Catechesi 79-2005 17127

Mercoledì, 17 dicembre 1997: Il tempo del Vangelo

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(
Jn 14,8-11)

1. L'ingresso dell'eternità nel tempo attraverso il mistero dell'Incarnazione rende l'intera vita di Cristo sulla terra un periodo eccezionale. L'arco di questa vita costituisce un tempo unico, tempo della pienezza della Rivelazione, in cui il Dio eterno ci parla nel suo Verbo incarnato attraverso il velo della sua esistenza umana.

E' il tempo che rimarrà per sempre come punto di riferimento normativo: il tempo del Vangelo. Tutti i cristiani lo riconoscono come il tempo dal quale prende avvio la loro fede.

E' il tempo di una vita umana che ha cambiato tutte le vite umane. Una vita, quella di Cristo, piuttosto breve; ma l'intensità e il valore di questa vita sono incomparabili. Siamo di fronte alla più grande ricchezza per la storia dell'umanità.

Ricchezza inesauribile, perché è la ricchezza dell'eternità e della divinità.

2. Particolarmente fortunati furono quanti, vivendo al tempo di Gesù, ebbero la gioia di stargli accanto, di vederlo, di ascoltarlo. Gesù stesso li chiama beati: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono" (Lc 10,23-24).

La formula "vi dico" fa capire che l'affermazione va al di là d'una semplice constatazione del fatto storico. Quella che Gesù pronuncia è una parola di rivelazione, che illumina il senso profondo della storia. Nel passato che lo precede Gesù non vede soltanto gli avvenimenti esterni che preparano la sua venuta; Egli guarda alle aspirazioni profonde dei cuori, che sottostanno a quegli avvenimenti e ne precorrono l'esito finale.

I contemporanei di Gesù, in gran parte, non si rendono conto del loro privilegio. Vedono e sentono il Messia senza riconoscerlo come il Salvatore sperato. Si rivolgono a lui senza sapere di parlare con l'Unto di Dio annunciato dai profeti.

Dicendo: "ciò che voi vedete", "ciò che voi udite", Gesù li invita a cogliere il mistero, andando oltre il velo dei sensi. In questa penetrazione Egli aiuta soprattutto i suoi discepoli: "A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio" (Mc 4,11).

In questo cammino dei discepoli alla scoperta del mistero si radica la nostra fede, fondata appunto sulla loro testimonianza. Noi non abbiamo il privilegio di vedere e di sentire Gesù come era possibile nei giorni della sua vita terrena, ma con la fede riceviamo la grazia incommensurabile di entrare nel mistero di Cristo e del suo Regno.

3. Il tempo del Vangelo apre la porta ad una profonda conoscenza della persona di Cristo. Possiamo a tal proposito ricordare le parole di accorato rimprovero rivolte da Gesù a Filippo: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?" (Jn 14,9). Gesù si aspettava una conoscenza penetrante e piena di amore da colui che, essendo apostolo, viveva in un rapporto molto stretto con il Maestro e, proprio in forza di questa intimità, avrebbe dovuto capire che in lui si manifestava il volto del Padre. "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Ibid.). Con lo sguardo di fede, il discepolo è chiamato a scoprire nel volto di Cristo quello invisibile del Padre.

4. L'arco della vita terrena di Cristo è presentato nel Vangelo come tempo di nozze. E' un tempo fatto per diffondere la gioia. "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare" (Mc 2,19). Gesù adopera qui un'immagine semplice e suggestiva. E' lui lo sposo che indice la festa delle sue nozze, nozze dell'amore fra Dio e l'umanità. E' Lui lo sposo che vuole comunicare la sua gioia. Gli amici dello sposo sono invitati a condividerla partecipando al banchetto.

Tuttavia, proprio nel medesimo contesto nuziale, Gesù annuncia il momento in cui la sua presenza verrà meno: "Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno" (Mc 2,20): è la chiara allusione al suo sacrificio. Gesù sa che alla gioia succederà la tristezza. I discepoli allora "digiuneranno", ossia soffriranno partecipando alla sua passione.

La venuta di Cristo sulla terra, con tutta la gioia che comporta per l'umanità, è indissolubilmente legata alla sofferenza. La festa nuziale è segnata dal dramma della Croce, ma culminerà nella letizia pasquale.

