Catechesi 79-2005 60995

Mercoledi 6 Settembre 1995: Presenza di Maria all'origine della Chiesa

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Roma,


1. Dopo essermi soffermato nelle precedenti catechesi ad approfondire l'identità e la missione della Chiesa, avverto ora il bisogno di volgere lo sguardo verso la Beata Vergine, Colei che ne ha perfettamente realizzato la santità e ne costituisce il modello.

E' quanto hanno fatto gli stessi Padri del Concilio Vaticano II: dopo aver esposto la dottrina sulla realtà storico-salvifica del Popolo di Dio, hanno voluto completarla con l'illustrazione del ruolo di Maria nell'opera della salvezza. Il capitolo VIII della Costituzione conciliare Lumen gentium infatti, ha lo scopo non solo di sottolineare la valenza ecclesiologica della dottrina mariana, ma di mettere altresi in luce il contributo che la figura della Beata Vergine offre alla comprensione del mistero della Chiesa.


2. Prima di esporre l'itinerario mariano del Concilio, desidero rivolgere uno sguardo contemplativo a Maria, così come, all'origine della Chiesa, è descritta negli Atti degli Apostoli. Luca, all'inizio di questo scritto neotestamentario che presenta la vita della prima comunità cristiana, dopo aver ricordato singolarmente i nomi degli Apostoli (
Ac 1,13), afferma: "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (Ac 1,14).

In questo quadro spicca la persona di Maria, la sola che viene ricordata con il proprio nome, oltre agli apostoli: ella rappresenta un volto della Chiesa diverso e complementare rispetto a quello ministeriale o gerarchico.


3. La frase di Luca, infatti, riferisce la presenza, nel cenacolo, di alcune donne, manifestando così l'importanza del contributo femminile alla vita della Chiesa, sin dai primordi. Questa presenza viene messa in rapporto stretto con la perseveranza della comunità nella preghiera e con la concordia. Questi tratti esprimono perfettamente due aspetti fondamentali del contributo specifico delle donne alla vita ecclesiale. Più propensi all'attività esterna, gli uomini hanno bisogno dell'aiuto delle donne per essere riportati alle relazioni personali e per progredire verso l'unione dei cuori.

"Benedetta fra le donne" (Lc 1,42), Maria assolve in modo eminente questa missione femminile. Chi, meglio di Maria, favorisce in tutti i credenti la perseveranza nella preghiera? Chi promuove, meglio di lei, la concordia e l'amore? Riconoscendo la missione pastorale affidata da Gesù agli Undici, le donne del cenacolo, con Maria in mezzo a loro, si uniscono alla loro preghiera e testimoniano, nello stesso tempo, la presenza nella Chiesa di persone che, pur non avendo ricevuto quella missione, sono ugualmente membri, a pieno titolo, della comunità radunata nella fede in Cristo.


4. La presenza di Maria nella comunità, che attende in preghiera l'effusione dello Spirito (cfr. Ac 1,14), evoca la parte da lei avuta nell'incarnazione del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35). Il ruolo della Vergine in quella fase iniziale e il ruolo che essa svolge ora, nella manifestazione della Chiesa a Pentecoste, sono strettamente collegati.

La presenza di Maria nei primi momenti di vita della Chiesa è posta in singolare evidenza dal confronto con la partecipazione assai discreta che Ella ha avuto precedentemente, durante la vita pubblica di Gesù. Quando il Figlio inizia la sua missione, Maria resta a Nazaret, anche se tale separazione non esclude contatti significativi, come a Cana, e, soprattutto, non le impedisce di partecipare al sacrificio del Calvario.

Nella prima comunità, invece, il ruolo di Maria assume notevole rilevanza. Dopo l'Ascensione ed in attesa della Pentecoste, la Madre di Gesù è presente personalmente ai primi passi dell'opera avviata dal Figlio.


5. Gli Atti degli Apostoli, sottolineano che Maria si trovava nel Cenacolo "con i fratelli di Gesù" (Ac 1,14), cioè con i suoi parenti, come ha sempre interpretato la tradizione ecclesiale: non si tratta tanto di un raduno di famiglia, quanto del fatto che, sotto la guida di Maria, la famiglia naturale di Gesù è venuta a far parte della famiglia spirituale del Cristo: "Chi compie la volontà di Dio, - aveva detto Gesù - costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,34).

Nella medesima circostanza Luca qualifica esplicitamente Maria come "la Madre di Gesù" (Ac 1,14), quasi a voler suggerire che qualcosa della presenza del Figlio asceso al cielo rimane nella presenza della madre. Ella ricorda ai discepoli il volto di Gesù ed è, con la sua presenza in mezzo alla Comunità, il segno della fedeltà della Chiesa a Cristo Signore.

Il titolo di "Madre", in questo contesto, annuncia l'atteggiamento di premurosa vicinanza con cui la Vergine seguirà la vita della Chiesa. Ad essa Maria aprirà il suo cuore per manifestare le meraviglie operate in lei da Dio onnipotente e misericordioso.

