Catechesi 79-2005 60391

Mercoledi 6 Marzo 1991: A conclusione della riunione dei patriarchi e vescovi dei paesi coinvolti nella guerra del Golfo

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Senza una vera giustizia non si può avere la pace. la giustizia non si può conseguire se non con mezzi pacifici

Venerabili patriarchi, Cari confratelli nell'Episcopato, fratelli e sorelle, "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti...".

Insieme a voi, pellegrini qui convenuti, desidero rivolgere un rinnovato saluto ai Venerabili Patriarchi delle Chiese Cattoliche del Medio Oriente e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali dei Paesi che sono stati più direttamente coinvolti nella recente guerra del Golfo.

Cari fratelli, la vostra presenza qui, questa mattina, è come il prolungamento della riunione svoltasi ieri e l'altro ieri e che avevo convocato per uno scambio di informazioni, per una comune valutazione delle conseguenze del conflitto sulle popolazioni della regione mediorientale, sulle comunita cristiane che vi vivono e sul dialogo tra le religioni monoteistiche. Questa idea è stata soprattutto alimentata dal più vivo desiderio di trovare insieme quali fossero le iniziative della Chiesa Cattolica più adatte per superare tali conseguenze negative e favorire il conseguimento di una pace duratura nella giustizia e nella comprensione. Il nostro incontro è stato prima di tutto una profonda esperienza di comunione ecclesiale, favorita dalle comuni sensibilità e responsabilità che derivano dal Ministero affidatoci da Cristo. Egli, infatti, ha detto ai Suoi discepoli: "Andate... e ammaestrate tutte le nazioni..., insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato".

Questa unità tra Pastori di Chiese particolari che testimoniano il Vangelo all'interno di società dalle caratteristiche così diverse tra di loro, in Oriente e in Occidente, vuole essere un punto di partenza per voi che l'avete sperimentata, una indicazione per i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale e un simbolo di una vera e pronta riconciliazione tra i popoli. Quei popoli che la recente guerra ha visto contrapposti o che i perduranti problemi del Medio Oriente continuano a contrapporre. Da parte vostra sono state illustrate molte situazioni di sofferenza e di pericoli a motivo delle tensioni ancora esistenti e delle incomprensioni che potrebbero aumentare, se non ci sarà un pronto impegno di tutti ad affidarsi al dialogo e alla fiducia reciproca. Tutto questo ha portato nei nostri cuori tristezza e preoccupazione e ha rafforzato la convinzione che senza una vera giustizia non si può avere la pace e che la giustizia non si può adeguatamente conseguire se non con mezzi pacifici.

La guerra del Golfo ha portato morte, distruzione e ingenti danni economici e ambientali: abbiamo espresso la speranza che, per il popolo del Kuwait, le popolazioni dell'Iraq e tutti i loro vicini, la volontà della ricostruzione materiale sia accompagnata dal desiderio di leale collaborazione tra loro e con la grande famiglia delle nazioni. Sarà necessario superare i rancori e le divisioni culturali e, in particolare, quelle createsi tra diversi mondi religiosi. E' una speranza che trova il suo fondamento più profondo nella comune fede di questi popoli nel Dio Creatore e nella fiducia nell'uomo Sua creatura, chiamato da Lui a conservare e a rendere migliore il mondo. La nostra speranza e i nostri propositi concreti si sono rivolti anche alle gravi situazioni nelle quali si trovano altre parti della regione. Abbiamo parlato della Terra Santa, dove tra due popoli, quello palestinese e quello dello Stato di Israele, da decenni continua ad esistere un antagonismo che aumenta le tensioni e le ansie e che è finora apparso irriducibile.

L'ingiustizia della quale è vittima il popolo palestinese esige un impegno di tutti e, in particolare, dei responsabili delle nazioni e della comunità internazionale. Solamente con la ricerca intensa di un immediato inizio di soluzione, quel popolo potrà finalmente essere riconosciuto nella sua dignità ed essere, anch'esso, garante della sicurezza di tutti. Il riferimento alla Terra dove Cristo è nato ha portato il nostro pensiero alla Città dove Egli ha predicato, è morto e risorto, Gerusalemme, con i suoi luoghi santi cari anche agli ebrei e ai musulmani e con le sue comunità. Essa, chiamata ad essere crocevia di pace, non può continuare ad essere motivo di discordia e di discussione. Spero vivamente che, un giorno, le circostanze mi permetteranno di recarmi come pellegrino in quella Città unica al mondo, per rilanciare di là, insieme con i credenti ebrei, cristiani e musulmani, quel messaggio e quell'implorazione di pace, già diretti all'intera famiglia umana, il 27 ottobre 1986 ad Assisi.

Il nostro pensiero si è rivolto poi al caro e tanto provato Libano, dove un'altra situazione di ingiustizia da oltre 15 anni grava su una intera popolazione. Anche là c'è un ordine internazionale turbato e un Paese sovrano privato della sua completa indipendenza. Inoltre, il mondo intero non può ignorare tanta sofferenza e, soprattutto, rischiare di perdere una tale ricca esperienza di incontro e di collaborazione tra culture e religioni diverse. In quella regione altri Paesi e altri popoli da anni vivono in tensione per situazioni non risolte, o forse dimenticate, come per esempio quella esistente a Cipro e quella relativa al provato popolo curdo. Si tratta di problemi molto complessi e difficili, che esigono un grande impegno di coloro che sono responsabili delle sorti del mondo e nelle mani dei quali c'è la possibilità reale di affrontarli e di risolverli, facendosi, in tal modo, dei veri artefici di pace. Che cosa possono fare le comunità cattoliche dell'Oriente e dell'Occidente? I cristiani di Oriente sono chiamati spesso a testimoniare la loro fede in società dove essi sono minoritari: è loro aspirazione farlo con coraggio, sentendosi a pieno titolo costruttori e partecipi delle società a cui appartengono. Questo comporta innanzitutto un dialogo genuino e costante con i fratelli ebrei e musulmani e una autentica libertà religiosa, sulla base del rispetto mutuo e della reciprocità. In tal senso già il 1 gennaio di quest'anno ho dedicato la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace al tema "Se vuoi la Pace rispetta la coscienza di ogni uomo". Le vostre comunità non potranno esimersi da un profondo impegno concreto in un movimento di sincera solidarietà verso coloro che, a motivo della guerra o delle tristi circostanze che hanno colpito le loro terre, si trovano ad essere nella sofferenza, più poveri e più bisognosi.

Sono sicuro che i cattolici di tutto il mondo, con il vostro aiuto e il vostro stimolo, sapranno ascoltare questa richiesta di aiuto e testimoniare così in modo autentico la loro adesione all'insegnamento di Cristo. Sarà impegno di questa Sede Apostolica valutare innanzitutto e recepire i suggerimenti ricevuti nel corso di questo incontro e, per quel che è di sua competenza, continuare nei suoi contatti diplomatici e sollecitare dalle istanze politiche e dalle organizzazioni internazionali un rinnovato impegno in favore della giustizia e della pace. Molte volte, durante la guerra del Golfo, mi sono rivolto alla Chiesa intera, invitando tutti a ricorrere alla preghiera e al sacrificio per invocare da Dio il dono della pace. La fervente supplica che ora insieme rivolgeremo al Signore sia anche il rinnovamento di quella esortazione a pregare che lanciai a tutti i fratelli nell'Episcopato, ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose e all'intera comunità dei fedeli.

"Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro che era frammezzo, cioè l'inimicizia".



Ai gruppi

di lingua italiana

Mi rivolgo ora ai numerosi pellegrini di lingua italiana.

Saluto, in particolare, le ex Allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che prendono parte all’Assemblea Mondiale della loro Associazione; il gruppo di insegnanti dell’Istituzione Teresiana; le Religiose che frequentano in questi giorni il 4° Corso di Formazione per Assistenti Educatrici, e i Diaconi del Seminario Arcivescovile di Milano, venuti in pellegrinaggio a Roma nell’imminenza, ormai, dell’ordinazione presbiterale. Carissimi, vi auguro di cuore che il vostro servizio ecclesiale sia generoso e qualificato per poter sempre meglio contribuire all’edificazione del Regno di Dio.

Saluto con affetto i disabili e i volontari dell’Associazione “L’Arca” di Monte San Savino e li incoraggio a proseguire con generosità nella loro missione di solidarietà umana e spirituale. Nel sofferente, infatti, si fa più visibile il volto di Cristo e la cura del povero è testimonianza eloquente di fede cristiana vissuta.

Sono veramente lieto di salutare ancora gli esercenti e quanti lavorano al Luna Park permanente dell’Eur, a Roma. Auspico che con il vostro lavoro possiate offrire, soprattutto ai bambini e ai giovani, l’opportunità di trascorrere piacevoli momenti di serena ricreazione.

Saluto, infine, i gruppi dei Giovani, degli Ammalati e degli Sposi Novelli.

A tutti auguro copiose grazie del Signore per un fruttuoso cammino quaresimale.

* * *

È ancora una volta la preghiera a suggellare la conclusione dell’Udienza generale. Sette le intenzioni proclamate. In arabo prega Sua Beatitudine Nasrallah Pierre Sfeir; in lingua spagnola Sua Eminenza il Cardinale Roger Etchegaray; in inglese Sua Beatitudine Maximos V Hakim; in lingua russa Sua Eccellenza Monsignor Miroslav Marusyn; in francese Sua Beatitudine Pierre XVIII Kasparian; in tedesco Sua Eminenza il Cardinale Simon D. Lourdusamy; in italiano Sua Beatitudine Michel Sabbah. Dopo il canto del “Pater noster” il Santo Padre recita la preghiera conclusiva.

Fratelli e sorelle, al termine di quest’Udienza uniamo le nostre voci e preghiamo per la pace e la concordia nel Medio Oriente e nel mondo intero, affinché tutti gli uomini che Dio ama lavorino senza stancarsi per promuovere quella giustizia che sola può garantire una pace autentica e duratura.

[Preghiera in lingua araba ]

...

7. Per le Autorità civili, per coloro che governano le Nazioni e per i responsabili degli Organismi internazionali; il Signore, Principe della Pace, ispiri ogni loro disegno, illumini ogni loro decisione e li guidi verso scelte sagge e opportune che, nel rispetto della volontà divina, vadano incontro alle legittime attese di giustizia e di progresso che salgono dal cuore degli uomini; perché la loro azione, sostenuta da una coerente testimonianza di vita e da una costante attenzione ai più poveri, affretti l’era tanto sospirata dell’intesa fra gli individui e i popoli e sorga sull’intera umanità il giorno radioso della pace, preghiamo.

