Catechesi 79-2005 7493

Mercoledì, 7 aprile 1993

7493

Carissimi fratelli e sorelle,

1. Al termine della Quaresima, la Settimana Santa ci introduce immediatamente nella solennità della Pasqua ed è chiamata “Santa” appunto perché in essa vengono commemorati gli eventi fondamentali della religione cristiana: l’istituzione dell’Eucaristia, la passione e morte in Croce di Gesù, la gloriosa risurrezione del Redentore. Durante il Triduo Sacro siamo invitati, pertanto, a riflettere e a vivere con più sentito fervore il “mistero centrale della salvezza”, partecipando alle solenni cerimonie liturgiche che ci fanno rivivere gli ultimi giorni della vita di Gesù. Essi rivestono per ogni uomo un valore perenne ed essenziale.

2. Il Giovedì Santo ci riporta all’istituzione dell’Eucaristia, dono supremo dell’amore di Dio nel suo progetto di redenzione. Quella sera, durante la Cena, Gesù, anticipando misticamente il sacrificio del Calvario, si donò in sacrificio, sotto le specie del Pane e del Vino, come egli stesso aveva preannunciato (cf
Jn 6) ed affidò agli Apostoli e ai loro Successori la missione e il potere di perpetuarne la memoria ripetendo lo stesso rito: “Fate questo in memoria di me!”. Scrivendo ai Corinzi verso l’anno 53-56, l’apostolo Paolo confermava i primi cristiani nella verità del “mistero eucaristico”, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi: fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me»” (1Co 11,23-26). Parole di fondamentale importanza! Esse richiamano quanto Gesù effettivamente fece nell’Ultima Cena; ci partecipano la sua intenzione “sacrificale” mediante la “consacrazione” del pane e del vino, in sostituzione dell’agnello sacrificale degli Ebrei, la sua espressa intenzione di rendere gli Apostoli e i loro successori ministri dell’Eucaristia. L’Eucaristia come presenza reale di Cristo e come Sacramento di intima comunione di amore e di salvezza; il Sacerdozio, come ministero eucaristico riservato agli Apostoli e ai loro Successori: ecco il contenuto essenziale del Giovedì Santo. Si tratta di un “dogma di fede”, da accogliere quindi con profonda e perenne riconoscenza. Si tratta di un dono di Cristo, da apprezzare sempre più in un clima di sincera ed intensa devozione. San Paolo metteva in guardia i fedeli di Corinto: “Chiunque in modo indegno mangia il Pane e beve il Calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue di Cristo. Ciascuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo Calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Co 11,27-29). Il Giovedì, primo giorno del Triduo Santo, rappresenta anche un’ottima occasione per pregare per i sacerdoti, affinché siano sempre all’altezza della loro dignità, essendo la loro esistenza totalmente consacrata all’Eucaristia.

3. Il Venerdì Santo ci farà rivivere il “mistero doloroso” della passione e morte in Croce di Gesù.Di fronte al Crocifisso assumono drammatica consistenza le parole da Lui pronunciate nel corso dell’Ultima Cena: “Questo è il sangue mio dell’alleanza, che è sparso per molti, in remissione dei peccati” (cf Mc 14,24 Mt 26,28 Lc 22,20). Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante, la crocifissione. Così medita San Pietro nella sua prima Lettera: Gesù “portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1P 2,24-25). E San Paolo a più riprese ribadisce che “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture” (1Co 15,3); “Cristo ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio” (Ep 5,2); “Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5-6). Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa immenso ed insondabile per la ragione umana. In quanto vero uomo il Messia ha davvero sofferto in maniera indicibile dall’agonia spirituale nel Getsemani fino alla lunga e atroce agonia sulla Croce. Il cammino verso il Calvario è stata una indescrivibile sofferenza, sfociata nel terribile supplizio della crocifissione. Quale mistero è la passione di Cristo: Iddio, fattosi uomo, soffre per salvare l’uomo, caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità. Il Venerdì Santo, pertanto, ci fa pensare al continuo succedersi delle prove della storia, alle vicende umane segnate dalla perenne lotta tra il bene e il male. La Croce è davvero la bilancia della storia: la si comprende e la si accetta solo meditando e amando il Crocifisso. Scriveva San Giovanni: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10); e anche San Paolo affermava: “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). Nel suo progetto di salvezza e di santificazione, Dio non segue le nostre strade: egli passa attraverso la croce per giungere alla glorificazione, stimolandoci così alla pazienza e alla confidenza. Impariamo, carissimi Fratelli e Sorelle, dal Venerdì Santo ad accompagnare Gesù nella sua via di dolore, con umiltà, fiducia e abbandono alla volontà di Dio, trovando sostegno e conforto, in mezzo alle tribolazioni della vita, nella Croce di Cristo.