Sin dall'inizio Maria esercita il suo ruolo di "Madre della Chiesa": la sua azione favorisce l'intesa fra gli Apostoli che Luca presenta "concordi" e molto lontani dalle dispute che talvolta erano sorte tra loro.

Maria esercita, infine, la sua maternità verso la comunità dei credenti, non solo pregando per ottenere alla Chiesa i doni dello Spirito Santo, necessari per la sua formazione ed il suo futuro, ma educando, altresi, i discepoli del Signore alla costante comunione con Dio.

Ella si rende così educatrice del popolo cristiano alla preghiera, all'incontro con Dio, elemento centrale e indispensabile perché l'opera dei Pastori e dei fedeli abbia sempre nel Signore il suo inizio e la sua motivazione profonda.


6. Da queste brevi considerazioni emerge chiaramente come il rapporto tra Maria e la Chiesa costituisca un confronto affascinante tra due madri. Esso ci rivela chiaramente la missione materna di Maria e impegna la Chiesa a cercare sempre la sua vera identità nella contemplazione del volto della Theotokos.

(Segue saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli]




Mercoledi 13 Settembre 1995: Il volto materno di Maria nei primi secoli

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Piazza San Pietro -

Lettura:
Lc 1,28-33

1. Nella Costituzione Lumen Gentium il Concilio afferma che "i fedeli che aderiscono a Cristo capo e sono in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria "innanzitutto della gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo"" (LG 52). La Costituzione conciliare utilizza i termini del Canone Romano della Messa, sottolineando così come la fede nella divina maternità di Maria sia presente nel pensiero cristiano sin dai primi secoli.

Nella Chiesa nascente Maria è ricordata col titolo di "Madre di Gesù". E lo stesso Luca a tributarle negli Atti degli Apostoli questa qualifica, che corrisponde, del resto, a quanto è detto nei Vangeli: "Non è costui... il figlio di Maria?", si chiedono gli abitanti di Nazareth, secondo il racconto dell'evangelista Marco (Mc 6,3); "Sua madre non si chiama Maria", è la domanda registrata da Matteo (Mt 13,55).

2. Agli occhi dei discepoli, radunati dopo l'Ascensione, il titolo di "Madre di Gesù" assume tutto il suo significato. Maria è per loro una persona unica nel suo genere: ha ricevuto la grazia singolare di generare il Salvatore dell'umanità, è vissuta per lungo tempo accanto a lui e sul Calvario è stata chiamata dal Crocifisso ad esercitare una "nuova maternità", nei confronti del discepolo prediletto e, attraverso lui, di tutta la Chiesa.

Per coloro che credono in Gesù e lo seguono, "Madre di Gesù" è un titolo di onore e di venerazione, che rimarrà tale per sempre nella vita e nella fede della Chiesa. In modo particolare, con questo titolo i cristiani intendono affermare che non ci si può riferire all'origine di Gesù, senza riconoscere il ruolo della donna che lo ha generato nello Spirito secondo la natura umana. La sua funzione materna interessa anche la nascita e lo sviluppo della Chiesa. Ricordando il posto di Maria nella vita di Gesù, i fedeli ne scoprono ogni giorno l'efficace presenza anche nel proprio itinerario spirituale.

3. Sin dall'inizio, la Chiesa ha riconosciuto a Maria la maternità verginale. Come fanno intuire i Vangeli dell'infanzia, le stesse prime comunità cristiane hanno raccolto i ricordi di Maria sulle circostanze misteriose del concepimento e della nascita del Salvatore. In particolare, il racconto dell'Annunciazione (Lc 1,28-33) risponde al desiderio dei discepoli di conoscere in modo più approfondito gli avvenimenti legati agli inizi della vita terrena del Cristo risorto. Maria è, in ultima analisi, all'origine della rivelazione circa il mistero del concepimento verginale ad opera dello Spirito Santo.

Tale verità, mostrando l'origine divina di Gesù, dai primi cristiani è stata subito colta nella sua significativa rilevanza ed annoverata tra le affermazioni cardine della loro fede. Figlio di Giuseppe secondo la legge, in realtà Gesù, per un intervento straordinario dello Spirito Santo, nella sua umanità è unicamente figlio di Maria, essendo nato senza intervento di uomo. La verginità di Maria, assume così un valore singolare, gettando nuova luce sulla nascita e sul mistero della filiazione di Gesù, essendo la generazione verginale il segno che Gesù ha come Padre Dio stesso.

Riconosciuta e proclamata dalla fede dei Padri, la maternità verginale non potrà mai più essere separata dall'identità di Gesù, vero uomo e vero Dio, in quanto nato da Maria Vergine, come professiamo nel Simbolo Niceno-costantinopolitano. Maria è la sola Vergine che sia anche Madre. La compresenza straordinaria di questi due doni nella persona della fanciulla di Nazareth ha portato i cristiani a chiamare Maria semplicemente "la Vergine", anche quando celebrano la sua maternità.