O Dio, creatore dell’universo,
che estendi ad ogni creatura la tua paterna sollecitudine
e guidi ad una meta di salvezza le vicende della storia,
noi riconosciamo il tuo amore di Padre
quando pieghi la durezza dell’uomo,
e in un mondo lacerato da lotte e discordie
lo rendi disponibile alla riconciliazione.
Rinnova per noi i prodigi della tua misericordia:
manda il tuo Spirito perché agisca nell’intimo dei cuori,
i nemici si aprano al dialogo,
gli avversari si stringano la mano
e i popoli si incontrino nella concordia.
Fa’ che tutti ci impegniamo nella ricerca sincera
della vera pace che estingue le contese,
della carità che vince l’odio,
del perdono che disarma ogni vendetta.
Per Cristo nostro Signore.




Roma - Mercoledi 13 Marzo 1991: Lo Spirito Santo, il consolatore

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1. Nel discorso d'addio agli Apostoli, durante l'ultima Cena, alla vigilia della sua passione, Gesù promise: "Io preghero il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi sempre". Il titolo "Consolatore" traduce qui la parola greca Parakletos, nome dato da Gesù allo Spirito Santo. "Consolatore", infatti, è uno dei sensi possibili di Paraclito. Nel discorso del Cenacolo Gesù suggerisce questo senso, perché promette ai discepoli la presenza continua dello Spirito come rimedio alla tristezza provocata dalla sua dipartita. Lo Spirito Santo, mandato dal Padre, sarà "un altro Consolatore", inviato nel nome di Cristo, la cui missione messianica deve concludersi con la sua dipartita da questo mondo per ritornare al Padre. Questa dipartita, che avviene mediante la morte e la risurrezione, è necessaria perché possa venire l'"altro Consolatore". Gesù lo afferma chiaramente quando dice: "Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore". La Costituzione "Dei Verbum" del Concilio Vaticano II presenta questo invio dello "Spirito di verità" come momento conclusivo del processo rivelativo e redentivo rispondente all'eterno disegno di Dio. E noi tutti nella Sequenza di Pentecoste lo invochiamo: "Veni..., Consolator optime".


2. Nelle parole di Gesù sul Consolatore si sente l'eco dei libri dell'Antico Testamento, e in particolare del "Libro di consolazione d'Israele" compreso negli scritti raccolti sotto il nome del profeta Isaia: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio... Parlate al cuore di Gerusalemme... è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità". E in seguito: "Giubilate, o cieli: rallègrati, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo". Il Signore è per Israele come una donna che non può dimenticare il suo bambino. E anzi Isaia insiste col far dire al Signore: "Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimentichero mai". Nella oggettiva finalità della profezia di Isaia, oltre l'annuncio del ritorno di Israele a Gerusalemme dopo l'esilio, la "consolazione" promessa racchiude un contenuto messianico, che i pii israeliti, fedeli all'eredità dei loro padri, hanno avuto presente fino alle soglie del Nuovo Testamento. così si spiega ciò che leggiamo nel Vangelo di Luca circa il vecchio Simeone, il quale "aspettava il conforto (o consolazione) d'Israele; lo Spirito Santo, che era su di lui, gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia del Signore".


3. Secondo Luca, che parla di fatti avvenuti e narrati nel contesto del mistero dell'Incarnazione, è lo Spirito Santo a compiere la promessa profetica legata alla venuta del primo Consolatore, Cristo. E' Lui, infatti, a operare in Maria il concepimento di Gesù, Verbo incarnato; è Lui a illuminare Simeone e a condurlo al Tempio al momento della presentazione di Gesù; è in Lui che Cristo, all'inizio del ministero messianico, dichiara, riferendosi al profeta Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi". Il Consolatore di cui parlava Isaia, visto in prospettiva profetica, è Colui che porta la Buona Novella da parte di Dio, confermandola con dei "segni", cioè con delle opere contenenti i beni salutari di verità, di giustizia, di amore, di liberazione: la "consolazione d'Israele". E quando Gesù Cristo, compiuta la sua opera, lascia questo mondo per andare al Padre, annunzia "un altro Consolatore", cioè lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome del Figlio.


4. Il Consolatore, lo Spirito Santo, sarà con gli Apostoli; quando Cristo non sarà più sulla terra, vi sarà nei lunghi tempi dell'afflizione, che dureranno per secoli. Sarà dunque con la Chiesa e nella Chiesa, specialmente nei periodi di lotte e di persecuzioni, come Gesù stesso promette agli Apostoli con quelle parole riportate nei Vangeli sinottici: "Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire: perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire": "non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi".

Parole riferibili alle tribolazioni subite dagli Apostoli e dai cristiani delle comunità da loro fondate e presiedute; ma anche a tutti coloro che, in qualunque luogo della terra, in tutti i secoli, avranno da soffrire per Cristo. E in realtà sono molti coloro che in tutti i tempi, anche recenti, hanno sperimentato questo aiuto dello Spirito Santo. Ed essi sanno, e possono testimoniare, quale gioia è la vittoria spirituale che lo Spirito Santo ha loro concesso di riportare. Tutta la Chiesa di oggi lo sa, e ne è testimone.


5. Fin dagli inizi, in Gerusalemme, non mancano alla Chiesa contrarietà e persecuzioni. Ma già negli Atti degli Apostoli leggiamo: "La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo". Era lo Spirito-Consolatore promesso da Gesù che aveva sostenuto gli Apostoli e gli altri seguaci di Cristo nelle prime prove e sofferenze, e continuava a concedere alla Chiesa il suo conforto anche nei periodi di tregua e di pace. Da Lui dipendeva quella pace, e quella crescita delle persone e delle comunità nella verità del Vangelo. così sarebbe stato sempre nei secoli.


6. Una grande "consolazione" per la Chiesa primitiva fu la conversione e il battesimo di Cornelio, un centurione romano. Era il primo "pagano" che entrava nella Chiesa, insieme con la sua famiglia, battezzato da Pietro. Da quel momento andarono moltiplicandosi coloro che, convertiti dal paganesimo, specialmente per l'attività apostolica di Paolo di Tarso e dei suoi compagni, rinforzavano la moltitudine dei cristiani. Pietro, nel suo discorso all'assemblea degli Apostoli e degli "anziani" riuniti a Gerusalemme, riconobbe in quel fatto l'opera dello Spirito Consolatore: "Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta tra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del Vangelo e venissero alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi". La "consolazione" per la Chiesa apostolica era che nel dare lo Spirito Santo, come dice Pietro, Dio "non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede". Una "consolazione" era anche l'unità che a questo proposito si era espressa in quella riunione di Gerusalemme: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi".

Quando la lettera che riferiva le decisioni liberatrici di Gerusalemme fu letta alla comunità di Antiochia, tutti "si rallegrarono per la consolazione (greco paraklesei) che infondeva".


7. Un'altra "consolazione" dello Spirito Santo fu per la Chiesa la stesura del Vangelo come testo della Nuova Alleanza. Se i testi dell'Antico Testamento, ispirati dallo Spirito Santo, sono già per la Chiesa una sorgente di consolazione e di conforto, come dice San Paolo ai Romani, quanto più lo saranno i libri che riferiscono "tutto ciò che Gesù fece e insegno dal principio". Di questi possiamo dire a maggior ragione che sono stati scritti "per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza". E', d'altra parte, una consolazione da attribuire allo Spirito Santo l'attuazione della predizione di Gesù, cioè che "il Vangelo del Regno sarà annunziato a tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti". Tra queste "genti", che coprono ogni epoca, vi sono anche quelle del mondo contemporaneo, che sembra così distratto e persino smarrito tra i successi e le attrattive del suo troppo unilaterale progresso di ordine temporale. Anche a queste genti - e a noi tutti - si estende l'opera dello Spirito Paraclito che non cessa di essere consolazione e conforto con la "Buona Novella" di salvezza.





Roma - Mercoledi 20 Marzo 1991

Lo Spirito Santo, divino ospite dell'anima

1. In una precedente catechesi avevo preannunciato che saremmo tornati sui temi riguardanti la presenza e l'azione dello Spirito Santo nell'anima. Temi teologicamente fondati e spiritualmente ricchi, che esercitano un'attrattiva e, si direbbe, un fascino soprannaturale sulle anime desiderose di vita interiore, attente e docili alla voce di Colui che abita in loro come in un tempio e che dall'intimo le illumina e le sostiene sulle vie della coerenza evangelica. A queste anime mirava il mio predecessore Leone XIII, quando scrisse l'Enciclica "Divinum Illud" sullo Spirito Santo (9 maggio 1897) e successivamente la Lettera "Ad Fovendum" sulla devozione del popolo cristiano verso la sua divina Persona (18 aprile 1902), stabilendo la celebrazione in suo onore di una speciale novena, volta in particolar modo ad ottenere il bene dell'unità tra i cristiani ("ad maturandum Christianae unitatis bonum"). Il Papa della "Rerum Novarum" era anche il Papa della devozione allo Spirito Santo, che sapeva a quale fonte bisognava attingere l'energia per realizzare il vero bene, anche a livello sociale. A quella stessa fonte ho inteso richiamare l'attenzione dei cristiani del nostro tempo con l'Enciclica "Dominum et Vivificantem" (18 maggio 1986), e dedico adesso la parte conclusiva della catechesi pneumatologica.


2. Possiamo dire che, alla base di una vita cristiana caratterizzata dall'interiorità, dall'orazione e dall'unione con Dio, vi è una verità che - come tutta la teologia e la catechesi pneumatologica - deriva dai testi della Sacra Scrittura e specialmente dalle parole di Cristo e degli Apostoli: quella sull'inabitazione dello Spirito Santo, come Ospite divino, nell'anima del giusto.

Chiede l'apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi. "Non sapete che... lo Spirito di Dio abita in voi?". Certo, lo Spirito Santo è presente e opera in tutta la Chiesa, come abbiamo visto nelle precedenti catechesi: ma l'attuazione concreta della sua presenza e azione avviene nel rapporto con la persona umana, con l'anima del giusto in cui Egli stabilisce la sua dimora ed effonde il dono ottenuto da Cristo con la Redenzione. L'azione dello Spirito Santo penetra nell'intimo dell'uomo, nel cuore dei fedeli, e vi riversa la luce e la grazia che dà vita. E' ciò che chiediamo nella Sequenza della Messa di Pentecoste: "O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli".


3. L'apostolo Pietro, a sua volta nel discorso del giorno di Pentecoste, dopo aver esortato gli ascoltatori alla conversione ed al battesimo, aggiunge la promessa: "Riceverete il dono dello Spirito Santo". Dal contesto risulta che la promessa riguarda personalmente ogni convertito e battezzato. Pietro, infatti, si rivolge espressamente a "ciascuno" dei presenti. Più tardi, quando Simon mago chiederà agli Apostoli di comunicargli il loro potere sacramentale, dirà: "Date anche a me questo potere, perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo". Il dono dello Spirito viene capito come dono concesso alle singole persone. La stessa costatazione si verifica nell'episodio della conversione di Cornelio e della sua casa: mentre Pietro spiega loro il mistero di Cristo, "lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano". L'Apostolo riconosce quindi: "Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi". Secondo Pietro, la discesa dello Spirito Santo significa la sua presenza in coloro ai quali Egli si comunica.


