Catechesi 79-2005 13111

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1. La Chiesa è il popolo di Dio della Nuova Alleanza, come abbiamo visto nella catechesi precedente. Questo Popolo di Dio ha una dimensione universale: è il tema della catechesi odierna. Secondo la dottrina del Concilio Vaticano II, “il popolo messianico, pur non comprendendo in atto tutti gli uomini, e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo (“firmissimum germen”) di unità, di speranza e di salvezza” (Lumen gentium,
LG 9).

Tale universalità della Chiesa come Popolo di Dio è in stretta relazione con la verità rivelata su Dio come Creatore di tutto ciò che esiste, Redentore di tutti gli uomini, Autore di santità e di vita in tutti con la potenza dello Spirito Santo.

2. Sappiamo che l’Antica Alleanza era stretta con un solo popolo eletto da Dio, Israele. Tuttavia già nell’Antico Testamento non mancano i testi che preannunciano la futura universalità. Questa viene accennata nella promessa fatta da Dio ad Abramo: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 2,3), promessa rinnovata più volte ed estesa a “tutte le nazioni della terra” (Gen 18, 18). Altri testi precisano che questa benedizione universale verrebbe comunicata per mezzo della discendenza di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe (Gn 22,18 Gn 26,4 Gn 28,14). La stessa prospettiva viene ripresa in altri termini dai profeti, principalmente nel libro di Isaia: “Alla fine dei giorni - egli scrive - il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri” . . . Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli” (Is 2,4). “Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto di grasse vivande per tutti i popoli, un banchetto di vini eccellenti . . . Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti” (Is 25,7-8). Dal Deutero-Isaia provengono le predizioni concernenti il “Servo del Signore”: “Io, il Signore . . . ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni” (Is 42,6). Significativo è anche il libro di Giona quando descrive la missione del profeta a Ninive, oltre l’ambito di Israele (cf. Gn 4,10-11)

Questi e altri passi ci fanno capire che il Popolo eletto dell’Antica Alleanza era una prefigurazione e una preparazione del futuro Popolo di Dio, che sarebbe stato di ampiezza universale. Per questo, dopo la risurrezione di Cristo, la “Buona Notizia” è annunziata innanzitutto ad Israele (Ac 2,36 Ac 4,10).

3. È stato Gesù Cristo il fondatore del nuovo Popolo. Già in lui bambino il vecchio Simeone aveva scoperto la “luce” venuta “per illuminare le genti”, secondo la profezia di Isaia su riportata (Is 42,6). È stato lui ad aprire la strada dei popoli all’universalità del nuovo Popolo di Dio, come scrive San Paolo: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ep 2,14). Perciò “non c’è più Giudeo né Greco . . . poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Ga 3,28). L’apostolo Paolo è stato il principale araldo della portata universale del nuovo Popolo di Dio. Specialmente dal suo insegnamento e dalla sua azione, derivante da Gesù stesso, è passata nella Chiesa la forte convinzione sulla verità che in Gesù Cristo tutti sono stati eletti, senza alcuna distinzione di nazione, lingua o cultura. Come dice il Concilio Vaticano II, “il popolo messianico”, che nasce dal Vangelo e dalla redenzione mediante la Croce, è un “firmissimum germen” (germe validissimo) di unità, di speranza e di salvezza per tutto il genere umano (cf, Lumen gentium, LG 9).

L’affermazione di questa universalità del Popolo di Dio nella Nuova Alleanza s’incontra, per illuminarle dall’alto, con le aspirazioni e gli sforzi con cui i popoli, specialmente ai nostri giorni, cercano l’unità e la pace, operando soprattutto nell’ambito della vita internazionale e della sua organizzazione vitale. La Chiesa non può non sentirsi coinvolta in tale movimento storico, in forza della sua stessa vocazione e missione originaria.

4. Prosegue infatti il Concilio col dire che il popolo messianico-Chiesa, “costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo” (Ivi, LG 9). Quest’apertura a tutto il mondo, a tutti i popoli e a tutto ciò che è umano, appartiene alla costituzione stessa della Chiesa. Essa scaturisce dall’universalità della redenzione operata nella Croce e nella Risurrezione di Cristo (Mt 28,19 Mc 16,15). Trova la sua consacrazione nel giorno della Pentecoste attraverso la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e sulla comunità di Gerusalemme, primo nucleo della Chiesa. Fin da quei giorni la Chiesa ha coscienza della chiamata universale degli uomini a far parte del Popolo della Nuova Alleanza.

5. Dio ha convocato a far parte del suo Popolo tutta la comunità di coloro che guardano con fede Gesù, autore della salvezza e sorgente di pace e di unità. Questa “comunità convocata” è la Chiesa, istituita perché “sia per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini e insieme però trascende i tempi e i confini dei popoli” (Lumen gentium, LG 9). È l’insegnamento del Concilio, che prosegue: “Come già l’Israele secondo la carne, peregrinante nel deserto, viene chiamato Chiesa di Dio (Ne 13,1; cf. Nb 20,4 Dt 23,1ss.), così il nuovo Israele dell’era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (He 13,14), si chiama pure Chiesa di Cristo (Mt 16,18) avendola Egli acquistata col suo sangue (Ac 20,28), ricolmata del suo Spirito e fornita di mezzi adatti per l’unione visibile e sociale” (Lumen gentium, LG 9).

L’universalità della Chiesa risponde dunque al disegno trascendente di Dio, che opera nella storia umana in forza della misericordia “che vuole la salvezza di tutti” (1Tm 2,4).

6. Questa volontà salvifica di Dio Padre è la ragione e lo scopo dell’azione che la Chiesa svolge fin da principio per rispondere alla sua vocazione di popolo messianico della Nuova Alleanza, con un dinamismo aperto all’universalità, come Gesù stesso indica nel mandato e nell’assicurazione che dà a Paolo di Tarso, l’Apostolo delle Genti: “Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me” (Ac 26,17-18).

