Catechesi 79-2005 26593

Mercoledì, 26 maggio 1993

26593

1. Tutta la tradizione cristiana, derivata dalla Sacra Scrittura, parla del Sacerdote come di “uomo di Dio”, uomo consacrato a Dio. Homo Dei: è una definizione valida per ogni cristiano, ma che san Paolo rivolge in particolare al Vescovo Timoteo, suo discepolo, raccomandandogli l’uso della Sacra Scrittura (cfr
2Tm 3,16). Essa conviene al Presbitero, come al Vescovo, a ragione della sua speciale consacrazione a Dio. Per la verità, già nel Battesimo si ha una prima e fondamentale consacrazione della persona, con liberazione dal male ed ingresso in uno stato di particolare appartenenza ontologica e psicologica a Dio (Summa theologiae, II-II 81,8). L’Ordinazione sacerdotale conferma ed approfondisce questo stato di consacrazione, come ha ricordato il Sinodo dei Vescovi del 1971, riferendosi al sacerdozio di Cristo partecipato al Presbitero mediante l’unzione dello Spirito Santo (Enchiridion Vaticanum, IV, 1200-1201.

Il Sinodo ha qui ripreso la dottrina del Concilio Vaticano II che, dopo aver ricordato ai Presbiteri il dovere di tendere alla perfezione in forza della “consacrazione” battesimale, aggiungeva: “I sacerdoti sono specialmente obbligati a tendere a questa perfezione, poiché essi – che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l’Ordinazione – vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo Eterno Sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera che ha reintegrato con divina efficacia l’intero genere umano” (Presbyterorum ordinis PO 12). Era anche la raccomandazione di Pio XI nell’Enciclica Ad catholici sacerdotii, del 20 dicembre 1935 (AAS 28 [1936] 10).

Secondo la fede della Chiesa, con l’Ordinazione sacerdotale non viene dunque conferita solo una nuova missione nella Chiesa, un ministero, ma una nuova “consacrazione” della persona, legata al carattere impresso dal sacramento dell’Ordine, come segno spirituale e indelebile di una speciale appartenenza a Cristo nell’essere e, conseguentemente, nell’agire. Nel Presbitero l’esigenza della perfezione è dunque commisurata alla partecipazione del sacerdozio di Cristo come autore della Redenzione: il ministro non può esimersi dal riprodurre in sé i sentimenti, le intime tendenze e intenzioni, lo spirito di oblazione al Padre e di servizio ai fratelli che è proprio del “principale Agente”.

2. Ne deriva nel Presbitero una sorta di signoria della grazia, che gli dà di godere dell’unione con Cristo e nello stesso tempo di essere dedito al servizio pastorale dei fratelli. Come dice il Concilio, poiché il Sacerdote, “nel modo che gli è proprio, agisce a nome e nella persona di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e di tutto il popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e alla debolezza della natura umana viene rimediato con la santità di Colui che è stato fatto per noi “pontefice santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori” come dice la Lettera agli Ebrei (He 7,26)” (Presbyterorum ordinis; 12; Pastores dabo vobis PDV 20). In tale condizione il Presbitero è tenuto a una speciale imitazione di Cristo Sacerdote, che è frutto della grazia speciale dell’Ordine: grazia di unione a Cristo Sacerdote e Ostia e, in forza di questa stessa unione, grazia di buon servizio pastorale ai fratelli.

A questo proposito è utile ricordare l’esempio di san Paolo. Egli viveva da apostolo interamente consacrato, lui che era stato “conquistato da Cristo Gesù”, e aveva lasciato perdere tutto per vivere unito a Lui. (cfr Ph 3,7-12). Si sentiva talmente ricolmo della vita di Cristo da poter dire con tutta schiettezza: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Ga 2,20). E tuttavia, dopo aver fatto allusione ai favori straordinari che aveva ricevuto come “uomo in Cristo” (2Co 12,2), egli aggiungeva di soffrire di una spina nella carne, di una prova da cui non aveva ottenuto la liberazione. Malgrado una triplice domanda rivolta al Signore, si era sentito rispondere da Lui: “Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Co 12,9).

Alla luce di questo esempio, il Presbitero può capire meglio che deve sforzarsi di vivere pienamente la propria consacrazione rimanendo unito a Cristo e lasciandosi compenetrare dal suo Spirito, nonostante l’esperienza dei propri limiti umani. Questi non gli impediranno di compiere il suo ministero, perché beneficia di una “grazia che gli basta”. È dunque in questa grazia che il Presbitero deve porre la sua fiducia, è ad essa che deve far ricorso, sapendo di poter così tendere alla perfezione con la speranza di progredire sempre più nella santità.