4. A proposito di questa presenza dello Spirito Santo nell'uomo, occorre ricordare i modi successivi di divina presenza nella storia della salvezza. Nell'Antica Alleanza, Dio è presente e manifesta questa presenza prima nella "tenda" del deserto, più tardi nel "Santo dei Santi" del tempio di Gerusalemme. Nella Nuova Alleanza, la presenza si attua e si identifica con l'Incarnazione del Verbo: Dio è presente in mezzo agli uomini nel suo eterno Figlio, mediante l'umanità da Lui assunta in unità di persona con la sua natura divina. Con questa visibile presenza in Cristo, Dio prepara per mezzo di Lui una nuova presenza, invisibile, che si attua con la venuta dello Spirito Santo. Si, la presenza di Cristo "in mezzo" agli uomini apre la strada alla presenza dello Spirito Santo, che è una presenza interiore, una presenza nei cuori umani. così si compie la profezia di Ezechiele: "Vi daro un cuore nuovo, mettero dentro di voi uno spirito nuovo... Porro il mio spirito dentro di voi".


5. Gesù stesso, alla vigilia della sua dipartita da questo mondo per tornare al Padre mediante la Croce e l'Ascensione al cielo, annuncia agli Apostoli la venuta dello Spirito Santo: "Io preghero il Padre che Egli vi dia un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità... Egli sarà in voi". Ma egli stesso dice che tale presenza dello Spirito Santo, la sua inabitazione nel cuore umano, che comporta anche quella del Padre e del Figlio, è condizionata dall'amore: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Il riferimento al Padre e al Figlio, nel discorso di Gesù, include lo Spirito Santo, al quale viene attribuita l'inabitazione trinitaria da San Paolo e dalla tradizione patristica e teologica, perché è la Persona-Amore, e d'altra parte la presenza interiore è necessariamente spirituale. La presenza del Padre e del Figlio si attua mediante l'Amore, e dunque nello Spirito Santo. E' nello Spirito Santo che Dio, nella sua unità trinitaria, si comunica allo spirito dell'uomo. San Tommaso d'Aquino dirà che solo nello spirito dell'uomo (e dell'angelo) è possibile questo modo di divina presenza - per inabitazione - perché solo la creatura razionale è capace di essere elevata alla conoscenza, all'amore consapevole e al godimento di Dio come Ospite interiore: e questo avviene per mezzo dello Spirito Santo, che perciò è il primo e fondamentale Dono.


6. Ma per questa inabitazione gli uomini diventano "tempio di Dio" - di Dio-Trinità - perché è "lo spirito di Dio (che) abita in loro", come ricorda l'Apostolo ai Corinti. E Dio è santo e santificante. Anzi lo stesso Apostolo specifica poco dopo: "O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio?". Dunque l'inabitazione dello Spirito Santo comporta una particolare consacrazione dell'intera persona umana (di cui Paolo sottolinea la dimensione corporea) a somiglianza del tempio. Questa consacrazione è santificatrice. Essa costituisce l'essenza stessa della grazia salvifica, mediante la quale l'uomo accede alla partecipazione della vita trinitaria di Dio.

Si apre così nell'uomo una fonte interiore di santità, dalla quale deriva la vita "secondo lo Spirito", come avverte Paolo nella lettera ai Romani: "Voi... non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi". E qui si fonda la speranza della risurrezione dei corpi, perché, "se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo (Gesù) dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi".


7. Occorre notare che l'inabitazione dello Spirito Santo - che santifica tutto l'uomo, anima e corpo - conferisce una superiore dignità alla persona umana, e dà nuovo valore alle relazioni interpersonali, anche corporali, come fa notare San Paolo nel testo poc'anzi citato della Prima Lettera ai Corinzi. Ecco, l'uomo cristiano, mediante l'inabitazione dello Spirito Santo, viene a trovarsi in una particolare relazione con Dio, che si estende anche a tutte le relazioni interpersonali, nell'ambito familiare e in quello sociale. Quando l'Apostolo raccomanda di "non rattristare lo Spirito Santo", parla sulla base di questa verità rivelata: la presenza personale di un Ospite interiore, che può essere "rattristato" a causa del peccato - mediante ogni peccato - giacché questo è sempre contrario all'amore. Egli stesso, infatti, come Persona-Amore, dimorando nell'uomo, crea nell'anima come un'esigenza interiore di vivere nell'amore. Lo suggerisce San Paolo quando scrive ai Romani che "l'amore di Dio" (cioè: la potente corrente di amore che viene da Dio) "è stato riversato nei vostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato dato".






Roma - Mercoledi 27 Marzo 1991

La Pasqua è il culmine e il centro dell'Anno Liturgico

Carissimi fratelli e sorelle,


1. Eccoci ormai alla vigilia del "Triduo Sacro", memoria viva degli eventi centrali della nostra fede: la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.

L'odierno incontro ci offre l'opportunità di meditarne insieme la portata e il senso, così da trarne luce e vigore per la nostra vita spirituale e per la storia del mondo. La Pasqua è, infatti, il culmine ed il centro dell'Anno liturgico, la Solennità verso la quale tutte le altre feste convergono: è la celebrazione di avvenimenti storici e di straordinari prodigi divini. Gesù, a compimento della sua missione terrena, si consegna al Padre nell'amore: "Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito". Il Padre accoglie il sacrificio di Gesù e, risuscitandolo dalla morte il terzo giorno, rigenera i credenti "per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce". A conclusione dell'itinerario quaresimale, iniziato il Mercoledi delle Ceneri, ci disponiamo ora a ripercorrere nella preghiera e nell'ascolto delle Sacre Scritture le fasi conclusive del sacrificio del Redentore: sono tappe di dolore e di solitudine in cui rivive un mistero di amore e di perdono, che ha come suo traguardo il trionfo della misericordia sull'egoismo e sul peccato.


2. Affinché l'incontro con Cristo morto e risorto sia fruttuoso, è opportuno prepararvisi richiamando alla memoria i momenti salienti del Sacro Triduo, ormai prossimo. Esso si apre col Giovedi Santo, nel quale si ricorda l'istituzione dell'Eucaristia. Prima di offrire se stesso al Padre sulla Croce, Gesù, come aveva preavvertito e insegnato, anticipa tale sacrificio nell'Ultima Cena. Offre se stesso come cibo di vita ai discepoli e, mediante il loro ministero, ad ogni persona. Mistero immenso è l'Eucaristia! Davanti ad esso si piega l'umana ragione: "Credo quidquid dixit Dei Filius - nil hoc verbo veritatis verius!": "Credo tutto ciò che ha detto il Figlio di Dio, niente c'è di più vero di questa parola di verità". Mistero, al tempo stesso, consolante! Istituendo il sacerdozio, Cristo ha reso il suo sacrificio attuale per sempre, fino al termine del tempo. Agli Apostoli dice: "Fate questo in memoria di me!". E, con l'Eucaristia, Egli ci lascia il comandamento dell'amore, il nuovo codice che regge la comunità dei suoi fedeli. Mediante il gesto significativo della lavanda dei piedi, Gesù proclama il primato dell'amore concreto, che si fa servizio a tutti, specialmente ai più poveri. perciò il Giovedi Santo è invito pressante ad approfondire il culto ed il rispetto verso l'Eucaristia, a partecipare in modo degno e consapevole alla Santa Messa, a pregare per i sacerdoti e per le vocazioni sacerdotali, a convertire il proprio cuore alla carità, che rinnova l'esistenza e costruisce la comunità ecclesiale. Il Giovedi Santo, ed ogni celebrazione eucaristica, costituiscono una singolare partecipazione alla soave intimità dell'Ultima Cena e al dramma del Calvario.


3. Giorno di sovrumana sofferenza e di misterioso confronto tra l'amore infinito di Dio e il peccato dell'uomo è il Venerdi Santo, che rievoca la drammatica Passione di Cristo, già iniziata la sera precedente con l'agonia nell'orto del Getsemani, e che si conclude con la sua morte sulla croce. Per il cristiano questa giornata non può non essere di intensa condivisione: dopo aver seguito Gesù dal Getsemani ai tribunali religiosi e civili, dopo averlo accompagnato nella salita al Calvario, carico del legno della croce, il credente si ferma con l'Apostolo Giovanni, con Maria Santissima e le donne ai suoi piedi sul Golgota per riflettere su questi avvenimenti drammatici ed insieme esaltanti. Contemplando il Crocifisso è possibile misurare sino in fondo la verità delle parole di Gesù: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". La Croce è mistero di espiazione: Gesù si lascia crudelmente condannare ed uccidere per espiare sia il "peccato originale", commesso dai progenitori, sia il terribile flusso di peccati che attraversa l'intera storia degli uomini. Quanto accade sul Golgota si rivela così atto d'amore supremo, per cui ognuno può dire con l'Apostolo: "Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me".


4. La grande Veglia della Notte Pasquale si caratterizza per l'insistente richiamo alla luce, alla vita che scaturisce dal vero fonte battesimale, il Cristo morto e risorto, per l'ascolto prolungato delle Scritture che ripercorrono l'intera storia della salvezza e per il canto gioioso dell'alleluia. Tanto più intensa sarà la letizia pasquale, quanto più profonda sarà stata la partecipazione alla Passione di Cristo nella penitenza e nella preghiera, nel digiuno e nella carità. Molto opportunamente, perciò, la Veglia è preceduta dall'impressionante silenzio del Sabato Santo, che ricorda il tempo misterioso e sacro, in cui il corpo di Gesù rimase nel Sepolcro. Il Sabato Santo, giorno di silenzio e di attesa, va vissuto nella contemplazione con Maria che accanto ai suoi figli veglia e si affida fiduciosa alla volontà del Padre.


5. Ci accompagni nei prossimi giorni l'invito di Gesù: "Vegliate e pregate".

Occorre vegliare e pregare durante la sua agonia, la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione. Vegliare e pregare, perché la nostra adesione al suo volere sia pronta e definitiva; perché i nostri cuori non rifiutino il suo invito all'amore universale e al servizio; perché siano disposti a seguirlo sulla strada dell'obbedienza "fino alla morte e alla morte di croce". Solo così la nostra comunione con Cristo sarà tale da "unirci inseparabilmente a Lui, che è, come egli ha affermato, via, verità e vita. Via di santo modo di vivere, verità di dottrina divina, vita di eterna beatitudine". Con questi sentimenti porgo a tutti voi ogni migliore augurio di un Triduo veramente Santo e di una felice e consolante Pasqua!