7. La Nuova Alleanza, a cui è chiamata l’umanità, è anche un’alleanza eterna (cf. He 13,20), e perciò il popolo messianico è segnato da una vocazione escatologica. È ciò che ci viene attestato in modo particolare nell’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, che mette in risalto il carattere universale di una Chiesa estesa nel tempo e, oltre il tempo, nell’eternità. Nella grande visione celeste, che segue nell’Apocalisse le lettere indirizzate alle sette Chiese, l’Agnello viene solennemente lodato perché è stato immolato e ha riscattato per Dio con il suo sangue “uomini di ogni tribù, lingua e nazione” e li ha costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti (cf. Ap 5,9-10). In una visione successiva, Giovanni vede “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono (di Dio) e davanti all’Agnello” (Ap 7,9), Chiesa della terra e Chiesa del cielo, Chiesa degli Apostoli e dei loro successori e Chiesa dei Beati, Chiesa dei figli di Dio nel tempo e nell’eternità: è un’unica realtà del popolo messianico che si estende oltre ogni limite di spazio e di epoca storica, secondo il piano divino della salvezza che si rispecchia nella cattolicità.



Ai pellegrini
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Ai fedeli italiani

Il mio saluto ora va a tutti i pellegrini italiani, presenti a questa Udienza, e in particolare al gruppo dei Missionari e delle Missionarie della Casetta di Nazaret, che ricordano l’anniversario della mia sosta a Casapesenna, nel Santuario della Vergine, invocata col nome di “Mia Madonna, Mia Salvezza”.

Saluto la Madre Fondatrice della Congregazione ed auguro che il fervore missionario non venga mai meno nell’intera Famiglia religiosa. A tutti ricordo che “chi ha spirito missionario sente l’ardore di Cristo per le anime ed ama la Chiesa come Cristo” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris missio, RMi 89).

Rivolgo poi il mio pensiero al gruppo dei Padri Carmelitani, che partecipano ad un Congresso del loro Ordine, esortandoli a conservare sempre viva la grande tradizione del Carmelo e a diffondere la conoscenza della vita ascetica e mistica, secondo i princìpi dei Maestri di spiritualità carmelitana. Vi conforti sempre la Vergine Maria, “Decor Carmeli”. Infine saluto il gruppo dei ragazzi di Tirrenia (Pisa), che, pur giovanissimi, si educano diligentemente al rispetto delle norme della circolazione stradale e della natura.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed ora porgo a voi, carissimi Giovani, Ammalati e Sposi Novelli il mio saluto, lieto per la vostra presenza, cordialità ed attenzione!

Vi esorto al costante impegno nella preghiera, nella carità reciproca, nella pazienza, ricordando quanto scriveva San Paolo ai Romani: “ciascuno dovrà rendere conto a Dio di se stesso” (Rm 14,12).

Ricordatelo voi, giovani, perché il tempo che vi è donato possa essere un tempo in cui si costruisce la propria santificazione.

Ricordatelo anche voi, ammalati, per essere sempre consapevoli che la sofferenza non è dimenticata da Dio.

Voi, Sposi novelli, sappiate trasmettere all’intera famiglia la costante tensione verso la meta del cielo, che è fine ultimo di ogni esistenza.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.


Accorato appello per la pace in Croazia
Cari fedeli della Croazia. Vi saluto tutti di cuore!

Le notizie dolorose che provengono quotidianamente dalla vostra patria continuano a rattristare profondamente il mio cuore. Il grido di dolore e di paura che si eleva dalla Croazia non può e non deve lasciare indifferente alcun cristiano o uomo di buona volontà.

Negli ultimi giorni vi sono stati attacchi di inaudita violenza in tutta la Croazia, ma in particolare contro Dubrovnik e Vukovar. A Dubrovnik sono stati colpiti, tra l’altro, alberghi ed ospedali affollati di rifugiati e di feriti. È un’aggressione che deve terminare!

Unisco la mia voce di condanna e di implorazione a quella di tanta gente che soffre e che muore e alla voce di quanti, nel mondo, deplorano con orrore le atrocità della guerra in Croazia. Supplico l’esercito federale jugoslavo di risparmiare la vita di inermi civili e di frenare la furia distruttrice di abitazioni private ed edifici pubblici, alcuni dei quali di inestimabile valore artistico.

La comunità internazionale non può accettare che la violenza diventi il mezzo per affrontare i contenziosi tra i popoli, che siano costantemente calpestate le norme elementari di condotta, sancite anche da accordi e convenzioni internazionali. Occorre porre fine ad una tale tragedia, che disonora l’Europa e il mondo!

Dio onnipotente doni a tutti la sua pace e la sua benedizione.

Siano lodati Gesù e Maria!


Roma, Mercoledi 20 Novembre 1991

La Chiesa, Corpo di Cristo

1. Per raffigurare la Chiesa, San Paolo usa la similitudine del corpo. "Noi tutti - egli dice - siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito" (1Co 12,13). E' una immagine nuova. Mentre il concetto di "Popolo di Dio", che abbiamo spiegato nelle ultime catechesi, appartiene all'Antico Testamento, e viene ripreso e arricchito nel Nuovo, l'immagine di "Corpo di Cristo", impiegata anche dal Concilio Vaticano II nel parlare della Chiesa, non ha precedenti nell'Antico Testamento. Si trova nelle lettere paoline, alle quali soprattutto faremo ricorso nella presente catechesi. Essa è stata studiata da esegeti e teologi del nostro secolo nella sua origine paolina, nella tradizione patristica e teologica, che ne è derivata, e nella validità che possiede anche per presentare la Chiesa odierna.

E' stata assunta anche dal Magistero pontificio: e il Papa Pio XII vi dedico una memorabile Enciclica, intitolata appunto Mystici Corporis Christi (1943). Dobbiamo ancora notare che nelle lettere paoline non troviamo la qualifica di mistico, che spunta solo più tardi; nelle lettere si parla del "Corpo di Cristo", semplicemente e con una realistica comparazione col corpo umano. Infatti scrive l'Apostolo che "come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo" (1Co 12,12).