La verginità di Maria inaugura così nella comunità cristiana la diffusione della vita verginale, abbracciata da quanti ad essa sono chiamati dal Signore. Tale speciale vocazione, che raggiunge il suo vertice nell'esempio di Cristo, costituisce per la Chiesa di tutti i tempi, che trova in Maria l'ispirazione e il modello, una ricchezza spirituale incommensurabile.


4. L'asserzione: "Gesù è nato da Maria Vergine" implica già la presenza in questo evento di un mistero trascendente, che soltanto nella verità della figliolanza divina di Gesù può trovare la sua espressione più completa. A tale formulazione centrale della fede cristiana è strettamente legata la verità della maternità divina di Maria: ella infatti è Madre del Verbo incarnato, il quale è "Dio da Dio... Dio vero da Dio vero". Il titolo di Madre di Dio, già testimoniato da Matteo nella formula equivalente di Madre dell'Emmanuele, Dio con noi (cfr. Mt 1,23), è stato attribuito esplicitamente a Maria solo dopo una riflessione che ha abbracciato circa due secoli. Sono i cristiani del terzo secolo che, in Egitto, iniziano ad invocare Maria come "Theotokos", Madre di Dio.

Con questo titolo, che trova ampia eco nella devozione del popolo cristiano, Maria appare nella vera dimensione della sua maternità: è Madre del Figlio di Dio, che ha generato verginalmente secondo la natura umana e con il suo amore materno ha educato, contribuendo alla crescita umana della persona divina, venuta a trasformare il destino dell'umanità.


5. In maniera quanto mai significativa, la più antica preghiera a Maria ("Sub tuum praesidium..." "Sotto la tua protezione...") contiene l'invocazione: "Theotokos, Madre di Dio". Questo titolo non proviene anzitutto da una riflessione dei teologi, ma da un'intuizione di fede del popolo cristiano. Coloro che riconoscono Gesù come Dio si rivolgono a Maria come Madre di Dio e sperano di ottenere il suo potente soccorso nelle prove della vita.

Il Concilio di Efeso, nell'anno 431, definisce il dogma della divina maternità, attribuendo ufficialmente a Maria il titolo di "Theotokos", in riferimento all'unica persona di Cristo, vero Dio e vero Uomo.

Le tre espressioni con le quali la Chiesa ha illustrato lungo i secoli la sua fede nella maternità di Maria: "Madre di Gesù", "Madre verginale" e "Madre di Dio", manifestano dunque che la maternità di Maria appartiene intimamente al mistero dell'Incarnazione. Sono affermazioni dottrinali, connesse pure alla pietà popolare, che contribuiscono a definire l'identità stessa di Cristo.

(Il Papa ha poi aggiunto:] Pieno di gratitudine al Signore per l'indimenticabile incontro con tanti giovani, radunati intorno alla Madonna di Loreto, desidero oggi invitarvi a continuare a pregare per la pace nella regione del Sud-est dell'Europa, specialmente nella martoriata Bosnia Erzegovina.

Ampi settori di quelle popolazioni sono tuttora sottoposti a gravissime sofferenze, ma tutti auspichiamo che i negoziati in corso siano i primi passi verso la pace. Sappiamo quanto è difficile edificare la pace su basi ferme e giuste. Tutto ciò esige non solo il rispetto di tutti i diritti umani, il ritorno degli esuli e dei profughi, ma anche e soprattutto il perdono e la riconciliazione.

La Chiesa cattolica, fedele alla missione affidatale dal Signore, continuerà a promuovere e ad appoggiare ogni iniziativa dei "costruttori di pace".

In questo contesto, ho convocato a Roma, per martedi 17 ottobre prossimo, i Vescovi della Bosnia Erzegovina, della Croazia, della Federazione Jugoslava, della Macedonia e della Slovenia, per studiare insieme a loro come affrettare l'avvento di una pace duratura e venire incontro alle legittime esigenze di quanti sono vittime di questa interminabile guerra. Vi invito fin d'ora a pregare per il buon esito di tale incontro.

(Ai giovani, ai malati agli sposi novelli:] Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli oggi presenti. Domani la Chiesa celebra la festa dell'Esaltazione della Santa Croce. Cari giovani, ringrazio Dio perché nei vostri raduni, anche nell'ultimo a Loreto, portate sempre la Croce. Avete capito che essa è segno di amore e di vita: siate fedeli alla Croce di Cristo! Voi, cari malati, che portate il peso della vostra condizione, condividetelo con Cristo e, uniti a Lui, offritelo per la salvezza del mondo. E voi, cari sposi novelli, ponete la vostra famiglia sotto il segno della Croce, per vivere ogni giorno nella reciproca donazione.



Mercoledi 27 Settembre 1995: Le linee essenziali della Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Africa"

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Roma -


I cattolici africani sono chiamati ad essere testimoni "fino agli estremi confini della terra"

Cari Fratelli e Sorelle!