4. Il Triduo Sacro si conclude nel radioso “mistero glorioso” della risurrezione di Cristo. Egli aveva predetto: “Il terzo giorno risorgerò!”. È la vittoria definitiva della vita sulla morte. Gesù apparirà, dopo la sua risurrezione, alla Maddalena, alle pie donne, agli Apostoli e poi ai discepoli e mostrerà loro nel suo corpo, i segni della Crocifissione. Permetterà loro di toccare la sua Persona, mangerà con gli Apostoli, facendo ad essi sperimentare la novità prodigiosa del suo corpo glorificato. La Risurrezione è per i credenti la garanzia finale e determinante della divinità di Cristo, per cui essi sono chiamati a credere con assoluta certezza e sicurezza alla sua Parola. Nel silenzio arcano del Sabato Santo, mentre ci si prepara alla Santa Veglia, in cui si commemorerà l’irrompere nelle tenebre della luce della salvezza, lo spirito contempla i prodigi di Dio, “magnalia Dei” culminanti nella Solennità della Pasqua, centro e fulcro della vita del popolo cristiano.

Carissimi Fratelli e Sorelle, Maria Santissima, che stava ritta sotto la Croce mentre Gesù agonizzava e moriva, addolorata ma anche serena e sicura, ci accompagni nella meditazione durante i giorni del Triduo Santo e ci conduca a sperimentare la gioia rinnovatrice della Pasqua.

Con la mia benedizione e i miei auguri cordiali a tutti!

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Rivolgo ora un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. È ormai davanti a noi, carissimi, il Triduo pasquale, culmine dell’anno liturgico e della vita della Chiesa. Vi invito a disporre i vostri cuori per seguire con fede le celebrazioni dei prossimi giorni. Sperimenterete così la bontà di Dio, che non ha risparmiato il proprio Figlio per riscattarci dal peccato e renderci “immacolati” e “splendenti come astri nel mondo” (Ph 2,5). Sia questo per voi, carissimi, il mio fervido augurio di buona Pasqua.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto, infine, i numerosi ragazzi e giovani, qui presenti, gli ammalati e le coppie di sposi novelli. Invito voi, giovani, ad essere testimoni credibili e gioiosi del Cristo risorto con l’esempio luminoso della vostra vita; voi, ammalati a farvi esempio ed icona della misericordiosa bontà di Dio; e voi, sposi novelli, ad essere realizzatori tenaci e convinti, mediante la grazia sacramentale, di un autentico impegno quotidiano di fedeltà e di amore creativo. A tutti la mia benedizione!



Mercoledì, 14 aprile 1993

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Carissimi fratelli e sorelle!

1. “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto” (
Mc 16,6). Con queste parole, l’evangelista Marco narra l’incontro dell’angelo con le donne, recatesi di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, nel luogo dove era stato deposto Gesù. “Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura” (Mc 16,5-6). “Non temete!” dice loro l’angelo. “Non temete!”. Quest’angelica assicurazione percorre i secoli, giunge fino a noi: “Non abbiate paura! Non cercate Gesù Nazareno nel sepolcro: è risorto, non è più qui. È risorto, come aveva predetto”. “È risorto!”: ecco l’annuncio sorprendente della Pasqua. È risorto come aveva predetto, dando pieno compimento alle Sacre Scritture. La Pasqua è il centro dell’anno liturgico e il fulcro della vita del cristiano proprio perché è memoria viva del mistero centrale della salvezza: la morte e risurrezione del Signore.

2. Si tratta certamente di una sorprendente realtà soprannaturale, ma al tempo stesso siamo confrontati ad un dato storico, concretamente verificabile. Scriveva San Pietro ai primi cristiani: “Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2P 1,16). Al Principe degli Apostoli fa eco San Giovanni che afferma: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (cf 1Jn 1-4). E Luca, all’inizio del suo vangelo, assicura di aver fatto “ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi” e di aver scritto “un resoconto ordinato” circa la vita e gli insegnamenti di Gesù (cf Lc 1,1-4). Nei vangeli, testi storici ed autentici, vengono riferiti dati e dettagli pratici attinenti alla risurrezione di Gesù: il sepolcro vuoto, l’incredulità degli Apostoli, dapprima scettici dinanzi all’annunzio delle donne, giudicandolo un “vaneggiamento” (Lc 24,21), le varie apparizione del Cristo risorto e soprattutto i suoi incontri con i discepoli. “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?” – ripete il Redentore agli Apostoli, sorpresi ed attoniti di fronte agli eventi sorprendenti dei quali sono testimoni diretti – “Guardate le mie mani e i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho” (Lc 24,38-39).

3. Cristo è veramente risorto, come egli stesso aveva predetto! La sua risurrezione riveste un indubbio valore apologetico. Un noto studioso del nostro secolo, Romano Guardini, meditando sul mistero pasquale e sulle sue implicanze per la vita del credente e della Chiesa, osserva che “la fede cristiana tiene o si perde a seconda che si crede o no alla risurrezione del Signore. La risurrezione non è un fenomeno marginale di questa fede, nemmeno uno sviluppo mitologico, che la fede abbia attinto dalla storia e che più tardi si sia potuto sciogliere senza danno per il suo contenuto: essa è il suo cuore” (Il Signore, Parte Sesta, I). L’annuncio della morte e risurrezione di Cristo è il cuore della fede.Dall’adesione docile e gioiosa a tale mistero scaturisce l’autentica sequela del Signore e la missione salvifica affidata al popolo di Dio, pellegrino sulla terra nell’attesa del ritorno glorioso di Gesù. Alla luce di così fondamentale verità evangelica si comprende appieno che davvero Gesù Cristo, e solo Gesù Cristo, è “Via, Verità e Vita”, egli che è “luce del mondo”, “immagine umana” del Padre. Si percepisce anche la profondità delle sue parole: “Chi ha visto me, ha visto il Padre... Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Jn 14,9-11). E ancora, “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Jn 10,10); “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Jn 5,24). In effetti, il vangelo in ogni sua pagina rivela, a partire dall’evento pasquale, il piano salvifico di Dio destinato ad ogni essere umano. E quest’annuncio, che la Chiesa non cessa di rinnovare obbedendo al comando del divin Fondatore, diviene fonte di consolazione e di spirituale conforto per l’umanità affaticata ed oppressa dal dubbio, dal dolore, e dal peccato. Esso dà senso e valore vero alle vicende umane e alla storia dei popoli.

