Catechesi 79-2005 8192

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1. L'apostolo Paolo ci ha detto che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei». Questa verità fondamentale della ecclesiologia paolina, riguardante il mistero dell'amore sponsale del Redentore per la sua Chiesa, è ripresa e confermata nell'Apocalisse, dove Giovanni parla della sposa dell'Agnello: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello». L'Autore ha già premesso la descrizione dei preparativi: «"Sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta. Le hanno dato una veste di lino puro splendente". La veste di lino sono le opere giuste dei santi . . . Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello». L'immagine dello sposalizio e del banchetto nuziale ritorna dunque anche in questo libro di indole escatologica, dove la Chiesa sembra considerata nella sua forma celeste. Ma è la stessa Chiesa della quale parlò Gesù, presentandosi come suo Sposo; della quale parlò l'apostolo Paolo, ricordando l'oblazione del Cristo-Sposo per lei; e della quale parla ora Giovanni, come della fidanzata per cui s'immolò l'Agnello-Cristo. Terra e cielo, tempo ed eternità sono unificati in questa visione trascendente del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

2. L'Autore dell'Apocalisse descrive la Chiesa-Sposa anzitutto in una fase discendente, come dono dall'alto. La sposa dell'Agnello è identificata come «la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio», come «la nuova Gerusalemme . . . pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Se nella lettera agli Efesini Paolo presenta il Cristo come Redentore che elargisce i doni alla Chiesa-Sposa, nell'Apocalisse Giovanni descrive la stessa Chiesa-Sposa, la sposa dell'Agnello, come colei che riceve da lui, come da sua fonte, la santità e la partecipazione alla gloria di Dio. Nell'Apocalisse domina dunque l'aspetto discendente del mistero della Chiesa: il dono dall'alto, che si esprime non solo nella sua origine pasquale e pentecostale, ma anche in tutta la peregrinazione terrestre nel regime della fede. Anche Israele, il popolo dell'Antica Alleanza, peregrinava, e il suo principale peccato era quello di tradire tale fede, era, cioè, l'infedeltà al Dio che l'aveva scelto e amato come una sposa. Per la Chiesa, nuovo Popolo di Dio, l'impegno della fedeltà è ancora più forte e dura fino all'ultimo giorno. Come leggiamo nel Concilio Vaticano II, «essa pure [la Chiesa] è vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo, e ad imitazione della Madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, solida la speranza, sincera la carità». La fede è il presupposto fondamentale dell'amore sponsale nel quale la Chiesa prosegue il pellegrinaggio iniziato dalla Vergine Maria.

3. Anche l'apostolo Pietro, che nei pressi di Cesarea di Filippo aveva professato al Cristo una fede carica d'amore, scrisse nella prima lettera ai suoi discepoli: «Voi lo amate (Cristo), pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui». Secondo l'Apostolo, la fede in Cristo è non soltanto accettare la sua verità, ma riferirsi alla sua Persona, accolta e amata. In questo senso dalla fede deriva la fedeltà, e la fedeltà è la prova dell'amore. Si tratta infatti di un amore che viene suscitato da Cristo e, attraverso lui, raggiunge Dio per amarlo «con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutte le forze», come dice il primo e più grande comandamento della Legge Antica, confermato e corroborato da Gesù stesso.

4. In forza di questo amore, appreso da Cristo e dagli Apostoli, la Chiesa è la Sposa «che custodisce pura e integra la fede data allo Sposo». Guidata dallo Spirito Santo e mossa dalla potenza che da lui riceve, la Chiesa non può dividersi dal suo Sposo. Non può diventare non-fedele. Gesù Cristo stesso, dando alla Chiesa il suo Spirito, istituì l'indissolubile legame. Non possiamo non far notare, qui, col Concilio, che tale immagine della Chiesa indissolubilmente unita a Cristo suo Sposo trova una particolare espressione nelle persone a Lui legate dai santi voti, come sono i religiosi e le religiose e in generale le anime consacrate. Perciò è così essenziale il loro posto nella vita della Chiesa.