2. L'Apostolo con queste parole intende mettere in risalto l'unità e nello stesso tempo la molteplicità che è propria della Chiesa. "Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rm 12,4-5). Si direbbe che mentre il concetto di "Popolo di Dio" mette in risalto la molteplicità, quello di "Corpo di Cristo" sottolinea l'unità in questa molteplicità, indicando soprattutto il principio e la fonte di questa unità: Cristo. "Voi siete corpo di Cristo e sue membra" (1Co 12,27). "Pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo" (Rm 12,5). Mette dunque in rilievo l'unità di Cristo-Chiesa, e l'unità dei molti membri della Chiesa tra loro, in virtù della unità di tutto il corpo con Cristo.


3. Il corpo è l'organismo che, proprio come organismo, esprime il bisogno di cooperazione tra i singoli organi e membri nell'unità dell'insieme, così composto e ordinato, secondo San Paolo, "perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra del corpo avessero cura le une delle altre" (1Co 12,25). "Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie" (1Co 12,22).

Siamo infatti, giunge a dire l'Apostolo, "membra gli uni degli altri" (Rm 12,5) nel Corpo di Cristo, la Chiesa. La molteplicità delle membra, la varietà delle funzioni non possono danneggiare l'unità, così come d'altra parte l'unità non può annullare o distruggere la molteplicità e la varietà delle membra e delle funzioni.


4. E' un'esigenza di armonia "biologica" dell'organismo umano, che, trasferita, a modo di analogia, nel discorso ecclesiologico, indica la necessità della solidarietà tra tutti i membri della comunità-Chiesa. Scrive infatti l'Apostolo: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui" (1Co 12,26).


5. Si può dunque dire che il concetto di Chiesa come "Corpo di Cristo" è complementare nei confronti del concetto di "Popolo di Dio". Si tratta della stessa realtà, espressa secondo i due aspetti di unità e di molteplicità, con due diverse analogie. L'analogia del corpo mette in rilievo soprattutto l'unità della vita: le membra della Chiesa sono unite tra di loro in base al principio della unità nella identica vita che proviene da Cristo. "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?" (1Co 6,15). Si tratta della vita spirituale, e anzi della vita nello Spirito Santo. Come leggiamo nella Costituzione conciliare sulla Chiesa, "comunicando il suo Spirito, (Cristo) fa si che i suoi fratelli, chiamati tra tutte le genti, costituiscano il suo corpo mistico" (LG 7). In questo modo Cristo stesso è "il capo del corpo, cioè della Chiesa" (Col 1,18). La condizione per partecipare alla vita del corpo è il legame con il capo, cioè con colui "dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio" (Col 2,19).


6. Il concetto paolino di Capo (Cristo-Capo del corpo che è la Chiesa) significa prima di tutto il potere che gli appartiene su tutto il corpo: un potere supremo, a proposito del quale leggiamo nella lettera agli Efesini che Dio "tutto ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa" (Ep 1,22). Come Capo, Cristo permea la Chiesa-corpo con la sua vita divina, perché tutto cresca "verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ep 4,15-16). Come capo della Chiesa, Cristo è il principio e la fonte di coesione tra tutte le membra del corpo (cfr. Col 2,19). E' il principio e la fonte della crescita nello Spirito: da lui tutto il corpo "riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità" (Ep 4,16).

Da qui l'esortazione dell'Apostolo a vivere "secondo la verità nella carità" (Ep 4,15). La crescita spirituale del corpo della Chiesa e delle sue singole membra è una crescita "da Cristo" (principio) e nello stesso tempo "verso Cristo" (fine).

Ce lo dice l'Apostolo, quando completa la sua esortazione in questi termini: "Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo" (Ep 4,15).


7. Dobbiamo ancora aggiungere che la dottrina della Chiesa come corpo di Cristo-capo ha uno stretto collegamento con l'Eucaristia. L'Apostolo infatti chiede: "Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane, che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?" (1Co 10,16). Si tratta ovviamente del Corpo personale di Cristo che noi riceviamo in modo sacramentale nell'Eucaristia sotto la specie del pane. Ma continuando il suo discorso San Paolo risponde alla domanda posta: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1Co 10,17).

E questo "un corpo solo" sono tutti i membri della Chiesa, uniti spiritualmente al Capo appena identificato con Cristo in persona. L'Eucaristia, come sacramento del Corpo e del Sangue personale di Cristo, forma la Chiesa che è il corpo sociale di Cristo nell'unità di tutti i membri della comunità ecclesiale.

Contentiamoci per ora di questo assaggio di una mirabile verità cristiana, sulla quale dovremo riprendere il discorso, quando - a Dio piacendo - tratteremo dell'Eucaristia.

(Saluto agli esuli e ai feriti della città di Vukovar:) Cari pellegrini croati, Sono commosso nel salutare, qui presente, la delegazione di profughi della Croazia, in particolare alcuni feriti provenienti dalla martoriata città di Vukovar, uomini che portano visibilmente i segni del dramma che si è abbattuto colà in queste ultime settimane.

Cari fratelli e sorelle, sapete che il Papa vi è vicino con la preghiera e l'affetto; vicino anche a quanti soffrono ancora a causa di questa assurda guerra nella vostra amata terra. Non cessiamo di invocare il Signore perché termini quanto prima tanto dolore e perché la solidarietà internazionale venga in aiuto di quelle dilette popolazioni.

Siano lodati Gesù e Maria!




Roma, Mercoledi 27 Novembre 1991

La Chiesa, mistero e sacramento

1. Secondo il Concilio Vaticano II, "la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1). Questa dottrina, proposta fin dall'inizio della costituzione dogmatica sulla Chiesa, richiede qualche chiarificazione, che faremo nella presente catechesi. Cominciamo col notare che il testo appena riportato sulla Chiesa come "sacramento" si trova nella Costituzione Lumen Gentium nell'ambito del primo capitolo, che porta il titolo: "Il Mistero della Chiesa" (De Ecclesiae Mysterio). Occorre dunque cercare la spiegazione di questa sacramentalità attribuita alla Chiesa dal Concilio nel contesto del mistero ("mysterium") come è inteso in quel primo capitolo della Costituzione.


