Catechesi 79-2005 23693

Mercoledì, 23 giugno 1993

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1. “Statio orbis”: così si è soliti designare la Celebrazione nella quale ogni Congresso Eucaristico Internazionale trova il suo momento culminante e conclusivo. L’altra domenica ho potuto compiere un così solenne atto a Siviglia, in occasione del XLV Congresso Eucaristico Internazionale, svoltosi dal 7 al 13 giugno. Il Congresso il cui motto era: “Cristo – luce delle nazioni”, ha avuto come tema: “Eucaristia ed evangelizzazione”.

L’Eucaristia costituisce “la fonte e l’apice (“fons et culmen”) di tutta la vita cristiana”, come ci insegna il Concilio Vaticano II (LG II). I Congressi Eucaristici esprimono questa verità in maniera particolarmente solenne. Ma l’Eucaristia è sempre la stessa, indipendentemente dalle circostanze in cui viene celebrata. Essa è anche sempre una “statio orbis”, perché nel sacrificio di Cristo offriamo a Dio – alla Santissima Trinità – l’intero creato e in particolare tutto il “mondo” degli uomini. Esprimeva questo in modo sconvolgente l’Eucaristia celebrata nelle antiche catacombe romane, oppure, nel nostro secolo, quella celebrata nei campi di concentramento, di nascosto, a causa della crudeltà di disumani sistemi di schiavitù.

Cristo, luce del mondo

2. Tutto ciò era ben presente alla nostra memoria durante la solenne “statio orbis” a Siviglia. Cristo sempre e dappertutto è “luce del mondo”: egli illumina ogni uomo che viene nel mondo. Sempre e dappertutto l’Eucaristia costituisce fonte di evangelizzazione: in essa la Buona Novella diventa sacramento di Verità e di Vita eterna per le generazioni sempre nuove degli uomini e dei popoli. Il Congresso eucaristico in Spagna era strettamente collegato con le celebrazioni del V Centenario dell’evangelizzazione dell’America – dell’evangelizzazione cioè iniziata con la scoperta del nuovo continente da parte di Cristoforo Colombo. Proprio lì, nella terra spagnola dell’Andalusia, a Siviglia ed a Huelva, fu predisposta la storica spedizione. Si trattò di preparativi non solo tecnici, ma anche spirituali. I naviganti erano coscienti di intraprendere un viaggio verso l’ignoto. Ciò che poi scoprirono non corrispondeva per niente alle loro previsioni di partenza.

I luoghi che ho potuto visitare – Moguer, Palos de la Frontera, La Rábida – dimostrano come Colombo e i suoi marinai avessero affidato nelle mani di Dio la loro avventura con grande fede e fiducia. Da queste stesse località – dopo la scoperta del nuovo continente – partirono i primi missionari per annunciare il Vangelo. Per ricordare l’inizio dell’evangelizzazione di 500 anni fa, a La Rábida ho incoronato la statua della Madonna: la “Virgen de los Milagros”.

Dal presente al futuro

3. Il Congresso Eucaristico di Siviglia ha concentrato la sua attenzione sul tema: “Eucaristia ed evangelizzazione”, per commemorare innanzitutto l’evangelizzazione di 500 anni fa, quella cioè che si potrebbe chiamare una grande “epopea missionaria”. Al tempo stesso, però, il Congresso ha orientato la sua tematica anche verso il presente e l’avvenire: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (
He 13,8). Allora Gesù Cristo desiderava giungere con la sua Verità e col suo Amore ai popoli appena scoperti oltre l’Oceano. Oggi, il suo “Ho sete” salvifico, pronunciato dall’alto della Croce, si rivolge a quanti ancora non conoscono quella Verità e quell’Amore. Si rivolge a tutti quegli ambiti di cui parla l’Enciclica Redemptoris missio, tenendo conto delle dimensioni della scristianizzazione e dei diversi “areopaghi” del mondo contemporaneo dove si aspetta il Vangelo, come un tempo l’Areopago di Atene “aspettava” Paolo di Tarso.

