostino). San Tommaso, seguendo i Padri, diede un’acuta spiegazione della formula, in base al principio dell’unità e uguaglianza delle divine Persone nelle relazioni trinitarie (cf. Summa theologiae; I 36,2-4).

7. Dopo lo scisma, vari Concili del secondo millennio tentarono di ricostituire l’unione tra Roma e Costantinopoli. La questione della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio fu oggetto di chiarificazioni specialmente nei Concili Lateranense IV (1215), di Lione II (1274), e infine al Concilio di Firenze (1439). In quest’ultimo Concilio troviamo una precisazione che ha il valore di una messa a punto storica e nello stesso tempo di una dichiarazione dottrinale: “I Latini affermano che dicendo che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio non intendono escludere che il Padre sia la fonte e il principio di tutta la divinità, cioè del Figlio e dello Spirito Santo; né vogliono negare che il Figlio abbia dal Padre (il fatto) che lo Spirito Santo procede dal Figlio; né ritengono che vi siano due principi o due spirazioni: ma affermano che unico è il principio e unica è la spirazione dello Spirito Santo, come finora hanno asserito” (cf. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973, p. 526).

Era l’eco della tradizione latina, che san Tommaso aveva ben determinato teologicamente (cf. Summa theologiaeI 36,3) riferendosi a un testo di sant’Agostino, secondo il quale “Pater et Filius sunt unum principium Spiritus Sancti” (De Trinitate, V, 14: PL 42, 921).

8. Le difficoltà di ordine terminologico sembravano così superate e le intenzioni chiarite, tanto che entrambe le parti - Greci e Latini - nella Sessione VI (6 luglio 1439) poterono sottoscrivere la definizione comune: “Nel nome della Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, con l’approvazione di questo sacro e universale Concilio fiorentino, stabiliamo che questa verità di fede sia creduta e accettata da tutti i cristiani: e perciò tutti abbiano a professare che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figlio, che egli ha la sua essenza e il suo essere sussistente insieme dal Padre e dal Figlio, e che procede eternamente dall’uno e dall’altro come da un unico principio e da un’unica spirazione” (DS 1300).

Ed ecco un’ulteriore precisazione, alla quale già san Tommaso aveva dedicato un articolo della Summa (“Utrum Spiritus Sanctus procedat a Patre per Filium”: “Dichiariamo - si legge nel Concilio - che quello che affermano i santi Dottori e Padri - (ossia) che lo Spirito Santo procede dal Padre per mezzo del Figlio - tende a far comprendere e vuole significare che anche il Figlio, come il Padre, è causa, secondo i Greci, principio, secondo i Latini, della sussistenza dello Spirito Santo. E poiché tutte le cose che sono dal Padre, il Padre stesso le ha date al Figlio con la generazione, meno l’essere Padre: questa stessa processione dello Spirito Santo dal Figlio, il Figlio stesso l’ha eternamente dal Padre, da cui è pure stato eternamente generato” (DS 1301).

9. Anche oggi questo testo conciliare rimane un’utile base per il dialogo e l’accordo tra i fratelli d’Oriente e d’Occidente, tanto più che la definizione sottoscritta dalle due parti terminava con la seguente dichiarazione: “Stabiliamo . . . che la spiegazione data con l’espressione “Filioque” è stata lecitamente e ragionevolmente aggiunta al Simbolo, per rendere più chiara la verità e per la necessità allora incombente” Denz. DS 1302).

Di fatto, dopo il Concilio di Firenze in Occidente si è continuato a professare che lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”, mentre in Oriente si è continuato ad attenersi alla originaria formula conciliare di Costantinopoli. Ma dai tempi del Concilio Vaticano II si svolge un proficuo dialogo ecumenico, che sembra aver portato alla conclusione che la formula “Filioque” non costituisce un ostacolo essenziale al dialogo stesso e ai suoi sviluppi, che tutti auspichiamo e invochiamo dallo Spirito Santo.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli appartenenti all’Arcidiocesi di Tokyo

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini giapponesi, il mese di novembre è dedicato al ricordo dei defunti. Pregando per loro, disponiamoci con una vita serena e onesta all’incontro ultimo con il Signore. La nostra Madre Maria vi assista sempre nel vostro cammino terreno. Con questo auspicio vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini venuti dalla Germania, dalla Svizzera e dall’Austria