3. La partecipazione al sacerdozio di Cristo non può non suscitare nel Presbitero anche uno spirito sacrificale, una specie di “pondus Crucis”, di peso della Croce, che si manifesta specialmente nella mortificazione. Come dice il Concilio, “Cristo, che il Padre santificò e consacrò, inviandolo al mondo (cf Jn 10,36),offrì se stesso in favore nostro per redimerci da ogni iniquità... (Tt 2,14). Allo stesso modo i Presbiteri, consacrati con l’unzione dello Spirito Santo e inviati da Cristo, mortificano in se stessi le opere della carne e si dedicano interamente al servizio degli uomini, e in tal modo possono progredire nella santità della quale sono stati dotati in Cristo, fino ad arrivare all’uomo perfetto” (Presbyterorum ordinis PO 12).

È l’aspetto ascetico del cammino della perfezione, che nel Presbitero non può essere senza rinunce e senza lotte contro ogni sorta di desideri e brame che gli farebbero cercare i beni di questo mondo, compromettendo il suo progresso interiore. È il “combattimento spirituale” di cui trattano i maestri di ascesi, che s’impone a ogni seguace di Cristo, ma specialmente a ogni ministro dell’opera della Croce, chiamato a riflettere in se stesso l’immagine di Colui che è “Sacerdos et hostia”.

4. Ovviamente ci vorrà sempre un’apertura e una corrispondenza alla grazia, che proviene anch’essa da Colui che suscita “il volere e l’operare” (Ph 2,13), ma che esige anche l’impiego dei mezzi di mortificazione e di disciplina di se stessi, senza i quali si rimane come un terreno impenetrabile. La tradizione ascetica ha sempre indicato – e in certo modo prescritto – ai Presbiteri, come mezzi di santificazione, specialmente la conveniente celebrazione della Messa, la recita puntuale dell’Ufficio divino (da “non strapazzare”, come raccomandava sant’Alfonso M. de’ Liguori), la visita al SS. Sacramento, la pratica giornaliera del santo Rosario, della meditazione, e quella periodica della Penitenza sacramentale. Questi mezzi sono tuttora validi e indispensabili. Un particolare rilievo va dato al sacramento della Penitenza, la cui pratica metodica agevola nel Presbitero la formazione di una immagine realistica di sé, con la conseguente consapevolezza di essere anch’egli un uomo fragile e povero, peccatore tra i peccatori, bisognoso di perdono. Egli raggiunge così la “verità di se stesso” e si educa al far ricorso fiduciosamente alla divina misericordia (Reconciliatio et paenitentia RP 13 Pastores dabo vobis, 26).

Inoltre, occorre sempre ricordare che, come dice il Concilio, “i Presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio, se nello spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile” (Presbyterorum ordinis PO 13). Così, l’annuncio della Parola li incoraggia a realizzare in se stessi ciò che insegnano agli altri. La celebrazione dei sacramenti li fortifica nella fede e nell’unione con Cristo. Tutto l’insieme del ministero pastorale sviluppa in loro la carità: “Reggendo e pascendo il Popolo di Dio, i Presbiteri sono stimolati dalla carità del Buon Pastore a dare la loro vita per il gregge, pronti anche al supremo sacrificio” (Presbyterorum ordinis PO 13). Il loro ideale sarà di raggiungere in Cristo l’unità di vita, operando una sintesi tra preghiera e ministero, tra contemplazione e azione, grazie alla costante ricerca della volontà del Padre e al dono di sé per il gregge (Presbyterorum ordinis PO 14).

5. D’altra parte, è fonte di coraggio e di gioia per il Presbitero sapere che il personale impegno di santificazione contribuisce all’efficacia del suo ministero. Infatti, “se è vero, come ricorda il Concilio, che la grazia di Dio può realizzare l’opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l’Apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e santità di vita: “Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me” (Ga 2,20)” (Presbyterorum ordinis PO 12).

Quando il Presbitero riconosce di essere chiamato a servire da strumento di Cristo, egli sente il bisogno di vivere in intima unione con Cristo per essere strumento valido del “principale Agente”. Perciò cerca di riprodurre in se stesso la “vita consacrata” (sentimenti e virtù) dell’unico ed eterno Sacerdote, che gli partecipa non solo il suo potere, ma anche il suo stato di oblazione alla realizzazione del disegno divino. “Sacerdos et hostia”.