4. Carissimi fratelli e sorelle, siamo chiamati a ripetere e testimoniare, con umile e fidente consapevolezza: Cristo è risorto; la sua salvezza è dono gratuito per tutti. Il suo messaggio di speranza e di rinnovamento è destinato agli uomini di ogni popolo e di ogni nazione. La sua parola deve risuonare dappertutto come faro di luce, che irradia la verità e l’amore soprannaturale, chiamando e stimolando l’intera umanità alla conversione e all’accoglienza del vangelo della speranza e della carità. Come le donne del Vangelo, ogni persona di buona volontà, è invitata, nel corso dei secoli, a cercare Cristo crocifisso e risorto, ad incontrarlo nella Chiesa, suo corpo mistico. Nell’arcano “progetto” della divina redenzione, la storia ruota sempre, in modo misterioso e provvidenziale, intorno alla croce di Cristo e al fulgore sorprendente della sua risurrezione. Quanto importante è, allora, l’impegno dei credenti in ordine a questa missione di evangelizzazione e di autentica testimonianza cristiana.

5. La liturgia del tempo pasquale, a più riprese, ci ricorda che il mistero della morte e risurrezione di Cristo deve diventare per i discepoli di Gesù un quotidiano programma di vita nuova. San Paolo, paragonando la risurrezione di Gesù dalla morte con la rinascita del cristiano dal peccato mediante il Battesimo, scrive: “Se dunque siete risorti in Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non alle cose della terra” (Col 3,1-2). Pur essendo indubbiamente doveroso occuparsi delle varie mansioni terrene, l’Apostolo esorta, tuttavia, a non lasciarsi assorbire da esse al punto tale da smarrire la soprannaturale prospettiva dell’eternità.

6. Ci accompagnino queste riflessioni durante la settimana di Pasqua, pervasa interamente di gaudio e letizia spirituale. Siano motivo di costante ringraziamento al Signore per averci liberato dal potere delle tenebre, aprendoci le porte della luce e della grazia divina. Siano, soprattutto, ragione di rinnovato sforzo apostolico e missionario, sempre attento alle necessità, al dolore e all’angoscia di tante persone sofferenti, oppresse dai drammatici avvenimenti dell’ora presente. Maria Santissima, la Madre del Cristo Risorto, ci aiuti, sostenga la nostra fiducia, e ci rafforzi nell’impegno di fedeltà al Signore e di fraterno servizio ai fratelli.

È con tali sentimenti che rinnovo a ciascuno di voi, qui presenti, e alle persone a voi care, i miei voti augurali, accompagnati da una particolare benedizione apostolica.

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai fedeli di espressione polacca

Ai fedeli italiani

Saluto ora i numerosi pellegrini di lingua italiana e ad essi formulo fervidi voti augurali per la Santa Pasqua. Saluto, in particolare, il gruppo di Seminaristi e di Sacerdoti della Comunità dell’“Emmanuele” ed i giovani Scolastici della Compagnia di Gesù, provenienti da diversi Continenti ed ordinati diaconi proprio ieri. Assicuro a ciascuno di voi, carissimi neo-diaconi, il mio ricordo nella preghiera, perché possiate rispondere sempre fedelmente alla chiamata del Signore, aiutati anche dal sostegno costante dei vostri familiari, ai quali rivolgo un grato pensiero accompagnato da cordiali auguri pasquali.

Voglio salutare anche il Vescovo di Sabina-Poggio Mirteto, diocesi che ho visitato recentemente, il 19 marzo.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Con le parole di Cristo risorto: “Pace a voi”, saluto, inoltre, i giovani, i malati e gli sposi novelli, presenti a questa Udienza.

Prego per voi, carissimi giovani, perché possiate, nel clima della gioia pasquale, mettervi a servizio del Vangelo e condurre così un’esistenza generosa, edificata sulla roccia, su Cristo, cioè, nostra unica e salda speranza.

Prego per voi, carissimi malati, affinché, unendovi all’Agnello immolato che ha vinto la morte, siate pronti a partecipare alla sua azione salvifica.

Prego, infine, per voi, carissimi sposi novelli, perché il vostro amore coniugale sia puro e santo, ad imitazione di quello del Redentore e della sua Chiesa. Con tali sentimenti imparto a tutti di cuore l’apostolica benedizione.