2. La Chiesa è mistero divino, perché si attua in essa il disegno (o piano) divino della salvezza dell'umanità, cioè "il mistero del regno di Dio" rivelato nella parola e nell'esistenza stessa di Cristo. Questo mistero è rivelato da Gesù prima di tutto agli Apostoli: "A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole" (Mc 4,11). Il significato delle parabole del Regno, alle quali abbiamo dedicato una precedente catechesi, trova la sua prima fondamentale realizzazione già nell'Incarnazione e il suo compimento nel tempo che va dalla pasqua della Croce e della Risurrezione di Cristo alla Pentecoste in Gerusalemme, dove gli Apostoli e i membri della prima comunità ricevettero il Battesimo dello Spirito di verità, che li rese capaci di dare testimonianza a Cristo. Fu in quello stesso tempo che l'eterno mistero del disegno divino della salvezza dell'umanità si rivesti della forma visibile della Chiesa-nuovo popolo di Dio.


3. Le lettere paoline lo esprimono in modo particolarmente esplicito ed efficace.

L'Apostolo, infatti, annuncia Cristo "secondo la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora" (Rm 16,25-26). "Il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria" (Col 1,26-27): questo è il mistero rivelato per la consolazione dei cuori, per l'ammaestramento nella carità, per il raggiungimento di una piena intelligenza della ricchezza che contiene (cfr. Col 2,2). E nello stesso tempo l'Apostolo chiede ai Colossesi di pregare "perché Dio ci apra la porta della (e per la) predicazione e possiamo annunciare il mistero di Cristo", augurando a se stesso "che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo" (Col 4,3-4).


4. Se tale mistero divino, ossia il mistero della salvezza dell'umanità in Cristo, è sopratutto il mistero di Cristo, esso è pero destinato "agli uomini". Leggiamo infatti nella lettera agli Efesini: "Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo, del quale - aggiunge l'Apostolo - sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza" (Ep 3,5-7).


5. Questo insegnamento di Paolo è ripreso e riproposto dal Concilio Vaticano II, che dice: "Cristo, quando fu elevato in alto da terra, attiro tutti a sé (cfr. Jn 12,32); risorgendo dai morti (cfr. Rm 6,9) immise negli Apostoli il suo Spirito vivificatore, e per mezzo di Lui costitui il suo Corpo, che è la Chiesa, quale universale sacramento della salvezza" (LG 48). E ancora: "Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica" (LG 9). Dunque l'eterna iniziativa del Padre che concepisce il piano salvifico, manifestato all'umanità e attuato in Cristo, costituisce il fondamento del mistero della Chiesa, nella quale il mistero, per opera dello Spirito Santo, viene partecipato agli uomini, a cominciare dagli Apostoli. Per questa partecipazione al mistero di Cristo la Chiesa è il Corpo di Cristo. L'immagine e il concetto paolino di "corpo di Cristo" esprimono contemporaneamente la verità del mistero della Chiesa e la verità del suo carattere visibile nel mondo e nella storia dell'umanità.


6. Il termine greco mysterion è stato tradotto in latino come sacramentum. In questo senso lo usa il magistero conciliare nei testi sopra riportati. Nella Chiesa latina, la parola "sacramentum" ha preso un senso teologico più specifico, designando i sette sacramenti. E' chiaro che l'applicazione di questo senso alla Chiesa non può essere fatta che in modo analogico. Infatti, secondo l'insegnamento del Concilio di Trento, un sacramento "è il segno di una cosa santa e l'espressione visibile della grazia invisibile" (cfr. DS 1639). Senza dubbio, tale definizione può essere riferita in senso analogico alla Chiesa. Bisogna pero notare che questa definizione non basta per esprimere ciò che la Chiesa è. Essa è segno, ma non è soltanto segno; è anche, in se stessa, frutto dell'opera redentrice. I sacramenti sono dei mezzi di santificazione; la Chiesa invece è l'assemblea delle persone santificate; essa costituisce quindi lo scopo dell'intervento salvifico (cfr. Ep 5,25-27). Fatte queste precisazioni, il termine "sacramento" può essere applicato alla Chiesa. La Chiesa, infatti, è il segno della salvezza compiuta da Cristo e destinata a tutti gli uomini mediante l'opera dello Spirito Santo. Il segno è visibile: la Chiesa, come comunità del popolo di Dio, ha carattere visibile. Il segno è anche efficace, in quanto l'adesione alla Chiesa procura agli uomini l'unione con Cristo e tutte le grazie necessarie alla salvezza.


7. Quando si parla dei sacramenti come segni efficaci della grazia salvifica istituiti da Cristo e celebrati in suo nome dalla Chiesa, l'analogia della sacramentalità in rapporto alla Chiesa rimane per il legame organico tra Chiesa e sacramenti, ma bisogna tener presente che non si tratta di una sostanziale identità. Non si può infatti attribuire a tutto l'insieme delle funzioni e dei ministeri della Chiesa la istituzione divina e l'efficacia dei sette sacramenti.

Inoltre, nell'Eucaristia vi è una presenza sostanziale di Cristo, che non si può certo estendere a tutta la Chiesa. Rimandiamo a un altro momento una maggiore spiegazione di queste differenze. Ma possiamo concludere questa catechesi con la gioiosa osservazione che il legame organico tra la Chiesa-Sacramento e i singoli sacramenti è particolarmente stretto ed essenziale proprio nei riguardi dell'Eucaristia. Infatti, in quanto la Chiesa (come sacramento) celebra l'Eucaristia, in tanto l'Eucaristia attua, fa presente, la Chiesa.

La Chiesa si esprime nell'Eucaristia, e l'Eucaristia fa la Chiesa.

Specialmente nell'Eucaristia la Chiesa è e diventa sempre più il sacramento "dell'intima unione con Dio" (cfr. LG 1).