6. Concluderò con la raccomandazione del Concilio: “Questo sacrosanto Sinodo, per il raggiungimento dei suoi fini pastorali di rinnovamento interno della Chiesa, di diffusione del Vangelo in tutto il mondo e di dialogo con il mondo intero, esorta vivamente tutti i Sacerdoti ad impiegare i mezzi efficaci che la Chiesa ha raccomandato, in modo da tendere a quella santità sempre maggiore che consentirà loro di divenire strumenti ogni giorno più validi al servizio di tutto il popolo di Dio” (Presbyterorum ordinis PO 12). Questo è il contributo più grande che potremo portare alla edificazione della Chiesa come inizio del Regno di Dio nel mondo.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini giunti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini della diocesi di Fukuoka e parrocchiani di Chofu e componenti della “The World Peace Prayer Society”.

È imminente la festa di Pentecoste. In questi giorni che la precedono, dobbiamo implorare con maggior fede e con più fervore lo Spirito Santo, perché riempia del Suo amore il cuore degli uomini, faccia risplendere nel mondo la Sua luce, e doni a tutti la pace.

Con questo auspicio vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai gruppi di fedeli italiani

Nel porgere il consueto saluto ai pellegrini di lingua italiana, sono lieto di rivolgermi in maniera particolare al folto gruppo di fedeli della Parrocchia “Santa Croce” di Bari, che celebrano quest’anno il 25° anniversario della costruzione della loro chiesa. Auguro ad essi, ed in particolare a quanti si apprestano a ricevere il Sacramento della Confermazione, che lo Spirito Santo li renda testimoni di Cristo, pronti sempre a diffondere ed a difendere con la parola e l’esempio la fede cristiana.

Ai giovani, agli ammalati e alle coppie di sposi

Rivolgo ora un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi presenti. Carissimi, si celebra oggi la memoria liturgica di San Filippo Neri, comunemente chiamato il “santo della gioia”. La naturale allegria, sostenuta dalla grazia del Signore, accompagni e arricchisca il cammino che voi, giovani, state compiendo nella vostra formazione umana e cristiana; l’accettazione delle sofferenze in unione a quelle di Cristo sia per voi, ammalati, fonte di intima pace e serenità; la letizia rasserenante, dono del Signore, conduca voi, sposi, a costituire una famiglia aperta ai bisogni dei fratelli. A tutti di cuore la mia benedizione.

Al popolo eritreo

Desidero ora invitarvi a condividere la gioia del popolo eritreo che, dopo travagliati anni di guerra, ha conseguito di recente la sua indipendenza. Non possiamo dimenticare quanto gli organismi internazionali, inclusi quelli cattolici, hanno realizzato nel campo dell’azione umanitaria in quel difficile periodo. Confido che tale sollecitudine possa continuare ancora oggi. Ai membri della Chiesa locale, pastori e fedeli, vada il mio affettuoso e benedicente pensiero! Sono sicuro che, in armonia di intenti con i fratelli delle altre Chiese cristiane, tutti sapranno contribuire alla ricostruzione morale e materiale della Patria. Il Signore risorto vi aiuti a scrivere una nuova pagina della vostra storia nella concordia ed in serena operosità!



Mercoledì, 2 giugno 1993

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1. Ritorniamo oggi su alcuni concetti già accennati nella precedente catechesi, per sottolineare ancor più le esigenze e i riflessi della realtà di uomo consacrato a Dio, che abbiamo illustrato. In una parola possiamo dire che, consacrato ad immagine di Cristo, il Presbitero deve, come Cristo stesso, essere uomo di preghiera.In questa definizione sintetica è compresa tutta la vita spirituale, che dà al Presbitero una vera identità cristiana, lo qualifica come sacerdote ed è il principio animatore dell’apostolato.