Mercoledì, 21 aprile 1993

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1. Nella Chiesa siamo tutti chiamati ad annunciare la Buona Novella di Gesù Cristo, a comunicarla in modo sempre più pieno ai credenti (cf
Col 3,16), a farla conoscere ai non credenti (cf 1P 3,15). Non vi è cristiano che possa esimersi da questo impegno, derivante dagli stessi sacramenti del Battesimo e della Confermazione e operante sotto la spinta dello Spirito Santo. Va dunque subito detto che l’evangelizzazione non è riservata a una sola categoria di membri della Chiesa. E tuttavia, i Vescovi ne sono i protagonisti e le guide per tutta la comunità cristiana, come abbiamo visto a suo tempo. In quest’opera essi sono affiancati dai Presbiteri e in certa misura dai Diaconi, secondo le norme e la prassi della Chiesa, sia nei tempi più antichi, sia in quelli della “nuova evangelizzazione”.

2. Per i Presbiteri, si può dire che l’annuncio della Parola di Dio è la prima funzione da svolgere (cf LG 28 CEC 1564), perché la base della vita cristiana, personale e comunitaria, è la fede, la quale viene suscitata dalla Parola di Dio e si nutre di questa Parola. Il Concilio Vaticano II sottolinea questa missione evangelizzatrice ponendola in relazione con la formazione del Popolo di Dio, e col diritto di tutti a ricevere dai Sacerdoti l’annuncio evangelico (cf. Presbyterorum Ordinis PO 4). La necessità di questa predicazione viene posta in luce da san Paolo, che al mandato di Cristo aggiunge la sua esperienza di Apostolo. Nella sua attività evangelizzatrice, svolta in molte regioni e in molti ambienti, egli si era reso conto che gli uomini non credevano perché nessuno aveva ancora annunciato loro la Buona Novella. Pur essendo ormai aperta a tutti la via della salvezza, egli aveva costatato che non tutti avevano ancora avuto la possibilità di approfittarne. Perciò dava anche questa spiegazione della necessità della predicazione per mandato di Cristo: “Come potranno invocare il nome del Signore senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?” (Rm 10,15). A coloro che erano divenuti credenti, l’Apostolo si preoccupava poi di comunicare in abbondanza la Parola di Dio. Lo dice lui stesso ai Tessalonicesi: “Come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama...” (1Th 2,12). Al discepolo Timoteo, l’Apostolo raccomanda pressantemente questo ministero: “Ti scongiuro, scrive, davanti a Dio e a Cristo... annunzia la Parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina (2Tm 4,1-2). Quanto ai Presbiteri, egli dà questa prescrizione: “I Presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento” (1Tm 5,17).

3. La predicazione dei Presbiteri non è un semplice esercizio della parola rispondente a un bisogno personale di esprimersi e di comunicare il proprio pensiero, né può consistere soltanto nella manifestazione di una personale esperienza. Questo elemento psicologico, che può avere un suo ruolo sotto l’aspetto didattico-pastorale, non può costituire né la ragione né la parte preponderante della predicazione. Come dicevano i Padri del Sinodo dei Vescovi del 1971, “le esperienze della vita sia degli uomini in genere sia dei Presbiteri, le quali devono essere tenute presenti e sempre interpretate alla luce del Vangelo, non possono essere né l’unica né la principale norma della predicazione” (Ench. Vat. 4, n. 1186). La missione di predicare è affidata dalla Chiesa ai Presbiteri come partecipazione alla mediazione di Cristo, da esercitare in forza e secondo le esigenze del suo mandato: i Presbiteri, “partecipi, nel loro grado di ministero, dell’ufficio dell’unico Mediatore Cristo (1Tm 2,5), annunziano a tutti la divina Parola” (Ivi). Questa espressione non può non far meditare: si tratta di una “divina Parola”. Che dunque non è “nostra”, non può essere da noi manipolata, trasformata, adattata a piacimento, ma deve essere integralmente annunziata. E poiché la “divina Parola” è stata affidata agli Apostoli e alla Chiesa, “qualsiasi Presbitero partecipa ad una speciale responsabilità nella predicazione di tutta la Parola di Dio e nella sua interpretazione secondo la fede della Chiesa”, come ancora dicevano i Padri del Sinodo nel 1971 (Ench. Vat. 4, n. 1183).

4. L’annuncio della Parola si fa in stretta connessione con i Sacramenti, per mezzo dei quali Cristo comunica e sviluppa la vita della grazia. A questo proposito si deve ancora notare che buona parte della predicazione, specialmente oggi, si svolge durante la celebrazione dei Sacramenti e specialmente della Santa Messa. Va inoltre osservato che già attraverso l’amministrazione dei Sacramenti si attua l’annuncio, sia per la ricchezza teologica e catechetica delle formule e letture liturgiche, oggi pronunciate in lingua viva, comprensibile al popolo, sia per la procedura pedagogica del rito. E tuttavia non c’è dubbio che la predicazione deve precedere, accompagnare e coronare l’amministrazione dei Sacramenti, in ordine sia alla necessaria preparazione a riceverli, sia alla loro fruttificazione nella fede e nella vita.