5. La Chiesa però è una società che comprende anche i peccatori. Ne è ben consapevole il Concilio, che scrive: «La Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento». Poiché la Chiesa cerca di vivere nella verità, vive senza dubbio nella verità della Redenzione operata da Cristo, ma vive anche nella confessione dell'umana peccaminosità dei suoi figli. Ma ecco: tra le tentazioni e le tribolazioni del suo cammino storico, la Chiesa «è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga mai meno alla perfetta fedeltà, ma permanga una degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto». In questo modo l'immagine apocalittica della Città Santa, che scende dal cielo, si attua costantemente nella Chiesa come immagine di un popolo in cammino.

6. Ma su questo cammino la Chiesa avanza verso la meta escatologica, verso la piena attuazione delle nozze col Cristo descritto dall'Apocalisse, verso la fase finale della sua storia.

Come leggiamo nella Costituzione conciliare «Lumen Gentium»: «mentre la Chiesa compie su questa terra il suo pellegrinaggio (peregrinatur)lontana dal Signore, è come un esule, e cerca e pensa le cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a che col suo Sposo comparirà rivestita di gloria ».

Il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra è dunque un cammino colmo di speranza, che trova una espressione sintetica in quelle parole dell'Apocalisse: «Lo Spirito e la Sposa dicono: "Vieni!"». Questo testo sembra essere una conferma del carattere sponsale della Chiesa per rapporto a Cristo, nell'ultima pagina del Nuovo Testamento.

7. In questa luce, intendiamo meglio ciò che scrive il Concilio: «La Chiesa "prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio" annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga. Dalla virtù del Signore risuscitato trova la forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà, e per svelare al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di Lui, fino a che alla fine dei tempi sarà manifestato nella pienezza della sua luce».

In questo senso, «lo Spirito e la Sposa dicono: "Vieni!"».

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di espressione linguistica inglese

Ad un gruppo di studenti svedesi

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione linguistica spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini provenienti dalla Boemia

Ai connazionali polacchi

Ai fedeli italiani

Mi rivolgo ora con affetto a tutti i pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i dirigenti, i dipendenti e il personale della Ditta «Angelo e Giuseppe Sirignano» di Roccarainola (Napoli), venuti per testimoniare in maniera concreta la loro solidarietà agli ospiti della Casa «Dono di Maria».

Un pensiero cordiale lo dirigo, pure, agli studenti della Scuola Italiana «Vittorio Montiglio» di Santiago del Cile, che stanno compiendo in Italia un viaggio di studio, e al Direttore ed ai ragazzi della Scuola di Musica dell'Accademia Musicale di Sora (Frosinone), i quali hanno preso parte ad una interessante rassegna di Corali svoltasi pochi giorni fa nella loro Diocesi.

Siamo ancora nel tempo liturgico del Natale. Vi invito, pertanto, carissimi Fratelli e Sorelle, ad accogliere il messaggio che la Chiesa in questi giorni ci ripete: Cristo si è manifestato come il Redentore dell'uomo, di ogni uomo, e la sua parola di salvezza è rivolta a tutti i popoli e nazioni. Apriamo con fiducia il cuore al suo Vangelo e seguiamolo nell'itinerario della perfezione evangelica . . .

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Ed infine il mio saluto va, come di consueto, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Carissimi, questa Udienza è la prima del nuovo Anno 1992: desidero attirare la vostra attenzione sulla importanza di avere una visione cristiana del tempo.

Voi, giovani, siate sempre generosi, perché nella vostra vita c'è come un tesoro nascosto: la vocazione a spendervi e a donare per amore. Usate bene il vostro tempo e la vostra intelligenza per scoprire questo tesoro!

Voi, persone ammalate, chiedete ogni giorno allo Spirito Santo che trasformi la vostra condizione in tempo di misericordia e di salvezza.

E voi, cari sposi novelli, non perdete mai il senso della vostra dignità: il Signore, attraverso la vita coniugale dei battezzati, vuol far conoscere il grande mistero del suo amore, che supera il tempo e la morte, e ci introduce nella comunione senza fine.