Ai gruppi venuti da Madrid e da Valencia


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai Giovani, agli Ammalati e agli Sposi Novelli. Miei cari, la cerimonia della proclamazione di quattro nuove Beate, avvenuta domenica scorsa, mi suggerisce alcune riflessioni circa la vocazione alla santità di tutto il Popolo di Dio. Questo evento, tanto importante per la Comunità cristiana, sia anzitutto per voi cari giovani un esplicito invito a imitare questi modelli che hanno saputo vedere la presenza operante di Dio nella loro vicenda spirituale. Essi sono stati testimoni efficaci perché hanno fondato e arricchito la loro umanità dei valori profondi ed eterni racchiusi nel messaggio evangelico.

So che tra voi c’è un gruppo di ragazzi e giovani disabili appartenenti al Centro Olympia della Parrocchia di S. Pietro in Camerellis di Salerno. Carissimi, vi saluto con particolare affetto e vi ringrazio per la vostra visita. Nell’assidua imitazione di Cristo Crocifisso, i Santi si sono associati a Lui nel dono della vita per la salvezza di tutti gli uomini. Per questo, miei cari ammalati, offrite anche voi le vostre prove e sofferenze per contribuire alla conversione di tutti gli uomini.

Esorto voi, sposi novelli, a realizzare la vostra santità sostenendovi con un amore fedele per tutta la vita, sull’esempio dei Santi che hanno saputo amare Cristo e la Chiesa con amore indiviso. Educate i figli, che riceverete in dono da Dio, nella fede e nelle virtù evangeliche. Con questi voti vi conforti e vi accompagni la mia Benedizione.




Mercoledì, 14 novembre 1990

14110

1. Oggi vogliamo cominciare la catechesi ripetendo un’asserzione già fatta in precedenza sul tema dell’unico Dio, che la fede cristiana ci insegna a riconoscere e adorare come Trinità. “Il reciproco amore del Padre e del Figlio procede in loro e da loro come Persona: il Padre e il Figlio “spirano” lo Spirito d’Amore a loro consostanziale”. Nella Chiesa è presente già dagli inizi la convinzione che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come Amore.

Le radici della tradizione dei Padri e Dottori della Chiesa sono nel Nuovo Testamento e particolarmente nelle parole di san Giovanni nella sua prima Lettera: “Dio è Amore” (
1Jn 4,8).

2. Queste parole riguardano l’essenza stessa di Dio, nella quale le tre Persone sono una sola sostanza, e tutte sono egualmente Amore, cioè Volontà del bene, propensione interna verso l’oggetto dell’amore, entro e fuori della vita trinitaria.

Ma è giunto il momento di far osservare, con san Tommaso d’Aquino, che il nostro linguaggio è povero di termini espressivi dell’atto di volontà che porta l’amante nell’amato. Ciò dipende dall’interiorità dell’amore, che procedendo dalla volontà - o dal cuore - non è così lucido e autoconsapevole come lo è il processo dell’idea della mente. Da qui dipende che, mentre nella sfera dell’intelletto disponiamo di parole diverse per esprimere, da una parte, il rapporto tra il conoscente e l’oggetto conosciuto (“intendere”, “intelligere”) e, dall’altra, l’emanazione dell’idea dalla mente nell’atto della conoscenza (dire la Parola, o Verbo, procedere come Parola dalla mente), non avviene lo stesso nella sfera della volontà e del cuore. È certo che, “per il fatto che uno ama qualcosa, risulta in lui, nel suo affetto, un’impressione, per così dire, dell’oggetto amato, in forza della quale l’amato è nell’amante come la cosa conosciuta è in chi la conosce. Perciò, quando uno conosce e ama se medesimo, è in se stesso, non solo perché è identico a se medesimo, ma anche perché è oggetto della propria conoscenza e del proprio amore”. Ma, nel linguaggio umano, “non furono coniate altre parole per esprimere il rapporto esistente tra l’affezione, o impressione suscitata dall’oggetto amato, e il principio (interiore) da cui essa emana, o viceversa. Quindi, per la povertà di vocaboli (“propter vocabulorum inopiam”), tali rapporti vengono anch’essi indicati con i termini “amore”, “dilezione”; ed è come se uno desse al Verbo i nomi di intellezione concepita, o di sapienza generata”.