5. Questo dramma è il frutto dell'inevitabile scontro di Cristo con la potenza del male: "La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta" (Jn 1,5). I peccati di tutti gli uomini svolgono una parte essenziale in questo dramma. Ma particolarmente doloroso fu per Cristo il mancato riconoscimento da parte di una certa fascia del suo popolo. Rivolgendosi alla città di Gerusalemme, la rimprovera: "Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata" (Lc 19,44).

Il tempo della presenza terrena di Cristo era il tempo della visita di Dio. Certo, non mancarono coloro che diedero una risposta positiva, la risposta della fede. Prima di riportare il pianto di Gesù sulla città ribelle (cfr Lc 19,41-44), Luca ci descrive il suo ingresso "regale", "messianico" a Gerusalemme, quando "tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli" (Lc 19,37-38). Ma questo entusiasmo non poteva nascondere, agli occhi di Gesù, l'amara evidenza di essere respinto dai capi del proprio popolo e dalla folla da essi sobillata.

Del resto, prima dell'entrata trionfale a Gerusalemme, Gesù aveva annunciato il suo sacrificio: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45 Mt 20,28).

Il tempo della vita terrena di Cristo si qualifica così per la sua offerta redentrice. E' il tempo del mistero pasquale di morte e risurrezione, da cui scaturisce la salvezza degli uomini.

...


Traduzione italiana del saluto in lingua bulgara

Rivolgo un cordiale benvenuto al gruppo di pellegrini provenienti dalla diocesi di Plovdiv in Bulgaria.

Carissimi, il pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e dei Martiri romani vi sia di stimolo per un sempre più generoso impegno di testimonianza cristiana nella vostra Patria.

Mentre invoco su di voi la materna intercessione della Madre di Dio, di cuore vi benedico.

Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca

Saluto con affetto i rappresentanti del Slovenský orol e il coro Melódia da Bratislava. Che il vostro canto sia l'espressione della vostra gioia del fatto che il Signore Gesù è il nostro Redentore.

Un particolare benvenuto al gruppo dei "Messaggeri della luce di Betlemme". Annunziate dappertutto che la luce di Betlemme è la luce della speranza. Perché la venuta di Cristo nel mondo significhi una nuova e decisiva tappa nella storia dell'umanità, l'inizio della sua spirituale rinascita. Cari fratelli e sorelle, il sincero ritorno a Cristo e al suo Vangelo può portare il sospirato rinnovamento anche della vostra comunità nazionale. Cristo viene e vuole rimanere con voi. ApriteGli i vostri cuori.

Questo è il mio augurio natalizio a Voi e a tutti gli Slovacchi. Con questi pensieri di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo.
***


Nel salutare i pellegrini di lingua italiana, rivolgo anzitutto il mio pensiero al gruppo dell'Associazione Panificatori di Roma e Provincia e li ringrazio per l'interessante ed originale presepe che hanno voluto offrirmi. Voi, carissimi, avete voluto realizzarlo interamente di pane e questo fa subito pensare a Betlemme, il cui nome significa proprio "casa del pane". Possa in ogni casa, in occasione del Natale, esserci pane per tutti: il pane materiale ed il pane spirituale della grazia e dell'amore di Dio.

Saluto, poi, con particolare affetto i sacerdoti ed i laici dell'Arcidiocesi di Capua, accompagnati dal loro Pastore, Monsignor Bruno Schettino, e dall'Arcivescovo emerito, Monsignor Luigi Diligenza, venuti per la presentazione dell'opera "Scritti Spirituali" di san Roberto Bellarmino. Apprezzo questa vostra iniziativa ed auspico che essa contribuisca a far meglio conoscere la figura ed il pensiero di questo Dottore della Chiesa che fu anche Pastore dell'antica diocesi di Capua.

Saluto il Sindaco e la delegazione del Comune di Greccio, venuti per far dono della statua simbolo del Giubileo del Duemila, il gruppo di "Zampognari del Matese Boiano" e i titolari ed i dipendenti della ditta "Clementoni".