1. Il 14 settembre ho avuto la gioia di firmare a Yaoundé, all'inizio della fase celebrativa dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, l'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa. Nei giorni seguenti, in occasione delle festose celebrazioni eucaristiche che hanno riunito centinaia di migliaia di fedeli a Yaoundé, a Johannesburg e a Nairobi, ho consegnato questo documento ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi ed alle religiose, ai catechisti ed ai laici dell'Africa. Affidando ad essi i frutti del Sinodo, ho chiesto loro di meditarli e di viverli, per trasmetterli alle generazioni che verranno; si tratta infatti della missione evangelizzatrice della Chiesa in Africa verso l'Anno 2000 e molto più in là.

Un Sinodo continentale che coinvolge anche la Chiesa universale Negli stessi giorni, durante le solenni sessioni sinodali, sono stati ripresi i temi essenziali del Sinodo, con la partecipazione dei Cardinali, Presidenti delegati dell'Assemblea speciale, dei Vescovi delle regioni e del luogo, in atteggiamento di dialogo con i cristiani non cattolici e con alcuni rappresentanti dell'Islam e della religione tradizionale africana.

Desidero oggi presentare le linee essenziali della Esortazione post-sinodale. Pur trattandosi, infatti, del frutto di un Sinodo continentale, essa non tocca solo l'Africa, ma coinvolge anche la Chiesa universale (). In Africa, ho assicurato ai membri di quelle Chiese ancora giovani che non mancherà loro il sostegno delle Chiese delle altre regioni del mondo: lo richiede la comunione che ci unisce tutti nel medesimo Corpo di Cristo.

Spetta sempre più agli stessi Africani assicurare la vitalità della loro Chiesa


2. L'Esortazione ricorda che il Sinodo per l'Africa è stato, a partire dal Concilio Vaticano II, il punto di arrivo di una serie di incontri dei Vescovi dell'Africa, desiderosi di scambiarsi le esperienze e le preoccupazioni del loro impegno pastorale. Quelle riunioni, tenute con periodica regolarità, hanno certamente contribuito alla maturazione di Chiese in gran parte di recente fondazione. Tra la convocazione del Sinodo, nel 1989, e la sessione di lavoro a Roma, nel 1994, ampie consultazioni hanno coinvolto i fedeli a tutti i livelli nella stessa Africa: durante il Sinodo, i Vescovi hanno veramente beneficiato della preghiera e della testimonianza di tutto il Popolo di Dio.

L'Assemblea speciale ha manifestato, presso la tomba di Pietro, il vigore della fede vissuta dalla Chiesa in Africa. Gli stessi Padri sinodali hanno descritto l'evento come un Sinodo di risurrezione e di speranza. Essi hanno fatto insieme, in unione col Vescovo di Roma, una forte esperienza della comunione collegiale che li lega a servizio del proprio popolo e della Chiesa universale.

Al termine delle loro settimane di lavoro, essi hanno rivolto al popolo di Dio un importante messaggio e mi hanno consegnato le proposte che avevano elaborato. A partire da tutti questi elementi, nell'Esortazione apostolica ho offerto alla Chiesa in Africa le linee di un rinnovato impegno pastorale, nel cammino verso il terzo millennio. Come ho detto a Nairobi, il Sinodo è finito, ma il Sinodo comincia. Spetta sempre più agli stessi Africani assicurare la vitalità della loro Chiesa.

Un rendimento di grazie al Signore per le meraviglie da Lui compiute


3. L'evangelizzazione in Africa ha una lunga storia: nel Nord del continente, essa risale alle prime generazioni cristiane, ed ancora oggi viene conservata viva la tradizione apostolica risalente a san Marco. Ma è solo negli ultimi secoli che il Vangelo è stato annunciato nella quasi totalità delle regioni del continente, grazie all'opera di missionari generosi, ai quali il Sinodo ha rivolto un fervido omaggio. Oggi, le centinaia di diocesi dell'Africa sono per la maggior parte rette da Vescovi nati in quella terra.

Il Sinodo ha voluto rendere grazie al Signore per le meraviglie da Lui compiute. Al tempo stesso, pero, i Padri sinodali hanno affrontato senza abbandonarsi al pessimismo, le numerose, e spesso tragiche, difficoltà di "un continente saturo di cattive notizie" (). Esse sono altrettante sfide per i cristiani, che devono fare opera di buoni Samaritani, offrendo quella "presenza comprensiva" e al tempo stesso sollecita e operosa di cui i figli e le figlie dell'Africa hanno particolare bisogno (cfr. ).

Calare il Vangelo nel cuore della cultura africana


4. Una delle maggiori preoccupazioni che l'evangelizzazione deve oggi affrontare nel continente è l'opera di inculturazione. Si tratta di calare il Vangelo, come è avvenuto per altri popoli e civiltà del mondo cristiano, nel cuore della cultura africana, valorizzandone tutto il positivo e purificando ciò che vi è di incompatibile col messaggio di Cristo. La Chiesa in Africa assumerà così sempre di più quel volto africano che ho potuto ancora una volta, con grande gioia, sperimentare nella liturgia, nei canti e nelle danze, come pure nella maniera di ricevere e onorare la Parola di Dio.