Il Vangelo ci presenta Gesù in preghiera in ogni momento importante della sua missione. La sua vita pubblica, che s’inaugura col Battesimo, comincia con la preghiera (cfr
Lc 3,21). Anche nei periodi di più intensa predicazione alle folle, egli si riserva lunghe soste di preghiera (Mc 1,35 Lc 5,16). Prima di scegliere i Dodici, passa una notte in preghiera (Lc 6,12). Egli prega prima di chiedere ai suoi Apostoli una professione di fede (Lc 9,18); prega dopo il miracolo dei pani, solo, sul monte (Mt 14,23 Mc 6,46); prega prima di insegnare ai suoi discepoli a pregare (Lc 11,1); prega prima della eccezionale rivelazione della Trasfigurazione, essendo salito sulla montagna proprio per pregare (Lc 9,28); prega prima di compiere qualche miracolo (Jn 11,41-42); prega nell’ultima Cena per affidare al Padre l’avvenire suo e della sua Chiesa (Jn 17). Al Getsemani eleva al Padre la preghiera dolente della sua anima afflitta e quasi inorridita ( par.), e sulla Croce gli rivolge le ultime invocazioni, piene di angoscia (Mt 27,46), ma anche di fiducioso abbandono (Lc 23,46). Si può dire che tutta la missione di Cristo è animata dalla preghiera, a partire dall’esordio del suo ministero messianico fino all’atto sacerdotale supremo: il sacrificio della Croce, che si è compiuto nella preghiera.

2. I chiamati a partecipare alla missione e al sacrificio di Cristo trovano nel confronto con il suo esempio la spinta a dare alla preghiera il posto che le spetta nella loro vita, come fondamento, radice, garanzia di santità nell’azione. Anzi noi apprendiamo da Gesù che un fruttuoso esercizio del sacerdozio non è possibile senza la preghiera, che premunisce il Presbitero dal pericolo di trascurare la vita interiore privilegiando l’azione, e dalla tentazione di lanciarsi nell’attività fino a smarrirvisi.

Anche il Sinodo dei Vescovi del 1971, dopo aver affermato che “la norma della vita sacerdotale” si trova nella consacrazione di Cristo, fonte della consacrazione dei suoi Apostoli, applica la norma alla preghiera con queste parole: “Sull’esempio di Cristo, il quale era continuamente in preghiera, e per l’impulso dello Spirito Santo, nel quale gridiamo “Abbà, Padre”, i Presbiteri devono darsi alla contemplazione della Parola di Dio e prenderne ogni giorno occasione per giudicare gli avvenimenti della vita alla luce del Vangelo, cosicché, rendendosi ascoltatori fedeli e attenti del Verbo, diventino ministri credibili della parola; siano assidui nella preghiera personale, nella liturgia delle Ore, nell’uso abbastanza frequente del sacramento della Penitenza, e soprattutto nella devozione verso il mistero dell’Eucaristia” (cfr Ench. Vat., 4, 1201).

3. Il Concilio Vaticano II, per parte sua, non aveva mancato di ricordare al Presbitero la necessità di essere abitualmente unito a Cristo, ed aveva raccomandato a questo scopo l’assiduità della preghiera: “In modi assai diversi – soprattutto con l’orazione mentale, di così provata efficacia, e con le varie forme di preghiera che ciascuno preferisce – possono i Presbiteri ricercare e implorare da Dio quell’autentico spirito di adorazione che unisce a Cristo, Mediatore della Nuova Alleanza” (Presbyterorum Ordinis PO 18). Come si vede, tra le possibili forme di orazione il Concilio richiama l’attenzione sull’orazione mentale, che è un modo di preghiera libero da formule rigide, non richiede la pronuncia di parole e risponde alla guida dello Spirito Santo nella contemplazione del mistero divino.