Roma - Mercoledi 3 Aprile 1991

Lo Spirito Santo, principio della nuova vita con l'abbondanza dei suoi doni

1. Ospite dell'anima, lo Spirito Santo è la fonte intima della nuova vita partecipata da Cristo ai credenti in Lui: una vita secondo la "legge dello Spirito" che, in forza della Redenzione, prevale ormai sulla potenza del peccato e della morte, operante nell'uomo dopo la caduta originale. L'Apostolo stesso si immedesima in questo dramma del conflitto tra l'intimo sentimento del bene e l'attrattiva del male, tra la tendenza della "mente" a servire la legge di Dio e la tirannia della "carne" che sottopone al peccato. Ed esclama: "Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?". Ma ecco la nuova esperienza intima, che corrisponde alla verità rivelata sull'azione redentrice della grazia: "Non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.

Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte...". E' un nuovo regime di vita inaugurato nei cuori "per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato".


2. Tutta la vita cristiana si svolge nella fede e nella carità, nella pratica di tutte le virtù, secondo l'intima azione di questo Spirito rinnovatore, dal quale procede la grazia che giustifica, vivifica e santifica, e con la grazia procedono tutte le nuove virtù che costituiscono il tessuto della vita soprannaturale. Si tratta della vita che si sviluppa non solo dalle facoltà naturali dell'uomo - intelletto, volontà, sensibilità - ma anche dalle nuove abilitazioni sovraggiunte (superadditae) con la grazia, come spiega San Tommaso d'Aquino. Esse danno all'intelligenza la possibilità di aderire a Dio-Verità nella fede; al cuore di amarlo nella carità, che è nell'uomo come "una partecipazione dello stesso Amore divino, lo Spirito Santo"; e a tutte le potenze dell'anima e in qualche modo anche del corpo di partecipare alla nuova vita con atti degni della condizione di uomini elevati alla partecipazione della natura e della vita di Dio nella grazia: "consortes divinae naturae", come dice San Pietro. E' come un nuovo organismo interiore, in cui si manifesta la legge della grazia: legge scritta nei cuori, più che su tavole di pietra o in codici cartacei; legge che San Paolo chiama, come abbiamo visto, "legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù".


3. Nelle precedenti catechesi dedicate all'influsso dello Spirito Santo sulla vita della Chiesa, abbiamo sottolineato la molteplicità dei doni da Lui concessi per lo sviluppo di tutta la comunità. La stessa molteplicità si verifica nella vita cristiana personale: ogni uomo riceve i doni dello Spirito Santo nella concreta condizione esistenziale in cui si trova, a misura dell'amore di Dio dal quale derivano la vocazione, il cammino, la storia spirituale di ognuno. Lo leggiamo nella narrazione della Pentecoste, nella quale lo Spirito Santo riempie tutta la comunità, ma riempie anche ogni persona presente. Infatti, mentre del vento, che simboleggia lo Spirito, viene detto che "riempi tutta la casa dove si trovavano", delle lingue di fuoco, altro simbolo dello Spirito, viene precisato che "si posarono su ciascuno di loro". Allora "essi furono tutti pieni di Spirito Santo".

La pienezza è data ad ognuno; e questa pienezza implica una molteplicità di doni per tutti gli aspetti della vita personale. Tra questi doni, qui vogliamo ricordare e brevemente illustrare quelli che nel catechismo, come nella tradizione teologica, vengono particolarmente presentati con il nome di doni dello Spirito Santo. E' vero che tutto è dono, sia nell'ordine della grazia, sia in quello della natura e più in generale in tutta la creazione. Ma il nome di doni dello Spirito Santo nel linguaggio teologico e catechistico viene riservato a delle energie squisitamente divine che lo Spirito Santo infonde nell'anima a perfezionamento delle virtù soprannaturali, per dare allo spirito umano la capacità di agire in modo divino.


4. Occorre dire che una prima descrizione ed elencazione di doni si trova nell'Antico Testamento, e precisamente nel libro di Isaia, dove il profeta attribuisce al re messianico "spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore", e poi nomina una seconda volta il sesto dono dicendo che il re "si compiacerà del timore del Signore". Nella versione greca dei Settanta e nella Volgata latina di San Girolamo è stata evitata la ripetizione; per il sesto dono è stato messo "pietà" invece di "timore del Signore", sicché l'oracolo termina con queste parole: "spirito di scienza e di pietà, e sarà pieno dello spirito di timore del Signore".


Ma si può dire che lo sdoppiamento del timore e della pietà, tutt'altro che lontano dalla tradizione biblica sulle virtù dei grandi personaggi dell'Antico Testamento, diventa nella tradizione teologica, liturgica e catechistica cristiana una rilettura più piena della profezia, applicata al Messia, e un arricchimento del suo senso letterale. Gesù stesso, nella sinagoga di Nazareth, applica a sé un altro testo messianico di Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me...", che corrisponde all'inizio dell'oracolo che s'è appena citato, inizio che suona così: "Su di lui si poserà lo Spirito del Signore". Secondo la tradizione riassunta da San Tommaso, i doni dello Spirito Santo "sono nominati dalla Scrittura come furono in Cristo, secondo il testo di Isaia", ma si ritrovano, per derivazione da Cristo, nell'anima cristiana. I riferimenti biblici appena accennati sono stati messi a confronto con le attitudini fondamentali dell'anima umana, considerate alla luce dell'elevazione soprannaturale e delle stesse virtù infuse. Si è sviluppata così la teologia medievale dei sette doni, che, pur non presentando un carattere di assolutezza dogmatica e quindi non pretendendo di offrire un numero limitativo dei doni né delle categorie specifiche in cui possono essere distribuiti, ha avuto ed ha una grande utilità sia per la comprensione della molteplicità dei doni stessi in Cristo e nei Santi, sia come avvio al buon ordinamento della vita spirituale.


5. San Tommaso e gli altri teologi e catechisti hanno tratto dal testo stesso di Isaia l'indicazione per una distribuzione dei Doni in ordine alla vita spirituale, proponendone un'illustrazione che qui è solo possibile sintetizzare: 1) C'è innanzitutto il Dono di sapienza, mediante il quale lo Spirito Santo illumina l'intelligenza, facendole conoscere le "ragioni supreme" della rivelazione e della vita spirituale e formando in lei un giudizio sano e retto circa la fede e la condotta cristiana: da uomo "spirituale" (pneumaticos), direbbe San Paolo, e non solo "naturale" (psychicos) o addirittura "carnale".


2) C'è poi il Dono di intelligenza, come particolare acume, dato dallo Spirito, per intuire la Parola di Dio nella sua profondità e altezza.


3) Il Dono di scienza è la capacità soprannaturale di vedere e di determinare con esattezza il contenuto della rivelazione e della distinzione tra le cose e Dio nella conoscenza dell'universo.


4) Col Dono del consiglio lo Spirito Santo dà una soprannaturale abilità di regolarsi nella vita personale quanto alle azioni ardue da compiere e nelle scelte difficili da fare, come anche nel governo e nella guida degli altri.


5) Col Dono di fortezza lo Spirito Santo sostiene la volontà e la rende pronta, operosa e perseverante nell'affrontare le difficoltà e le sofferenze anche estreme, come avviene soprattutto nel martirio: in quello del sangue, ma anche in quello del cuore e in quello della malattia o della debolezza e infermità.


6) Mediante il Dono di pietà lo Spirito Santo orienta il cuore dell'uomo verso Dio con sentimenti, affetti, pensieri, preghiere, che esprimono la figliolanza verso il Padre rivelato da Cristo. Fa penetrare ed assimilare il mistero del "Dio con noi", specialmente nell'unione con Cristo, Verbo incarnato, nelle relazioni filiali con la Beata Vergine Maria, nella compagnia degli angeli e santi in Cielo, nella comunione con la Chiesa.


7) Col Dono del timor di Dio lo Spirito Santo infonde nell'anima cristiana un senso di profondo rispetto per la legge di Dio e gli imperativi che ne derivano per la condotta cristiana, liberandola dalle tentazioni del "timore servile" e arricchendola invece di "timore filiale", intriso di amore.


6. Questa dottrina sui Doni dello Spirito Santo rimane per noi un magistero di vita spirituale utilissimo per orientare noi stessi e per educare i fratelli, circa i quali abbiamo una responsabilità formativa, a un dialogo incessante con lo Spirito Santo e ad un abbandono fiducioso e amoroso alla sua guida. Essa è connessa e sempre riportabile al testo messianico di Isaia, che applicato a Gesù dice la grandezza della sua perfezione, e applicato all'anima cristiana segna i momenti fondamentali del dinamismo della sua vita interiore: capire (sapienza, scienza e intelligenza), decidere (consiglio e fortezza), permanere e crescere nella relazione personale con Dio, sia nella vita di orazione, sia nella buona condotta secondo il Vangelo (pietà, timor di Dio). E' perciò di fondamentale importanza sintonizzarsi con l'eterno Spirito-Dono, quale ci viene fatto conoscere dalla rivelazione nell'Antico e nel Nuovo Testamento: un unico infinito Amore, che si comunica a noi con una molteplicità e varietà di manifestazioni e donazioni, in armonia con l'economia generale della creazione.




Roma - Mercoledi 10 Aprile 1991

Lo Spirito Santo, radice della vita interiore

1. San Paolo ci ha parlato, nella catechesi precedente, della "legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù": una legge secondo la quale bisogna vivere, se si vuole "camminare secondo lo Spirito", compiendo le opere dello Spirito, non quelle della "carne". L'Apostolo dà rilievo all'opposizione tra "carne" e "Spirito", e tra i due generi di opere, di pensieri e di vita che ne dipendono: "Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, pensano alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace". Lo spettacolo delle "opere della carne" e delle condizioni di decadenza spirituale e culturale a cui giunge l'homo animalis è desolante. Esso tuttavia non deve far dimenticare la ben diversa realtà della vita "secondo lo Spirito", che pure è presente nel mondo e s'oppone al dilagare delle forze del male. San Paolo ne parla nella Lettera ai Galati rilevando, in opposizione alle "opere della carne" che escludono dal "regno di Dio", il "frutto dello Spirito" che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé".

Queste cose, sempre secondo San Paolo, sono dettate al credente dall'interno, cioè dalla "legge dello Spirito", che è in lui e che lo guida nella vita interiore.


2. Si tratta dunque di un principio della vita spirituale e della condotta cristiana, che è interiore e nello stesso tempo trascendente, come già si deduce dalle parole di Gesù ai discepoli: "Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce... sarà in voi". Lo Spirito Santo viene dall'alto, ma penetra e risiede in noi per animare la nostra vita interiore.

Gesù non dice solo: "Egli dimora presso di voi", il che può suggerire l'idea di una presenza che è soltanto vicina, ma aggiunge che si tratta di una presenza dentro di noi. San Paolo, a sua volta, augura agli Efesini che il Padre conceda loro "di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore": nell'uomo cioè che non si accontenta di una vita esterna, spesso superficiale, ma intende vivere nelle "profondità di Dio", scrutate dallo Spirito Santo. La distinzione fatta da Paolo circa l'uomo "psichico" e l'uomo "spirituale" ci aiuta a capire la differenza e la distanza tra la maturazione connaturale alle capacità dell'anima umana e la maturità propriamente cristiana, che implica lo sviluppo della vita dello Spirito, la maturazione della fede, della speranza, della carità.