Roma, Mercoledi 4 Dicembre 1991

La Chiesa prefigurata come sposa nell'Antico Testamento

1. Già nell'Antico Testamento si parla di una sorta di sponsalità tra Dio e il suo popolo, cioè Israele. così leggiamo nella terza parte delle profezie di Isaia: "Poiché il tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d'Israele, è chiamato Dio di tutta la terra" (Is 54,5). La nostra catechesi sulla Chiesa come "sacramento dell'unione con Dio" (Mysterium Ecclesiae: LG 1) ci riporta a quell'antico fatto dell'alleanza di Dio con Israele, il popolo eletto, che è stata la preparazione al mistero fondamentale della Chiesa, prolungamento del mistero stesso dell'Incarnazione. Lo abbiamo visto nelle catechesi precedenti. In quella odierna vogliamo sottolineare che l'alleanza di Dio con Israele è presentata dai profeti come un legame sponsale. Anche questo particolare aspetto del rapporto di Dio col suo popolo ha un valore figurativo e preparatorio del legame sponsale tra Cristo e la Chiesa, nuovo popolo di Dio, nuovo Israele costituito da Cristo con il sacrificio della Croce.


2. Nell'Antico Testamento, oltre al testo di Isaia citato all'inizio, ne troviamo anche altri, specialmente nei libri di Osea, di Geremia, di Ezechiele, in cui l'alleanza di Dio con Israele è interpretata in analogia al patto matrimoniale degli sposi. Sempre in forza di questo paragone, questi profeti scagliano contro il popolo eletto l'accusa di essere come una sposa infedele e adultera. così Osea: "Accusate vostra madre, accusatela perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito" (Os 2,4). Ugualmente Geremia: "Come una donna è infedele al suo amante così voi, casa d'Israele, siete stati infedeli a me" (Jr 3,20). E ancora, avendo davanti agli occhi l'infedeltà di Israele alla legge dell'alleanza, e specialmente i ripetuti peccati di idolatria, Geremia aggiunge la rampogna: "Tu ti sei disonorata con molti amanti e osi tornare da me? Oracolo del Signore" (Jr 3,1). Infine Ezechiele: "Tu pero, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori ad ogni passante" (Ez 16,15 cfr. Ez 16,29 Ez 16,32).

Tuttavia bisogna dire che le parole dei profeti non contengono un rifiuto assoluto e definitivo della sposa adultera, bensi piuttosto un invito alla conversione e una promessa di riaccettazione della convertita. così Osea: "Ti faro (nuovamente) mia sposa per sempre, ti faro mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzero con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Os 2,21-22). Analogamente Isaia: "Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprendero con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore" (Is 54,7-8).


3. Questi annunci dei profeti vanno oltre il confine storico di Israele, e oltre la dimensione etnica e religiosa del popolo che non ha mantenuto l'alleanza. Essi devono essere collocati nella prospettiva di una nuova alleanza, indicata come cosa che avverrà in futuro. Si veda in particolare Geremia: "Io concludero un'alleanza con la casa d'Israele dopo quei giorni... Porro la mia legge nel loro animo la scrivero sul loro cuore. Allora io saro il loro Dio ed essi il mio popolo" (Jr 31,33). Qualcosa di simile annuncia Ezechiele, dopo aver promesso agli esiliati il ritorno in patria: "Daro loro un cuore nuovo e una spirito nuovo mettero dentro di loro; togliero dal loro petto il cuore di pietra e daro loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi, e le mettano in pratica; saranno il mio popolo e io saro il loro Dio" (Ez 11,19-20).


4. La realizzazione di questa pro messa di nuova alleanza ha il suo inizio in Maria. L'annunciazione è la prima manifestazione di questo inizio. Infatti in quel momento sentiamo la Vergine di Nazareth rispondere con l'obbedienza della fede all'eterno disegno divino della salvezza dell'uomo mediante l'Incarnazione del Verbo: quella incarnazione del Figlio di Dio significa il compimento degli annunzi messianici, e nello stesso tempo l'albeggiare della Chiesa come popolo della Nuova Alleanza. Maria si rende conto della dimensione messianica dell'annuncio che riceve e del si con cui vi risponde. L'evangelista Luca sembra voler mettere in rilievo questa dimensione, con la particolareggiata descrizione del dialogo tra l'Angelo e la Vergine, e poi con la formulazione del Magnificat.


5. Dal dialogo e dal cantico traspare l'umiltà di Maria, ma anche l'intensità con cui anch'essa ha vissuto nel suo spirito l'attesa dell'attuazione della promessa messianica fatta ad Israele. Le parole dei profeti sull'alleanza sponsale di Dio con il popolo eletto, raccolte e meditate nel suo cuore, in questi momenti decisivi riferiti da Luca, echeggiano nel suo cuore. Lei stessa desiderava di impersonare in sé l'immagine di quella sposa assolutamente fedele e totalmente donata allo Sposo divino, e perciò diventa l'inizio del nuovo Israele, ossia di quel popolo voluto dal Dio dell'alleanza, nel suo cuore sponsale. Maria, che sia nel dialogo sia nel cantico non usa una terminologia improntata all'analogia della sponsalità, fa ben di più: conferma e consolida una consacrazione già in atto, che diventa l'abituale sua condizione di vita. Replica infatti all'Angelo dell'annunciazione: "Non conosco uomo" (Lc 1,34). Come a dire: Sono vergine donata a Dio, e non intendo lasciare questo Sposo, perché non penso che Dio lo voglia: Lui, così geloso di Israele, così severo con chi lo ha tradito, così insistente nel suo misericordioso richiamo alla riconciliazione!


6. Maria è ben consapevole dell'infedeltà del suo popolo, e vuole essere personalmente una sposa fedele allo Sposo divino sommamente amato. E l'Angelo le annuncia la realizzazione in lei della nuova alleanza di Dio con l'umanità in una dimensione impensata, come maternità verginale per opera dello Spirito Santo. "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Lc 1,35). La Vergine di Nazareth per opera dello Spirito Santo diventa in modo verginale la madre del Figlio di Dio. Il mistero dell'Incarnazione comprende nel suo ambito questa maternità di Maria, divinamente operata per virtù dello Spirito Santo. Li è dunque l'inizio della Nuova Alleanza, nella quale Cristo, quale Sposo divino, unisce a sé l'umanità, chiamata a essere la sua Chiesa come popolo universale della Nuova Alleanza.


