Catechesi 79-2005 21096

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1. Nell’episodio della Visitazione san Luca mostra come la grazia dell’Incarnazione, dopo aver inondato Maria, rechi salvezza e gioia alla casa di Elisabetta. Il Salvatore degli uomini, racchiuso nel grembo di sua Madre, effonde lo Spirito Santo, manifestandosi fin dall’inizio della sua venuta nel mondo.

Descrivendo la partenza di Maria per la Giudea, l’evangelista usa il verbo “anístemi”, che significa “alzarsi”, “mettersi in movimento”. Considerando che tale verbo viene adoperato nei Vangeli per indicare la resurrezione di Gesù (
Mc 8,31 Mc 9,9 Mc 9,31 Lc 24,7 Lc 24,46) o azioni materiali che comportano uno slancio spirituale (Lc 5,27-28 Lc 15,18 Lc 15,20), possiamo supporre che Luca voglia sottolineare, con questa espressione, lo slancio vigoroso che conduce Maria, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, a donare al mondo il Salvatore.

2. Il testo evangelico riferisce, altresì, che Maria compie il viaggio “in fretta” (Lc 1,39).Anche la notazione “verso la montagna” (Lc 1,39), nel contesto lucano, appare molto di più che una semplice indicazione topografica, poiché fa pensare al messaggero della buona novella descritto nel Libro di Isaia: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio"” (Is 52,7).

Come fa san Paolo, che riconosce il compimento di tale testo profetico nella predicazione del Vangelo (Rm 10,15), anche san Luca sembra invitare a vedere in Maria la prima “evangelista”, che diffonde la “buona notizia”, dando inizio ai viaggi missionari del divin Figlio.

Particolarmente significativa, infine, è la direzione del viaggio della Vergine Santissima: sarà dalla Galilea alla Giudea, come il cammino missionario di Gesù (cf. 9, 51).

Infatti, con la visita ad Elisabetta, Maria realizza il preludio della Missione di Gesù e, collaborando sin dall’inizio della sua maternità all’opera redentrice del Figlio, diventa il modello di coloro che nella Chiesa si pongono in cammino per recare la luce e la gioia di Cristo agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo.

3. L’incontro con Elisabetta riveste i caratteri di un gioioso evento salvifico che supera il sentimento spontaneo della simpatia familiare. Là dove l’imbarazzo dell’incredulità pare concretizzarsi nel mutismo di Zaccaria, Maria irrompe con la gioia della sua fede pronta e disponibile: “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1,40).

San Luca riferisce che “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo” (Lc 1,41). Il saluto di Maria suscita nel figlio di Elisabetta un sussulto di gioia: l’ingresso di Gesù nella casa di Elisabetta, ad opera della Madre, porta al nascituro profeta quella letizia che l’Antico Testamento annuncia come segno della presenza del Messia.

Al saluto di Maria, la gioia messianica investe anche Elisabetta che “fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!"” (Lc 1,41-42).

In virtù di un’illuminazione superiore, ella comprende la grandezza di Maria che, più di Giaele e di Giuditta, sue prefigurazioni nell’Antico Testamento, è benedetta fra le donne, a causa del frutto del suo grembo, Gesù, il Messia.

4. L’esclamazione di Elisabetta, fatta “a gran voce”, manifesta un vero entusiasmo religioso, che la preghiera dell’Ave Maria continua a far risuonare sulle labbra dei credenti, quale cantico di lode della Chiesa per le grandi opere realizzate dall’Altissimo nella Madre del suo Figlio.

Proclamandola “benedetta fra le donne”, Elisabetta addita il motivo della beatitudine di Maria nella sua fede: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45). La grandezza e la gioia di Maria hanno origine dal fatto che ella è colei che crede.