5. Il Concilio ha richiamato che l’annuncio della divina Parola ha come effetto di suscitare e alimentare la fede, e di contribuire allo sviluppo della Chiesa. “Difatti, – esso dice – in virtù della Parola salvatrice, la fede si accende nel cuore dei non credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti” (PO 4). Questo principio sarà sempre da tener presente: lo scopo di diffondere, fortificare e far crescere la fede deve rimanere fondamentale in ogni predicatore del Vangelo, e quindi nel Presbitero che in modo tutto speciale e con tanta frequenza è chiamato a esercitare il “ministero della Parola”. Una predicazione che fosse un ricamo di motivi psicologici legati alla persona, o si esaurisse nel porre dei problemi senza risolverli o nel suscitare dei dubbi senza indicare la fonte della luce evangelica che può illuminare il cammino dei singoli e delle società, non raggiungerebbe l’obiettivo essenziale voluto dal Salvatore. Si risolverebbe anzi in fonte di disorientamento per l’opinione pubblica e di danno per gli stessi credenti, il cui diritto a conoscere il vero contenuto della Rivelazione verrebbe così disatteso.

6. Il Concilio ha inoltre mostrato l’ampiezza e la varietà di forme che prende l’autentico annuncio del Vangelo, secondo l’insegnamento e il mandato della Chiesa ai predicatori: “Verso tutti, pertanto, sono debitori i Presbiteri, nel senso che a tutti devono comunicare la verità del Vangelo che essi posseggono nel Signore. Quindi, sia che offrano in mezzo alla gente la testimonianza di una vita esemplare che induca a dar gloria a Dio; sia che annuncino il mistero di Cristo ai non credenti con la predicazione esplicita; sia che svolgano la catechesi cristiana o illustrino la dottrina della Chiesa; sia che si applichino a esaminare i problemi del loro tempo alla luce di Cristo: in qualunque caso, il loro compito non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la Parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità” (PO 4). Queste sono dunque le vie dell’insegnamento della Parola divina, secondo la Chiesa: la testimonianza della vita, che fa scoprire la potenza dell’amore di Dio e rende persuasiva la parola del predicatore; la predicazione esplicita del mistero di Cristo ai non credenti; la catechesi e l’esposizione ordinata e organica della dottrina della Chiesa; l’applicazione della verità rivelata al giudizio e alla soluzione dei casi concreti. A queste condizioni, la predicazione mostra la sua “bellezza” e attrae gli uomini desiderosi di vedere la “gloria di Dio”, anche oggi.

7. A tale esigenza di autenticità e di integralità dell’annuncio, non si oppone il principio dell’adattamento della predicazione, particolarmente sottolineato dal Concilio (cf. PO PO 4). È chiaro che il Presbitero deve anzitutto chiedersi, con senso di responsabilità e realismo di valutazione, se quello che dice nella sua predicazione sia compreso dai suoi uditori e se abbia un effetto sul loro modo di pensare e di vivere. Deve inoltre impegnarsi a tener conto della propria predicazione, delle diverse necessità degli ascoltatori e delle diverse circostanze per cui si riuniscono e chiedono il suo intervento. È chiaro che egli deve anche conoscere e riconoscere i suoi talenti, e servirsene in modo opportuno, non per un esibizionismo che, oltretutto, lo squalificherebbe presso gli uditori, ma allo scopo di meglio introdurre la Parola divina nel pensiero e nel cuore degli uomini. Ma più che ai talenti naturali, il predicatore dovrà appellarsi a quei carismi soprannaturali che la storia della Chiesa e della sacra eloquenza presenta in tanti predicatori santi, e si sentirà spinto a chiedere allo Spirito Santo l’ispirazione per il modo più adatto ed efficace di parlare, di comportarsi, di dialogare con il suo uditorio. Tutto ciò vale anche per tutti coloro che esercitano il ministero della Parola con gli scritti, le pubblicazioni, le trasmissioni radiofoniche e televisive. Anche l’uso di questi mezzi di comunicazione richiede dal predicatore, conferenziere, scrittore, intrattenitore religioso e specialmente dal Presbitero l’appello e il ricorso allo Spirito Santo, luce che vivifica le menti e i cuori.

8. Secondo le indicazioni del Concilio, l’annuncio della Parola divina deve essere fatto in tutti gli ambienti e in tutti gli strati sociali, tenendo conto anche dei non credenti: si tratti di veri atei o, come più spesso avviene, di agnostici, oppure di indifferenti o distratti, per interessare i quali bisognerà inventare le vie più adatte. Qui basti l’avere ancora una volta segnalato il problema, che è grave e che va affrontato con zelo, sorretto da intelligenza, e con spirito sereno. Al Presbitero potrà essere utile ricordare la saggia considerazione del Sinodo dei Vescovi del 1971, che diceva: “Il ministro della Parola con l’evangelizzazione prepara le vie del Signore con grande pazienza e fede, adattandosi alle diverse condizioni della vita dei singoli e dei popoli” (Ench. Vat. 4, n. 1184). L’appello alla grazia del Signore e allo Spirito Santo, che ne è il dispensatore divino, necessario sempre, sarà sentito in modo ancor più vivo in tutti quei casi di ateismo (almeno pratico), di agnosticismo, di ignoranza e di indifferenza religiosa, a volte di pregiudiziale ostilità e persino di rabbia, che fanno costatare al Presbitero l’insufficienza di tutti i mezzi umani per aprire nelle anime un varco a Dio. Allora più che mai sperimenterà il “mistero delle mani vuote”, come è stato detto; ma proprio per questo ricorderà che san Paolo, quasi crocifisso da esperienze non dissimili, trovava sempre nuovo coraggio nella “potenza di Dio e sapienza di Dio” presente in Cristo (cf 1Co 1,18 1Co 1,29), e ricordava ai Corinzi: “Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1Co 2,3-5).