4. Il Sinodo dei Vescovi del 1971 insiste in particolare sulla “contemplazione della Parola di Dio” (cfr Ench. Vat. 4, 1201). Non deve impressionare la parola “contemplazione” col carico di impegno spirituale che porta in sé. Si può dire che, indipendentemente dalle forme e dagli stili di vita, tra cui la “vita contemplativa” resta sempre il più splendido gioiello della Sposa di Cristo, la Chiesa, vale per tutti il richiamo ad ascoltare e meditare la Parola di Dio con spirito contemplativo, in modo da nutrire con essa sia l’intelligenza, sia il cuore. Ciò favorisce nel sacerdote la formazione di una mentalità, di un modo di guardare il mondo con sapienza, nella prospettiva della sua suprema finalità: Dio e il suo disegno di salvezza. Il Sinodo dice: “Giudicare gli avvenimenti alla luce del Vangelo” (cfr Ench. Vat., 4, 1201). Sta in ciò la sapienza soprannaturale, soprattutto come dono dello Spirito Santo, che dà la facoltà di ben giudicare alla luce delle “ragioni ultime”, delle “cose eterne”. La sapienza diviene così il principale coefficiente di immedesimazione a Cristo nel pensiero, nel giudizio, nella valutazione di ogni cosa grande o piccola che sia, sicché il sacerdote – come e più di ogni cristiano – riflette in sé la luce, l’adesione al Padre, lo slancio operativo, il ritmo di preghiera e di azione e quasi, si direbbe, il respiro spirituale di Cristo. A tale meta si può pervenire lasciandosi guidare dallo Spirito Santo nella meditazione del Vangelo, che favorisce l’approfondimento dell’unione con Cristo, aiuta a entrare sempre più nel pensiero del Maestro e rafforza l’attaccamento da persona a persona con lui. Se il sacerdote vi è assiduo, permane più facilmente in uno stato di consapevole gioia, nascente dalla percezione dell’intima realizzazione personale della Parola di Dio, che egli deve insegnare agli altri. Infatti, come dice il Concilio, i Presbiteri, «pensando a come possono trasmettere meglio agli altri ciò che hanno contemplato, assaporeranno più intimamente “le insondabili ricchezze di Cristo” (Ep 3,8)e “la multiforme sapienza di Dio” (Ep 3, 10» (PO 13). Preghiamo il Signore che ci conceda un gran numero di sacerdoti che nella vita di preghiera scoprano, assimilino, gustino la sapienza di Dio, e, come l’apostolo Paolo, sentano un’inclinazione soprannaturale ad annunciarla e dispensarla come vera ragione del loro apostolato (cf. Pastores dabo vobis PDV 47).

5. Parlando della preghiera dei Presbiteri, il Concilio ricorda e raccomanda anche la “Liturgia delle Ore”, che unisce la preghiera personale del Sacerdote a quella della Chiesa. “Nella recitazione dell’Ufficio divino – esso dice – i Presbiteri danno voce alla Chiesa, la quale persevera in preghiera in nome di tutto il genere umano, assieme a Cristo, che è “sempre vivente per intercedere in favore nostro” (He 7,25)” (PO 13).

In forza della missione di rappresentanza e di intercessione che gli è affidata, il Presbitero a questa forma di preghiera “ufficiale”, fatta per delega della Chiesa a nome non solo dei credenti, ma di tutti gli uomini e si può dire di tutte le realtà dell’universo, è formalmente obbligato (cfr CIC, can. CIC 1174 § 1). Partecipe del sacerdozio di Cristo, egli intercede per i bisogni della Chiesa, del mondo, di ogni essere umano, sapendo di essere interprete e veicolo della voce universale che canta la gloria di Dio e chiede la salvezza dell’uomo.

6. Giova ricordare che, per meglio assicurare la vita di preghiera e ritemprarla e rinnovarla attingendo alle sue fonti, i Sacerdoti sono invitati dallo stesso Concilio a consacrare – oltre al tempo per la pratica quotidiana dell’orazione – periodi più lunghi all’intimità con Cristo: “Siano disposti a dedicare volentieri del tempo al ritiro spirituale” (PO 18). Esso inoltre raccomanda loro: “Abbiano in grande stima la direzione spirituale” (PO 18). Questa sarà per loro come la mano di un amico e di un padre che li aiuta nel cammino. E facendo esperienza dei benefici di questa guida, essi saranno tanto più disposti ad offrire, a loro volta, questo aiuto a coloro che sono affidati al loro ministero pastorale. Ciò sarà una grande risorsa per molti uomini d’oggi, specialmente per i giovani, e costituirà un fattore determinante nella soluzione del problema delle vocazioni, come dice l’esperienza di tante generazioni di sacerdoti e di religiosi.

Abbiamo già accennato nella catechesi precedente all’importanza del sacramento della Penitenza. Il Concilio ne raccomanda al Presbitero “l’uso abbastanza frequente”. È ovvio che chi esercita il ministero di riconciliare i cristiani col Signore per mezzo del sacramento del perdono, deve egli stesso ricorrere a questo sacramento. Egli sarà il primo a riconoscersi peccatore e a credere nel perdono divino che si esprime con l’assoluzione sacramentale. Nell’amministrare il sacramento del perdono, questa consapevolezza di essere peccatore l’aiuterà a comprendere meglio i peccatori. Non dice forse la Lettera agli Ebrei del Sacerdote, preso tra gli uomini: “egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza” (He 5,2)? Inoltre, il ricorso personale al sacramento della Penitenza spinge il Presbitero a una più grande disponibilità nell’amministrare questo sacramento ai fedeli che lo chiedono.

È anche questa una grande urgenza nella pastorale del nostro tempo.