L’aspetto mariano

4. Carissimi fratelli e sorelle, la visita apostolica del Papa in Spagna, pensata in collegamento col Congresso Eucaristico, è stata ideata e si è effettivamente realizzata secondo il paradigma di “Eucaristia ed evangelizzazione”. Ogni suo dettaglio, ogni aspetto del programma si riferiva a tale principio vitale.

Prima di tutto l’aspetto mariano. È stato il “fiat” di Maria di Nazaret ad aprire la porta ai frutti salvifici che si sono manifestati nell’ordine sacramentale mediante l’Eucaristia. E l’evangelizzazione, che nell’Eucaristia trova la sua fonte (“fons”) e il suo culmine (“culmen”), va di pari passo con la devozione e l’amore verso la Madre di Dio. Come non menzionare qui il Santuario della Madonna del Rocío, dove si assiste ad un tipo di religiosità popolare di straordinaria vitalità, largamente diffuso anche in America Latina?

Maria precede il popolo di Dio nelle vie della fede, della speranza e della comunione con Cristo. Così si costruisce la Chiesa, cioè con “pietre vive”. E questa Chiesa viva, tempio di Dio in cui abita lo Spirito Santo, trova la sua concreta espressione anche nelle opere della cultura: nelle chiese, nei santuari, nelle cappelle, nelle opere d’arte sacra.

Rispondeva molto bene, dunque, alla impostazione globale del Congresso, la consacrazione della Cattedrale madrilena de “La Almudena”, costruita nell’arco di lunghi decenni.

La dedicazione di una Chiesa non può prescindere dalla consacrazione delle persone, frutto della maturazione delle vocazioni sacerdotali e religiose. Si armonizzava quindi perfettamente con la logica del Congresso la cerimonia dell’ordinazione sacerdotale che ha avuto luogo a Siviglia. E poi, la preghiera comune delle Lodi nel Seminario maggiore di Madrid, dove si sono radunati i rappresentanti dei seminaristi di tutta la Spagna.

L’Eucaristia è il sacramento della comunione con Dio, il sacramento quindi della santità che si sviluppa e cresce nell’uomo. È perciò da considerarsi in stretto rapporto con il Congresso Eucaristico anche la canonizzazione del Beato Enrique de Ossó y Cervelló, fondatore della Compagnia di Santa Teresa di Gesù, una Congregazione di Suore dedite all’apostolato, specialmente mediante l’educazione dei bambini e dei giovani. Avvenuta in Piazza Colombo a Madrid, questa canonizzazione è stata, in un certo senso, il coronamento del Congresso, il cui filo conduttore era appunto “Eucaristia ed evangelizzazione”.

Il Vescovo di Roma rende grazie

5. Carissimi fratelli e sorelle! Il Vescovo di Roma rende grazie soprattutto a Dio per il dono della partecipazione al Congresso Eucaristico Internazionale nella terra da cui la Divina Provvidenza ha voluto che prendesse avvio l’evangelizzazione del Continente americano. Al tempo stesso ringrazia i Fratelli nell’Episcopato e l’intera Chiesa di Spagna. Ringrazia i Reali di Spagna e tutte le Autorità civili.

Cristo – luce delle nazioni – illumini sempre le vie dei figli e delle figlie di quella Nazione, che dai tempi apostolici porta nel profondo del suo cuore il seme del Vangelo e dell’Eucaristia.

Ai fedeli francesi

Ai gruppi di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai gruppi di pellegrini italiani

Nel rivolgere un saluto ai pellegrini di lingua italiana, oggi particolarmente numerosi, desidero ricordare anzitutto i Sacerdoti novelli della Diocesi di Brescia e quelli dell’Abruzzo e del Molise, che celebrano il 25° della loro ordinazione; inoltre i Sacerdoti, formatisi nel Seminario Regionale di Benevento, che festeggiano il 50° di sacerdozio. Si sono uniti a questi gruppi gli iscritti all’Unione Apostolica del Clero, convenuti per un corso di spiritualità sul tema “Pastori secondo Cristo” ed i membri dell’Istituto Secolare del Sacro Cuore di Gesù per sacerdoti diocesani. A tutti voi, cari Fratelli, un saluto affettuoso e riconoscente, con l’auspicio che il dono del Sacramento dell’Ordine Sacro guidi sempre le vostre scelte, confermi il vostro fervore, conforti le iniziative per la cura d’anime.