A tutti imparto la Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 15 gennaio 1992

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1. Cominciamo anche questa catechesi con un bel testo della lettera agli Efesini, che suona: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo . . . In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo . . . nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà . . . di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra». San Paolo con volo d'aquila, accompagnato da un profondo senso del mistero della Chiesa, si eleva alla contemplazione dell'eterno disegno di Dio di riunire tutto in Cristo come Capo. Gli uomini, eletti eternamente dal Padre nel Figlio diletto, trovano in Cristo la Via per raggiungere il loro fine di figli adottivi. A Lui si uniscono diventando suo Corpo. Per Lui risalgono al Padre come un solo «insieme» con le cose della terra e del cielo.

Questo disegno divino trova la sua attuazione storica quando Gesù istituisce la Chiesa, che prima annunzia e poi fonda con il sacrificio del suo sangue e il mandato conferito agli Apostoli di pascere il suo gregge. È un fatto storico e nello stesso tempo un mistero di comunione in Cristo, dinanzi al quale l'Apostolo non si contenta di contemplare, ma si sente spinto a tradurre la verità contemplata in un cantico di benedizione: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo . . .».

2. Per la realizzazione di questa comunione degli uomini in Cristo eternamente voluta da Dio, ha un'importanza essenziale il comandamento che Gesù stesso definisce «il mio comandamento».3 Egli lo chiama «un comandamento nuovo»: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati».

Il comandamento di amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come se stessi, ha le sue radici nell'Antico Testamento. Ma Gesù lo sintetizza, lo formula in parole scultoree, vi dà un significato nuovo, come segno dell'appartenenza a Lui da parte dei suoi seguaci. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri». Cristo stesso è il vivo modello e costituisce la misura di quell'amore di cui parla nel suo comandamento: «Come io vi ho amato», egli dice. E anzi si presenta come la fonte di quell'amore, come «la vite», la quale fruttifica con questo amore nei suoi discepoli, che ne sono «i tralci»: «Io sono la vite voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Di qui l'esortazione: «Rimanete nel mio amore». La comunità dei discepoli, radicata in quell'amore con cui Cristo stesso li ha amati, è la Chiesa, Corpo di Cristo, unica vite di cui siamo i tralci. È la Chiesa-comunione, la Chiesa-comunità d'amore, la Chiesa-mistero d'amore.

3. I membri di questa comunità amano Cristo e, in Lui, si amano reciprocamente. Ma si tratta di un amore che, derivando da quello con cui Gesù stesso li ha amati, si ricollega alla fonte dell'amore di Cristo Uomo-Dio, ossia la comunione trinitaria. Da essa attinge la sua intera natura, la sua qualifica soprannaturale, e ad essa tende come al proprio compimento definitivo. Questo mistero di comunione trinitaria, cristica ed ecclesiale, traspare dal testo giovanneo che riproduce la preghiera sacerdotale del Redentore nell'ultima Cena. Quella sera Gesù disse al Padre: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me: perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me».

4. In quella sua preghiera finale Gesù tracciava il quadro completo dei rapporti interumani ed ecclesiali che avevano la loro origine in lui e nella Trinità, e proponeva ai discepoli, e a noi tutti, il supremo modello di quella «communio» che è chiamata a essere la Chiesa a motivo della sua origine divina: Lui stesso, nella sua intima comunione col Padre nella vita trinitaria. Gesù mostrava nel suo stesso amore per noi la misura del comandamento che lasciava ai discepoli, come un'altra volta aveva detto: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Lo aveva detto nel discorso della Montagna, raccomandando di amare i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti». Molte altre volte, e specialmente durante la sua Passione, Gesù confermò che questo amore perfetto del Padre era anche il suo amore: l'amore con il quale egli stesso aveva amato i suoi sino alla fine.

5. Questo amore che Gesù insegna ai suoi seguaci, come riproduzione del suo stesso amore, nella preghiera sacerdotale è nettamente riferito al modello della Trinità. «Siano anch'essi in noi una cosa sola», dice Gesù: «perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». Egli sottolinea che questo è l'amore con il quale «tu, (o Padre), mi hai amato prima della creazione del mondo».