Rivolgo un particolare saluto a quanti prendono parte all'ormai tradizionale manifestazione sportiva di beneficenza "Derby del Cuore", che ha luogo oggi allo stadio Olimpico di Roma. Sono vicino a questa festa dello sport e della solidarietà, che diventa ancor più bella e significativa in prossimità del Natale. Saluto gli organizzatori, gli attori ed i cantanti, e tutto il pubblico. Auguro un buon successo per questa iniziativa ed esprimo apprezzamento per la scelta di destinare parte del ricavato ai terremotati delle Marche e dell'Umbria, che ricordo sempre nella mia preghiera.

Il Natale, ormai vicino, ci invita a rinunciare a tutto ciò che è tenebra per accogliere la vera luce, Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. La luce di Cristo, cari giovani, illumini la vostra giovinezza; aiuti voi, cari ammalati, a scorgere, oltre le sofferenze presenti, il disegno provvidenziale d'amore del Signore; renda la vostra unione, cari sposi novelli, sempre più salda e generosa.





Mercoledì, 14 gennaio 1998

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1. La celebrazione del Giubileo ci inviterà a fissare la nostra attenzione sull'ora della salvezza. Parecchie volte, in circostanze diverse, Gesù ricorre al termine "ora" per indicare un momento fissato dal Padre per il compimento dell'opera di salvezza.

Ne parla fin dall'inizio della vita pubblica, nell'episodio delle nozze di Cana, quando riceve da parte di sua madre una richiesta in favore degli sposi che si trovano in difficoltà per la mancanza di vino. Per indicare il motivo che si oppone all'accoglienza della domanda Gesù dice alla madre: "Non è ancora giunta la mia ora" (
Jn 2,4).

Si tratta certo dell'ora della prima manifestazione del potere messianico di Gesù. E' un'ora particolarmente importante, come fa capire il racconto evangelico nella sua conclusione, dove il miracolo è presentato come "il principio" o "inizio" dei segni (cfr Jn 2,11). Ma sullo sfondo emerge l'ora della passione e glorificazione di Gesù (cfr Jn 7,30 Jn 8,20 Jn 12,23-27 Jn 13,1 Jn 17,1 Jn 19,27), quando Egli compirà l'opera della redenzione dell'umanità.

Operando questo "segno" per l'intercessione efficace di Maria, Gesù si manifesta come Salvatore messianico. Mentre viene incontro agli sposi, è in realtà lui stesso che comincia la sua opera di Sposo, inaugurando il banchetto di nozze che è immagine del Regno di Dio (cfr Mt 22,2).

2. Con Gesù è venuta l'ora di nuove relazioni con Dio, l'ora di un nuovo culto: "Viene l'ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità" (Jn 4,23). Il fondamento di questo culto universale è il fatto che il Figlio, incarnandosi, ha dato agli uomini la possibilità di condividere il suo culto filiale verso il Padre.

L'"ora" è anche quella in cui si manifesta l'opera del Figlio: "In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso" (Jn 5,25-26).

La grande ora nella storia del mondo è quella in cui il Figlio dà la vita, facendo udire la sua voce salvatrice agli uomini che sono sotto il dominio del peccato. E' l'ora della redenzione.

3. Tutta la vita terrena di Gesù è orientata verso quest'ora. In un momento di angoscia, poco tempo prima della passione, Gesù dice: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora" (Jn 12,27).

Con queste parole, Gesù svela il dramma intimo che opprime la sua anima dinanzi alla prospettiva del sacrificio che si avvicina. Egli ha la possibilità di chiedere al Padre che questa terribile prova sia allontanata. Ma, d'altra parte, Egli non vuole sfuggire a questo destino doloroso: "Per questo sono venuto". Egli è venuto per offrire il sacrificio che procurerà la salvezza all'umanità.

4. Quest'ora drammatica è voluta e determinata dal Padre. Prima dell'ora scelta dal disegno divino, i nemici non possono impadronirsi di Gesù.

Parecchie volte si è tentato di fermare Gesù o di ucciderlo. Riportando uno di questi tentativi, il Vangelo di Giovanni pone in luce l'impotenza degli avversari: "Cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora" (Jn 7,30).

Quando l'ora viene, appare anche come l'ora dei nemici. "Questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre", dice Gesù a "coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani" (Lc 22,52-53).

In quest'ora buia sembra che il potere erompente del male non possa essere fermato da nessuno.