Di qui la conclusione dell’Angelico Dottore: “Se nei termini amore e amare (“diligere”) si intende indicare solo il rapporto tra l’amante e la cosa amata, essi (nella Trinità) si riferiscono all’essenza divina, come gli altri termini “intellezione” e “intendere”. Se invece usiamo quegli stessi termini per indicare i rapporti esistenti tra ciò che deriva o procede come atto e oggetto dell’amore, e il principio correlativo, in modo che “Amor” sia l’equivalente di “Amore che procede”, e “Amare” (“diligere”) l’equivalente di “spirare l’amore procedente”, allora Amore è nome di persona . . .”, ed è proprio dello Spirito Santo (Summa theologiae, I 37,1).

3. L’analisi terminologica condotta da san Tommaso è molto utile per raggiungere una nozione relativamente chiara dello Spirito Santo come Amore-Persona, in seno alla Trinità che tutta “è Amore”. Ma va detto che l’attribuzione dell’Amore allo Spirito Santo, come suo nome proprio, si trova nell’insegnamento dei Padri della Chiesa, dei quali lo stesso Dottore Angelico si nutre. A loro volta i Padri sono gli eredi della rivelazione di Gesù e della predicazione degli apostoli, che conosciamo anche da altri testi del Nuovo Testamento. Così nella preghiera sacerdotale, rivolta al Padre nell’ultima cena, Gesù dice: “E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”. Si tratta dell’amore con il quale il Padre ha amato il Figlio “prima della creazione del mondo” (Jn 17,26 Jn 17,24). Secondo alcuni esegeti recenti le parole di Gesù indicano qui, almeno indirettamente, lo Spirito Santo, l’Amore con il quale il Padre ama eternamente il Figlio, eternamente amato da lui. Ma già san Tommaso aveva esaminato accuratamente un testo di sant’Agostino su questo reciproco amore del Padre e del Figlio nello Spirito Santo, discusso da altri scolastici a causa dell’ablativo con cui era passato nella teologia medievale: “Utrum Pater et Filius diligant se Spiritu Sancto”, e aveva concluso la sua analisi letteraria e dottrinale con questa bella spiegazione: “A quel modo che diciamo che l’albero fiorisce nei fiori, così diciamo che il Padre dice se stesso e il creato nel Verbo, o Figlio, e che il Padre e il Figlio amano se stessi e noi nello Spirito Santo, cioè nell’Amore procedente” (Summa theologiae, I 37,2).

Sempre in quel discorso d’addio Gesù annunzia che il Padre manderà agli apostoli (e alla Chiesa) il “Consolatore . . . lo Spirito di verità”, e che anche lui, il Figlio, lo manderà perché “rimanga con voi e in voi per sempre” (Jn 14,16-17).

Gli apostoli riceveranno dunque lo Spirito Santo come Amore che unisce il Padre e il Figlio. Per opera di quest’Amore il Padre e il Figlio “prenderanno dimora presso di loro” (Jn 14,23).

4. In questa stessa prospettiva va considerato l’altro brano della preghiera sacerdotale, quando Gesù prega il Padre per l’unità dei suoi discepoli: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21). Se i discepoli devono costituire “in noi una cosa sola” - cioè nel Padre e nel Figlio - questo può avvenire soltanto per opera dello Spirito Santo, la cui venuta e permanenza nei discepoli è contemporaneamente annunziata da Cristo: Egli “dimora presso di voi e sarà in voi” (Jn 14,17).

5. Questo annuncio è stato recepito e capito nella Chiesa delle origini, come provano, oltre allo stesso Vangelo giovanneo, l’accenno di san Paolo sull’amore di Dio che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). E lo provano pure le parole di san Giovanni nella sua prima Lettera: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito” (1Jn 4,12-13).

6. Da queste radici si è sviluppata la tradizione sullo Spirito Santo come Persona-Amore.

L’economia trinitaria della santificazione salvifica ha permesso ai Padri e Dottori della Chiesa di “penetrare con lo sguardo” nel mistero intimo di Dio-Trinità.

Così ha fatto sant’Agostino, specialmente nell’opera De Trinitate, contribuendo in modo decisivo all’affermazione e diffusione di questa dottrina in Occidente. Dalle sue riflessioni emergeva la concezione dello Spirito Santo come reciproco Amore e legame d’unità tra il Padre e il Figlio nella comunione della Trinità. Egli scriveva: “Come chiamiamo propriamente il Verbo unico di Dio col nome di Sapienza, benché generalmente lo Spirito Santo e il Padre stesso siano Sapienza, anche lo Spirito riceve in proprio il nome di Carità, benché il Padre e il Figlio siano, in senso generale, Carità” (S. Augustini De Trinitate, XV, 17, 31: CC 50, 505).