E proprio questo amore, sul quale si fonda ed edifica la Chiesa come «communio» dei credenti in Cristo, è la condizione della sua missione salvifica: siano una cosa sola come noi siamo Uno - Egli prega - perché «il mondo sappia che tu mi hai mandato». È l'essenza dell'apostolato della Chiesa: diffondere e rendere accettabile, credibile, la verità dell'amore di Cristo e di Dio, da lei testimoniato, reso visibile, praticato. L'espressione sacramentale di questo amore è l'Eucaristia. Nell'Eucaristia la Chiesa in un certo senso continuamente rinasce e si rinnova come quella «communio» che Cristo portò nel mondo, compiendo l'eterno disegno del Padre. Specialmente nell'Eucaristia e per l'Eucaristia la Chiesa racchiude in sé il germe della definitiva unione in Cristo di tutto ciò che è nei cieli e di tutto ciò che è sulla terra, come ci ha detto Paolo: una comunione veramente universale ed eterna.




Mercoledì, 22 gennaio 1992

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«Andate dunque . . . Io sono con voi».

1. Queste parole del Signore risorto, che concludono il Vangelo di Matteo, sono state proposte come fonte di ispirazione e di riflessione per la settimana universale di preghiera per l'unità dei cristiani, che si sta svolgendo nel mondo intero. A una così vasta assemblea di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, che nel mondo intero, e molto spesso insieme, si sono messi in ascolto di queste estreme parole del Signore, ci uniamo anche noi qui. Con gli occhi della fede contempliamo la scena del Risorto, che manifesta ai suoi discepoli il proposito di estendere l'annuncio del Vangelo fino alle estremità della terra, assicurandoli in pari tempo della sua continua presenza.

Egli è misteriosamente, ma veramente presente, anche oggi, qui tra noi e ci ripete quel mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo».

2. Nelle parole di Gesù risorto agli Undici emergono tre elementi: la dichiarazione della sua sovranità universale, l'istruzione ai discepoli, la promessa di una presenza permanente. Una tale connessa articolazione mostra che l'attività missionaria dipende intimamente dall'iniziativa e dalla continua assistenza del Signore. Proprio perché Gesù resta presente senza limiti di tempo e di spazio, può perpetuare la sua missione per mezzo dei suoi apostoli e mandarli a «far discepole» tutte le genti di ogni tempo e di ogni luogo.

Al posto del termine «proclamare», più usato per l'evangelizzazione e che si trova in testi analoghi, Matteo usa un'espressione propria: «fare discepole tutte le nazioni», indicando così un processo più complesso e completo: gli Undici devono non solo annunciare l'Evangelo, ma aiutare gli uditori ad accoglierlo e a maturare la decisione di seguire Gesù diventandone discepoli. A quel punto si potrà «battezzarli», per poi «insegnar loro ad osservare tutto ciò che Gesù ha comandato». Sono indicati i due aspetti essenziali del divenire cristiani: uno liturgico-sacramentale (il rito dell'iniziazione cristiana) e uno esistenziale-etico (l'osservanza dei precetti del Signore).

Il mandato missionario a «fare discepoli» si estende a «tutte le nazioni», a tutte le genti, a tutti i popoli, a ciascun uomo. Non ci sono qui limitazioni di razza, di stirpe, di cultura, di lingua o di organizzazione sociale.

Considerando il termine della missione, San Paolo scrive ai Galati: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».

«Fare discepole» tutte le genti equivale, dunque, a radunarle in una unità misteriosa, reale, profonda. Gesù ha così pregato per i suoi discepoli: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola».

Sacramento di tale avvenimento è il battesimo nel nome della Trinità, che è diventata prassi normale della Chiesa fin dai primi tempi, come ci riferisce l'antico testo della Didaché. «Riguardo al battesimo, battezzate così: avendo in precedenza esposto tutti questi precetti, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in acqua viva».

3. Il Comitato misto internazionale composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese ha proposto di leggere il mandato missionario dato da Gesù ai suoi discepoli nel contesto dell'attuale Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il mandato del Signore è, infatti, permanente e presuppone la unità di coloro che sono inviati a proclamare l'Evangelo dell'unico Signore. Ma la situazione presente, spiritualmente drammatica, dei discepoli del Signore è quella di essere ancora divisi ed incapaci di proporre un annuncio pienamente concorde. Il Concilio Vaticano II aveva avvertito con lucidità la contraddizione e ne aveva tratto le conseguenze osservando che la divisione «danneggia la santissima causa della predicazione a ogni creatura».