Di fronte all’eccellenza di Maria, Elisabetta comprende anche quale onore costituisca per lei la sua visita: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). Con l’espressione “mio Signore” Elisabetta riconosce la dignità regale, anzi messianica, del Figlio di Maria. Nell’Antico Testamento, infatti, questa espressione veniva usata per rivolgersi al re (cf. 1R 1,13 1R 1, ) e per parlare del Re-Messia (Ps 110,1).Di Gesù, l’angelo aveva detto: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre” (Lc 1,32). “Piena di Spirito Santo”, Elisabetta ha la stessa intuizione. Più tardi, la glorificazione pasquale di Cristo rivelerà in che senso questo titolo sia da intendersi, in un senso, cioè, trascendente (cf. Jn 20,28 Ac 2,34-36).

Con la sua esclamazione ammirativa, Elisabetta ci invita ad apprezzare tutto ciò che la presenza della Vergine reca in dono alla vita di ogni credente.

Nella Visitazione la Vergine porta alla madre del Battista il Cristo, che effonde lo Spirito Santo. Tale ruolo di mediatrice viene ben evidenziato dalle parole stesse di Elisabetta: “Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44). L’intervento di Maria produce, con il dono dello Spirito Santo, quasi un preludio della Pentecoste, confermando una cooperazione che, iniziata con l’Incarnazione, è destinata ad esprimersi in tutta l’opera della divina salvezza.




Mercoledì, 23 ottobre 1996

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Carissimi Fratelli e Sorelle!

Il mio cordiale saluto a tutti voi, che oggi siete convenuti in questa piazza per il tradizionale appuntamento dell’Udienza Generale del mercoledì. Vi ringrazio per la vostra presenza e per l’affetto che, come sempre, mi dimostrate.

Durante questi giorni i cristiani sono invitati a riflettere sull’attualità e sull’urgenza del loro impegno missionario, sia come singoli sia come comunità. Proprio la consapevolezza del valore del Vangelo per la salvezza del mondo spinge ogni credente a testimoniarlo in ogni ambiente nel quale si trova a vivere. Tutti siamo chiamati ad essere evangelizzatori, cioè annunciatori e testimoni di Cristo.

Invoco su ciascuno l’abbondanza dei favori divini e imparto a tutti voi qui presenti, come pure a quanti ci seguono mediante la radio e la televisione, la mia Benedizione.




Mercoledì, 6 novembre 1996

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1. Ispirandosi alla tradizione veterotestamentaria, col cantico del Magnificat Maria celebra le meraviglie compiute in lei da Dio. Il cantico è la risposta della Vergine al mistero dell’Annunciazione: l’angelo l’aveva invitata alla gioia, ora Maria esprime l’esultanza del suo spirito in Dio salvatore. La sua gioia nasce dall’aver fatto l’esperienza personale dello sguardo benevolo rivolto da Dio a lei, creatura povera e senza influsso nella storia.

Con l’espressione Magnificat, versione latina di un vocabolo greco dello stesso significato, viene celebrata la grandezza di Dio, che con l’annuncio dell’angelo rivela la sua onnipotenza, superando attese e speranze del popolo dell’Alleanza e anche i più nobili desideri dell’anima umana.

Di fronte al Signore, potente e misericordioso, Maria esprime il sentimento della propria piccolezza: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (
Lc 1,47-48). Il termine greco “tapéinosis” è probabilmente mutuato dal cantico di Anna, madre di Samuele. In esso sono indicate l’“umiliazione” e la “miseria” di una donna sterile (cf. 1S 1,11), che affida la sua pena al Signore. Con simile espressione Maria rende nota la sua situazione di povertà e la consapevolezza di essere piccola davanti a Dio che, con decisione gratuita, ha posato lo sguardo su di Lei, umile ragazza di Nazaret, chiamandola a divenire la Madre del Messia.

2. Le parole “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1,48) prendono avvio dal fatto che Elisabetta per prima abbia proclamato Maria “beata” (Lc 1,45). Non senza audacia, il cantico predice che la stessa proclamazione si andrà estendendo ed ampliando con un dinamismo inarrestabile. Allo stesso tempo, esso testimonia la speciale venerazione per la Madre di Gesù, presente nella Comunità cristiana sin dal primo secolo. Il Magnificat costituisce la primizia delle varie espressioni di culto, trasmesse da una generazione all’altra, con cui la Chiesa manifesta il suo amore alla Vergine di Nazaret.

3. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1,49-50).

Che cosa sono le “grandi cose” operate in Maria dall’Onnipotente? L’espressione ricorre nell’Antico Testamento per indicare la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto o da Babilonia. Nel Magnificat essa si riferisce all’evento misterioso del concepimento verginale di Gesù, avvenuto a Nazaret dopo l’annuncio dell’angelo.

Nel Magnificat, cantico veramente teologico perché rivela l’esperienza del volto di Dio compiuta da Maria, Dio non è soltanto l’Onnipotente al quale nulla è impossibile, come aveva dichiarato Gabriele (cf. Lc 1,37), ma anche il Misericordioso, capace di tenerezza e fedeltà verso ogni essere umano.

4. “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,51-53).

Con la sua lettura sapienziale della storia, Maria ci introduce a scoprire i criteri del misterioso agire di Dio. Egli, capovolgendo i giudizi del mondo, viene in soccorso dei poveri e dei piccoli, a scapito dei ricchi e dei potenti e, in modo sorprendente, colma di beni gli umili, che gli affidano la loro esistenza (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater RMA 37).

Queste parole del cantico, mentre ci mostrano in Maria un concreto e sublime modello, ci fanno capire che è soprattutto l’umiltà del cuore ad attrarre la benevolenza di Dio.

5. Infine, il cantico esalta il compimento delle promesse e la fedeltà di Dio verso il popolo eletto: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre” (Lc 1,54-55).

Colmata di doni divini, Maria non ferma il suo sguardo al suo caso personale, ma capisce come questi doni siano una manifestazione della misericordia di Dio per tutto il suo popolo. In lei Dio compie le sue promesse con una fedeltà e generosità sovrabbondante.

Ispirato all’Antico Testamento ed alla spiritualità della figlia di Sion, il Magnificat supera i testi profetici che sono alla sua origine, rivelando nella “piena di grazia” l’inizio di un intervento divino che va ben oltre le speranze messianiche d’Israele: il mistero santo dell’Incarnazione del Verbo.




Mercoledì, 13 novembre 1996

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Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono di ritorno dal vertice mondiale sull’alimentazione, che oggi si è aperto presso la FAO, qui a Roma. In quella sede mi è stato dato di rivolgere la parola ai delegati ed ai rappresentanti di quasi duecento Paesi. Ringrazio il Signore per questa opportunità ed auspico di cuore che la riflessione dei prossimi giorni possa portare ad iniziative efficaci per la soluzione del dramma sconvolgente della fame nel mondo.

Tragica è, infatti, la condizione in cui si trovano attualmente più di ottocento milioni di persone per mancanza di cibo o per malnutrizione. È necessario compiere con urgenza tutti gli sforzi possibili per cancellare lo scandalo della coesistenza di persone carenti persino del necessario e di altre ricolme del superfluo.

Dio voglia che, grazie all’apporto dei responsabili delle Nazioni, delle organizzazioni di volontariato e di ogni persona di buona volontà, cresca in ogni continente l’impegno della solidarietà con una costante attenzione ai più bisognosi.

2. Mentre parlavo questa mattina, sentivo particolarmente viva nel mio cuore la tragedia dei profughi rwandesi, burundesi e delle popolazioni zairesi del Kivu, vittime dell’inumana logica dei conflitti interetnici. È un dramma costantemente presente al mio animo. Come si può restare indifferenti dinanzi a persone che sono ormai allo stremo mentre potrebbero valersi di viveri e medicinali di prima necessità ammassati in grandi quantità a non molta distanza da loro?

Rinnovo un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità di tutte le parti coinvolte e dell’intera comunità internazionale, affinché senza indugio si muovano in soccorso di quei fratelli e di quelle sorelle. L’offesa alla loro vita e alla loro dignità è offesa fatta a Dio, di cui ogni essere umano porta in sé l’immagine. Nessuna incertezza, nessun pretesto, nessun calcolo potranno mai giustificare un ulteriore ritardo nell’assistenza umanitaria!