La Chiesa come Famiglia di Dio I nostri fratelli d'Africa amano mettere l'accento sul tema della Chiesa come Famiglia, poiché questa immagine traduce particolarmente bene, secondo la loro sensibilità, il "mistero" della vita ecclesiale. La comunità cristiana è, in effetti, una vera "famiglia", poiché tutti i battezzati sono uniti da un rapporto di comunione che li rende, in Cristo, un corpo solo (cfr.
Rm 12,5) e li spinge ad avere un cuor solo e un'anima sola (cfr. Ac 4,32). A partire da questa esperienza di "famiglia di Dio", i cristiani d'Africa sapranno aprirsi a tutti gli uomini, intessendo un dialogo sincero anche con le altre religioni e soprattutto impegnandosi a favore dei poveri e degli ultimi, così che la Chiesa in Africa diventi veramente voce di coloro che non hanno voce ().

Far fronte alle sfide del terzo millennio


5. Additando questa prospettiva, l'Esortazione post-sinodale traccia le linee portanti di quel programma per "l'organica solidarietà pastorale nell'intero territorio africano ed isole attigue", di cui avevo parlato fin dalla convocazione dell'Assemblea (Angelus del 6 Gennaio 1989; cfr. Ecclesia in Africa, n. ). Essa invita i cattolici d'Africa a far fronte alle sfide del terzo millennio: l'urgenza dell'annuncio evangelico e della proposta del battesimo, l'indispensabile approfondimento, nei battezzati, del senso della fede, il coraggio della testimonianza, la scelta del perdono e della riconciliazione anche nelle situazioni più drammatiche. In particolare, occorre sostenere, talora salvare, la famiglia africana, evangelizzandola perché sia a sua volta il primo luogo dell'evangelizzazione (cfr. cap. IV).

""Mi sarete testimoni" in Africa": è il titolo di un capitolo dell'Esortazione, che applica direttamente il precetto missionario di Gesù ai fedeli d'Africa, impegnandoli ad essere gli agenti dell'evangelizzazione, nella diversità delle loro vocazioni: dai Vescovi fino ai laici, con l'aiuto delle strutture complementari che compongono il tessuto ecclesiale. Si tratta di costruire il Regno di Dio, edificando la comunità ecclesiale ed insieme animando la società, perché con l'aiuto della grazia, prevalgano sempre di più la giustizia, la pace, il bene comune delle Nazioni (cfr. cap. V).

Missionari per i loro popoli e al di là dei loro popoli


6. I cattolici africani sono chiamati ad essere testimoni "fino agli estremi confini della terra". Essi stessi sono ormai missionari per i loro popoli e al di là dei loro popoli. E' per noi tutti motivo di gioia prendere atto della capacità di queste giovani Chiese di condividere ormai pienamente la sollecitudine di tutte le Chiese, come ha fortemente chiesto il Concilio Vaticano II (cfr. cap. VII).

Sorretti da viva speranza, ci rivolgiamo a Maria, Stella dell'evangelizzazione, perché il Sinodo rappresenti per l'Africa l'esperienza di una nuova Pentecoste. Le indicazioni offerte dai Padri sinodali e raccolte in questa Esortazione frutto di un intenso lavoro collegiale, siano per tutti i cattolici del continente stimolo e orientamento nella loro quotidiana risposta agli impegni battesimali. Con l'apporto di tutti, la Chiesa in Africa potrà attuare sempre più efficacemente la sua missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio.

(Segue un saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli]



Mercoledi 11 Ottobre 1995: I contenuti fondamentali della visita alle Nazioni Unite

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Roma -


Dai diritti dell'uomo ai diritti delle Nazioni

Carissimi Fratelli e Sorelle,


1. Sono da poco tornato dagli Stati Uniti d'America, dove mi sono recato per partecipare alla commemorazione del cinquantesimo anniversario della fondazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, e per visitare le Diocesi di Newark, di New York, di Brooklyn e di Baltimore.

Desidero anzitutto ringraziare il Presidente e le Autorità di quel Paese per la loro cordiale ospitalità. Ringrazio il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Dr. Boutros Boutros-Ghali e il Presidente dell'Assemblea, il Signor Diogo Freitas do Amaral, per le cortesi parole che hanno voluto rivolgermi. Uno speciale pensiero va a tutto il personale dell'ONU per il calore con cui mi ha accolto. Il lavoro quotidiano e qualificato di tanti uomini e donne votati alla causa delle Nazioni Unite è un motivo di speranza per il futuro di questa nobile Istituzione.

Il mio vivissimo ringraziamento si estende ai Pastori, ai sacerdoti, ai fedeli delle Chiese visitate e agli abitanti delle Città dove sono stato. Esprimo la mia sentita riconoscenza a tutti coloro che, in vario modo, si sono adoperati per far si che la mia permanenza si svolgesse serenamente e potesse recare i frutti sperati.


2. Rimandando ad un'altra circostanza la riflessione sul resto del viaggio apostolico, quest'oggi vorrei soffermarmi sulla visita all'ONU.

Sono tornato in tale alto Consesso Internazionale dopo 16 anni.