Il mio pensiero va, poi, ai partecipanti al corso di teologia di Chieti-Scalo; al cospicuo gruppo delle famiglie che hanno adottato dei bambini orfani; agli operai appartenenti all’industria della lavorazione delle pelli da Solofra (Avellino).

Con gioia dirigo ora un cordiale ringraziamento ai responsabili ed alle maestranze della ditta “Tabu” di Suello (Como), che hanno voluto celebrare il 30° di fondazione venendo a farmi visita. Cari amici, possa la vostra famiglia lavorativa operare alla luce degli esempi della Sacra Famiglia di Nazaret in costante fedeltà al Vangelo.

Un cordiale saluto, infine, agli Ufficiali, Sottufficiali e giovani Allievi della Scuola di Artiglieria Contraerea di Sabaudia ed alle loro famiglie.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi rivolgo ora cordialmente ai giovani, agli ammalati e alle numerose coppie di sposi novelli, presenti all’odierna Udienza.

Attraverso voi, cari giovani, desidero augurare a tutti gli studenti, che in questi giorni sono alle prese con gli esami, di superare tali prove e di orientare i loro progetti di vita verso gli ideali ispirati sempre ai principi del Vangelo.

A voi, cari ammalati, domando che la vostra meritoria preghiera, arricchita della sofferenza quotidiana, ottenga dal Signore il dono della pace in questo mondo segnato da tragici episodi di guerra.

Infine a voi, sposi novelli, formulo l’auspicio che sappiate fare della vostra nuova famiglia una vera comunità di fede e di amore. A tutti imparto la mia benedizione.



Mercoledì, 30 giugno 1993

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1. Nelle biografie dei Preti santi si trova sempre documentata la grande parte che essi hanno attribuito a Maria nella loro vita sacerdotale. Alle “vite scritte” fa riscontro l’esperienza delle “vite vissute” di tanti cari e venerati Presbiteri che il Signore ha posto come veri ministri della grazia divina in mezzo alle popolazioni affidate alla loro cura pastorale, o come predicatori, cappellani, confessori, professori, scrittori. I direttori e maestri di spirito insistono sull’importanza della devozione alla Madonna nella vita del Sacerdote, come efficace sostegno nel cammino di santificazione, costante conforto nelle prove personali, energia potente nell’apostolato.

Anche il Sinodo dei Vescovi del 1971 ha trasmesso queste voci della tradizione cristiana ai Preti d’oggi, quando ha raccomandato: “Con la mente rivolta alle cose celesti e partecipe della comunione dei Santi, il Presbitero guardi molto spesso a Maria, Madre di Dio, la quale accolse il Verbo di Dio con fede perfetta, e la invochi ogni giorno per ottenere la grazia di conformarsi al suo Figliolo” (cf. Ench. Vat. 4, 1202). La ragione profonda della devozione del Presbitero a Maria SS.ma si fonda sulla relazione essenziale che nel piano divino è stata stabilita tra la Madre di Gesù e il sacerdozio dei ministri del Figlio. Vogliamo approfondire questo aspetto rilevante della spiritualità sacerdotale e trarne le conseguenze pratiche.