Preghiamo perché le sofferenze di tanti innocenti e il sangue versato da fedeli servitori della Chiesa e della causa dell’uomo servano a sconfiggere l’odio e contribuiscano a far sorgere nell’amato continente africano un’era di rispetto reciproco e di fraterna accoglienza. Preghiamo, altresì, perché si stabilisca e si radichi nel cuore degli uomini l’assoluta, ineliminabile e vivificante legge dell’amore fraterno.



Mercoledì, 20 novembre 1996

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1. Nel racconto della nascita di Gesù l’evangelista Luca riporta alcuni dati, che aiutano a meglio comprendere il significato dell’evento.

Ricorda, anzitutto, il censimento ordinato da Cesare Augusto, che obbliga Giuseppe, “della casa e della famiglia di Davide”, e Maria sua sposa a recarsi “alla città di Davide chiamata Betlemme” (
Lc 2,4).

Informandoci sulle circostanze in cui si realizzano il viaggio e il parto, l’evangelista ci presenta una situazione di disagio e di povertà, che lascia intravedere alcune fondamentali caratteristiche del regno messianico: un regno senza onori e poteri terreni, che appartiene a Colui che, nella sua vita pubblica, dirà di se stesso: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).

2. Il racconto di Luca presenta alcune annotazioni, apparentemente non molto rilevanti, con l’intento di stimolare nel lettore una migliore comprensione del mistero della Natività e dei sentimenti di Colei che genera il Figlio di Dio.

La descrizione dell’evento del parto, narrato in forma semplice, presenta Maria intensamente partecipe a ciò che si compie in lei: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia . . .” (Lc 2,7). L’azione della Vergine è il risultato della sua piena disponibilità a cooperare al disegno di Dio, già manifestata nell’Annunciazione con il suo “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

Maria vive l’esperienza del parto in una condizione di estrema povertà: non può dare al figlio di Dio nemmeno ciò che sogliono offrire le madri ad un neonato; ma deve, invece, deporlo “in una mangiatoia”, una culla improvvisata che contrasta con la dignità del “Figlio dell’Altissimo”.

3. Il Vangelo annota che “non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). Si tratta di un’affermazione che, ricordando il testo del prologo di Giovanni: “I suoi non l’hanno accolto” (Jn 1,11), quasi preannuncia i numerosi rifiuti che Gesù subirà nella sua vita terrena. L’espressione “per loro” accomuna in tale rifiuto il Figlio e la Madre e mostra come Maria sia già associata al destino di sofferenza del Figlio e resa partecipe della sua missione redentrice.

Ricusato dai “suoi”, Gesù è accolto dai pastori, uomini rozzi e malfamati, ma scelti da Dio per essere i primi destinatari della buona notizia della nascita del Salvatore. Il messaggio, che l’angelo rivolge loro, è un invito a gioire: “Ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10), seguito da una sollecitazione a superare ogni paura: “non temete”.

Infatti, come per Maria al momento dell’Annunciazione, così anche per loro la notizia della nascita di Gesù rappresenta il grande segno della benevolenza divina verso gli uomini.

Nel divin Redentore, contemplato nella povertà della grotta di Betlemme, si può scorgere un invito ad accostarsi con fiducia a Colui che è la speranza dell’umanità.

Il cantico degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”, che può essere tradotto anche con “gli uomini della benevolenza” (Lc 2,14), rivela ai pastori quanto Maria aveva espresso nel suo Magnificat: la nascita di Gesù è il segno dell’amore misericordioso di Dio, che si manifesta specialmente verso gli umili e i poveri.

4. All’invito dell’angelo i pastori rispondono con entusiasmo e sollecitudine: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2,15).

La loro ricerca non risulta infruttuosa: “Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino” (Lc 2,16). Ad essi, come ci ricorda il Concilio, “la Madre di Dio mostrò lieta . . . il Figlio suo primogenito” (Lumen gentium LG 57). È l’evento determinante per la loro vita.

Il desiderio spontaneo dei pastori di riferire “ciò che del bambino era stato detto loro” (Lc 2,17), dopo la mirabile esperienza dell’incontro con la Madre ed il Figlio, suggerisce agli evangelizzatori di tutti i tempi l’importanza e, più ancora, la necessità di un profondo rapporto spirituale con Maria, onde meglio conoscere Gesù e diventare gioiosi annunciatori del suo Vangelo di salvezza.