La recente assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa ha studiato il compito dei cristiani per l'Evangelizzazione nelle nuove condizioni dell'Europa. I Padri, considerando le urgenze, le possibilità e i limiti, hanno rilevato la necessità della «intima cooperazione con le altre Chiese e comunità ecclesiali». Nella Declaratio conclusiva essi hanno affermato: «Ci siamo resi conto di quanto la nuova evangelizzazione sia compito comune di tutti i cristiani e di quanto dipenda da ciò la credibilità delle Chiese».

4. Nonostante le difficoltà, è teologicamente possibile, anche in questo campo, fondare una autentica e sincera cooperazione ecumenica. Lo aveva già indicato il Decreto conciliare sull'attività missionaria, proponendone anche motivazioni e modalità.

«In rapporto alla obiettiva situazione religiosa, va promossa un'azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo e di confusionismo, o di sconsiderata concorrenza, attraverso una comune, per quanto possibile, professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati secondo le norme del Decreto sull'ecumenismo».

Il Concilio attira l'attenzione su alcuni rischi. Occorre evitare, particolarmente in questo campo, ogni forma di indifferentismo spirituale o di confusionismo dottrinale, come pure ogni sconsiderata concorrenza che genera tensioni fra i testimoni e conflitti fra le comunità. Si deve invece agire attraverso una comune, per quanto possibile, professione di fede. In tale prospettiva è indicata la possibilità di cooperare per l'evangelizzazione non soltanto nel campo tecnico e sociale, per sé più facilmente realizzabile, ma anche nel campo più complesso della cultura e nello stesso campo religioso. Il decreto fa appello a una collaborazione fraterna. E aggiunge la motivazione di fondo: «Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, loro comune Signore: il suo nome li unisca!».

Il Concilio vede questa possibilità di cooperazione non soltanto tra singole persone, ma tra le stesse Chiese: «Questa collaborazione deve stabilirsi non solo tra persone private, ma anche, a giudizio dell'Ordinario del luogo, tra le Chiese e Comunità ecclesiali e tra le loro opere».

5. Data la sua ampiezza, delicatezza e complessità, la cooperazione nel campo dell'evangelizzazione mette alla prova tutte le acquisizioni del movimento ecumenico, sia nel dialogo della carità che nel dialogo teologico vero e proprio. Essa, peraltro, può non soltanto favorire l'evangelizzazione, ma anche la stessa ricerca della piena unità. Infatti la missione esige l'unità e, quando essa non è piena, spinge alla ricerca dell'unità nella preghiera, nel dialogo, nella cooperazione.

In questa prospettiva i Padri dell'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa hanno invitato le altre Chiese al dialogo «memori della nostra comune responsabilità per la testimonianza del Vangelo di fronte al mondo e soprattutto di fronte al Signore della Chiesa».

6. La Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani offre sempre una duplice opportunità: quella di ringraziare il Signore per quanto ci ha concesso di raggiungere nella ricerca della riconciliazione fra i cristiani e quella di implorare il dono della piena unità. Anche quest'anno abbiamo buoni motivi per ringraziare il Signore. Il panorama ecumenico ci mostra che il cammino verso l'unità continua, nei vari dialoghi, con ritmi diversi e resta positivamente aperto, con fondate speranze. Abbiamo incontrato anche difficoltà e incomprensioni. In particolare, non ci è stata data la gioia di avere con noi i delegati di alcune Chiese, che pure erano state invitate all'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. È mancata così l'opportunità di discutere direttamente con essi. Mi auguro di cuore che queste incomprensioni siano presto superate e che, attraverso contatti e delegazioni, si possa pervenire ad un completo chiarimento in un clima di accresciuta fiducia reciproca e di autentica fraternità.

Per i risultati raggiunti, per il proseguimento del dialogo, per la soluzione dei problemi aperti invochiamo adesso l'aiuto del Signore, recitando insieme, per noi qui presenti e per tutti i cristiani, uniti dal comune battesimo, il Padre nostro.