“Lo Spirito Santo è qualcosa di comune al Padre e al Figlio . . . la stessa comunione consostanziale e coeterna . . . Essi non sono più di tre: uno che ama colui che è da lui; uno che ama colui dal quale riceve la sua origine; e l’amore stesso” (Ivi, VI, 5, 7: CC 50, 295. 236).

7. La stessa dottrina si trova in Oriente, dove i Padri parlano dello Spirito Santo come di Colui che è l’unità del Padre e del Figlio e il legame della Trinità. Così Cirillo d’Alessandria († 444) ed Epifanio di Salamina († 403).

Su questa linea sono rimasti i teologi orientali delle epoche successive. Tra essi il monaco Gregorio Palamas, arcivescovo di Tessalonica (secolo XIV), che scrive: “Lo Spirito del Verbo supremo è come un certo amore del Padre verso il Verbo misteriosamente generato; ed è lo stesso amore che l’amatissimo Verbo e Figlio del Padre ha per colui che lo ha generato”. Tra gli autori più recenti piace citare Bulgakov: “Se Dio, che è nella santissima Trinità, è amore, lo Spirito Santo è Amore dell’amore” (Il Paraclito, Bologna 1972, p. 121).

8. È la dottrina d’Oriente e d’Occidente, che il Papa Leone XIII coglieva dalla tradizione e sintetizzava nella sua enciclica sullo Spirito Santo, dove si legge che lo Spirito Santo “è la divina Bontà e il reciproco Amore del Padre e del Figlio” (DS 3326). Ma, per conchiudere, torniamo ancora una volta a sant’Agostino: “L’Amore è da Dio ed è Dio: è dunque propriamente lo Spirito Santo, per il quale si espande la carità di Dio nei nostri cuori, facendo dimorare in noi la Trinità . . . Lo Spirito Santo è chiamato propriamente Dono a motivo dell’Amore” (De Trinitate, XV,18, 32: PL 42,1082-1083). Perché è Amore, lo Spirito Santo è Dono. Sarà questo il tema della prossima catechesi.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli venuti dalla Spagna e da diversi Paesi dell’America Latina


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai pellegrini venuti da diverse Diocesi italiane

Saluto ora i vari gruppi di lingua italiana. Rivolgo il mio pensiero anzitutto al numeroso contingente della Scuola Allievi della Polizia di Stato, giunto a Roma per un corso di perfezionamento ed aggiornamento di Ispettori di Polizia. Il mio fervido augurio a tutti voi, cari Allievi, ed al personale dell’Istituto che vi accompagna; auspico che il vostro servizio, generosamente offerto per il bene dell’intera comunità civile, si svolga sotto la protezione del Signore e sia costantemente testimonianza di rettitudine e garanzia di ordine nel Paese.

Un particolare saluto va poi ai pellegrini della Parrocchia di Garzola ed agli atleti ed organizzatori degli sport nautici, che venerano, come loro Patrona, la Vergine detta “del Prodigio”. Invoco per voi, cari appassionati e cultori dello sport nautico, Maria “Stella del mare”, perché vi sia protezione e guida per la piena realizzazione della vita cristiana.

Saluto, infine, i componenti del coro alpino “Oltre Piave” di Vigo di Cadore, in diocesi di Belluno. La vostra presenza ed i vostri canti, mi ricordano le cordiali espressioni di ospitalità e le bellezze delle Dolomiti, conosciute durante i miei soggiorni estivi in Cadore. Grazie, carissimi cantori, per questa visita, e il “Signore delle cime”, che spesso invocate con le vostre canzoni folkloristiche, protegga sempre voi e le vostre famiglie.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio cordiale benvenuto ai Giovani, agli Ammalati e agli Sposi Novelli. Miei cari, domani celebreremo la memoria di Sant’Alberto Magno, Vescovo e Dottore della Chiesa.