Di fronte a questi eventi straordinari, Luca ci dice che Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Mentre i pastori passano dallo spavento all’ammirazione e alla lode, la Vergine, grazie alla sua fede, mantiene vivo il ricordo degli eventi riguardanti il Figlio e li approfondisce con il metodo del confronto nel suo cuore, ossia nel nucleo più intimo della sua persona. In tal modo Ella suggerisce ad un’altra madre, la Chiesa, di privilegiare il dono e l’impegno della contemplazione e della riflessione teologica, per poter accogliere il mistero della salvezza, comprenderlo maggiormente ed annunciarlo con rinnovato slancio agli uomini di ogni tempo.




Mercoledì, 27 novembre 1996

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1. La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell’era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell’anno 431.

Nella prima comunità cristiana, mentre cresce tra i discepoli la consapevolezza che Gesù è il Figlio di Dio, risulta sempre più chiaro che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio. Si tratta di un titolo che non appare esplicitamente nei testi evangelici, sebbene in essi sia ricordata “la Madre di Gesù” e venga affermato che Egli è Dio (
Jn 20,28 cf. Jn 5,18 Jn 10,30 Jn 10,33). Maria viene comunque presentata come Madre dell’Emmanuele, che significa Dio con noi (cf. Mt 1,22-23).

Già nel III secolo, come si deduce da un’antica testimonianza scritta, i cristiani dell’Egitto si rivolgevano a Maria con questa preghiera: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta” (Dalla Liturgia delle Ore). In questa antica testimonianza, per la prima volta, l’espressione Theotokos, “Madre di Dio”, appare in forma esplicita.

2. Nella mitologia pagana, succedeva spesso che qualche dea fosse presentata come madre di qualche dio. Zeus, ad esempio, dio supremo, aveva per madre la dea Rea. Tale contesto ha forse facilitato, da parte dei cristiani, l’uso del titolo “Theotokos”, “Madre di Dio”, per la madre di Gesù. Bisogna tuttavia notare che questo titolo non esisteva, ma fu creato dai cristiani per esprimere una fede che non aveva niente a che vedere con la mitologia pagana, la fede nel concepimento verginale, nel seno di Maria, di Colui che era da sempre il Verbo eterno di Dio.

Con il IV secolo, il termine Theotokos è ormai di uso frequente in Oriente e in Occidente. La pietà e la teologia fanno riferimento sempre più frequentemente a tale termine, ormai entrato nel patrimonio di fede della Chiesa.
Si comprende perciò il grande movimento di protesta, che si sollevò nel V secolo, quando Nestorio mise in dubbio la legittimità del titolo “Madre di Dio”. Egli, infatti, essendo propenso a ritenere Maria soltanto madre dell’uomo Gesù, sosteneva che fosse dottrinalmente corretta solo l’espressione “Madre di Cristo”. A tale errore Nestorio era indotto dalla sua difficoltà ad ammettere l’unità della persona di Cristo e dall’interpretazione erronea della distinzione fra le due nature - divina e umana -, presenti in Lui.
Il Concilio di Efeso, nell’anno 431, condannò le sue tesi e, affermando la sussistenza della natura divina e della natura umana nell’unica persona del Figlio, proclamò Maria Madre di Dio.

3. Le difficoltà e le obiezioni mosse da Nestorio ci offrono ora l’occasione per alcune riflessioni utili per comprendere e interpretare correttamente tale titolo. L’espressione Theotokos, che letteralmente significa “colei che ha generato Dio”, a prima vista può risultare sorprendente; suscita, infatti, la domanda su come sia possibile che una creatura umana generi Dio. La risposta della fede della Chiesa è chiara: la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria.

Proclamando Maria “Madre di Dio” la Chiesa intende, quindi, affermare che Ella è la “Madre del Verbo incarnato, che è Dio”. La sua maternità non riguarda, pertanto, tutta la Trinità, ma unicamente la seconda Persona, il Figlio che, incarnandosi, ha assunto da lei la natura umana.