2. La relazione di Maria col sacerdozio risulta anzitutto dal fatto della sua maternità. Diventando – col suo consenso al messaggio dell’Angelo – Madre di Cristo, Maria è diventata Madre del Sommo Sacerdote. È una realtà oggettiva: assumendo con l’Incarnazione la natura umana, l’eterno Figlio di Dio ha realizzato la condizione necessaria per diventare, mediante la sua morte e risurrezione, il Sacerdote unico dell’umanità (cf.
He 5,1). Nel momento dell’Incarnazione, possiamo ammirare una perfetta corrispondenza tra Maria e suo Figlio. Infatti, la Lettera agli Ebrei ci rivela che “entrando nel mondo” Gesù prese un orientamento sacerdotale verso il suo sacrificio personale, dicendo a Dio: “Non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: «Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà»” (He 10,5-7). Il Vangelo ci riferisce che, allo stesso momento, la Vergine Maria espresse la stessa disposizione dicendo: “Ecco la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Questa perfetta corrispondenza ci dimostra che tra la maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo si è stabilita una relazione intima. Dallo stesso fatto risulta l’esistenza di un legame speciale del sacerdozio ministeriale con Maria Santissima.

3. Come sappiamo, la Vergine Santissima ha svolto il suo ruolo di madre non solo nella generazione fisica di Gesù, ma anche nella sua formazione morale. In forza della maternità, toccava a lei educare il fanciullo Gesù in modo adeguato alla sua missione sacerdotale, della quale essa aveva colto il significato nell’annunzio dell’Incarnazione.

Nel consenso di Maria si può dunque riconoscere una adesione alla verità sostanziale del sacerdozio di Cristo e l’accettazione di cooperare alla sua realizzazione nel mondo. Si poneva con ciò la base oggettiva del ruolo che Maria era chiamata a svolgere anche nella formazione dei ministri di Cristo, partecipi del suo sacerdozio. Vi ho accennato nella Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis: ogni aspetto della formazione sacerdotale può essere riferito a Maria (PDV 82).

4. Sappiamo inoltre che la Madonna ha vissuto in pienezza il mistero di Cristo, da lei scoperto sempre più a fondo grazie alla personale riflessione sugli avvenimenti della natività e della fanciullezza del Figlio (cfr Lc 2,19 Lc 2,51). Essa si sforzava di penetrare, con l’intelligenza e col cuore, nel disegno divino, al fine di collaborarvi in modo consapevole ed efficace. Chi meglio di lei potrebbe oggi illuminare i ministri di suo Figlio, guidandoli a penetrare nelle “inenarrabili ricchezze” del suo mistero per agire in conformità con la sua missione sacerdotale?

Maria è stata associata in modo unico al sacrificio sacerdotale di Cristo, condividendo la sua volontà di salvare il mondo mediante la Croce. Essa è stata la prima e più perfetta partecipe spirituale della sua oblazione di “Sacerdos et hostia”. Come tale, essa può ottenere e donare a coloro che partecipano sul piano ministeriale al sacerdozio di suo Figlio la grazia dell’impulso a rispondere sempre più alle esigenze dell’oblazione spirituale che il sacerdozio comporta: in modo particolare, la grazia della fede, della speranza e della perseveranza nelle prove, riconosciute come stimoli ad una partecipazione più generosa all’offerta redentrice.

5. Sul Calvario Gesù ha affidato a Maria una nuova maternità, quando le ha detto: “Donna, ecco tuo figlio!” (Jn 19,26). Non possiamo ignorare che in quel momento tale maternità veniva proclamata nei riguardi di un “Sacerdote”, il discepolo prediletto. Infatti, secondo i Vangeli sinottici, anche Giovanni aveva ricevuto dal Maestro, nella Cena della vigilia, il potere di rinnovare il sacrificio della Croce in memoria di lui; con gli altri Apostoli egli apparteneva al gruppo dei primi “Sacerdoti”; egli sostituiva ormai presso Maria il Sacerdote unico e sovrano che lasciava il mondo. Certo l’intenzione di Gesù in quel momento era di stabilire la maternità universale di Maria nella vita della grazia verso ciascuno dei discepoli di allora e di tutti i secoli. Ma non possiamo ignorare che questa maternità assumeva una forza concreta e immediata in relazione ad un Apostolo-“Sacerdote”. E possiamo pensare che lo sguardo di Gesù vedesse, oltre Giovanni, di secolo in secolo, la lunga serie dei suoi “Preti”, sino alla fine del mondo. E che specialmente per essi, presi ad uno ad uno, come per il discepolo prediletto, operasse quell’affidamento alla maternità di Maria.