7. Ma la preghiera dei Presbiteri raggiunge l’apice nella celebrazione eucaristica, “la loro funzione principale” (PO 13). È un punto talmente importante per la vita di preghiera del Sacerdote, che ad esso voglio dedicare la prossima catechesi.

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

A suore del Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissime Suore, componenti il Definitorio dell’Istituto “Miyazaki Charitas”, è iniziato il mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù che ci fa ricordare il suo sconfinato amore verso di noi. Poiché voi portate proprio il nome “ Charitas ”, sentitevi maggiormente stimolate ad effondere l’amore di Gesù tra la gente, sotto la guida della Madre di Gesù.

Mentre desidero ardentemente che ciò si avveri, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai gruppi di lingua italiana

Mi è gradito salutare ora i pellegrini di lingua italiana. Rivolgo il mio pensiero alle Suore Collegine della Sacra Famiglia che, unitamente al Movimento Giovanile della Congregazione, sono venute a Roma in occasione dell’anniversario della nascita del loro Fondatore, il Servo di Dio Cardinale Pietro Marcellino Corradini. Sono lieto di benedire la vostra Famiglia Religiosa, impegnata nel delicato ed urgente compito della formazione dei giovani, mediante l’attività scolastica e catechetica.

Saluto con affetto i calciatori, i dirigenti e i tecnici della Società Chievo-Verona che, insieme ai dirigenti della Ditta Paluani, hanno voluto cortesemente farmi visita. Vi auguro che il vostro impegno sportivo serva anche a favorire un autentico spirito di pace e di solidarietà tra i vostri ammiratori, evitando qualunque forma di violenza che disonora l’uomo.

Infine desidero salutare con vera gioia il folto gruppo di Allievi Ufficiali di Complemento del Genio e gli Agenti Ausiliari della Polizia di Stato di Campobasso con i loro rispettivi Superiori. Carissimi, auspico per voi che il periodo di servizio militare sia un momento favorevole per una più profonda maturazione umana, sociale e cristiana, in spirito di sincera dedizione al bene comune.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora un cordiale saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Abbiamo celebrato domenica scorsa nella Pentecoste, l’effusione dello Spirito Santo. Lo Spirito di Cristo sia per voi, giovani, come “vento e fuoco” che vi preserva dal torpore, spingendovi all’amore dei grandi ideali e all’impegno per la Chiesa e la società. Sia per voi, ammalati, il “Consolatore”, che vi accompagna nella fatica quotidiana, dandovi la certezza dell’amore di Dio. Sia per voi, sposi novelli, fonte di “comunione” che vi faccia crescere costantemente nell’amore reciproco. A tutti di cuore imparto la mia benedizione.




Mercoledì, 9 giugno 1993

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Lo sguardo dei credenti di tutto il mondo si rivolge in questi giorni verso Siviglia dove, come ben sapete, si sta celebrando il Congresso eucaristico internazionale e dove avrò la gioia di recarmi sabato e domenica prossimi.

All’inizio dell’odierno incontro, in cui rifletteremo sul valore dell’Eucaristia nella vita spirituale del Presbitero, vi rivolgo un paterno invito ad unirvi spiritualmente a quella grande ed importante celebrazione, che richiama tutti ad un vero rinnovamento della fede e della devozione verso la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

1. Le catechesi che stiamo svolgendo sulla vita spirituale del Sacerdote valgono specialmente per i Presbiteri, ma sono rivolte a tutti i fedeli. È bene infatti che tutti conoscano la dottrina della Chiesa sul sacerdozio e ciò che essa desidera da coloro che, essendone insigniti, sono resi conformi alla immagine sublime di Cristo, eterno Sacerdote e Ostia santissima del sacrificio salvifico. Tale immagine si delinea nella Lettera agli Ebrei e in altri testi degli Apostoli e degli Evangelisti, ed è stata trasmessa fedelmente dalla tradizione di pensiero e di vita della Chiesa. Anche oggi è necessario che il clero resti fedele a quell’immagine, in cui si rispecchia la verità vivente di Cristo Sacerdote e Ostia.

2. La riproduzione di tale immagine nei Presbiteri si attua principalmente nella loro partecipazione vitale al mistero eucaristico, a cui è essenzialmente ordinato e legato il sacerdozio cristiano. Il Concilio di Trento ha sottolineato che il legame esistente tra sacerdozio e sacrificio dipende dalla volontà di Cristo, che ha partecipato ai suoi ministri “il potere di consacrare, di offrire e di distribuire il suo corpo e il suo sangue” (cf. Denz.
DS 1764). Vi è in ciò un mistero di comunione con Cristo nell’essere e nell’operare, che esige di tradursi in una vita spirituale impregnata di fede e di amore all’Eucaristia.