Forse è questo il viatico importante per il predicatore odierno.

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ad un gruppo proveniente dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di Hiroshima e del gruppo “ World Peace Flower ”, vi ringrazio sentitamente per la vostra preghiera e per il dono della grande bandiera per la pace nel mondo.

Auspico che la vostra preghiera e la vostra attività per la pace nel mondo continuino sempre sotto la protezione della Madonna.

Con questo augurio vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai gruppi di lingua italiana

Sono lieto di rivolgere ora un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Un pensiero particolare va agli Allievi Carabinieri della Scuola di Chieti, alcuni dei quali hanno ricevuto in questi giorni il sacramento della Confermazione. Cari giovani, mi compiaccio con voi per il cammino di fede che vi proponete di fare in questo periodo di formazione. Siate testimoni dei valori del Vangelo in ogni circostanza, svolgendo il vostro servizio per il bene della società. Vi protegga sempre la Vergine Santissima, che invocate con il titolo di “Virgo Fidelis.

Saluto, poi, il gruppo dei fedeli di Antillo, in diocesi di Messina. Carissimi, ben volentieri benedico la nuova campana della vostra Chiesa. Il suo suono vi ricorderà non soltanto i caduti di tutte le guerre, ai quali essa è dedicata, ma anche la necessità della preghiera e della partecipazione alla Santa Messa, soprattutto nei giorni festivi.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo, infine, il mio saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Il tempo pasquale che stiamo vivendo, cari giovani, vi invita ad andare oltre le soglie dell’esperienza umana per rinascere dallo Spirito Santo e cominciare una vita nuova, piena di amore e di entusiasmo. È questo il mio augurio, che estendo, in particolare, agli Alunni dell’Istituto “Dante Alighieri” dell’Opera “Don Orione” di Tortona.

Anche voi, cari ammalati, sappiate che ogni sofferenza, vissuta nella luce del Cristo crocifisso e risorto, trova in Lui superamento e senso.

Ed a voi, cari sposi, auguro che la vostra famiglia sia illuminata dalla Pasqua, tanto nei momenti lieti quanto nelle circostanze difficili. Costruite con Cristo la vostra nuova realtà familiare e non vi mancherà il suo conforto ed il suo aiuto. A tutti la mia benedizione apostolica!




Mercoledì, 28 aprile 1993

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1. “Chi ci rotolerà via il masso dalla porta del sepolcro?” (cf
Mc 16,3).

Queste parole delle donne, accorse al sepolcro di Cristo “nel giorno dopo il Sabato”, vengono alla mente quando si guarda al recente passato del Paese che mi è stato dato di visitare domenica scorsa. Per anni l’Albania è diventata sinonimo della particolare oppressione instaurata da un sistema totalitario ed ateo, nel quale il rifiuto di Dio si è spinto fino ai limiti più estremi. Il diritto alla libertà di coscienza e di religione vi era calpestato nel modo più brutale: la pena di morte vi era comminata a coloro che semplicemente amministravano il battesimo o svolgevano qualsiasi pratica religiosa. La persecuzione infieriva sia contro i cristiani che contro i musulmani. In tal modo questo Paese era divenuto simile alla tomba in cui i giudei rinchiusero Cristo, mettendo una pietra alla porta del sepolcro.

La rinascita spirituale dell’Albania avviene all’insegna del dialogo ecumenico e della collaborazione interreligiosa