La coscienza di questa Radice divina della vita spirituale, che dall'intimo dell'anima si espande in tutti i settori dell'esistenza, anche esterni e sociali, è un aspetto fondamentale e sublime dell'antropologia cristiana. Fondamento di tale coscienza è la verità di fede per cui credo che lo Spirito Santo abita in me, prega in me, mi guida e fa si che Cristo viva in me.


3. Anche la similitudine, usata da Gesù nel colloquio con la Samaritana al "pozzo di Giacobbe", circa l'"acqua viva" che egli darà a chi crede, acqua che "diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna", significa la scaturigine interiore della vita spirituale. E' quanto chiarisce Gesù stesso in occasione della "festa delle Capanne", quando, "levatosi in piedi, esclamo ad alta voce: "Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me" come dice la Scrittura: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno". E l'evangelista Giovanni commenta: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito Santo che avrebbero ricevuto i credenti in lui". Nel credente lo Spirito Santo sviluppa tutto il dinamismo della grazia che dà la vita nuova, e delle virtù che traducono questa vitalità in frutti di bontà. Dal "seno" del credente lo Spirito Santo opera anche come fuoco, secondo l'altra similitudine usata dal Battista a proposito del battesimo: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco"; e da Gesù stesso circa la sua missione messianica: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra". Lo Spirito suscita perciò una vita animata da quel fervore che San Paolo raccomandava nella lettera ai Romani: "Siate ferventi nello Spirito". E' la "fiamma viva di amore" che purifica, illumina, brucia e consuma, come ha spiegato così bene San Giovanni della Croce.


4. Nel credente si sviluppa così, sotto l'azione dello Spirito Santo, una santità originale, che assume, eleva e porta a perfezionamento, senza distruggerla, la personalità di ciascuno. così ogni santo ha la sua fisionomia propria. Stella differt a stella, si può dire con San Paolo: "Ogni stella differisce dall'altra nello splendore": non solo nella "futura risurrezione", a cui si riferisce l'Apostolo, ma anche nella presente condizione dell'uomo, che non è più solo psichico (dotato di vita naturale), ma spirituale (animato dallo Spirito Santo).

La santità sta nella perfezione dell'amore. Essa tuttavia varia secondo la molteplicità di aspetti che l'amore prende nelle diverse condizioni della vita personale. Sotto l'azione dello Spirito Santo ognuno vince nell'amore l'istinto dell'egoismo, e sviluppa le forze migliori nel suo modo originale di donarsi. Quando la forza espressiva ed espansiva dell'originalità è particolarmente potente, lo Spirito Santo fa si che intorno a tali persone (anche se a volte rimangono nascoste) si formino gruppi di discepoli e seguaci. Nascono così correnti di vita spirituale, scuole di spiritualità, istituti religiosi, la cui varietà nell'unità è dunque effetto di quel divino intervento. E' lo Spirito Santo che valorizza, nelle persone e nei gruppi, nelle comunità e nelle istituzioni, tra i sacerdoti e tra i laici, le capacità di tutti.


5. Dalla interiore sorgente dello Spirito deriva anche il nuovo valore di libertà, che caratterizza la vita cristiana. Come dice San Paolo: "Dov'è lo Spirito del Signore c'è libertà". Direttamente, l'Apostolo si riferisce alla libertà acquisita dai seguaci di Cristo nei confronti della legge giudaica, in sintonia con l'insegnamento e l'atteggiamento dello stesso Gesù. Ma il principio che egli enuncia ha un valore generale. Egli, infatti, parla più volte della libertà come vocazione del cristiano: "Voi..., fratelli, siete stati chiamati alla libertà". E spiega bene di che si tratta. Secondo l'Apostolo, chi "cammina secondo lo Spirito", vive nella libertà, perché non si trova più sotto il giogo opprimente della carne: "Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne". "I desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace". Le "opere della carne", da cui è liberato il cristiano fedele allo Spirito, sono quelle dell'egoismo e delle passioni, che impediscono l'accesso al regno di Dio. Le opere dello Spirito, invece, sono quelle dell'amore: "Contro queste cose, osserva San Paolo, non c'è legge". Ne risulta, secondo l'Apostolo, che "se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge". Scrivendo a Timoteo, egli non esita a dire: "La legge non è fatta per il giusto". E San Tommaso spiega: "Sui giusti la legge non ha forza coattiva, come sui cattivi", poiché i giusti non fanno niente che sia contrario alla legge. Anzi, guidati dallo Spirito Santo, fanno liberamente più di quanto richiede la legge.


6. Questa è la mirabile conciliazione della libertà e della legge, frutto dello Spirito Santo operante nel giusto, come avevano predetto Geremia ed Ezechiele annunciando l'interiorizzazione della legge nella Nuova Alleanza. "Porro il mio Spirito dentro di voi". Questa profezia si è verificata e continua ad attuarsi sempre nei fedeli di Cristo e nell'insieme della Chiesa. E' lo Spirito Santo che dà la possibilità di essere non dei semplici osservanti della Legge, ma dei liberi, ferventi e fedeli realizzatori del disegno di Dio. Si attua allora quanto dice l'Apostolo: "Tutti quelli... che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!". E' la libertà da figli che era stata annunciata da Gesù come la vera libertà. E' una libertà interiore, fondamentale, ma sempre orientata verso l'amore, che rende possibile o quasi spontaneo l'accesso al Padre nell'unico Spirito. E' la libertà guidata che splende nella vita dei Santi.




Roma - Mercoledi 17 Aprile 1991

Lo Spirito Santo, autore della nostra preghiera

1. La prima e più eccellente forma di vita interiore è la pre ghiera. I dottori e maestri di spirito ne sono così convinti che spesso presentano la vita interiore come vita d'orazione. Di questa vita, il principale autore è lo Spirito Santo, come lo era già in Cristo. Leggiamo infatti nel Vangelo di Luca: "In quello stesso istante Gesù esulto nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra"". E' una preghiera di lode e di ringraziamento che, secondo l'evangelista, scaturisce da quella esultanza di Gesù "nello Spirito Santo". Sappiamo che durante la sua attività messianica il Maestro molte volte si ritirava nella solitudine per pregare, e che passava in preghiera notti intere.

Per questa preghiera preferiva quei luoghi deserti che predispongono al colloquio con Dio, così rispondente al bisogno e all'inclinazione di ogni spirito sensibile al mistero della divina trascendenza. Analogamente facevano Mosè ed Elia, come ci risulta dall'Antico Testamento. Il libro del profeta Osea ci fa capire che vi è una particolare ispirazione alla preghiera nei luoghi deserti; Dio, infatti, "conduce nel deserto per parlare al cuore" dell'uomo.


2. Anche nella nostra vita, come in quella di Gesù, lo Spirito Santo si rivela Spirito di preghiera. Ce lo dice in modo eloquente l'apostolo Paolo in un passo della lettera ai Galati, che abbiamo già citato in precedenza: "... che voi siete figli di Dio, ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!". In qualche modo, dunque, lo Spirito Santo trasferisce nei nostri cuori la preghiera del Figlio, che rivolge quel grido al Padre. perciò anche nella nostra preghiera si esprime l'"adozione a figli", che ci è concessa in Cristo e per Cristo. La preghiera professa la nostra fede consapevole nella verità che "siamo figli" e "eredi di Dio", "coeredi di Cristo".

La preghiera ci permette di vivere di questa realtà soprannaturale grazie all'azione dello Spirito Santo che l'"attesta al nostro spirito".


3. I seguaci di Cristo già dagli inizi della Chiesa sono vissuti in questa stessa fede, espressa anche nell'ora della morte. Conosciamo la preghiera di Stefano, il primo martire, un uomo "pieno di Spirito Santo", il quale durante la lapidazione diede prova della sua particolare unione con Cristo esclamando, come il suo Maestro crocifisso, in riferimento ai suoi uccisori: "Signore, non imputar loro questo peccato!". E poi, sempre in orazione, fissando la gloria di Cristo elevato "alla destra di Dio", grido: "Signore Gesù, accogli il mio spirito". Questa preghiera era un frutto dell'azione dello Spirito Santo nel cuore del martire.

Anche negli Atti del martirio di altri confessori di Cristo, si ritrova la stessa ispirazione interiore della preghiera. In quelle pagine si esprime la coscienza cristiana formata alla scuola del Vangelo e delle Lettere degli Apostoli, e diventata coscienza della Chiesa stessa.


4. In realtà, soprattutto nell'insegnamento di San Paolo, lo Spirito Santo appare come l'autore della preghiera cristiana. Anzitutto perché sprona alla preghiera.

E' lui che genera il bisogno e il desiderio di ottemperare a quel "Vegliate e pregate" raccomandato da Cristo, specialmente nell'ora della tentazione, perché "lo spirito è pronto ma la carne è debole". Un'eco di questa esortazione sembra risonare nella esortazione della Lettera agli Efesini: "Pregate... incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilate a questo scopo con ogni perseveranza... perché mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del Vangelo". Paolo si riconosce nella condizione degli uomini che hanno bisogno di preghiera per resistere alla tentazione e non cadere vittime della loro umana debolezza, e per far fronte alla missione a cui sono chiamati.

Egli ha sempre presente e in qualche momento sente in modo quasi drammatico la consegna che gli è stata data, di essere nel mondo, specialmente in mezzo ai pagani, il testimone di Cristo e del Vangelo. E sa che ciò che è chiamato a fare e a dire è anche e soprattutto opera dello Spirito di verità, del quale Gesù ha detto: "prenderà del mio e ve l'annunzierà". Trattandosi di una "cosa di Cristo" che lo Spirito Santo prende per "glorificarlo" mediante l'annuncio missionario, è solo con l'entrare nel circuito di quel rapporto tra Cristo e il suo Spirito, nel mistero dell'unità col Padre, che l'uomo può svolgere una simile missione: la via d'ingresso in tale comunione è la preghiera, suscitata in noi dallo Spirito.


5. Con parole particolarmente penetranti, nella lettera ai Romani l'Apostolo mostra come "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili. Simili gemiti Paolo ascolta salire in qualche modo dall'intimo stesso della creazione, la quale, "attendendo la rivelazione dei figli di Dio", con la speranza di "essere liberata dalla schiavitù della corruzione, geme e soffre quasi nelle doglie del parto". E su questo scenario, storico e spirituale, opera lo Spirito Santo: "Colui che scruta i cuori (Dio) sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché Egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio". Siamo alla radice più intima e profonda della preghiera. Paolo ce la addita e ci fa dunque comprendere che lo Spirito Santo non soltanto ci sprona alla preghiera, ma Egli stesso prega in noi!