Il Sacerdote è ben consapevole di non poter contare sui propri sforzi per raggiungere gli scopi del ministero, bensì di esser chiamato a servire come strumento dell’azione vittoriosa di Cristo, il cui sacrificio, reso presente sull’altare, procura all’umanità l’abbondanza dei doni divini. Ma egli sa anche che, per pronunciare degnamente, nel nome stesso di Cristo, le parole consacratorie: “Questo è il mio corpo” – “Questo è il calice del mio sangue”, deve vivere profondamente unito a Cristo, e cercare di riprodurre in sé il suo volto. Quanto più intensamente egli vive della vita di Cristo, tanto più autenticamente può celebrare l’Eucaristia.

Il Concilio Vaticano II ha ricordato che “soprattutto nel sacrificio della Messa i Presbiteri agiscono in modo speciale in nome e nella persona di Cristo” (Presbyterorum Ordinis PO 13), e che perciò senza Sacerdote non vi può essere sacrificio eucaristico; ma ha ribadito pure che quanti celebrano questo sacrificio devono svolgere il loro ruolo in intima unione spirituale con Cristo, con grande umiltà, come ministri di Lui a servizio della comunità: essi devono “imitare ciò che trattano, nel senso che, celebrando il mistero della morte del Signore, devono cercare di mortificare le proprie membra dai vizi e dalle concupiscenze” (PO 13). Nell’offrire il sacrificio eucaristico, i Presbiteri devono offrirsi personalmente con Cristo, accettando tutte le rinunce e tutti i sacrifici richiesti dalla vita sacerdotale. Ancora e sempre, con Cristo e come Cristo, “Sacerdos et hostia”.

3. Se il Presbitero “sente” questa verità proposta a lui e a tutti i fedeli come voce del Nuovo Testamento e della Tradizione, comprende la calda raccomandazione del Concilio in favore di una “celebrazione quotidiana (dell’Eucaristia), la quale è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli” (PO 13). Era emersa in quegli anni la tendenza a celebrare l’Eucaristia solo quando vi era l’assemblea dei fedeli. Secondo il Concilio, se è vero che bisogna fare il possibile per riunire i fedeli per la celebrazione, è altrettanto vero che, anche quando il Sacerdote rimane solo, l’offerta eucaristica da lui compiuta a nome di Cristo ha l’efficacia che proviene da Cristo e procura sempre nuove grazie alla Chiesa. Raccomando dunque anch’io ai Presbiteri e a tutto il popolo cristiano, di chiedere al Signore una fede più intensa in questo valore dell’Eucaristia.

4. Il Sinodo dei Vescovi del 1971 ha ripreso la dottrina conciliare dichiarando: “La celebrazione eucaristica, sebbene possa avvenire senza la partecipazione dei fedeli, rimane tuttavia il centro della vita di tutta la Chiesa e il cuore dell’esistenza sacerdotale” (cf. Ench. Vat., 4, 1201).

Ecco una grande parola: “centro della vita di tutta la Chiesa”. È l’Eucaristia che fa la Chiesa, come la Chiesa fa l’Eucaristia. Il Presbitero, incaricato di edificare la Chiesa, realizza questo compito essenzialmente con l’Eucaristia. Anche quando non c’è la partecipazione dei fedeli, egli coopera a radunare gli uomini intorno a Cristo nella Chiesa mediante l’offerta eucaristica.

Il Sinodo parla inoltre dell’Eucaristia come del “cuore dell’esistenza sacerdotale”. Ciò significa che il Presbitero, desideroso di essere e rimanere personalmente e profondamente attaccato a Cristo, trova lui per primo nell’Eucaristia il sacramento che opera questa intima unione, aperta ad una crescita che può giungere fino al livello di una mistica identificazione.

5. Anche a questo livello, che è quello di tanti santi Preti, l’anima sacerdotale non si chiude in se stessa, perché proprio nell’Eucaristia attinge in modo particolare alla “carità di Colui che si dà come cibo ai fedeli” (PO 13). Essa si sente quindi portata a dare se stessa ai fedeli ai quali distribuisce il Corpo di Cristo. E proprio nel nutrirsi di questo Corpo essa è spinta ad aiutare i fedeli ad aprirsi a loro volta a quella stessa presenza nutrendosi della sua carità infinita, per trarre un frutto sempre più ricco dal Sacramento.