L'occasione mi è stata offerta dalla ricorrenza cinquantenaria di fondazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. La mia visita è avvenuta a trent'anni esatti dallo storico discorso che il mio Predecessore, il Papa Paolo VI, rivolse in quella Sede ai popoli del mondo. Quanti avvenimenti di eccezionale importanza sono accaduti nel frattempo! Hanno trovato felice soluzione antichi problemi, ma nuvole oscure incombono ancora sull'orizzonte mondiale. In Europa è caduto il muro che separava l'Est dall'Ovest, ma nel mondo resta profondo, per il grande divario economico, il solco tra Nord e Sud; si avverte la necessità di bandire le armi atomiche, ma continua, spesso nell'ombra, la proliferazione di armi sofisticate e distruttive; si va approfondendo, grazie al massiccio e costante interscambio tra Nazioni e culture, la coscienza dell'unità della famiglia umana, ma insieme esplodono in regioni d'ogni continente nazionalismi aggressivi e sanguinosi conflitti. Davanti a tale situazione, come non rendersi conto dell'importanza dell'ONU? Ringrazio vivamente il Signore per avermi dato la possibilità di offrire un contributo perché l'Organizzazione delle Nazioni Unite assolva sempre più efficacemente il compito per cui fu fon

Data: quella di essere un centro di armonizzazione che garantisca la pace, tuteli i diritti umani dei singoli e dei popoli, aiuti gli uomini ad edificare un mondo in cui le varie Nazioni si sentano davvero una "famiglia".


3. Lungo l'arco dei trascorsi cinquant'anni siamo stati testimoni di una costante ricerca della libertà da parte di uomini e donne coraggiosi di tutte le latitudini. Le rivoluzioni non violente del 1989 e la caduta di storici steccati fra l'Est e l'Ovest dell'Europa sono una viva testimonianza di come il cuore dell'uomo aneli incessantemente a questo fondamentale valore. Alla prova dei fatti, ha dimostrato la sua perenne attualità la Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo, in cui vennero solennemente affermati la dignità della persona umana, con i diritti che le appartengono, a partire da quello della libertà di coscienza e di religione.

Ma la meditazione su questo anniversario mi ha indotto a rilevare come non vi sia, a tutt'oggi, un analogo accordo internazionale che sancisca in modo adeguato i diritti delle Nazioni. Se la carta dei diritti umani fondamentali pone in luce in maniera eloquente i diritti delle persone, occorre ora adoperarsi per giungere ad una carta che preservi e promuova il diritto dei popoli ad esistere in uno spirito di rispettosa convivenza, di reciproca tolleranza e di concreta solidarietà.

Oggi siamo spettatori di due fenomeni apparentemente contraddittori: da un lato costatiamo il libero unirsi o il federarsi di interi gruppi di Nazioni o Paesi in entità comunitarie più ampie; dall'altro, vediamo il riemergere prorompente di particolarismi, che sono sintomo di un bisogno di identità e di sopravvivenza di fronte a vasti processi di assimilazione culturale. Una "Carta delle Nazioni", pertanto, che interpreti ed ordini queste spinte complementari nel quadro dei principi etico-giuridici fondamentali dell'umanità non potrà non contribuire ad una più pacifica convivenza tra i popoli.


4. Si tratta di riconoscere e promuovere, per tutte le Nazioni del mondo, al di là delle diverse configurazioni che esse possono assumere sul piano giuridico-statuale, alcuni diritti originari e inalienabili: il diritto ad esistere, ad avere una propria lingua e cultura, all'educazione delle generazioni più giovani secondo le proprie tradizioni, ma sempre nel rispetto dei diritti di tutti, e in particolare delle minoranze.

L'ONU è chiamata a farsi garante e promotrice di tali attese a questo impegno risponderà efficacemente nella misura in cui, come una vera famiglia delle Nazioni, favorirà un fecondo "scambio di doni" tra le tante diversità che caratterizzano i popoli della terra.

Non bisogna aver paura della diversità: ciascuna cultura, infatti, è una testimonianza dello sforzo incessante ed esaltante compiuto dall'umanità per interpretare il mistero di Dio, del mondo e dell'uomo. In questo cammino, che si traduce per ogni nazione in valori, istituzioni, cultura, possono esserci anche limiti ed errori, che la legge morale universale inscritta nel cuore umano, e lo stesso scambio inter-culturale aiuteranno a superare. Viste in tale ottica, le differenze diventano una ricchezza comune dell'intera umanità.


5. Non bisogna, tuttavia, confondere la difesa e la promozione della propria identità nazionale con l'insana ideologia del nazionalismo, che induce al disprezzo degli altri. Un conto, infatti, è il giusto amore per il proprio paese, ed altra cosa è il nazionalismo che pone i popoli in contrasto tra loro. Esso è profondamente ingiusto, perché contrario al dovere della solidarietà, e provoca reazioni e inimicizie in cui maturano i germi della violenza e della guerra.

Pertanto, l'auspicata Carta delle Nazioni non potrà fare a meno di additare, oltre ai diritti, anche i doveri a cui sono chiamate le singole Nazioni, affinché venga promossa una responsabile cultura della libertà, profondamente radicata nelle esigenze della verità.