La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio.

4. Proclamando Maria “Madre di Dio”, la Chiesa professa con un’unica espressione la sua fede circa il Figlio e la Madre. Questa unione emerge già nel Concilio di Efeso; con la definizione della divina maternità di Maria i Padri intendevano evidenziare la loro fede nella divinità di Cristo. Nonostante le obiezioni, antiche e recenti, circa l’opportunità di riconoscere a Maria questo titolo, i cristiani di tutti i tempi, interpretando correttamente il significato di tale maternità, ne hanno fatto un’espressione privilegiata della loro fede nella divinità di Cristo e del loro amore per la Vergine.

Nella Theotokos la Chiesa, da una parte, ravvisa la garanzia della realtà dell’Incarnazione, perché - come afferma sant’Agostino - “se la Madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne . . . fittizie le cicatrici della risurrezione” (S. Agostino, Tract. in Ev. Ioannis, 8,6-7). E, dall’altra, essa contempla con stupore e celebra con venerazione l’immensa grandezza conferita a Maria da Colui che ha voluto essere suo figlio. L’espressione “Madre di Dio” indirizza al Verbo di Dio, che nell’Incarnazione ha assunto l’umiltà della condizione umana per elevare l’uomo alla figliolanza divina. Ma tale titolo, alla luce della sublime dignità conferita alla Vergine di Nazaret, proclama, pure, la nobiltà della donna e la sua altissima vocazione. Dio infatti tratta Maria come persona libera e responsabile e non realizza l’Incarnazione di suo Figlio se non dopo aver ottenuto il suo consenso.

Seguendo l’esempio degli antichi cristiani dell’Egitto, i fedeli si affidano a Colei che, essendo Madre di Dio, può ottenere dal divin Figlio le grazie della liberazione dai pericoli e dell’eterna salvezza.



Mercoledì, 4 dicembre 1996: Educatrice del Figlio di Dio

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1. Pur essendo avvenuta per opera dello Spirito Santo e di una Madre Vergine, la generazione di Gesù, come quella di tutti gli uomini, ha conosciuto le fasi del concepimento, della gestazione e del parto. Inoltre la maternità di Maria non si è limitata soltanto al processo biologico del generare, ma, al pari di quanto avviene per ogni altra madre, ha donato anche un contributo essenziale alla crescita e allo sviluppo del figlio.

Madre è non solo la donna che dà alla luce un bambino, ma colei che lo alleva e lo educa; anzi, possiamo ben dire che il compito educativo è, secondo il piano divino, il prolungamento naturale della procreazione.

Maria è Theotokos non solo perché ha generato e partorito il Figlio di Dio, ma anche perché lo ha accompagnato nella sua crescita umana.

2. Si potrebbe pensare che Gesù, possedendo in sé la pienezza della divinità, non abbia avuto bisogno di educatori. Ma il mistero dell’Incarnazione ci rivela che il Figlio di Dio è venuto nel mondo in una condizione umana del tutto simile alla nostra, eccetto il peccato (cf.
He 4,15). Come avviene per ogni essere umano, la crescita di Gesù, dall’infanzia fino all’età adulta (cf. Lc 2,40), ha avuto bisogno dell’azione educativa dei genitori.

Il Vangelo di Luca, particolarmente attento al periodo dell’infanzia, narra che Gesù a Nazaret era sottomesso a Giuseppe e a Maria (cf. Lc 2,51). Tale dipendenza ci mostra Gesù nella disposizione a ricevere, aperto all’opera educativa di sua madre e di Giuseppe, che esercitavano il loro compito anche in virtù della docilità da lui costantemente manifestata.

3. I doni speciali, di cui Dio aveva ricolmato Maria, la rendevano particolarmente idonea a svolgere il compito di madre ed educatrice. Nelle concrete circostanze di ogni giorno, Gesù poteva trovare in lei un modello da seguire e da imitare, e un esempio di amore perfetto verso Dio e i fratelli.