2. Ma ecco che le donne, recatesi alla tomba, “trovarono la pietra rotolata via” (Lc 24,2). Anche per l’Albania, in conseguenza degli avvenimenti iniziati nel 1989, la pietra della tomba è stata rotolata via ed è iniziato il periodo dei cambiamenti. I diritti dell’uomo, compreso quello della libertà di coscienza e di religione, sono ora diventati la base della vita sociale. In queste condizioni s’è resa possibile – e in un certo modo persino necessaria, specialmente con la Comunità cattolica – la presenza del Papa. È quanto s’è attuato lo scorso 25 aprile. Sono molto grato ai fedeli di quella Chiesa martoriata che mi hanno voluto tra loro. Ringrazio poi il Presidente della Repubblica, Signor Sali Berisha, che mi ha invitato e mi ha accolto con grande cordialità e cortesia. Ringrazio pure le Autorità civili e militari e quanti hanno collaborato per la buona riuscita della visita. Sono riconoscente inoltre all’Arcivescovo Anastas della Chiesa ortodossa e al Kryermufti Sabri Koci della Comunità musulmana, che mi hanno onorato della loro presenza. La rinascita spirituale dell’Albania avviene all’insegna del dialogo ecumenico e della collaborazione interreligiosa. Non è questo un grande segno di speranza? La presenza cristiana in Albania data dai tempi apostolici: forse lo stesso san Paolo ha toccato la regione, dal momento che il porto di Durazzo costituiva allora uno scalo abituale nella rotta verso Roma. È impossibile raccogliere in breve sintesi le complesse vicende nelle quali s’articola la storia del Paese sino ai nostri giorni. Basti ricordare le gesta gloriose dell’eroe nazionale, Gjergj Kastriota Skënderbeu, sostenuto nella sua azione dai Pontefici romani. A lui va il merito della strenua difesa condotta, nel quindicesimo secolo, contro gli invasori turchi. Attenzioni particolari ebbe pure per l’Albania, nel secolo diciottesimo, il Papa Clemente XI, oriundo di quelle terre. L’indipendenza politica, conquistata finalmente nel 1912, non significò purtroppo la cessazione delle difficoltà: d’allora l’Albania ha conosciuto altri momenti tristi, che hanno toccato il culmine dopo la seconda guerra mondiale, quando una spietata dittatura ha preteso di soffocare nel sangue i più elementari diritti civili, tentando di sradicare dal cuore dei credenti il nome stesso di Dio. Pretesa vana, come gli eventi hanno dimostrato: alla lunga notte è infatti succeduta finalmente l’alba di un nuovo giorno. La Chiesa vive ora, in Albania, la sua nuova primavera.

Come in una nuova Pentecoste lo Spirito ha introdotto i nuovi Presuli nel Collegio dei successori degli Apostoli

3. La mia visita di Domenica scorsa ha voluto sancire questo evento con la consacrazione dei nuovi Vescovi nella Cattedrale di Scutari, una delle più maestose chiese dei Balcani. Durante gli anni della dittatura essa era stata trasformata in palazzetto dello sport; ora è tornata al suo primitivo splendore, diventando come il simbolo della risurrezione dell’Albania. La solenne Celebrazione è stata seguita devotamente da una grande folla di fedeli. Quasi come in una nuova Pentecoste, si è avvertito il soffio dello Spirito che ha introdotto i nuovi Presuli nel Collegio dei successori degli Apostoli. Uno di essi, il Vescovo Ausiliare di Scutari, Mons. Zef Simoni, il 25 aprile del 1967 fu condannato a quindici anni di prigione. Nella stessa giornata del 25 aprile dell’anno successivo, esattamente venticinque anni fa, veniva emessa la condanna a morte – poi commutata in lavori forzati – per colui che è ora Arcivescovo di Scutari, Mons. Frano Illia. Questa coincidenza di date ha reso ancora più toccante il ricordo degli eventi connessi col sofferto cammino della Chiesa albanese. Gli altri Vescovi ordinati, anch’essi benemeriti, sono Mons. Rrok K. Mirdita, Arcivescovo di Durazzo-Tirana, e Mons. Robert Ashta, Vescovo di Pulati.

Il segno della speciale protezione della venerata Madonna del Buon Consiglio

4. Come non vedere in tutto ciò un segno della speciale protezione della Madonna del Buon Consiglio, tanto venerata in Albania? Mi ero recato giovedì 22 aprile a Genazzano, presso Roma, dove pure è venerata Maria, Madre del Buon Consiglio, per affidare a Lei il mio pellegrinaggio apostolico albanese. Un ideale legame spirituale congiunge Genazzano a Scutari, dove l’omonimo Santuario mariano è stato due volte raso al suolo nel corso della storia. L’ultima sua distruzione risale al 1967, durante il periodo della più feroce dittatura, impegnata a cancellare ogni traccia religiosa dal Paese. Sulle macerie di quella tragica presunzione sono stati posti, domenica scorsa, per provvidenziale disegno divino, i gesti eloquenti dell’Ordinazione del nuovo Arcivescovo e della benedizione della prima pietra del nuovo Santuario, che accoglierà l’immagine della Madonna del Buon Consiglio.

La libertà religiosa sarà sicuramente fermento di una società democratica

5. La sera, a Tirana, ha concluso la visita l’indimenticabile incontro con la popolazione, sulla piazza dedicata all’eroe nazionale Gjergj Kastriota Skënderbeu. Erano presenti il Presidente della Repubblica, le Autorità dello Stato, i rappresentanti delle varie Confessioni religiose e tanta gente. Come non ricordare qui il prezioso contributo dato dal Nunzio apostolico, Mons. Ivan Dias, alla preparazione della mia visita? Lo ringrazio di cuore, come pure esprimo viva gratitudine ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, fra queste in particolare a Madre Teresa. Ringrazio anche gli organismi e i movimenti ecclesiali venuti da altre nazioni per sostenere il cammino della Chiesa albanese. Il mio discorso di congedo, indirizzato all’intera Nazione, ha voluto essere un messaggio di speranza e di incoraggiamento. Ho invitato a non rimuovere facilmente dalla memoria le sofferenze sopportate dagli Albanesi nei trascorsi decenni. Ho additato al popolo d’Albania le sfide del futuro. La ritrovata libertà religiosa sarà sicuramente fermento di una società democratica, se verranno riconosciuti il valore e la centralità della persona umana e se tutti i rapporti, sul piano sociale, politico, economico, s’impronteranno ad autentica solidarietà. Ho auspicato, inoltre, che l’Albania, grazie pure all’azione della Comunità internazionale, possa superare la grave crisi dell’ora presente. La aiuteranno il senso della famiglia e dell’accoglienza, e soprattutto la sua fede. Le sarà di grande sostegno l’intesa, da rinnovare costantemente, fra Cattolici, Ortodossi e Musulmani. L’Albania ha riaperto le porte a Dio: Iddio non abbandona quelli che confidano in Lui.