A Giovanni Gesù disse anche: “Ecco tua madre!” (Jn 19,27). Egli affidava all’Apostolo prediletto la cura di trattare Maria come la propria madre, di amarla, venerarla e custodirla per gli anni che le restavano da vivere sulla terra, ma nella luce di ciò che per lei era scritto in Cielo, dove sarebbe stata assunta e glorificata. Quelle parole sono l’origine del culto mariano: è significativo che siano rivolte a un “sacerdote”. Non ne possiamo forse dedurre che il “Prete” è incaricato di promuovere e sviluppare questo culto? Che egli ne è il principale responsabile?

Nel suo Vangelo, Giovanni ci tiene a sottolineare che “da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Jn 19,27). Egli ha dunque immediatamente risposto all’invito di Cristo e ha preso Maria con sé, con una venerazione commisurata alle circostanze. Vorrei dire che anche sotto questo aspetto si è dimostrato un “vero Prete”: certo, un fedele discepolo di Gesù.

Per ogni Sacerdote, prendere Maria nella propria casa significa farle posto nella propria vita, permanendo in unione abituale con lei nei pensieri, negli affetti, nello zelo per il regno di Dio e per il suo stesso culto (cfr CEC 2673-2679).

6. Che cosa chiedere a Maria come “Madre del sacerdote”? Oggi, come e forse più che in ogni altro tempo, il Sacerdote deve chiedere a Maria, in modo particolare, la grazia di saper ricevere il dono di Dio con amore riconoscente, apprezzandolo pienamente come Ella ha fatto nel Magnificat; la grazia della generosità nel dono personale, per imitare il suo esempio di “Madre generosa”; la grazia della purezza e della fedeltà nell’impegno del celibato, sul suo esempio di “Vergine fedele”; la grazia di un amore ardente e misericordioso, alla luce della sua testimonianza di “Madre di misericordia”.

Il Presbitero deve aver sempre presente che nelle difficoltà che incontra può contare sull’aiuto di Maria. In lei e a lei confida e affida se stesso e il suo ministero pastorale, chiedendole di farlo fruttificare in abbondanza. E infine guarda a lei come a modello perfetto della sua vita e del suo ministero, perché essa è Colei che, come dice il Concilio, “sotto la guida dello Spirito Santo si consacrò pienamente al mistero della redenzione umana... Essa è la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, l’Ausilio dei Presbiteri nel loro ministero: essi devono quindi venerarla ed amarla con devozione e culto filiale” (Presbyterorum Ordinis PO 18).

Esorto i miei confratelli nel sacerdozio a nutrire sempre più questa “vera devozione a Maria” e a trarne le conseguenze pratiche per la loro vita e il loro ministero. Esorto tutti i fedeli a unirsi a noi Sacerdoti nell’affidamento di se stessi alla Madonna e nella invocazione delle sue grazie per se stessi e per tutta la Chiesa.

Ai fedeli di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini giapponesi

Rispettabili seguaci della religione Tenri, sappiamo che attualmente purtroppo in tante parti del mondo è in corso il terribile flagello della guerra. La causa di tanto male è evidente: è la mancanza della carità e del dialogo fra uomini che si lasciano trasportare dai sentimenti della violenza. Di fronte a questa sciagura, noi che crediamo in Dio dobbiamo sentire più forte l’impegno di proseguire col dialogo e la pratica della carità e la ricerca della vera pace.

Con questo tanto desiderato auspicio vi benedico di cuore.

Ai numerosi fedeli di espressione spagnola

Ai gruppi di lingua portoghese

Ai gruppi italiani

Nel salutare ora i pellegrini di lingua italiana, rivolgo un affettuoso pensiero ai sacerdoti dell’Abruzzo e del Molise, formatisi nel Seminario regionale di Chieti, che festeggiano il 25o anniversario della loro Ordinazione. Cari sacerdoti, siate testimoni di intrepida fede nella sequela di Cristo. La via dell’evangelizzazione è un itinerario che si compie nella generosa e lieta dedizione alla missione affidataci da Cristo.