Accanto alla presenza materna di Maria, Gesù poteva contare sulla figura paterna di Giuseppe, uomo giusto (cf. Mt 1,19), che assicurava il necessario equilibrio dell’azione educativa. Esercitando la funzione di padre, Giuseppe ha cooperato con la sua sposa a rendere la casa di Nazaret un ambiente favorevole alla crescita ed alla maturazione personale del Salvatore dell’umanità. Iniziandolo, poi, al duro lavoro di carpentiere, Giuseppe ha permesso a Gesù di inserirsi nel mondo del lavoro e nella vita sociale.

4. I pochi elementi, che il Vangelo offre, non ci consentono di conoscere e valutare completamente le modalità dell’azione pedagogica di Maria nei confronti del suo divin Figlio. Di certo è stata lei, insieme con Giuseppe, ad introdurre Gesù nei riti e prescrizioni di Mosè, nella preghiera al Dio dell’Alleanza mediante l’uso dei Salmi, nella storia del popolo d’Israele centrata sull’esodo dall’Egitto. Da lei e da Giuseppe Gesù ha imparato a frequentare la sinagoga ed a compiere l’annuale pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua.

Guardando ai risultati, possiamo certamente dedurre che l’opera educativa di Maria è stata molto incisiva e profonda e ha trovato nella psicologia umana di Gesù un terreno molto fertile.

5. Il compito educativo di Maria, rivolto ad un figlio così singolare, presenta alcune particolari caratteristiche rispetto al ruolo delle altre mamme. Ella ha garantito soltanto le condizioni favorevoli perché potessero realizzarsi i dinamismi ed i valori essenziali di una crescita, già presenti nel figlio. Ad esempio, l’assenza in Gesù di ogni forma di peccato esigeva da Maria un orientamento sempre positivo, con l’esclusione di interventi correttivi nei confronti di lui. Inoltre, se è stata la madre ad introdurre Gesù nella cultura e nelle tradizioni del popolo d’Israele, sarà Lui a rivelare fin dall’episodio del ritrovamento nel tempio la piena consapevolezza di essere il Figlio di Dio, inviato ad irradiare la verità nel mondo seguendo esclusivamente la volontà del Padre. Da “maestra” del suo figlio, Maria diviene così l’umile discepola del divino Maestro da lei generato.

Rimane la grandezza del compito della Vergine Madre: dall’infanzia all’età adulta, ella ha aiutato il figlio Gesù a crescere “in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52) e a formarsi alla sua missione.

Maria e Giuseppe emergono perciò come modelli di tutti gli educatori. Essi li sostengono nelle grandi difficoltà che oggi incontra la famiglia e mostrano loro il cammino per giungere ad una formazione incisiva ed efficace dei figli.

La loro esperienza educatrice costituisce un punto di riferimento sicuro per i genitori cristiani, chiamati, in condizioni sempre più complesse e difficili, a porsi al servizio dello sviluppo integrale della persona dei loro figli, perché vivano un’esistenza degna dell’uomo e corrispondente al progetto di Dio.

Saluti

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Saluto tutti i Vescovi presenti e in special modo i Vescovi della Romania. Accolgo con gioia i pellegrini di lingua italiana, e saluto anzitutto il grande gruppo della parrocchia Maria Santissima Immacolata di Terzigno, diocesi di Nola, guidato dal Vescovo, Monsignor Umberto Tramma. Carissimi fedeli di Terzigno, vedo con piacere che l'intera vostra cittadina ha aderito con entusiasmo a questo pellegrinaggio, organizzato in occasione dei 250 anni della venerata effige dell'Immacolata. So quanto siete devoti di Maria, e molto volentieri benedico la corona e le stelle d'oro destinate a decorarla. Possiate essere sempre voi stessi, carissimi, il più degno ornamento della vostra santissima Patrona!