6. Carissimi Fratelli e Sorelle! Proponendo questi principi e queste prospettive di azione, ho inteso portare al consesso delle Nazioni il contributo della speranza cristiana, che ci fa guardare al mondo con la responsabile e operosa fiducia di chi crede nell'amore infinito che Dio ha per l'uomo. Questo amore, pienamente rivelato in Cristo e "riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (
Rm 5,5), opera misteriosamente in ogni uomo e semina germi di bene tra tutti i popoli. Se anche il peccato e lo spirito del male sono all'opera, abbiamo pero la certezza che l'amore di Dio è più grande dell'umana debolezza. E' questo che ci consente di andare senza paura incontro al futuro. Dobbiamo assecondare l'azione di Dio, dobbiamo diventare sempre più docili al suo Spirito, se vogliano costruire per l'umanità un'autentica civiltà dell'amore.

Noi credenti in Gesù abbiamo in questo una speciale responsabilità. E' nostro compito additare con coraggio Cristo, Via, Verità, e Vita dell'uomo. Ma dobbiamo camminare anche in dialogo e in fraterna collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Non potremo costruire una società e un futuro degni dell'uomo se non insieme. E, facendolo, ci renderemo conto - come ho detto lo scorso 5 ottobre all'ONU - "che le lacrime di questo secolo hanno preparato il terreno ad una nuova primavera dello spirito umano".

(Segue saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli]




Mercoledi 18 Ottobre 1995: Riflessione sul viaggio apostolico negli Stati Uniti d'America

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Roma -


"Prego perché gli Stati Uniti restino fedeli alla vocazione di nazione fondata sulla libertà, sulla virtù, sull'accoglienza e sulla difesa della vita"

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Mercoledi scorso durante l'Udienza generale, mi sono soffermato sul recente incontro a New York con l'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Questa mattina volgo il mio pensiero alle altre tappe del mio pellegrinaggio negli Stati Uniti d'America, le diocesi di Newark, New York, Brooklyn e Baltimore. In ognuna di queste Chiese particolari ho potuto sperimentare di persona quanto gli Americani abbiano preso a cuore i miei frequenti appelli perché il terzo Millennio ormai alle porte, costituisca un'occasione privilegiata per costruire la civiltà dell'amore. Essi non hanno paura di affrontare il futuro, avendo riposto la loro speranza in Gesù Cristo, Redentore dell'uomo.

Non hanno paura di affrontare il futuro Con affetto ringrazio i Fratelli nell'episcopato che, in spirito di fraterna comunione, hanno invitato il Successore di Pietro a visitare le Comunità cristiane affidate alle loro cure pastorali.

Un particolare ringraziamento rinnovo alle Autorità civili e militari che mi hanno accolto e che hanno facilitato l'incontro con un gran numero di cattolici, di cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali, e con i membri della comunità ebraica. A tutti coloro che hanno collaborato con la preghiera ed il loro apporto concreto per far si che la mia visita pastorale risultasse ricca di frutti spirituali esprimo profonda gratitudine con le parole dell'Apostolo: "Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi" (
Ph 1,3-4).

Dotati di abbondanti risorse naturali ed umane, gli Stati Uniti d'America sono consapevoli di avere peculiari responsabilità verso gli altri popoli. Essi sanno che al centro della vocazione della loro Nazione v'è la cultura dell'accoglienza. Fin dall'inizio, infatti, là sono confluite persone provenienti da ogni angolo della terra, per formare "una società ricca di diversità etniche e razziali, basata sull'impegno ad una visione comune della dignità umana e della libertà" (Discorso all'arrivo, 4 ottobre 1995, n. 4). Provo ammirazione per questo impressionante mosaico di culture, e prego affinché non sia mai sconvolto da conflitti causati dalle differenze di classe, di razza o di religione.

La fede salda, unita alla speranza, della Chiesa in New Jersey


2. Arrivato il 4 ottobre a Newark, come primo atto liturgico ho recitato i Vespri nella magnifica cattedrale dedicata al Sacro Cuore di Gesù.

La fede salda, unita alla speranza, della Chiesa in New Jersey si è significativamente espressa il giorno seguente al Giants' Stadium, dove neppure la pioggia battente, di cui quello Stato aveva estremo bisogno, ha potuto diminuire l'entusiasmo e la devozione dei presenti. Nello stadio, poco distante dalla notissima Statua della Libertà, nella mia omelia ho parafrasato la domanda che il Signore porrà nel giorno del giudizio: "L'America attuale sta forse diventando meno sensibile, meno sollecita nei confronti dei poveri, dei deboli, dei forestieri, di quanti vivono nel bisogno?". In maniera tutta speciale ho chiesto che "sia accolto e protetto il 'forestiero' che è nel grembo - il bambino non ancora nato, ma anche quanti sono gravemente handicappati, gli anziani o coloro che sono ritenuti senza alcuna rilevanza sociale". Alla gente del New Jersey ho espresso la convinzione che, se l'America si chiudesse in se stessa, sarebbe l'inizio della fine di ciò che costituisce la vera essenza dell'"esperimento americano" (cfr. Omelia, 5 ottobre, n. 6).