Saluto, inoltre, il gruppo delle famiglie di Squinzano, appartenenti alla parrocchia di Maria Regina, in diocesi di Lecce. Saluto il loro parroco ed esorto tutti alla perseveranza nel testimoniare davanti al mondo l’ideale della famiglia cristiana. Carissimi, meditate spesso il Vangelo, alimentate con la preghiera la vostra fede, perché nella famiglia l’unità e la concordia, la gioia di dare la vita, la formazione cristiana dei figli sono dono di Dio. Vi ringrazio anche per la bella immagine della Vergine, che avete recato con voi per questa udienza.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo ora il mio saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli, presenti a questa Udienza.

Cari giovani, sappiate cercare, gustare e diffondere l’unità della fede e della comunione tra tutti i cristiani ed aprirvi all’amore verso tutti gli uomini. Valorizzerete, così, in pieno anche la gioia di questo nostro incontro romano. Come Successore di Pietro vi esorto a percorrere con coraggio le strade della verità e del servizio nella carità.

Anche voi, cari ammalati, accolgo con particolare affetto. A ciascuno il mio grazie, anche per la preghiera di offerta e per ogni buona iniziativa con cui trasformate le vostre sofferenze, piccole o grandi, in strumento di comunione con Gesù e coi fratelli.

Un saluto cordiale, infine, a voi, cari sposi novelli. Benedico le vostre famiglie, invitandovi a vivere ogni giorno la vostra vocazione, partendo dalla comunione nella fede e nella pratica religiosa. A tutti imparto la mia benedizione.




Mercoledì, 7 luglio 1993

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1. Nelle precedenti catechesi dedicate ai Presbiteri, abbiamo già più volte accennato all’importanza che la carità verso i fratelli ha nella loro vita. Vogliamo ora trattarne più espressamente partendo dalla radice stessa di tale carità nella vita del Sacerdote. Tale radice sta nella sua identità di “uomo di Dio”. La prima Lettera di Giovanni ci insegna che “Dio è amore”
1Jn 4,8). In quanto “uomo di Dio”, il Presbitero non può essere, dunque, che l’uomo della carità. Non ci sarebbe in lui un vero amore di Dio – e nemmeno una vera pietà, un vero zelo apostolico – senza l’amore del prossimo.

Gesù stesso ha mostrato il legame fra l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo, sicché l’“amare il Signore Dio con tutto il cuore” non può essere separato dall’“amare il prossimo” (cfr Mt 22,36-40). Coerentemente, perciò, l’autore della Lettera citata argomenta: “Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Jn 4,21).

2. Parlando di sé, Gesù descrive questo amore come quello di un “buon pastore”, che non cerca i suoi interessi, il suo profitto, come il mercenario. Il buon Pastore, egli osserva, ama talmente le sue pecore da offrire per esse la propria vita (cfr Jn 10,11 Jn 10,15). È dunque un amore che arriva fino all’eroismo.

Sappiamo con quanto realismo tutto questo abbia trovato attuazione nella vita e nella morte di Gesù. Coloro che ricevono da Cristo, in forza dell’Ordinazione sacerdotale, la missione di pastori sono chiamati a riproporre nella loro vita e a testimoniare nella loro azione l’amore eroico del buon pastore.

3. Nella vita di Gesù sono ben visibili le note essenziali della “carità pastorale” che Egli ha per i suoi fratelli “uomini”, e che chiede ai suoi fratelli “pastori” di imitare. Il suo è, anzitutto, un amore umile: “Io sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Significativamente ai suoi Apostoli raccomanda di rinunciare alle loro ambizioni personali e ad ogni spirito di dominio per imitare l’esempio del “Figlio dell’uomo”, che “non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28); (cf. Pastores dabo vobis PDV 21-22).