6. Lo Spirito Santo è all'origine della preghiera che rispecchia nel modo più perfetto la relazione intercorrente tra le divine Persone della Trinità: la preghiera di glorificazione e di azione di grazie, con cui si onora il Padre, e con Lui il Figlio e lo Spirito Santo. Questa preghiera era sulla bocca degli Apostoli nel giorno della Pentecoste, quando "annunziavano le grandi opere di Dio". Lo stesso avvenne nella casa del centurione Cornelio, quando, durante il discorso di Pietro, i presenti ricevettero "il dono dello Spirito Santo" e "glorificavano Dio". San Paolo interpreta questa prima esperienza cristiana, diventata patrimonio comune nella Chiesa delle origini, quando nella Lettera ai Colossesi, dopo aver auspicato che "la parola di Cristo... dimori in voi con tutta la sua ricchezza", esorta i cristiani a permanere nella preghiera, "cantando a Dio di cuore e con gratitudine", ammaestrando e ammonendo se stessi con "salmi, inni e cantici spirituali". E chiede loro che questo stile di vita orante venga trasferito in tutto "quello che si fa in parole ed opere": "Tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre". Analoga raccomandazione nella Lettera agli Efesini: "Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni... cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo". Risalta qui la dimensione trinitaria della preghiera cristiana, secondo l'insegnamento e l'esortazione dell'Apostolo.

Si vede altresi come, secondo l'Apostolo, è lo Spirito Santo che sprona a tale preghiera e la forma nel cuore dell'uomo. La "vita di orazione" dei Santi, dei mistici, delle scuole e correnti di spiritualità, che si è sviluppata nei secoli cristiani, è sulla linea dell'esperienza delle comunità primitive. Su tale linea si mantiene la liturgia della Chiesa, come appare, ad esempio, nel Gloria in excelsis Deo, quando diciamo: "Ti rendiamo grazie, per la tua gloria immensa"; così nel Te Deum, nel quale lodiamo Dio e lo confessiamo Signore. Nei Prefazi, poi, ritorna l'invariabile invito: "Rendiamo grazie al Signore Nostro Dio", e i fedeli sono invitati a dare la risposta di assenso e di partecipazione: "E' cosa buona e giusta". Come è bello, peraltro, ripetere con la Chiesa orante, alla fine di ogni Salmo e in tante altre occasioni, la breve, densa e splendida dossologia del Gloria Patri: "Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo...".


7. La glorificazione di Dio Uno e Trino, sotto l'azione dello Spirito Santo che prega in noi e per noi, avviene principalmente nel cuore, ma si traduce anche nelle lodi vocali per un bisogno di espressione personale e di associazione comunitaria nel celebrare le meraviglie di Dio. L'anima che ama Dio esprime se stessa nelle parole e facilmente anche nel canto, come sempre è avvenuto nella Chiesa, fin dalle prime comunità cristiane. Sant'Agostino c'informa che "Sant'Ambrogio introdusse il canto nella Chiesa di Milano", e ricorda di aver pianto ascoltando "gli inni e i cantici soavemente echeggianti della tua Chiesa, tocco da commozione profonda". Anche il suono può essere di aiuto nella lode a Dio, quando gli strumenti servono a "trasportare in alto (rapere in celsitudinem) gli affetti umani". così si spiega il valore dei canti e dei suoni nella liturgia della Chiesa, in quanto "servono a eccitare l'affetto verso Dio... (anche) con le varie modulazioni dei suoni...". Se le norme liturgiche vengono osservate, si può sperimentare anche oggi ciò che Sant'Agostino ricordava in quell'altro passo delle sue Confessioni: "Quali voci, o mio Dio, levai a te nel leggere i salmi di David, cantici di fede, musica di pietà... Quali voci levavo a Te nel leggere quei salmi! Come mi infiammavo d'amore per Te e di desiderio di recitarli, se avessi potuto, in faccia a tutta la terra...". Tutto ciò avviene quando, sia le anime singole sia la comunità, assecondano l'azione intima dello Spirito Santo.




Roma - Mercoledi 24 Aprile 1991

Lo Spirito Santo, luce dell'anima

1. La vita spirituale ha bisogno di illuminazione e di guida. Per questo Gesù, nel fondare la Chiesa e nel mandare gli Apostoli nel mondo, ha affidato loro il compito di ammaestrare tutte le genti, come leggiamo nel Vangelo secondo Matteo, ma anche di "predicare il Vangelo a tutta la creazione", come dice il testo canonico del Vangelo di Marco. Anche San Paolo parla dell'apostolato come di una "illuminazione di tutti". Ma quest'opera della Chiesa evangelizzatrice e docente appartiene al ministero degli Apostoli e dei loro successori e, a titolo diverso, a tutti i membri della Chiesa, per continuare per sempre l'opera di Cristo "unico Maestro", che ha portato all'umanità la pienezza della rivelazione di Dio. Rimane la necessità di un Maestro interiore, che faccia penetrare nello spirito e nel cuore degli uomini l'insegnamento di Gesù. E' lo Spirito Santo, che Gesù stesso chiama "Spirito di verità", e che promette come Colui che guiderà verso tutta la verità. Se Gesù ha detto di sé: "Io sono la verità", è questa verità di Cristo che lo Spirito Santo fa conoscere e diffonde: "Non parlerà di sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito... prenderà del mio e ve l'annunzierà". Lo Spirito è Luce dell'anima: Lumen cordium, come lo invochiamo nella Sequenza di Pentecoste.


2. Lo Spirito Santo è stato Luce e Maestro interiore per gli Apostoli che dovevano conoscere Cristo in profondità per poter assolvere il compito di suoi evangelizzatori. Lo è stato e lo è per la Chiesa, e, nella Chiesa, per i credenti di tutte le generazioni e in modo particolare per i teologi e i maestri di spirito, per i catechisti e i responsabili di comunità cristiane. Lo è stato e lo è anche per tutti coloro che, dentro e fuori dei confini visibili della Chiesa, vogliono seguire le vie di Dio con cuore sincero, e senza loro colpa non trovano chi li aiuti a decifrare gli enigmi dell'anima e a scoprire la verità rivelata.

Voglia il Signore concedere a tutti i nostri fratelli - milioni e anzi miliardi di uomini - la grazia del raccoglimento e della docilità allo Spirito Santo in momenti che possono essere decisivi nella loro vita. Per noi cristiani il magistero intimo dello Spirito Santo è una gioiosa certezza, fondata sulla parola di Cristo circa la venuta dell'"altro Paraclito", che - diceva - "il Padre manderà nel mio nome. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto". "Egli vi guiderà verso tutta la verità".


3. Come risulta da questo testo, Gesù non affida la sua parola soltanto alla memoria dei suoi uditori: questa memoria sarà aiutata dallo Spirito Santo, che ravviverà continuamente negli apostoli il ricordo degli eventi e il senso dei misteri evangelici. Di fatto, lo Spirito Santo ha guidato gli Apostoli nella trasmissione della parola e della vita di Gesù, ispirando sia la loro predicazione orale e i loro scritti, sia la redazione dei Vangeli, come abbiamo visto a suo tempo nella catechesi sullo Spirito Santo e la rivelazione. Ma è ancora Lui che ai lettori della Scrittura dà l'aiuto per capire il significato divino incluso nel testo di cui Egli stesso è l'ispiratore e l'autore principale: Lui solo può far conoscere "le profondità di Dio", quali sono contenute nel testo sacro; Lui che è stato mandato per istruire i discepoli sugli insegnamenti del loro Maestro.


4. Di questo intimo magistero dello Spirito Santo ci parlano gli Apostoli stessi, primi trasmettitori della parola di Cristo. Scrive San Giovanni: "Ora voi avete l'unzione ricevuta dal Santo (Cristo) e tutti siete ammaestrati. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità". Secondo i Padri della Chiesa e la maggioranza degli esegeti moderni, questa "unzione" (chrisma) designa lo Spirito Santo. San Giovanni afferma anzi che coloro che vivono secondo lo Spirito non hanno bisogno di altri maestri: "Quanto a voi - egli scrive - l'unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in Lui, come essa vi insegna".

Anche l'apostolo Paolo parla di una comprensione secondo lo Spirito, che non è frutto di sapienza umana, ma di illuminazione divina: "L'uomo naturale (psichicos) non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follie per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito.

L'uomo spirituale (pneumaticos) invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno". Dunque i cristiani, avendo ricevuto lo Spirito Santo, unzione di Cristo, possiedono in se stessi una fonte di conoscenza della verità, e lo Spirito Santo è il Maestro sovrano che li illumina e guida.


5. Se sono docili e fedeli al suo magistero divino, lo Spirito Santo li preserva dall'errore rendendoli vittoriosi nel continuo conflitto tra "spirito della verità" e "spirito dell'errore". Lo spirito dell'errore, che non riconosce Cristo, viene sparso dai "falsi profeti", sempre presenti nel mondo, anche in mezzo al popolo cristiano, con un'azione ora scoperta e persino clamorosa, ora subdola e strisciante. Come Satana, anch'essi a volte si rivestono da "angeli di luce" e si presentano con apparenti carismi di ispirazione profetica e apocalittica. Questo avveniva già nei tempi apostolici. perciò San Giovanni avverte: "Non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo".

Lo Spirito Santo, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, protegge il cristiano dall'errore facendogli discernere ciò che è genuino da ciò che è spurio. Da parte del cristiano, ci vorranno sempre buoni criteri di discernimento circa le cose che ascolta o legge in materia di religione, di Sacra Scrittura, di manifestazioni del soprannaturale ecc. Tali criteri sono la conformità al Vangelo, perché lo Spirito Santo non può non "prendere da Cristo"; la sintonia con l'insegnamento della Chiesa, fondata e mandata da Cristo a predicare la sua verità; la rettitudine della vita di chi parla o scrive; i frutti di santità derivanti da ciò che viene presentato o proposto.


6. Lo Spirito Santo insegna al cristiano la verità come principio di vita. Mostra l'applicazione concreta delle parole di Gesù nella vita di ognuno. Fa scoprire l'attualità del Vangelo e il suo valore per tutte le situazioni umane. Adatta l'intelligenza della verità ad ogni circostanza, affinché questa verità non rimanga soltanto astratta e speculativa, e liberi il cristiano dai pericoli della doppiezza e dell'ipocrisia. Per questo lo Spirito Santo illumina ciascuno personalmente, per guidarlo nel suo comportamento, indicandogli la via da seguire, aprendogli almeno qualche spiraglio sul progetto del Padre circa la sua vita. E' la grande grazia di luce che San Paolo chiedeva per i Colossesi: "l'intelligenza spirituale", capace di far loro capire la volontà divina. Li assicurava infatti: "Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della sua (di Dio) volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona...". Per noi tutti è necessaria questa grazia di luce, per conoscere bene la volontà di Dio su di noi e per essere in grado di vivere pienamente la nostra vocazione personale. Non mancano mai i problemi, che a volte sembrano insolubili. Ma lo Spirito Santo soccorre nelle difficoltà ed illumina. Egli può rivelare la soluzione divina, come al momento dell'Annunciazione per il problema della conciliazione della maternità col desiderio di conservare la verginità. Anche quando non si tratti di un mistero unico come quello dell'intervento di Maria nell'Incarnazione del Verbo, si può dire che lo Spirito Santo possiede un'inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili.