Ho fatto esperienza diretta della profonda ricerca del Dio vivente che esiste nel cuore degli Americani


3. Il giorno dopo ho presieduto la santa Messa all'Aqueduct Race Track nella Diocesi di Brooklyn, dove non c'erano scrosci di pioggia, ma forti folate di vento! Lo Spirito Santo, che abbiamo insieme invocato, ci ha visitato con la sua presenza, "come di vento che si abbatte gagliardo" (Ac 2,2).

Ancora una volta ho fatto esperienza diretta della profonda ricerca del Dio vivente che esiste nel cuore degli Americani, un'esigenza che non possono soddisfare i miti della ricchezza, della potenza o del prestigio. Se l'America intende promuovere un'autentica cultura dell'accoglienza, dovrà in primo luogo fare spazio al mistero dell'amore di Dio da cui tutto trae origine (cfr. Omelia, 6 ottobre 1995, n. 6). La cultura dell'ospitalità e della vita non può non costruirsi sulla solida roccia del rispetto per la verità del disegno divino.

Proprio la "sapienza di Dio" è stato il tema dell'omelia durante i Vespri celebrati con la Comunità del Seminario di San Giuseppe. Ai seminaristi ho affidato un impegnativo messaggio: divenuti sacerdoti, ho detto loro, dovrete insegnare parlando "non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito" (1Co 2,13). Coloro che predicano il Vangelo, lo debbono fare coraggiosamente, ben sapendo che, come il loro Maestro, saranno spesso ignorati o addirittura respinti.

I giovani sono aperti alla verità e all'amore di Cristo


4. Indimenticabile è stata la Messa celebrata il sabato mattina, 7 ottobre, al Central Park di New York con la partecipazione di tantissimi giovani. Nonostante i falsi idoli che la società spesso propone, i giovani Americani - l'ho potuto costatare direttamente - sono aperti alla verità e all'amore di Cristo, pronti con coraggio a compiere non piccoli sacrifici per seguire fedelmente il Vangelo.

Essi sanno che la Chiesa e il Papa contano su di loro. Ai giovani è assegnato il compito, con la grazia di Dio, di contribuire a costruire una civiltà veramente degna della persona umana. Ho affidato tali propositi a Maria recitando, nel pomeriggio nella Cattedrale di San Patrizio, il Santo Rosario con i rappresentanti della Chiesa di New York. Al termine ho voluto incoraggiare anche le famiglie, i religiosi e le religiose a seguire sempre generosamente la loro vocazione.

Come ogni nazione, l'America deve rinnovarsi mediante la potenza del Vangelo


5. La Visita Pastorale negli Stati Uniti d'America si è conclusa a Baltimore, nello Stato del Maryland, quel medesimo Stato che ha visto la nascita della Chiesa Cattolica nell'America, al tempo delle colonie. Come non ricordare in proposito l'appello lanciato a Camden Yards, perché ognuno ascolti Cristo? Gesù esorta a far si che la luce del Vangelo risplenda al servizio della società. L'America, "terra di liberi", è di fronte ad una sfida, quella di "ricercare il compimento della libertà nella verità, quella verità che è intrinseca alla vita umana creata ad immagine e somiglianza di Dio" (Omelia, 8 ottobre, n. 6). Come ogni nazione, l'America deve rinnovarsi mediante la potenza del Vangelo! A Baltimore ho celebrato una solenne Liturgia Eucaristica, ho potuto condividere un pasto con gli ospiti dell'"Our Daily Bread" e ho avuto l'opportunità di confermare, nella cattedrale dedicata a Maria Nostra Regina, l'impegno della Chiesa Cattolica al dialogo con gli altri cristiani e con i rappresentanti dell'Ebraismo e dell'Islam.

Verso il Terzo Millennio con un rinnovato impegno al servizio di Cristo


6. Carissimi Fratelli e Sorelle, prima di lasciare il suolo americano ho lanciato agli Stati Uniti d'America un'ultima sfida. Altri popoli - ho detto loro - guardano a voi come ad un modello di democrazia. Ma come dimenticare che una nazione democratica "esiste o cessa di vivere mediante le verità e i valori che essa incarna e promuove" (Discorso alla partenza, 8 ottobre, n. 2)? Questi valori non vengono determinati dai voti di una maggioranza o dai desideri di chi grida più forte, bensi dai principi della legge scritta da Dio nel cuore dell'uomo.

Prego perché gli Stati Uniti si conservino fedeli alla loro vocazione di nazione fondata sui pilastri della libertà, della virtù, dell'accoglienza e della difesa della vita ed auspico di cuore che la mia visita pastorale ispiri i cattolici di quel Paese ad incamminarsi verso il terzo Millennio con un rinnovato impegno al servizio di Cristo e del suo Vangelo di speranza.

Ancora una volta ringrazio il Presidente degli Stati Uniti e le autorità per questa bella visita.

(Segue un saluto ai malati, agli sposi novelli e ai giovani]





Catechesi 79-2005 60995