A questo scopo il Presbitero può e deve procurare il clima necessario per una proficua celebrazione eucaristica. È il clima della preghiera. Preghiera liturgica, alla quale deve essere chiamato ed educato il popolo. Preghiera di contemplazione personale. Preghiera delle sane tradizioni popolari cristiane, che può preparare e seguire e in qualche modo anche accompagnare la Messa. Preghiera dei luoghi sacri, dell’arte sacra, del canto sacro, delle esecuzioni musicali (specialmente con l’organo), che si trova quasi incarnata nelle formule e nei riti, e tutto anima e rianima continuamente, perché possa partecipare alla glorificazione di Dio e alla elevazione spirituale del popolo cristiano riunito nell’assemblea eucaristica.

6. Il Concilio raccomanda al Sacerdote, oltre la quotidiana celebrazione della Messa, anche il “culto personale alla sacra Eucaristia”, e particolarmente il “dialogo quotidiano con Cristo, andandolo a visitare nel Tabernacolo” (PO 18). La fede e l’amore per l’Eucaristia non possono permettere che la presenza di Cristo nel Tabernacolo rimanga solitaria (cf CEC 1418). Già nell’Antico Testamento si legge che Dio abitava in una “tenda” (o “tabernacolo”), che si chiamava “tenda del convegno” (Ex 33,7). Il convegno era desiderato da Dio. Si può dire che anche nel Tabernacolo dell’Eucaristia Cristo è presente in vista di un dialogo col suo nuovo popolo e con i singoli fedeli. Il Presbitero è il primo chiamato ad entrare in questa tenda del convegno, a visitare il Cristo presente nel Tabernacolo per un “dialogo quotidiano”.

Voglio infine ricordare che il Presbitero è chiamato più di ogni altro a condividere la disposizione fondamentale di Cristo, in questo Sacramento, cioè l’“azione di grazie” da cui esso prende il nome. Unendosi a Cristo Sacerdote e Ostia, il Presbitero condivide non soltanto la sua oblazione, ma anche il suo sentimento, la sua disposizione di gratitudine al Padre per i benefici elargiti all’umanità, a ogni anima, al Presbitero stesso, a tutti coloro che in cielo e in terra sono ammessi alla partecipazione della gloria di Dio. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam... Così, alle espressioni di accusa e di protesta contro Dio – che spesso si sentono nel mondo – il Presbitero contrappone il coro di lodi e di benedizion

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

A un gruppo di fedeli giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini del “Gruppo Don Bosco”.

Il mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù ci fa ricordare lo sconfinato amore di Lui che sacrificò Se stesso per il bene degli uomini, e che quindi fu un amore immensamente “ altruista ”, come lo fu l’amore della Madonna per tutti noi. Questo vostro pellegrinaggio sia per voi fruttuoso spiritualmente, come è stato il desiderio di S. Giovanni Bosco. Con questo auspicio vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli italiani

Saluto, ora, tutti i pellegrini di lingua italiana, in particolare, i soci dell’Associazione Donatori di sangue, da Breganze di Vicenza e il gruppo del Centro Sociale “Angelo Grisciotti” di Rocca Priora di Roma.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Saluto, infine, i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli.

Domani si celebra la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che in Italia è trasferita a domenica prossima. L’Eucaristia, mistero di amore e di gloria, sia per voi, giovani, fonte di grazia e di luce che illumina i sentieri della vita. So che tra voi ci sono i ragazzi che in questi giorni hanno ricevuto la Prima Comunione. Carissimi, siate devoti del Corpo del Signore sull’esempio del piccolo Tarcisio, martire della Chiesa di Roma, che offrì la vita per difendere l’Eucaristia.

Per voi, cari ammalati, il Corpo e il Sangue di Cristo siano presenza e sostegno tra le difficoltà, sublime conforto nella sofferenza di ogni giorno e pegno di eterna risurrezione.

A voi, infine, sposi novelli, raccomando la frequente partecipazione alla Mensa divina, affinché l’Eucaristia sia sorgente di rinnovato impegno nel rafforzare il vincolo della vostra unione, motivo sostanziale ed insostituibile di gioia e di speranza lungo il cammino della vostra vita. A tutti la mia apostolica benedizione.




Catechesi 79-2005 26593