7. Già in quel momento dell'Incarnazione, Maria come Vergine Madre diventa figura della Chiesa nel suo carattere ad un tempo verginale e materno. "Infatti - spiega il Concilio Vaticano II -nel mistero della Chiesa, la quale è pure giustamente chiamata madre e vergine, la Beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e quale madre" (LG 63). Ben a ragione il messaggero inviato da Dio fino dal primo momento saluta Maria con la parola Chaire (= gioisci). In questo saluto risuona l'eco di tante parole profetiche dell'Antico Testamento: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso" (Za 9,9).

"Rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!... E' il Signore in mezzo a te... Non temere, Sion, ...un salvatore potente... ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia" (So 3,14-17). "Non temere, o terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore... Figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio" (Jon 2,21).

Maria e la Chiesa sono dunque il termine realizzativo di queste profezie, sulla soglia del Nuovo Testamento. Anzi si può dire che su questa soglia si trova la Chiesa in Maria, e Maria nella Chiesa e come Chiesa. E' una delle meravigliose opere di Dio che sono oggetto della nostra fede.





Roma, Mercoledì 11 Dicembre 1991

La Chiesa delineata come Sposa dai Vangeli

1. "Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti; tuo redentore è il Santo d'Israele" (Is 54,5). Ancora una volta riportiamo queste parole di Isaia, per ricordare che i profeti dell'Antico Testamento vedevano in Dio lo Sposo del popolo eletto. Israele era raffigurato come una sposa, spesso infedele a causa dei suoi peccati, specialmente per le cadute nell'idolatria. Il Signore degli eserciti tuttavia permaneva nella sua fedeltà verso il popolo eletto. Rimaneva come "redentore, il Santo di Israele". Sul terreno preparato dai profeti, il Nuovo Testamento presenta Gesù Cristo come Sposo per il nuovo Popolo di Dio: è lui quel "redentore, il Santo di Israele" previsto e annunciato da lontano; è in lui che si sono compiute le profezie: il Cristo-Sposo.


2. Il primo a presentare Gesù in questa luce è Giovanni Battista nella sua predicazione sulle rive del Giordano: "Non sono il Cristo" - egli avverte i suoi ascoltatori- "ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo" (Jn 3,28-29). Come si vede, la tradizione sponsale dell'Antico Testamento echeggia nella consapevolezza che questo austero messaggero del Signore ha della sua missione in relazione alla identità del Cristo. Egli sa chi è e "che cosa gli è stato dato dal cielo". Tutto il suo servizio in mezzo al popolo è rivolto verso lo Sposo che deve venire. Giovanni presenta se stesso come "l'amico dello sposo", e confessa che la sua gioia più grande sta nel fatto che gli è stato dato di udirne la voce. Per questa gioia è disposto ad accettare la propria "diminuzione", ossia a far posto a Colui che deve manifestarsi, che è più grande di lui, e per il quale è pronto a dare la vita, poiché sa che, secondo il disegno divino della salvezza, ora deve "crescere" lo Sposo, "il Santo di Israele": "Egli deve crescere e io diminuire" (Jn 3,30).


3. Gesù di Nazareth viene dunque introdotto in mezzo al suo popolo come lo Sposo che era stato annunziato dai profeti. Lo conferma egli stesso quando, alla domanda dei discepoli di Giovanni: "Perché... i tuoi discepoli non digiunano?" (Mc 2,18), risponde: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno" (Mc 2,19-20). Con questa risposta Gesù fa capire che l'annuncio dei profeti su Dio-Sposo, sul "Redentore, il Santo di Israele", trova in lui stesso il suo compimento. Egli rivela la sua consapevolezza del fatto di essere Sposo tra i discepoli, ai quali pero, alla fine, "sarà... tolto lo sposo". Consapevolezza sia della messianità, sia della Croce sulla quale compirà il suo sacrificio in obbedienza al Padre, come predetto dai profeti (cfr. Is 42,1-9 Is 49,1-7 Is 50,4-11 52,13-53,12).


4. Ciò che emerge nella dichiarazione di Giovanni sulle rive del Giordano, ed anche nella risposta di Gesù alla domanda dei discepoli del Battista, ossia che è ormai venuto lo Sposo annunziato dai profeti, trova conferma anche nelle parabole.

In esse l'espressione del motivo sponsale è indiretta, ma sufficientemente trasparente. Gesù dice che "il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio" (Mt 22,2). Tutto l'insieme della parabola lascia capire che Gesù parla di sé, ma lo fa in terza persona, come è proprio del discorso in parabole. Nel contesto della parabola del re che invita alla festa di nozze di suo figlio, Gesù con l'analogia del banchetto nuziale mette in risalto la verità sul regno di Dio, che lui stesso porta nel mondo, e gli inviti di Dio al banchetto dello Sposo, ossia alla accettazione del messaggio di Cristo nella comunione del nuovo popolo, che la parabola presenta come convocato a nozze. Ma aggiunge il riferimento ai rifiuti dell'invito, che Gesù ha sotto gli occhi nella realtà di molti dei suoi uditori. Aggiunge pure, per tutti gli invitati del suo tempo e di tutti i tempi, la necessità di un atteggiamento degno della vocazione ricevuta, simboleggiato dalla "veste nuziale" che devono indossare coloro che intendono partecipare al banchetto, tanto che chi non la indossa viene allontanato dal re, cioè da Dio Padre che chiama alla festa del suo Figlio nella Chiesa.


5. Sembra che nel mondo d'Israele, in occasione dei grandi banchetti, fossero messe nell'atrio del convito, a disposizione degli invitati, le vesti da indossare. Ciò farebbe capire ancor più il significato di quel particolare della parabola di Gesù: cioè la responsabilità non solo di chi rifiuta l'invito, ma anche di coloro che pretendono di parteciparvi senza mettersi nelle condizioni richieste per esserne degni. così è per chi ritenesse e professasse di essere seguace di Cristo e membro della Chiesa, senza procurarsi la "veste nuziale" della grazia, generatrice di fede viva, di speranza, di carità. E' vero che questa "veste" - interiore più che esterna - viene data da Dio stesso, autore della grazia e di ogni bene dell'anima. Ma la parabola sottolinea la responsabilità di ciascun invitato, qualunque sia la sua provenienza, circa il si che deve dare al Signore che chiama e circa l'accettazione della sua legge, la rispondenza totale alle esigenze della vocazione cristiana, la partecipazione sempre più piena alla vita della Chiesa.