L’esempio di Sant’Alberto sia per voi di stimolo, cari giovani, a ricercare nella vostra vita l’armonia tra la scienza umana e le verità rivelate. Infatti, quest’insigne Dottore della Chiesa, ha saputo spaziare nei differenti campi dello scibile umano e ricondurli alla causa ultima, che è Dio, creatore del mondo intero.

Così anche voi, cari fratelli ammalati, chiedete a Dio, per l’intercessione di Sant’Alberto, il dono della sapienza del cuore, affinché sappiate accettare le vostre sofferenze fisiche e spirituali ed offrirle al Signore per la salvezza degli uomini.

Ed infine a voi, sposi novelli, dico: imparate da questo Santo ad essere perseveranti nella testimonianza e soprattutto nella confidenza in Colui che vi ha uniti per sempre mediante il Sacramento del matrimonio. In questo modo sarete, come Sant’Alberto fu per numerosi studenti, veri educatori dei figli che Dio vorrà darvi in dono. Su tutti la mia Benedizione.






Mercoledì, 21 novembre 1990

21110
1. Tutti conosciamo le delicate e invitanti parole rivolte da Gesù alla samaritana, venuta ad attingere acqua presso il pozzo di Giacobbe: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (
Jn 4,10). Sono parole che ci introducono in un’altra essenziale dimensione della verità rivelata sullo Spirito Santo.

Gesù in quell’incontro parla del dono dell’“acqua viva”, asserendo che chi la beve “non avrà più sete” (Jn 4,14). In altra occasione, Gerusalemme, Gesù parla di “fiumi di acqua viva”, e l’evangelista, che riporta questa parola, aggiunge che Gesù diceva questo “riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Jn 7,38 Jn 7,39). In seguito l’evangelista spiega che quello Spirito sarebbe stato dato soltanto quando Gesù fosse stato “glorificato”.

Dalla riflessione su questi e altri testi analoghi è emersa la convinzione che appartiene alla rivelazione di Gesù il concetto dello Spirito Santo come Dono concesso dal Padre. Del resto, stando al Vangelo di Luca, nel suo insegnamento (quasi catechetico) sulla preghiera, Gesù fa notare ai discepoli che, se gli uomini sanno dare dei buoni doni ai loro figli, “quanto più il Padre celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Lc 11,13): Lo Spirito Santo è la “cosa buona” più di tutte le altre (cf. Mt 7,11), il “dono buono” per eccellenza!

2. Nel discorso d’addio agli apostoli, Gesù li assicura che egli stesso chiederà al Padre per i suoi discepoli soprattutto questo dono: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre” (Jn 14,16). Parla così alla vigilia della sua passione, e dopo la risurrezione annuncia il prossimo compimento della sua preghiera: “E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso . . . finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49). “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni . . . fino agli estremi confini della terra” (Ac 1,8).

Gesù chiede al Padre lo Spirito Santo come Dono per gli apostoli e per la Chiesa sino alla fine del mondo. Ma nello stesso tempo egli è colui che porta in sé questo dono, e anzi possiede, anche nella sua umanità, la pienezza dello Spirito Santo, poiché “il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa”. Egli è colui che “Dio ha mandato”, che “proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura” (Jn 3,35 Jn 3,34).

3. Anche mediante la sua umanità, è il Figlio di Dio stesso a mandare lo Spirito: se lo Spirito Santo è pienamente il Dono del Padre, Cristo-uomo, portando a termine nella sua passione redentiva la missione abbracciata e svolta per obbedire al Padre, obbedienza “fino alla morte in croce” (Ph 2,8), rivela, mediante il suo sacrificio redentore di Figlio, lo Spirito Santo come Dono e lo dà ai suoi discepoli. Quello che nel cenacolo Gesù chiama la propria “dipartita” nell’economia salvifica diventa il momento prefissato al quale è legata la “venuta” dello Spirito Santo (cf. Jn 16,7).

4. Ma attraverso tale momento culminante dell’autorivelazione del mistero trinitario, ci è permesso di penetrare ancor meglio nella vita intima di Dio. Lo Spirito Santo ci è fatto conoscere non solo come Dono agli uomini, ma anche come Dono sussistente nella stessa vita intima di Dio. “Dio è amore”, ci ha detto san Giovanni (1Jn 4,8): amore essenziale, come precisano i teologi, comune alle tre divine Persone. Ma ciò non esclude che lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio, sia Amore in senso personale, come abbiamo spiegato nella precedente catechesi. Per questo egli “scruta le profondità di Dio” (1Co 2,10), con la potenza di penetrazione propria dell’Amore. Per questo egli è anche il Dono increato ed eterno, che le divine Persone si scambiano nella vita intima del Dio uno e trino. Il suo essere amore si identifica col suo essere Dono. Si potrebbe addirittura dire che “per lo Spirito Santo Dio “esiste” a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere Amore. È Persona-Amore. È Persona-Dono” (Dominum et vivificantem DEV 10).