Nel mistero pasquale del Redentore trova vera luce la storia dell’uomo, dei popoli e delle nazioni

6. “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).

Queste parole, tratte dalla liturgia di domenica scorsa, ci ricordano che nel mistero pasquale del Redentore trova vera luce la storia dell’uomo, la storia dei popoli e delle nazioni, perfino quella dei periodi più tragici.

Per quella Nazione a noi tanto cara, esprimiamo l’augurio: Cristo cammini con i suoi figli, come avvenne con i discepoli ad Emmaus: “spieghi loro le Scritture”, “apra loro la mente e il cuore”, “si faccia riconoscere nello spezzare il pane” (cf Lc 24,27 Lc 24,35 Lc 24,45), li aiuti a costruire il nuovo ordine basato sulla verità, sulla giustizia, sull’amore.

Facciamo nostro insieme a loro il grido della gioia pasquale: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34).

“Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso” (Ps 118,24).

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ad un gruppo proveniente dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi voi infermi e voi volontari cattolici, protestanti e buddisti.

Vedendo tra di voi con dolore tanti che soffrono per l’infermità che li affligge, ma anche tanti generosi volontari della solidarietà umana, esorto voi, malati, a perseverare nella speranza che riponete in Dio e nella Beata Vergine Maria, ed esorto voi, volontari, a perseverare nella tanto benemerita opera di carità e solidarietà a beneficio dei sofferenti.

Molto volentieri confermo le mie esortazioni con la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai gruppi di lingua italiana

Il mio primo saluto ai pellegrini di lingua italiana si rivolge oggi ad alcuni gruppi di missionari e missionarie: anzitutto ai Sacerdoti e Fratelli della Società del Verbo Divino, che hanno frequentato un corso di aggiornamento nella loro Casa Religiosa di Nemi; ci sono poi i missionari che concludono un corso di Rinnovamento teologico-pastorale presso l’Università Urbaniana; e, inoltre, un gruppo di Sacerdoti Salesiani, provenienti da diverse Regioni, che frequentano un corso per Formatori all’Università Pontificia Salesiana. Carissimi, siate i benvenuti! Mi compiaccio per queste iniziative, che ottimamente si inseriscono nel programma della vostra Formazione permanente. Tenete sempre vivo in voi l’ardore missionario che vi ha guidati verso popoli che non conoscono Cristo o che vivono in condizioni di speciale difficoltà per la fede. Abbiate sempre presente nel vostro lavoro e nella vostra preghiera gli immensi orizzonti della missione “ad gentes”.

Saluto ancora alcuni gruppi di sportivi: il gruppo di Lunata, in diocesi di Lucca, che inaugura la nuova sede sociale, dal titolo “Amore e Vita”: la staffetta podistica “Amici del cuore”, dell’Associazione Italiana per la riabilitazione e prevenzione delle malattie vascolari: i giovani della parrocchia della Visitazione di Pero, in diocesi di Milano, che sono qui giunti con una fiaccola. Cari giovani, volentieri accenderò e benedirò la vostra fiaccola, perché risplenda nel vostro cammino. Siate sempre testimoni della fede che vi anima, anche nell’ambiente sportivo che frequentate.

Ancora un saluto cordiale al numeroso gruppo dei dirigenti, impiegati e lavoratori della “General Electric”. Per loro auspico una comunità lavorativa sempre improntata a collaborazione ed a rapporti umani ispirati ad amicizia, secondo lo spirito di fraternità cristiana.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo infine un pensiero cordiale a tutti voi, amati giovani, diletti ammalati e cari sposi novelli. Carissimi, in questo tempo pasquale vi invito a rinnovare con generosità il vostro impegno nel servire Dio e i fratelli. La freschezza delle vostre energie aiuti voi, giovani, in particolare voi, studenti della Scuola Media annessa al Convitto Nazionale di Assisi, a professare la vostra fede e la vostra adesione al Signore risorto, e ad impegnarvi nell’opera di solidarietà e di assistenza che sono proprie del cristiano.

Voi, malati e sofferenti, siate testimoni del Cristo risorto, il quale mostra ai discepoli le piaghe, ormai gloriose, della sua Passione.

Auguro a voi, sposi novelli, che il vostro amore reciproco, vissuto alla luce del Vangelo, vi aiuti a formare una famiglia veramente cristiana. Imparto a tutti la mia benedizione.




Catechesi 79-2005 7493