6. Anche nella parabola delle dieci vergini, "che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo" (Mt 25,1), si trova l'analogia sponsale usata da Gesù per far capire il suo pensiero circa il regno di Dio e la Chiesa in cui esso si concretizza. Vi si ritrova anche la sua insistenza sulla necessità della disposizione interiore, senza la quale non si può partecipare al banchetto di nozze. In questa parabola Gesù richiama alla prontezza, alla vigilanza, all'impegno fervoroso nell'attesa dello Sposo. Solo cinque tra le dieci vergini si erano adoperate perché le loro lampade ardessero all'arrivo dello Sposo. Alle altre, improvvide, manco l'olio. "Arrivo lo Sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa" (Mt 25,10). E' un riferimento delicato ma inequivocabile alla sorte di chi manca di disposizione interiore all'incontro con Dio, e quindi di fervore e di perseveranza nell'attesa; un riferimento, dunque, al rischio di vedersi chiudere in faccia la porta. Ancora una volta troviamo il richiamo al senso di responsabilità di fronte alla vocazione cristiana.


7. A questo punto, tornando dalla parabola alla narrazione evangelica dei fatti, dobbiamo rievocare il banchetto di nozze a Cana di Galilea, dove Gesù fu invitato insieme ai discepoli (cfr. Jn 2,1-11). Secondo l'evangelista Giovanni, in quella circostanza egli fece il primo miracolo, cioè il primo segno comprovante la sua missione messianica. E' lecito interpretare quel suo gesto come un modo di far capire, indirettamente, che lo Sposo annunziato dai profeti era presente in mezzo al suo popolo, Israele. Tutto il contesto della cerimonia nuziale prende in questo caso uno speciale significato. In particolare, notiamo che Gesù opera quel suo primo "segno" su richiesta di sua Madre. Ci è caro ricordare qui ciò che abbiamo detto nella catechesi precedente: Maria è l'inizio e la figura della Chiesa-Sposa della Nuova Alleanza. Concludiamo con la rilettura di quelle parole finali della pagina giovannea: "così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifesto la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Jn 2,11).

In quel così si trova affermato che lo Sposo è già all'opera.

E accanto a lui comincia a delinearsi la figura della Sposa della Nuova Alleanza, la Chiesa, presente in Maria e in quei discepoli al banchetto nuziale.


Ai pellegrini ...

Ai gruppi di pellegrini italiani

Rivolgo ora un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto le Suore Catechiste di Gesù Redentore, guidate dalla Madre Generale Maria Pia De Falco, e accompagnate da Monsignor Giuseppe Molinari, Vescovo di Rieti, e dai rappresentanti di varie comunità dell’Italia e dell’Uruguay, in cui esse operano. Mi associo alla vostra preghiera affinché le celebrazioni del 50 anniversario di fondazione portino all’intero Istituto frutti abbondanti di crescita spirituale e apostolica.

Saluto parimenti il qualificato gruppo dell’Istituto Figlie di San Paolo, le quali prendono parte a questa Udienza a conclusione di uno speciale incontro di approfondimento del carisma peculiare che IL Signore ha loro affidato per il servizio del Vangelo nella società odierna.

Saluto anche i membri dell’Associazione Internazionale Cavalieri di San Marco, con sede in Venezia. Colgo l’occasione per augurare ogni bene e per esortarvi a ben continuare nella vostra attività.

Rivolgo un particolare pensiero al gruppo di Presidenti di Associazioni ed Organizzazioni Cattoliche per la famiglia, provenienti da tutta l’Europa. Vi ringrazio per la vostra visita e per l’opera che voi promuovete in favore delle famiglie e, in particolare, per il lavoro che svolgete in preparazione all’Anno Internazionale della Famiglia, nel 1994. Il Signore ve ne renda merito.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.

In questo periodo di Avvento la Liturgia ci fa ascoltare le parole del profeta Isaia. In una lettura di questi giorni egli ci ha indirizzato questo messaggio: “Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono, ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza” (Is 40, 30-31).

Cari giovani, crescete in tale speranza. Ogni vostra stanchezza finisce, quando accogliete pienamente il Signore Gesù con la sua verità e il suo amore. Egli viene incontro ai vostri passi e ad ogni vostra ricerca. Accoglietelo pienamente e coglierete in pienezza il senso della propria esistenza.

Il peso delle vostre sofferenze, cari ammalati, potrebbe essere motivo di inciampo: Gesù Bambino, Redentore dell’uomo, venendo nella vostra vita apra il vostro cuore alla speranza e dia senso ad ogni sofferenza e sacrificio.

La vostra nascente famiglia si ispiri, cari sposi novelli, alla verità e all’amore del Natale. Sappiate vivere il messaggio di comunione e di redenzione del Vangelo, per avere la forza di accogliere ogni dono ed ogni responsabilità nella vostra famiglia.

A tutti imparto di cuore la mia benedizione.



Roma, Mercoledi 18 Dicembre 1991

La Chiesa descritta come Sposa da San Paolo

1. Scrive San Paolo agli Efesini: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25). Come si vede, l'analogia dell'amore sponsale, ereditata dai profeti dell'Antica Alleanza, riapparsa nella predicazione di Giovanni Battista, ripresa da Gesù e passata nei vangeli, è riproposta dall'apostolo Paolo. Il Battista e i Vangeli presentano il Cristo come Sposo: lo abbiamo visto nella catechesi precedente. Sposo del nuovo Popolo di Dio, che è la Chiesa. Sulla bocca di Gesù e del suo Precursore l'analogia ricevuta dall'Antica Alleanza era usata per annunciare che era venuto il tempo della sua reale attuazione. Furono gli eventi pasquali a darle pienezza di significato. Proprio in riferimento a tali eventi l'Apostolo può scrivere nella lettera egli Efesini che "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei". In queste parole vi è l'eco dei profeti che nell'Antica Alleanza avevano usato l'analogia per parlare dell'amore sponsale di Dio per il popolo eletto, Israele; vi è almeno implicitamente il riferimento all'applicazione che Gesù ne aveva fatto a se stesso, presentandosi quale Sposo, come doveva essere stato detto dagli Apostoli alle prime comunità, nelle quali nacquero i Vangeli; vi è un approfondimento della dimensione salvifica dell'amore di Cristo Gesù, che è nello stesso tempo sponsale e redentivo: "Cristo ha dato se stesso per la Chiesa", ricorda l'Apostolo.