7. Tutto ciò viene concesso e operato nell'anima dallo Spirito Santo mediante i suoi doni, grazie ai quali è possibile praticare un buon discernimento non secondo i criteri della sapienza umana, che è stoltezza davanti a Dio, ma di quella divina, che può sembrare stoltezza agli occhi degli uomini. In realtà solo lo Spirito "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio". E se vi è opposizione fra lo spirito del mondo e lo Spirito di Dio, Paolo rammenta ai cristiani: "Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato". A differenza dell'"uomo naturale", quello "spirituale" (pneumaticos) è sinceramente aperto allo Spirito Santo, docile e fedele alle sue ispirazioni. perciò egli ha abitualmente la capacità di un retto giudizio sotto la guida della sapienza divina.


8. Un segno del reale contatto con lo Spirito Santo nel discernimento è e sarà sempre l'adesione alla verità rivelata come viene proposta dal magistero della Chiesa. Il Maestro interiore non ispira il dissenso, la disubbidienza, o anche solo la resistenza ingiustificata ai pastori e maestri stabiliti da Lui stesso nella Chiesa. All'autorità della Chiesa, come dice il Concilio nella costituzione "Lumen Gentium", spetta "di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono". E' la linea di sapienza ecclesiale e pastorale che viene, anch'essa, dallo Spirito Santo.





Roma - Mercoledi 1 Maggio 1991

"Esiste qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo"

1. In questo mese di maggio ricorre il centesimo anniversario della pubblicazione dell'Enciclica "Rerum Novarum". Come sapete, alla celebrazione di questa ricorrenza ho voluto dedicare un Documento, una nuova Enciclica - che sarà resa pubblica domani - per indicare, sempre attingendo al tesoro della Tradizione e della vita della Chiesa, alcuni orientamenti e prospettive rispondenti alle sempre più gravi questioni sociali, così come si presentano nel nostro tempo. La Chiesa, infatti, guarda al passato non certo per eludere le sfide del presente, ma per trarre dai valori consolidati e dalla meditazione di ciò che lo Spirito ha in lei operato ed opera, nuova lena e nuova fiducia per l'azione che deve continuare oggi tra gli uomini. La Chiesa affronta le sfide del tempo, tanto diverso da quello di Leone XIII, ma lo fa nel medesimo spirito: lo fa secondo lo Spirito di Dio, cui il mio Predecessore obbedi nello sforzo di rispondere alle speranze ed alle attese del suo tempo. Lo stesso cerco di fare anch'io in ordine alle speranze e alle attese di questo tempo.


2. Un avvenimento sembra dominare il difficile momento in cui viviamo: l'avvio a conclusione di un ciclo nella storia dell'Europa e del mondo. II sistema marxista è fallito, e proprio per i motivi che già la "Rerum Novarum" aveva acutamente e quasi profeticamente individuato. In questo fallimento di un potere ideologico ed economico, che sembrava destinato a prevalere ed anche ad estirpare il senso religioso nelle coscienze degli uomini, la Chiesa vede - al di là di tutte le determinanti sociologiche e politiche - l'intervento della Provvidenza di Dio, che sola guida e governa la storia. L'avvenuta liberazione di tanti popoli, di insigni Chiese, nonché di singole persone non deve, pero, trasformarsi in una inopportuna soddisfazione ed in un senso di ingiustificato trionfalismo. Quel sistema è, almeno in parte, superato; ma in varie regioni del mondo continua a dominare la povertà più estrema, intere popolazioni sono prive dei più elementari diritti e non dispongono dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni umani fondamentali; negli stessi Paesi più ricchi si avvertono spesso una sorta di smarrimento esistenziale, un'incapacità di vivere e di godere rettamente il senso della vita, pur in mezzo all'abbondanza di beni materiali, un'alienazione e perdita della propria umanità in molte persone, che si sentono ridotte al ruolo di ingranaggi nel meccanismo della produzione e del consumo e non trovano il modo di affermare la propria dignità di uomini, fatti ad immagine e somiglianza di Dio. E' finito, si, un sistema; ma i problemi e le situazioni di ingiustizia e di umana sofferenza, da cui esso traeva alimento, non sono, purtroppo, superati. Caduta un'insufficiente risposta, resta pero sempre attuale ed urgente la domanda a cui era stata data quella risposta. Con la nuova Enciclica la Chiesa non ripresenta solo questa domanda alla coscienza dell'intera umanità, ma offre una proposta per soluzioni adeguate. Si tratta della rinnovata domanda sulla giustizia sociale, sulla solidarietà tra gli uomini del lavoro, sulla dignità della persona umana; si tratta di non rassegnarsi allo sfruttamento e alla povertà, di non abdicare mai alla trascendente dimensione dell'uomo, che vuole e deve porre anche il suo lavoro al centro della costruzione della società.


3. La dottrina sociale della Chiesa ha sempre riconosciuto il diritto dell'individuo alla proprietà privata dei mezzi di produzione ed in tale diritto ha visto una salvaguardia della libertà contro ogni possibile oppressione.

Inoltre, la divisione della proprietà nelle mani di molti fa in modo che ciascuno debba contare per il soddisfacimento dei suoi bisogni, sulla cooperazione degli altri, mentre l'indispensabile scambio sociale viene regolato da contratti nei quali la libera volontà dell'uno si incontra con quella dell'altro. A differenza di un'economia di comando, burocratizzata e centralizzata, l'economia libera e socialmente ispirata presuppone dei soggetti veramente liberi, che assumono in proprio precise responsabilità, rispettano lealmente gli impegni verso i collaboratori, tengono costantemente conto del bene comune. E' giusto, dunque, riconoscere il valore etico della libertà di mercato e, al suo interno, quello dell'imprenditorialità, della capacità di "organizzare l'incontro" tra i bisogni dei consumatori e le risorse atte a soddisfarli mediante una libera contrattazione. Su questo punto Leone XIII, opponendosi alle dottrine collettivistiche, ha rivendicato i diritti dell'iniziativa individuale nel quadro del necessario servizio da rendere alla comunità.


4. La Chiesa cattolica, pero, si è sempre rifiutata ed ancora oggi si rifiuta di fare del mercato il supremo regolatore e quasi il modello, o la sintesi della vita sociale. Esiste qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, a causa della sua dignità e somiglianza di Dio, indipendentemente dalla sua presenza o meno sul mercato, da ciò che possiede e, quindi, può vendere e dai mezzi d'acquisto di cui dispone. Questo qualcosa non deve esser mai disatteso, ma esige piuttosto rispetto e solidarietà, espressione sociale dell'amore che è l'unico atteggiamento adeguato davanti alla persona. Esistono bisogni umani che non trovano accesso al mercato, a causa di impedimenti naturali e sociali, ma che devono del pari essere soddisfatti. E', infatti, dovere della comunità nazionale e internazionale offrire una risposta a questi bisogni o sovvenendo direttamente ad essi quando, ad esempio, un impedimento sia insuperabile, o creando le vie per un corretto accesso al mercato, al mondo della produzione e del consumo, quando ciò sia possibile. La libertà economica è un aspetto della libertà umana che non può essere separato dagli altri aspetti, e deve contribuire alla piena realizzazione delle persone al fine di costituire un'autentica comunità umana.


5. E' indubbio che, contestualmente alla proprietà individuale, si debba affermare la destinazione universale dei beni della terra. Chi ne è proprietario deve sempre ricordare tale destinazione, e così essi, mentre garantiscono la sua libertà, servono a tutelare e a sviluppare anche quella degli altri. Quando egli, invece, li sottrae a questa complementare e coessenziale funzione, li sottrae di conseguenza al bene comune, tradendo il fine per il quale essi gli sono stati affidati. Nessuna economia libera può funzionare a lungo e può rispondere alle condizioni di una vita umanamente più degna, se non è inquadrata da solide strutture giuridiche e politiche e, soprattutto, se non è sorretta e "vivificata" da una forte coscienza etica e religiosa. Questa impostazione, ideale e reale ad un tempo, si radica nella stessa natura umana. L'uomo, infatti, è un essere che "non può realizzare pienamente se stesso se non mediante il libero dono di sé".

Egli è un soggetto unico ed irripetibile che non può essere mai assorbito in un'indistinta massa umana, e tuttavia adempie pienamente il suo destino quando sa trascendere il suo limitato interesse individuale e collegarsi agli altri esseri umani con molteplici vincoli. così nasce la famiglia, così nasce la società. Anche il lavoro, per la sua intrinseca struttura, valorizza insieme l'autonomia della persona e la necessità di collegarsi col lavoro degli altri. L'uomo lavora insieme con gli altri, mediante il lavoro entra con loro in relazione: relazione che può essere di opposizione, di concorrenza o di oppressione, ma anche di cooperazione e di appartenenza ad una comunità solidale. L'uomo, inoltre, lavora non solo per se stesso, ma anche per gli altri, a cominciare dalla propria famiglia fino alla comunità locale, alla nazione ed a tutta l'umanità. E' a queste realtà che il lavoro deve servire: anche col lavoro si esprime il libero e fecondo dono di sé.

Ribadendo, pertanto, la stretta connessione tra proprietà individuale e destinazione universale dei beni, la dottrina sociale della Chiesa non fa altro che collocare l'attività economica nel quadro più alto e più ampio della generale vocazione dell'uomo.


6. La storia ha conosciuto sempre nuovi tentativi di costituire una società migliore e più giusta, nel segno dell'unità, della comprensione, della solidarietà. Molti di questi tentativi sono falliti, mentre altri si sono rivolti contro l'uomo stesso. La natura umana, che è ordinata alla socialità, sembra rivelare al tempo stesso segni di divisione, di prevaricazione e di odio. Ma proprio per questo Dio, Padre di tutti, ha mandato nel mondo il suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo, per superare questi pericoli sempre incombenti e per cambiare, mediante il dono della sua grazia, il cuore e la mente dell'uomo.