Ne consegue che la missione di pastore non può essere esercitata con un atteggiamento di superiorità o di autoritarismo (cfr 1P 5,3), che irriterebbe i fedeli e forse li allontanerebbe dall’ovile. Sulle orme di Cristo buon Pastore, ci si deve formare ad uno spirito di umile servizio (cfr CEC 876).

Gesù inoltre ci dà l’esempio di un amore pieno di compassione, ossia di partecipazione sincera e fattiva alle sofferenze e difficoltà dei fratelli. Egli sente compassione per le folle senza pastore (cfr Mt 9,36), perciò si preoccupa di guidarle con le sue parole di vita e si mette a “insegnar loro molte cose” (Mc 6,34). In virtù di questa stessa compassione, guarisce molti malati (Mt 14,14), offrendo il segno di una intenzione di guarigione spirituale; moltiplica i pani per gli affamati (Mt 15,32 Mc 8,2), eloquente simbolo dell’Eucaristia; si commuove dinanzi alle miserie umane (Mt 20,34 Mc 1,41), e vuole portarvi rimedio; partecipa al dolore di coloro che piangono la perdita di un caro congiunto (Lc 7,13 Jn 11,33-35); anche per i peccatori prova misericordia (cfr Lc 15,1-2), in unione con il Padre, che è pieno di compassione per il figlio prodigo (cf. Lc 15,20) e preferisce la misericordia al sacrificio rituale (cf. Mt 9,10-13); e non mancano casi in cui rimprovera i suoi avversari di non comprendere la sua misericordia (Mt 12,7).

4. A questo proposito è significativo che la Lettera agli Ebrei, alla luce della vita e della morte di Gesù, riponga nella solidarietà e nella compassione un tratto essenziale dell’autentico sacerdozio. Essa riafferma, infatti, che il sommo Sacerdote, “preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini (ed è) in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore” (He 5,1-2). Per questo anche l’eterno Figlio di Dio “doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo Sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (He 2,17). Perciò è nostra grande consolazione di cristiani sapere che “non abbiamo un sommo Sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (He 4,15).

Il Presbitero trova dunque in Cristo il modello di un vero amore per i sofferenti, i poveri, gli afflitti, e soprattutto per i peccatori, in quanto Gesù è vicino agli uomini con una vita simile alla nostra; ha subito prove e tribolazioni come le nostre; è pieno quindi di compassione per noi ed “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore” (He 5,2). E infine egli aiuta efficacemente i provati, “proprio per esser stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (He 2,18).

5. Sempre in questa luce di amore divino, il Concilio Vaticano II presenta la consacrazione sacerdotale come fonte di carità pastorale: “I Presbiteri del Nuovo Testamento, in forza della propria chiamata e della propria ordinazione, sono in certo modo segregati in seno al Popolo di Dio: ma non per rimanere separati da questo stesso Popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all’opera per la quale li ha assunti il Signore. Da una parte, essi non potrebbero essere ministri di Cristo, se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; ma d’altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente” (Presbyterorum Ordinis PO 3). Si tratta di due esigenze che fondano i due aspetti del comportamento sacerdotale: i Presbiteri, “per il loro stesso ministero, sono tenuti con speciale motivo a non conformarsi col secolo presente; ma nello stesso tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini, a conoscere bene – come buoni pastori – le proprie pecorelle, e a creare di ricondurre anche quelle che non sono di questo ovile, affinché anch’esse sentano la voce di Cristo, e ci sia un solo ovile e un solo pastore” (PO 3). In questo senso si spiega l’intensa attività di Paolo nella raccolta di aiuti per le comunità più povere (cf. 1Co 16,1-4), e la raccomandazione che l’autore della Lettera agli Ebrei fa di praticare la comunicazione dei beni (koinonia)col sostegno reciproco, come veri seguaci di Cristo (cf. He 13,16).