2. Ciò risulta con evidenza anche maggiore se si considera che la lettera agli Efesini mette in diretta relazione l'amore sponsale di Cristo per la Chiesa e il sacramento che unisce come sposi l'uomo e la donna, consacrandone l'amore.

Leggiamo infatti: "E voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola (riferimento al Battesimo), al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,25-27). Poco più oltre nella lettera, l'Apostolo stesso sottolinea il grande mistero dell'unione sponsale perché la mette "in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ep 5,32). Il significato essenziale del suo discorso è che nel matrimonio e nell'amore sponsale cristiano si riflette l'amore sponsale del Redentore per la sua Chiesa: amore redentivo, carico di potenza salvifica, operante nel mistero della grazia con cui il Cristo partecipa la vita nuova alle membra del suo Corpo.


3. E' per questo che nello svolgimento del suo discorso l'Apostolo ricorre al passo del Genesi che, parlando dell'unione dell'uomo con la donna, dice: "I due formeranno una carne sola" (Ep 5,31 Gn 2,24). Ispirandosi a questa affermazione, l'Apostolo scrive: "I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; ma al contrario (ognuno) la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa" (Ep 5,28-29). Si può dire che nel pensiero di Paolo l'amore sponsale rientra in una legge di uguaglianza che l'uomo e la donna attuano in Gesù Cristo (cfr. 1Co 7,4). Tuttavia quando l'Apostolo constata: "Il marito... è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo Corpo" (Ep 5,23), l'uguaglianza, la parità interumana viene superata, perché c'è un ordine nell'amore. L'amore del marito per la moglie è partecipazione dell'amore di Cristo per la Chiesa. Orbene Cristo, Sposo della Chiesa, è stato primo nell'amore, perché ha attuato la salvezza (cfr. Rm 5,6 1Jn 4,19). Quindi egli è allo stesso tempo "Capo" della Chiesa, suo "Corpo", che egli salva, nutre e cura con ineffabile amore. Questo rapporto tra Capo e Corpo non annulla la reciprocità sponsale, ma la rafforza. E' proprio la precedenza del Redentore nei riguardi dei redenti (e dunque della Chiesa) che rende possibile tale reciprocità sponsale, in forza della grazia che il Cristo stesso elargisce. Questa è l'essenza del mistero della Chiesa come Sposa di Cristo-Redentore, verità ripetutamente testimoniata e insegnata da San Paolo.


4. L'Apostolo non è un testimone distaccato e disinteressato, come se parlasse o scrivesse a titolo accademico o notarile. Nelle sue lettere si rivela profondamente coinvolto nell'impegno di inculcare questa verità. Come scrive ai Corinzi: "Io provo... per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo" (2Co 11,2). In questo testo Paolo presenta se stesso come l'amico dello Sposo, la cui ardente preoccupazione è di favorire la perfetta fedeltà della sposa all'unione coniugale.

Difatti prosegue: "Temo... che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo" (2Co 11,3). Questa è la gelosia dell'Apostolo!


5. Anche nella prima lettera ai Corinzi leggiamo la stessa verità della lettera agli Efesini e della seconda lettera ai Corinzi stessi, su citate. Scrive infatti l'Apostolo: "Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prendero dunque le membra di Cristo e ne faro membra di una prostituta: Non sia mai!" (1Co 6,15). Anche qui è facile avvertire quasi un'eco dei profeti dell'Antica Alleanza che accusavano il popolo di prostituzione, specialmente per le sue cadute nell'idolatria. A differenza dei profeti che parlavano di "prostituzione" in senso metaforico, per stigmatizzare qualsiasi grave colpa d'infedeltà alla legge di Dio, Paolo parla effettivamente di rapporti sessuali con prostitute e li dichiara assolutamente incompatibili con l'essere cristiani. Non è pensabile prendere membra di Cristo e farne membra di una prostituta. Paolo precisa poi un punto importante: mentre la relazione di un uomo con una prostituta si attua solo al livello della carne e provoca quindi un divorzio tra carne e spirito, l'unione con Cristo si attua al livello dello spirito e corrisponde quindi a tutte le esigenze dell'amore autentico: "O non sapete, scrive l'Apostolo, che chi si unisce alla prostituta forma con essa un solo corpo? I due saranno, è detto, una sola carne.

Invece chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito" (1Co 6,16-17).

Come si vede l'analogia usata dai profeti per condannare con tanta passione la profanazione, il tradimento dell'amore sponsale di Israele col suo Dio, serve qui all'Apostolo per mettere in risalto l'unione con Cristo, che è l'essenza della Nuova Alleanza, e per precisarne le esigenze per la condotta cristiana: "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito".


6. Occorreva l'"esperienza" della Pasqua di Cristo, occorreva l'"esperienza" della Pentecoste, per attribuire un tale significato all'analogia dell'amore sponsale, ereditata dai profeti. Paolo conosceva quella duplice esperienza della comunità primitiva, che aveva ricevuto dai discepoli non solo l'istruzione, ma la comunicazione viva di quel mistero. Egli aveva rivissuto e approfondito quella esperienza, e ora, a sua volta, se ne faceva apostolo con i fedeli di Corinto, di Efeso e di tutte le Chiese a cui scriveva. Era una traduzione sublime della sua esperienza della sponsalità di Cristo e della Chiesa: "O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?" (1Co 6,19).


7. Concludiamo anche noi con questa costatazione di fede, che ci fa desiderare la bella esperienza: la Chiesa è la Sposa di Cristo.

Come Sposa appartiene a Lui in virtù dello Spirito Santo che, attingendo "alle sorgenti della salvezza" (Is 12,3), santifica la Chiesa e le permette di rispondere con l'amore all'amore.





Mercoledì, 8 gennaio 1992

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Catechesi 79-2005 13111