Cari fratelli e sorelle! Per costruire una società più giusta e più degna dell'uomo è necessario un grande impegno a livello politico, economico-sociale e culturale. Ma ciò non basta! L'impegno decisivo deve essere rivolto al cuore stesso dell'uomo, all'intimo della sua coscienza, dove egli decide di sé. Solo a questo livello l'uomo può operare un vero, profondo e positivo cambiamento di se stesso, e ciò è l'irrinunciabile premessa per contribuire al cambiamento e al miglioramento della società tutta. Preghiamo la Madre di Dio e Madre nostra, in questo mese a Lei dedicato, perché sostenga i nostri sforzi personali ed il nostro impegno solidale e ci aiuti così a costruire nel mondo strutture più giuste e fraterne per una nuova civiltà. La civiltà della solidarietà e dell'amore.




Roma - Mercoledi 8 Maggio 1991

Lo Spirito Santo, principio vitale della fede

1. Il dono fondamentale, concesso dallo Spirito Santo per la vita soprannaturale, è la fede. Su questo dono insiste molto l'autore della Lettera agli Ebrei, scrivendo ai cristiani tribolati dalle persecuzioni: "La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova (o convincimento) di quelle che non si vedono". Si sa che in quel testo della Lettera agli Ebrei si è letta una specie di definizione teologica della fede, che, come spiega San Tommaso, citandolo, non ha come oggetto le realtà viste con l'intelletto o sperimentate con i sensi, ma la trascendente verità di Dio (Veritas Prima), a noi proposta nella rivelazione. Per far coraggio ai cristiani, l'autore della Lettera porta l'esempio dei credenti dell'Antico Testamento, quasi riassumendo l'agiografia del Libro del Siracide, per dire che essi tutti si mossero verso l'Invisibile perché sorretti dalla fede. Sono ben diciassette esempi, quelli riportati nella Lettera: "Per fede Abele... Per fede Noè... Per fede Abramo... Per fede Mosè...". E noi possiamo aggiungere: - Per fede Maria... Per fede Giuseppe... Per fede Simeone ed Anna... Per fede gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini; e i Vescovi, i Presbiteri, i Religiosi e i laici di tutti i secoli cristiani... Per fede la Chiesa ha camminato nei secoli e cammina oggi verso l'Invisibile, sotto il soffio e la guida dello Spirito Santo.


2. La virtù soprannaturale della fede può assumere una forma carismatica, come dono straordinario riservato ad alcuni soltanto. Ma in se stessa è una virtù, che lo Spirito offre a tutti. Come tale, pertanto, essa non è un carisma, cioè uno dei doni speciali che lo Spirito"distribuisce a ciascuno come vuole"; ma è uno dei doni spirituali necessari a tutti i cristiani, tra i quali il supremo è la carità: "Tre cose rimangono, egli scrive: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità". Rimane fermo che la fede, secondo la dottrina di san Paolo, pur essendo una virtù, è innanzitutto un dono: "A voi è stata data la grazia... di credere in Cristo..."; e viene suscitata nell'animo dallo Spirito Santo. Essa è, anzi, una virtù in quanto è un dono "spirituale", dono dello Spirito Santo che rende l'uomo capace di credere. Lo è fin dal suo primo inizio, come ha definito il Concilio di Orange (529), asserendo: "Anche l'inizio della fede, anzi la stessa disposizione a credere... è in noi in forza di un dono della grazia, cioè dell'ispirazione dello Spirito Santo, il quale porta la nostra volontà dall'incredulità alla fede". Tale dono ha un valore definitivo, come dice San Paolo: "rimane". Ed è destinato ad influenzare tutta la vita dell'uomo, fino all'ora della morte, quando la fede trova la sua maturazione col passaggio alla visione beatifica.


3. Il riferimento della fede allo Spirito Santo è affermato da San Paolo nella sua Lettera ai Corinzi, ai quali ricorda che il loro accesso al Vangelo è avvenuto mediante la predicazione in cui operava lo Spirito: "La mia parola e il mio messaggio (ossia la predicazione di Paolo) non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza".

L'Apostolo non si riferisce solo ai miracoli che hanno accompagnato la sua predicazione, ma anche alle altre effusioni e manifestazioni dello Spirito Santo che Gesù aveva promesso prima dell'Ascensione. A Paolo lo Spirito ha dato, in modo particolare nella sua predicazione, di non saper altro in mezzo ai Corinzi "se non Gesù Cristo e questi crocifisso". Lo Spirito Santo ha spinto Paolo a proporre Cristo come oggetto essenziale della fede, secondo il principio enunciato da Gesù nel discorso del Cenacolo: "Egli mi glorificherà". Lo Spirito Santo è dunque l'ispiratore della predicazione apostolica. Lo dice chiaramente san Pietro nella sua lettera: gli apostoli "hanno predicato il Vangelo nello Spirito Santo mandato dal cielo". Lo Spirito Santo è anche Colui che la conferma, come ci attestano gli Atti degli Apostoli circa la predicazione di Pietro a Cornelio e ai suoi compagni: "Lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso". E Pietro si appella a questa conferma come ad approvazione del suo operato in fatto di ammissione dei non Israeliti nella Chiesa. Lo Spirito stesso ha suscitato in quei pagani l'accoglimento della predicazione e li ha introdotti nella fede della comunità cristiana. E' ancora Lui che - come in Paolo, così in Pietro - fa mettere Gesù Cristo al centro della predicazione. Pietro dichiara sinteticamente: "Dio consacro in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth... e noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute...". Gesù Cristo viene proposto come Colui che, consacrato nello Spirito, richiede la fede.


4. Lo Spirito Santo anima la professione della fede in Cristo. Secondo San Paolo, prima e al di sopra di tutti i particolari "carismi", sta l'atto di fede, del quale egli dice: "Nessuno può dire: Gesù è Signore, se non sotto l'azione dello Spirito Santo". Il riconoscimento di Cristo, e quindi la sequela di Lui, la testimonianza in suo favore è opera dello Spirito Santo. Questa dottrina si trova nel Concilio di Orange, che abbiamo citato, e nel Concilio Vaticano I (1869-1870), secondo il quale nessuno può aderire alla predicazione evangelica "senza l'illuminazione e l'ispirazione dello Spirito Santo che dà a tutti la docilità nel consentire e nel credere alla verità". San Tommaso, citando il Concilio di Orange, spiega che la fede fin dal suo primo inizio è dono di Dio, perché "l'uomo, nel dare l'assenso alle verità di fede, viene elevato al di sopra della sua natura... e ciò non può avvenire che in forza di un principio soprannaturale che lo muove dall'intimo, cioè Dio. perciò la fede viene da Dio che opera interiormente per mezzo della grazia".


5. Dopo l'inizio della fede, tutto il suo successivo sviluppo avviene sotto l'azione dello Spirito Santo. Specialmente il continuo approfondimento della fede, che porta a conoscere sempre meglio le verità credute, è opera dello Spirito Santo, che dà all'anima un acume sempre nuovo per penetrare il mistero. Lo scrive San Paolo a proposito della "sapienza che non è di questo mondo", concessa a coloro che camminano sulla via della conformità alle esigenze del Vangelo. Citando alcuni testi dell'Antico Testamento, egli vuole mostrare che la rivelazione ricevuta da lui e dai Corinzi supera perfino le più alte aspirazioni umane: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udi, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito: lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio". "Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato". perciò tra i maturi nella fede, "parliamo di sapienza", sotto l'azione dello Spirito Santo che porta a una scoperta sempre nuova delle verità contenute nel mistero di Dio.


6. La fede richiede una vita conforme alla verità riconosciuta e professata.

Secondo San Paolo essa "opera per mezzo della carità". San Tommaso, riferendosi a questo testo paolino, spiega che "la carità è la forma della fede": ossia il principio vitale, animatore, vivificante. Da esso dipende che la fede sia una virtù e duri nella crescente adesione a Dio e nelle applicazioni al comportamento e alle relazioni umane, sotto la guida dello Spirito. Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II, che scrive: "Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero... aderisce indefettibilmente alla fede... con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più ampiamente l'applica alla vita". Si capisce perciò l'esortazione di San Paolo: "Camminate secondo lo Spirito". Si capisce la necessità della preghiera allo Spirito Santo perché ci dia la grazia della conoscenza ma anche della conformità della vita alla verità conosciuta. così nell'inno "Veni, Creator Spiritus" gli chiediamo, da una parte: "Per te sciamus da Patrem"... "Tu il Padre fa conoscere/ e il Figlio ancor tu mostraci..."; ma invochiamo pure, dall'altra: "Infunde lumen sensibus"... "I nostri sensi illumina, / d'amore i cuori penetra, / rafforza i corpi deboli, / col tuo potente impeto. / Le forze ostili dissipa, / dona la pace all'anima; / con Te per guida, o Spirito, / scampiamo dai pericoli".

E nella Sequenza di Pentecoste gli confessiamo: "Senza la tua forza, / nulla è nell'uomo, / nulla senza colpa"; per poi chiedergli: "Lava ciò che è sordido, / irriga ciò che è arido, / sana ciò che sanguina. / Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / raddrizza ciò che è traviato...". Nella fede noi mettiamo sotto la virtù operatrice dello Spirito Santo tutta la nostra vita.




Appello per i popoli della Jugoslavia nel giorno della supplica alla Madonna del Rosario - Città del Vaticano (Roma)

"Elevo la mia voce per implorare che siano evitati scontri fratricidi tra le popolazioni serba e croata e sia scongiurato il ricorso alla violenza"

Oggi si recita la Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei, chiedendo alla Regina della Pace di rivolgere il suo sguardo misericordioso sull'umanità troppo spesso lacerata dall'odio e dalla violenza. V'invito ad unirvi a questa preghiera supplicando Maria Santissima in modo particolare per i popoli della Jugoslavia, così vicini al mio animo. Nella giornata di ieri si sono intensificati gli sforzi per trovare una soluzione pacifica alla difficile situazione venuta a crearsi in Croazia a seguito dei sanguinosi scontri dei giorni scorsi. Elevo ancora una volta la mia voce per implorare che siano evitati scontri fratricidi tra le popolazioni serba e croata e sia scongiurato il ricorso alla violenza.

Supplico con tutta la forza i Responsabili delle sorti di questi due popoli a dar prova di buona volontà e di senso di responsabilità per trovare una giusta e pacifica soluzione a problemi che la forza delle armi non potrà mai risolvere.

Invito soprattutto i responsabili delle comunità cristiane a farsi promotori della riconciliazione, intensificando quel dialogo di pace iniziato proprio ieri tra la Delegazione della Chiesa ortodossa serba, guidata da Sua Santità il Patriarca Pavle e la Delegazione della Chiesa cattolica, guidata dal Cardinale Kuharicä, Arcivescovo di Zagabria e Presidente della Conferenza Episcopale Jugoslava. In quest'ora drammatica per la Jugoslavia preghiamo la Regina della Pace di illuminare le menti e di sostenere gli sforzi di quanti cercano con sincerità di ristabilire una convivenza sociale nel rispetto e nella comprensione reciproci.





Mercoledì, 15 maggio 1991

15051
Catechesi 79-2005 60391