5. Scrive sant’Agostino che, “come l’essere nato è per il Figlio essere dal Padre, così l’essere Dono è per lo Spirito Santo procedere dal Padre e dal Figlio” (De Trinitate, IV, 20: PL 42, 908). Vi è nello Spirito Santo un’equivalenza tra l’essere Amore e l’essere Dono. Spiega bene san Tommaso: “L’amore è la ragione di un dono gratuito, che si fa a una persona perché le si vuol bene. Il primo dono è dunque l’amore (“amor habet rationem primi doni”) . . . Perciò, se lo Spirito Santo procede come Amore, procede anche come Primo Dono” (Summa theologiae, I 38,2). Tutti gli altri doni vengono distribuiti tra i membri del corpo di Cristo per il Dono che è lo Spirito Santo, conchiude l’Angelico con sant’Agostino (De Trinitate, XV, 19: PL 42, 84).

6. Essendo all’origine di tutti gli altri doni elargiti alle creature, lo Spirito Santo, Amore-Persona, Dono increato, è come una fonte (“fons vivus”), da cui tutto deriva nel creato; è come un fuoco d’amore (“ignis caritas”), che sparge scintille di realtà e di bontà in tutte le cose (“dona creata”). Si tratta dell’elargizione dell’esistenza mediante l’atto della creazione, e della grazia agli angeli e agli uomini nell’economia della salvezza. Per questo l’apostolo Paolo scrive: “L’amore di Dio è stato riversato nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

7. Anche questo testo paolino è una sintesi di quanto insegnano gli apostoli subito dopo la Pentecoste. “Pentitevi, - esortava Pietro - ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (Ac 2,38). Poco dopo lo stesso apostolo, mandato al centurione Cornelio per battezzarlo, potrà capire, per l’esperienza di una rivelazione divina, “che anche sopra i pagani si doveva effondere il dono dello Spirito Santo”. Gli Atti registreranno anche l’episodio di Simon Mago, che avrebbe voluto “acquistare con denaro” lo Spirito Santo. Simon Pietro lo rimprovererà duramente per questo, ribadendo che lo Spirito Santo è soltanto dono, e si riceve gratuitamente, appunto come dono di Dio (cf. Ac 8,19-23).

8. È ciò che ripetono i Padri della Chiesa. Leggiamo ad esempio in Cirillo d’Alessandria: “Il nostro ritorno a Dio si fa per Cristo Salvatore, avviene solo attraverso la partecipazione e la santificazione dello Spirito Santo. Colui che ci congiunge e, per così dire, ci unisce a Dio è lo Spirito, ricevendo il quale siamo partecipi e consorti della divina natura; noi lo riceviamo per mezzo del Figlio e nel Figlio riceviamo il Padre” (Cirillo Alessandrino, In Evang. Ioannis, 9, 10: PG 74,544). È il “ritorno a Dio”, che si effettua continuamente nei singoli uomini e nelle generazioni umane, nel tempo che intercorre dalla “dipartita” redentrice di Cristo - del Figlio al Padre - alla sempre nuova “venuta” santificante dello Spirito Santo, che si completerà con la venuta gloriosa di Cristo alla fine della storia. Tutto ciò che, nell’ordine sacramentale, nell’ordine carismatico, nell’ordine ecclesiastico-gerarchico, serve a questo “ritorno” dell’umanità al Padre nel Figlio è una molteplice e varia “diffusione” dell’unico Dono eterno, quale è lo Spirito Santo, nella sua dimensione di dono creato, ossia di partecipazione negli uomini dell’Amore infinito. È “lo Spirito Santo che dà se stesso” dice san Tommaso (Summa theologiae, I 38,1, ad 1). Vi è una certa continuità tra il Dono increato e i doni creati, che faceva scrivere a sant’Agostino: “Lo Spirito Santo è eternamente Dono, ma temporalmente è (ciò che è) donato” (De Trinitate, V, 16.17: cc. 50, 224).