E tuttavia anche quest'ora rimane sotto il potere del Padre. Sarà Lui a permettere ai nemici di Gesù di catturarlo. La loro opera si inscrive misteriosamente nel piano stabilito da Dio per la salvezza di tutti.

5. Più che l'ora dei nemici, l'ora della passione è dunque l'ora di Cristo, l'ora del compimento della sua missione. Il Vangelo di Giovanni ci fa scoprire le disposizioni intime di Gesù all'inizio dell'ultima Cena: "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Jn 13,1). E' dunque l'ora dell'amore, che vuole andare "sino alla fine", cioè fino al dono supremo. Nel suo sacrificio, Cristo ci rivela l'amore perfetto: non avrebbe potuto amarci più profondamente!

Quest'ora decisiva è insieme ora della passione e ora della glorificazione. Secondo il Vangelo di Giovanni, è l'ora in cui il Figlio dell'uomo è "elevato da terra" (Jn 12,32). L'elevazione sulla croce è segno dell'elevazione alla gloria celeste. Allora comincerà la fase di un nuovo rapporto con l'umanità e, in particolare, con i discepoli, come Gesù stesso annuncia: "Queste cose vi ho detto in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre" (Jn 16,25).

L'ora suprema è, in definitiva, quella in cui il Figlio raggiunge il Padre. In essa si chiarisce il significato del suo sacrificio ed è messo in piena evidenza il valore che tale sacrificio riveste per l'umanità redenta e chiamata a unirsi al Figlio nel suo ritorno al Padre.

Saluti

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai membri della Direzione, agli artisti ed al personale del Circo Americano. A voi, che formate una grande famiglia viaggiante, e che, mediante il vostro lavoro offrite uno svago sereno alla gente, giunga il mio vivo incoraggiamento. Auspico di cuore che nel vostro cammino per le strade di tante Regioni e Nazioni possiate recare ai piccoli e ai grandi un messaggio di solidarietà, di bontà e di gioia.

Saluto i ragazzi e quanti fanno parte dell'Associazione culturale "Fuori dall'ombra". Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza ed auguro che possiate continuare con sempre rinnovato slancio il vostro impegno di solidarietà umana e cristiana.

Rivolgo infine un affettuoso pensiero ai bambini bielorussi, ospiti delle Parrocchie di San Giovanni Evangelista di Spinaceto e di San Basilio di Roma. Il Signore protegga voi, cari bambini, e quanti vi hanno accolto.

Rivolgo, ora, un saluto cordiale ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli presenti.

La festa del Battesimo del Signore, che abbiamo celebrato la scorsa domenica, ridesti in voi, cari giovani, il ricordo del vostro battesimo e sia di stimolo a testimoniare sempre con gioia la vostra fede in Cristo; costituisca per voi, cari ammalati, motivo di conforto nella sofferenza, al pensiero che essa vi unisce all'Agnello di Dio che con la sua passione e morte toglie il peccato del mondo. La vocazione battesimale sostenga voi, cari sposi novelli, nella via del matrimonio per prepararvi ad educare e guidare i figli verso la pienezza della fede.

Saluto ai pellegrini della REPUBBLICA CECA:

Cari pellegrini della Boemia e della Moravia! Mentre mi preparo al viaggio a Cuba, mi è gradito ricordare la calorosa accoglienza che mi fu riservata l'anno scorso fa nella caro Repubblica Ceca.

Saluto tutti cordialmente e vi benedico!

Sia lodato Gesù Cristo!

Appello del Santo Padre per l'Algeria ed il Rwanda


L'odio continua ad insanguinare l'amata terra africana. In Algeria non cessano le stragi che coinvolgono anche donne, anziani e bambini. In Rwanda cinque missionarie della Congregazione delle Figlie della Risurrezione, nonché due collaboratori laici, sono stati massacrati nella diocesi di Nyundo. Altre due religiose sono rimaste gravemente ferite.

Costernazione ed amarezza invadono l'animo di tutti noi per questi drammatici episodi, che non possono non interpellare la coscienza dell'intera umanità.

Eleviamo la nostra preghiera per le vittime di questi eccidi efferati.

Esprimo solidarietà e vicinanza spirituale a quanti sono nell'afflizione e nel dolore, mentre formulo l'augurio cordiale di pronta guarigione ai feriti.