Mercoledì, 5 febbraio 1992

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1. I primi lineamenti della comunità quale la Chiesa doveva diventare, li troviamo già prima della Pentecoste. La «communio ecclesialis» si è formata secondo le raccomandazioni ricevute direttamente da Gesù, prima dell'Ascensione al cielo, in attesa della venuta del Paraclito. Quella comunità già possedeva le componenti fondamentali, che dopo la venuta dello Spirito Santo si consolidarono ancor più e si resero distinte. Ecco ciò che leggiamo negli Atti degli Apostoli: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere». E altrove: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola». Queste ultime parole esprimono in modo forse più incisivo, perché più concreto, il contenuto della Koinonia, o comunione ecclesiale. L'insegnamento degli Apostoli, la comune preghiera - anche al tempio di Gerusalemme - contribuivano a quell'unità interiore dei discepoli di Cristo: «un cuor solo e un'anima sola».

2. Ai fini di quell'unità un momento particolarmente importante era la preghiera, anima della comunione, specialmente nei momenti difficili. Così leggiamo che Pietro e Giovanni, dopo essere stati rimessi in libertà dal Sinedrio, «andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sacerdoti e gli anziani. All'udire ciò, tutti insieme levarono la voce a Dio dicendo: "Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi . . ."». «Quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza». Il Consolatore, come si vede, rispondeva anche in modo immediato alla preghiera della comunità apostolica. Era quasi un costante completamento della Pentecoste.

E ancora: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore». Se il luogo della preghiera per allora era anche il tempio di Gerusalemme, celebravano l'Eucaristia «a casa», unendola con un gioioso pasto comune.

Il senso della comunione era così intenso da spingere a mettere i beni materiali di ciascuno a servizio dei bisogni di tutti: «Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune». Ciò non significa che venisse eretto a principio il rifiuto della proprietà personale (privata); indica soltanto una grande sensibilità fraterna di fronte ai bisogni altrui, come provano le parole di Pietro nell'incidente con Anania e Saffira.

Ciò che risulta chiaramente dagli Atti, e da altre fonti neotestamentarie, è che la Chiesa primitiva era una comunità che portava i suoi membri a condividere gli uni con gli altri i beni disponibili, specialmente in favore dei più poveri.

3. Ciò vale ancor più per il tesoro di verità ricevuto e posseduto. Si tratta di beni spirituali che devono essere condivisi, cioè comunicati, diffusi, predicati, come insegnano gli Apostoli con la testimonianza della loro parola e del loro esempio: «Noi non possiamo tacere - essi dicono - quello che abbiamo visto e ascoltato». Perciò parlano, e il Signore conferma la loro testimonianza. Infatti, «molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli».

L'Apostolo Giovanni esprimerà questo intento e questo impegno degli Apostoli con la dichiarazione fatta nella sua prima lettera: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo». Questo testo ci fa capire la coscienza degli Apostoli e della comunità primitiva da essi formata, sulla comunione trinitaria da cui la Chiesa attinge l'impulso per l'evangelizzazione, che a sua volta serve all'ulteriore sviluppo della comunità («communio ecclesialis»).

Al centro di questa comunione, e della comunione in cui si apre, si trova Cristo. Scrive infatti Giovanni: «(Vi annunziamo) ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita: poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta, e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi». San Paolo, a sua volta, scrive ai Corinzi: «Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro».

4. San Giovanni mette in risalto la comunione con Cristo nella verità. San Paolo sottolinea la «partecipazione alle sue sofferenze», concepita e proposta come comunione con la Pasqua di Cristo, partecipazione al mistero pasquale, ossia al «passaggio» redentivo dal sacrificio della Croce alla manifestazione della «potenza della sua Risurrezione».

La comunione della Pasqua di Cristo diventa nella Chiesa primitiva - e in quella di sempre - fonte di comunione reciproca: «Se un membro (della comunità) soffre, tutte le membra soffrono insieme». Di qui nasce la tendenza alla reciproca elargizione anche dei beni temporali, che Paolo raccomanda di dare ai poveri, quasi per attuare una certa compensazione, nella equiparazione d'amore tra il dare degli abbienti e il ricevere dei bisognosi: «La vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza». Come si vede, coloro che danno, secondo l'Apostolo, nello stesso tempo ricevono. E tale processo non serve solo al livellamento della società, ma anche alla edificazione della comunità del Corpo- Chiesa, che «ben compaginato e connesso . . . riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità». Anche mediante tale scambio la Chiesa si realizza come «communio».