9. Da questa vetusta tradizione di Padri e Dottori della Chiesa, anelli di congiunzione con Gesù Cristo e gli apostoli, deriva ciò che si legge nell’enciclica Dominum et vivificantem (DEV 54): “L’amore di Dio Padre, dono, grazia infinita, principio di vita, è divenuto palese in Cristo, e nell’umanità di lui si è fatto “parte” dell’universo, del genere umano, della storia. Quella “apparizione” della grazia nella storia dell’uomo, mediante Gesù Cristo, si è compiuta per opera dello Spirito Santo, che è il principio di ogni azione salvifica di Dio nel mondo: egli, “Dio nascosto”, che come amore e dono «riempie l’universo»”. Al centro di questo ordine universale costituito dai doni dello Spirito Santo vi è l’uomo, “creatura razionale, che, a differenza delle altre creature terrene, può giungere a godere della Persona divina e usufruire dei suoi doni. A questo può pervenire la creatura razionale, quando diventa partecipe del Verbo divino e dell’Amore che procede dal Padre e dal Figlio, sì da poter per sua libera apertura interiore conoscere veramente Dio e rettamente amarlo . . . Ma questo non certo per virtù propria, ma per dono concesso dall’alto . . . In questo senso compete allo Spirito Santo essere dato, e essere Dono” (Summa theologiae, I 38,1).

Avremo ancora occasione di mostrare l’importanza di questa dottrina per la vita spirituale. Per ora sigilliamo col bel testo dell’Angelico Dottore le nostre catechesi sulla Persona dello Spirito Santo, Amore e Dono di carità infinita.

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai vari gruppi di pellegrini provenienti da diverse regioni italiane

Il mio cordiale saluto ora ai pellegrini di lingua italiana, ed anzitutto agli Allievi Ufficiali di Complemento del Genio, appartenenti al 140° Corso. Vi auguro, cari giovani, che l’esperienza del servizio che state compiendo vi prepari alle future responsabilità e si attui nello spirito di collaborazione e di amicizia, specialmente in quelle emergenze che richiedono il vostro soccorso e il vostro aiuto.

Saluto poi il Parroco ed i Fedeli della Parrocchia romana di San Giovanni Battista al Collatino, che ricordano quest’anno il XXV di fondazione della loro Comunità. Invito tutti ad avere sempre presenti le parole del Concilio Vaticano II, che esortano i componenti delle parrocchie ad essere “un luminoso esempio di apostolato comunitario. Operate insieme, cari sacerdoti e fedeli, solidali e concordi nell’impegno di diffondere il Vangelo.

Il mio pensiero va poi a tre gruppi speciali: all’Associazione Filarmonica della Mezza Età, di Lama, in diocesi di Perugia; agli Ospiti e ai Dipendenti dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in diocesi di Cosenza, e all’Associazione degli Invalidi Civili del Molise. A tutti un fervido augurio di ogni bene.

Saluto particolarmente i ragazzi di diversi Istituti scolastici, che hanno partecipato al premio per la bontà, intitolato a “Livio Tempesta”. Siate sempre coraggiosi e generosi testimoni dell’amore fraterno, ben consapevoli che la società ha estremo bisogno di solidarietà, di comprensione e di concreti aiuti verso i più deboli.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Carissimi Giovani, Ammalati, Sposi Novelli, a voi, come di consueto, giunga il mio saluto più cordiale. Oggi, la liturgia ci propone la “memoria” della Presentazione al tempio della Beata Vergine Maria. È una delle feste mariane molto sentite dalla devozione popolare. Essa vuol commemorare la “dedicazione” a Dio di Maria Bambina e richiamare alla considerazione la nostra consacrazione avvenuta nel Battesimo, rendendoci partecipi della stessa vita trinitaria di Dio.

La Vergine Santissima aiuti a vivere, come “consacrati” a Dio: voi, giovani, nelle vostre aspirazioni e nei vostri ideali per il presente e per il futuro; voi, malati, nelle vostre speranze e nella vostra pazienza, soprattutto nei momenti più difficili di sofferenze e di dura prova; e voi, Sposi Novelli, nella vostra fiducia e nel vostro entusiasmo, necessari per ben iniziare la nuova vita familiare. A tutti la mia Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 7110