Possa il sacrificio di tante persone inermi indurre a sentimenti di ravvedimento, di perdono e finalmente di pace.




Mercoledì, 28 gennaio 1998

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1. Sono rientrato l'altro ieri da Cuba dove, rispondendo alle richieste dei Vescovi e dello stesso Presidente della Repubblica, ho compiuto un'indimenticabile visita pastorale. Il Signore ha voluto che il Papa visitasse quella terra e recasse conforto alla Chiesa che là vive ed annuncia il Vangelo. A Lui va, innanzitutto, il mio ringraziamento, che si estende poi a tutto il Popolo di Dio, dal quale, nei giorni scorsi, mi è venuto un costante sostegno spirituale.

Rivolgo un pensiero di speciale riconoscenza al Signor Presidente della Repubblica di Cuba, Dottor Fidel Castro Ruz, ed alle altre Autorità, che hanno reso possibile questo mio pellegrinaggio apostolico. Ringrazio con grande affetto i Vescovi dell'Isola, a partire dall'Arcivescovo di La Habana, Cardinale Jaime Ortega, come pure i sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli, che mi hanno riservato una commovente accoglienza.

Fin dal mio arrivo, infatti, sono stato circondato da una grande manifestazione di popolo, che ha meravigliato anche quanti, come me, conoscono l'entusiasmo delle genti latino-americane. E' stata l'espressione di una lunga attesa, un incontro da tempo desiderato da parte di un popolo che in esso si è come riconciliato con la propria storia e la propria vocazione. La visita pastorale è stata un grande evento di riconciliazione spirituale, culturale e sociale, che non mancherà di produrre frutti benefici anche su altri piani.

Nella grande Plaza de la Revolución José Martí a La Habana, ho visto un enorme quadro raffigurante Cristo, con la scritta "Gesù Cristo, confido in te!". Ho reso grazie a Dio, perché proprio in quel luogo intitolato alla "rivoluzione" ha trovato posto Colui che ha portato nel mondo l'autentica rivoluzione, quella dell'amore di Dio, che libera l'uomo dal male e dall'ingiustizia e gli dona la pace e la pienezza della vita.

2. Mi sono recato nella terra cubana, definita da Cristoforo Colombo "la più bella che occhi umani abbiano mai visto", anzitutto per rendere omaggio a quella Chiesa e confermarla nel suo cammino. E' una Chiesa che ha attraversato momenti assai difficili, ma ha perseverato nella fede, nella speranza e nella carità. Ho voluto visitarla per condividere il suo profondo spirito religioso, le sue gioie e le sue sofferenze; per dare impulso alla sua opera evangelizzatrice.

Sono andato pellegrino di pace per far risuonare in mezzo a quel nobile popolo l'annuncio perenne della Chiesa: Cristo è il Redentore dell'uomo e il Vangelo è la garanzia dell'autentico sviluppo della società.

La prima Santa Messa che ho avuto la gioia di celebrare in terra cubana, nella città di Santa Clara, è stata un rendimento di grazie a Dio per il dono della famiglia, in ideale collegamento col grande incontro mondiale delle famiglie dello scorso ottobre a Rio de Janeiro. Ho voluto farmi solidale con le famiglie cubane di fronte ai problemi posti dall'odierna società.

3. A Camagüey ho potuto parlare ai giovani, ben consapevole che essere giovani cattolici a Cuba è stata e rimane una sfida. La loro presenza all'interno della comunità cristiana cubana è assai significativa per quanto concerne sia i grandi eventi sia la vita d'ogni giorno. Penso con riconoscenza ai giovani catechisti, missionari e operatori della Caritas e di altri progetti sociali.

L'incontro con i giovani cubani è stato un'indimenticabile festa della speranza, durante la quale li ho esortati ad aprire il cuore e l'intera esistenza a Cristo, vincendo il relativismo morale e le sue conseguenze. Ad essi rinnovo l'espressione del mio incoraggiamento e di tutto il mio affetto.