5. La fonte di tutto rimane sempre Cristo, nel suo mistero pasquale. Quel «passaggio», dalla sofferenza alla gioia, è stato dallo stesso Gesù paragonato, secondo il testo di Giovanni, alle doglie del parto: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo». Questo testo può essere riferito anche al dolore della Madre di Gesù sul Calvario, come a Colei che «precede» e riassume in sé la Chiesa nel «passaggio» dal dolore della Passione alla gioia della Risurrezione. Gesù stesso applica quella sua metafora ai discepoli e alla Chiesa: «Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia».

6. A realizzare la «comunione», ad alimentare la comunità congregata in Cristo, interviene sempre lo Spirito Santo, sicché nella Chiesa vi è la «comunanza nello Spirito» (Koinonìa pneumatos), come dice San Paolo. Proprio mediante questa «comunanza nello Spirito», anche l'elargizione dei beni temporali rientra nella sfera del mistero e serve l'istituzione ecclesiale, incrementa la comunione, e questa si risolve in un «crescere verso di lui, che è il capo: verso Cristo».

Da Lui, per Lui e in Lui, Cristo, in virtù dello Spirito vivificante, la Chiesa si attua come un Corpo «ben compaginato e connesso mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro». Dall'esperienza di «comunione» dei primi cristiani, percepita in tutta la sua profondità, derivò l'insegnamento di Paolo sulla Chiesa come «Corpo di Cristo-Capo».

Ai fedeli di espressione francese

Chers Frères et Soeurs,

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione linguistica tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di espressione linguistica portoghese

Ai fedeli provenienti dalla Boemia e dalla Moravia

Ai componenti del coro giapponese «Sakura»

Saluto cordialmente i membri del Coro «Sakura».

Il vostro Coro ha nome «Sakura», cioè «ciliegio», simbolo del Giappone. Con i vostri canti voi, carissimi, promuovete la fratellanza tra i popoli, così come l'albero del ciliegio è segno della primavera e della gioia. Auspicando il successo alla vostra attività, vi benedico di cuore ed aggiungo: «Arigato!», grazie!

Ai pellegrini polacchi

Ai fedeli italiani

Desidero rivolgere un saluto particolarmente cordiale ai Signori Cardinali, agli Arcivescovi e Vescovi, amici del Movimento dei Focolari, i quali partecipano al loro Convegno annuale presso il Centro Mariapoli di Castel Gandolfo sul tema-guida: «La nuova Evangelizzazione».

Mi compiaccio con voi per tale riunione, con la quale intendete dare un seguito ai lavori della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi per l'Europa. Fate tesoro anche dell'esperienza spirituale del Movimento dei Focolari, che si incentra sul «comandamento nuovo» dell'amore verso il prossimo e sul testamento di Gesù: «che tutti siano uno affinché il mondo creda» 24 per accrescere sempre più il vostro slancio apostolico e per incrementare l'animazione evangelica nelle vostre rispettive Comunità diocesane e nel mondo intero. Auguro pure che gli incontri di questi giorni vi servano per mettere in comune le vostre esperienze pastorali nello spirito di comunione, di unità e di fraternità episcopale.
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Saluto anche gli Studenti di Liceo e di Teologia del Seminario di Vigevano, i quali, insieme ai loro Superiori, prendono parte a questa Udienza. Vi ringrazio per questa vostra visita e vi auguro che possiate trarre stimolo da questo pellegrinaggio al centro del Cristianesimo per rafforzare la vostra fede e la vostra adesione a Cristo, redentore dell'uomo. Nella vostra preparazione al sacerdozio, lasciatevi plasmare da Lui, imitando l'umiltà e la mitezza del suo Cuore.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Nel salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli desidero riferirmi alla festività liturgica appena trascorsa della Presentazione di Gesù al Tempio. In quel giorno abbiamo proclamato Gesù «Luce del mondo».

Sia Cristo la vostra luce, cari giovani, e sappiate trovare in lui la chiarezza e la certezza della vostra fede. Sia luce, forza e sostegno per voi che soffrite. Sia per voi, cari sposi novelli, la luce vera, che guidi i vostri passi e le vostre scelte nel cammino che vi attende.

A tutti la mia Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 8192