Saluto poi con grande cordialità i promotori della nobile iniziativa « Telethon ». Da alcuni anni, ormai, essi si preoccupano di compiere attraverso la televisione un'importante opera di sensibilizzazione in favore di quanti sono affetti da distrofia muscolare e da altre malattie genetiche. L'impegno e il sostegno finanziario per la ricerca scientifica, in vista della guarigione di mali tanto gravi che ancor oggi colpiscono migliaia di bambini e di adulti, costituiscono un messaggio incoraggiante per il nostro tempo. Esprimo con affetto la mia vicinanza alle persone ammalate; ed auspico che questa lunga « maratona della speranza » susciti nella pubblica opinione un rinnovato spirito di generosa fraternità.

Rivolgo inoltre uno speciale pensiero al folto gruppo di bambini e ragazzi affetti da thalassemia o anemia mediterranea. Grazie della vostra presenza, carissimi! Possano gli sforzi dei ricercatori e della vostra benemerita Associazione aiutare tutti i thalassemici e le loro famiglie. Esprimo apprezzamento anche per quanti, donando il proprio sangue, permettono di vivere a molti di questi malati.

Saluto la Delegazione del Comune di Forli esprimendo vivo apprezzamento per l'iniziativa di educazione alla pace organizzata in occasione del 50° anniversario della fine della II Guerra Mondiale; saluto il gruppo dell'Associazione « Famiglia » di Napoli e i cittadini di Bassiano, per i quali benedico la statua di Gesù Bambino destinata alla città di Salta, in Argentina.

Ed ora rivolgo il mio cordiale saluto ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli.

Carissimi, in questo tempo di Avvento il Signore viene ad incontrare ciascuno nella sua quotidiana esperienza: incontra voi, cari giovani, e vi aiuta ad accoglierlo come Via, Verità e Vita; incontra voi, cari ammalati, e vi conforta con la sua consolante presenza; incontra voi, cari sposi novelli, e vi incoraggia a crescere nella fiduciosa apertura all'amore autentico e fecondo.




Mercoledì, 11 dicembre 1996

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All’Udienza Generale è presente il Catholicos-Patriarca Supremo di tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin I Sarkissian, che in questi giorni è giunto in pellegrinaggio alla Chiesa di Roma. All’inizio dell’incontro, Giovanni Paolo II ha voluto sottolineare il particolare significato di questa visita ed ha presentato ai fedeli il “venerabile e caro fratello in Cristo”.

All’inizio di questo nostro incontro, vi presento con sentimenti di grande gioia il venerabile e caro fratello in Cristo, Sua Santità Karekin I, Catholicos supremo di tutti gli Armeni, il quale soggiorna in questi giorni accanto a me, in Vaticano, insieme con illustri rappresentanti della sua Chiesa: il Patriarca di Gerusalemme degli Armeni, il Patriarca di Costantinopoli degli Armeni, e altri eminenti Arcivescovi.

Dal suo lontano paese, l’Armenia, il Catholicos è venuto in pellegrinaggio alla Chiesa di Roma, fondata sulla confessione di fede degli Apostoli Pietro e Paolo. Questa città gli era già nota. Egli vi ha infatti lungamente abitato durante il Concilio Vaticano II, al quale ha preso parte come osservatore assiduo ed attento. Io stesso ho avuto il piacere di riceverlo nel 1983, quando, da poco chiamato a guidare la Sede di Cilicia degli Armeni in Libano, egli è venuto a farmi visita. Oltre a queste importanti e più officiali occasioni, abbiamo anche intrattenuto in questi lunghi anni una corrispondenza fraterna, e abbiamo cercato di condividere importanti eventi della vita delle nostre Chiese. Nell’aprile dello scorso anno, quando è stato chiamato alla venerabile sede di Etchmiadzine e alla guida della Chiesa Apostolica Armena, ho affidato al Cardinale Edward Idris Cassidy l’incarico di rappresentarmi alla cerimonia della sua intronizzazione. Oggi, pertanto, io accolgo un fratello, che ritrovo nella carità e nella gioia.

Guidati dalla profonda comunione che già ci unisce, il Catholicos Karekin ed io nutriamo la speranza che gli incontri e gli scambi di questi giorni favoriranno ulteriori passi verso la piena unità.

In questo clima ecumenico riprendiamo ora le nostre catechesi mariologiche.




Catechesi 79-2005 21096