6. Secondo il Concilio, il Presbitero che voglia conformarsi al buon Pastore e riprodurre in se stesso la carità verso i fratelli dovrà impegnarsi su alcuni punti di grande importanza oggi, come e più che in altri tempi: conoscere le proprie pecorelle (PO 3), specialmente con i contatti, le visite, i rapporti di amicizia, gli incontri programmati o occasionali eccetera, sempre con finalità e con spirito di buon pastore; riservare un’accoglienza simile a quella di Gesù per la gente che si rivolge a lui, mantenendosi pronto e capace di ascolto, desideroso di capire, aperto e schietto nella benevolenza, impegnandosi nelle opere e nelle iniziative di soccorso ai poveri e agli infortunati; coltivare e praticare quelle “virtù che giustamente sono molto apprezzate nella società umana...(come) la bontà, la sincerità, la fermezza d’animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza eccetera” (PO 3), e anche la pazienza, la facilità a perdonare con prontezza e generosità, l’affabilità, la socievolezza, la capacità di essere disponibili e servizievoli senza posare a benefattore. E tutto un ventaglio di virtù umane e pastorali che la fragranza della carità di Cristo può e deve portare nella condotta del Presbitero (cf. Pastores dabo vobis PDV 23).

7. Sorretto dalla carità il Presbitero può seguire, nello svolgimento del suo ministero, l’esempio di Cristo, il cui cibo era il compimento della volontà del Padre. Nell’amorosa adesione a questa volontà il Presbitero troverà il principio e la fonte di unità della sua vita. Lo afferma il Concilio: i Presbiteri dovranno “unirsi a Cristo nella scoperta della volontà del Padre... Così, rappresentando il buon Pastore, nell’esercizio stesso dell’attività pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività” (PO 14). La sorgente a cui attingere tale carità resta sempre l’Eucaristia, che costituisce “il centro e la radice di tutta la vita del Presbitero”, la cui anima dovrà perciò studiarsi di “rispecchiare ciò che viene realizzato sull’altare” (PO 14).

La grazia e la carità dell’altare si dilata così all’ambone, al confessionale, all’archivio parrocchiale, alla scuola, all’oratorio, alle case e alle strade, agli ospedali, ai mezzi di trasporto e a quelli di comunicazione sociale, dovunque il Presbitero ha la possibilità di adempiere il suo compito di pastore: in ogni caso è la sua Messa che si espande, è la sua unione spirituale con Cristo Sacerdote e Ostia che lo porta ad essere – come diceva sant’Ignazio d’Antiochia – “frumento di Dio per esser trovato pane mondo di Cristo” (cf. Epist. ad Romanos, IV, 1), per il bene dei fratelli.

Ai gruppi di lingua francese

Ai visitatori di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai visitatori di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini italiani

Rivolgo ora un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare il gruppo dei Missionari Monfortani, che stanno celebrando il loro Capitolo Generale. Auspico, carissimi, che questo importante momento di verifica e di programmazione contribuisca all’approfondimento della missione tipica del vostro Istituto per il bene di tutta la Chiesa. Vi sostenga la potente intercessione di Maria, Stella dell’Evangelizzazione, e vi accompagni il mio incoraggiamento, che volentieri indirizzo a voi qui presenti ed ai vostri Confratelli, che operano nei diversi Continenti, per una rinnovata testimonianza, anche nella società attuale, della ricca spiritualità di San Luigi Maria Grignion de Montfort.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Mi rivolgo, infine, cordialmente ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli, presenti all’odierna udienza.

Cari giovani, il periodo estivo è tempo di viaggi, di pellegrinaggi e, spesso, di campi-scuola. Si tratta, soprattutto per voi giovani, di momenti preziosi per conoscere e comunicare idee ed esperienze, e per testimoniare la vostra fede in un dialogo aperto, cordiale ed ispirato a carità.

Auguro a voi, malati, che il tempo dell’estate vi porti conforto e sollievo, mentre invito ciascuno ad essere sempre consapevole del valore salvifico della sofferenza.

Agli sposi esprimo l’auspicio che sappiano annunciare con gioia e convinzione la “Buona Novella” della famiglia cristiana, testimoniando l’importanza della sua missione nella Chiesa e nella società.

A tutti la mia benedizione apostolica.





Catechesi 79-2005 23693