4. Nell'Università di La Habana, alla presenza anche del Presidente Fidel Castro, ho incontrato i rappresentanti del mondo della cultura cubana. Nell'arco di cinque secoli, questa ha conosciuto varie influenze: quella ispanica, quella africana, quella dei diversi gruppi di immigrati e quella propriamente americana. Negli ultimi decenni, ha inciso su di essa l'ideologia marxista materialista e atea. In profondità, però, la sua fisionomia, quella chiamata la "cubanía", è rimasta intimamente segnata dall'ispirazione cristiana, come attestano le numerose figure di uomini di cultura cattolici, presenti in tutta la sua storia. Tra queste spicca il Servo di Dio Félix Varela, sacerdote, la cui tomba si trova proprio nell'Aula Magna dell'Università. Il messaggio di questi "padri della patria" è quanto mai attuale ed indica la via della sintesi tra la fede e la cultura, la via della formazione di coscienze libere e responsabili, capaci di dialogo e al tempo stesso di fedeltà ai valori fondamentali della persona e della società.

5. A Santiago de Cuba, sede primaziale, la mia visita si è fatta esplicitamente pellegrinaggio: là, infatti, ho venerato la Patrona del popolo cubano, la Virgen de la Caridad del Cobre. Ho constatato con gioia intima e commossa quanto amore abbiano i cubani per la Madre di Dio, e come la Virgen de la Caridad rappresenti davvero, al di là di ogni differenza, il principale simbolo e sostegno della fede del popolo cubano e delle sue lotte per la libertà. In questo contesto di devozione popolare, ho esortato ad incarnare il Vangelo, messaggio di autentica liberazione, nella vita quotidiana, vivendo da cristiani pienamente inseriti nella società. Cento anni or sono, dinanzi alla Virgen de la Caridad fu dichiarata l'indipendenza del Paese. Con questo pellegrinaggio ho affidato a Lei tutti i cubani, in patria e all'estero, perché formino una comunità sempre più vivificata dall'autentica libertà e realmente prospera e fraterna.

Nel santuario di san Lázaro ho incontrato il mondo del dolore, al quale ho portato la parola confortatrice di Cristo. A La Habana, infine, ho potuto salutare anche una rappresentanza del clero, dei religiosi, delle religiose e dei laici impegnati, che ho incoraggiato a spendersi generosamente a servizio del Popolo di Dio.

6. La divina Provvidenza ha voluto che, proprio nella Domenica in cui la Liturgia proponeva le parole del profeta Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me ... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio" (
Lc 4,18), il Successore dell'apostolo Pietro potesse compiere nella capitale di Cuba, La Habana, una storica tappa della nuova evangelizzazione. Ho avuto, in effetti, la gioia di annunciare ai cubani il Vangelo della speranza, messaggio di amore e di libertà nella verità, che Cristo non cessa di offrire agli uomini e alle donne di tutti i tempi.

Come non riconoscere che questa visita acquista un valore simbolico rilevante, a causa della posizione singolare che Cuba ha occupato nella storia mondiale di questo secolo? In tale prospettiva, il mio pellegrinaggio a Cuba - tanto atteso e pazientemente preparato - ha segnato un momento quanto mai proficuo per far conoscere la dottrina sociale della Chiesa. A più riprese ho voluto sottolineare che gli elementi essenziali del Magistero ecclesiale sulla persona e sulla società appartengono anche al patrimonio del popolo cubano, che li ha ricevuti in eredità dai padri della patria, i quali li hanno attinti dalle radici evangeliche e li hanno testimoniati fino al sacrificio. La visita del Papa è venuta come a dar voce all'anima cristiana del popolo cubano. Quest'anima cristiana, ne sono persuaso, costituisce per i cubani il tesoro più prezioso e la più sicura garanzia di sviluppo integrale all'insegna dell'autentica libertà e della pace.

Auspico di cuore che la Chiesa in Cuba possa disporre sempre più liberamente di spazi adeguati per la sua missione.

7. Trovo significativo che la grande Celebrazione eucaristica conclusiva nella Plaza de la Revolución sia avvenuta nel giorno della Conversione di san Paolo, quasi ad indicare che la conversione del grande Apostolo "è una profonda, continua e santa rivoluzione, valida per tutti i tempi". Ogni autentico rinnovamento comincia dalla conversione del cuore.

Affido alla Madonna tutte le aspirazioni del popolo cubano e l'impegno della Chiesa, che con coraggio e perseveranza prosegue la sua missione al servizio del Vangelo.

Saluti

Rivolgo un saluto cordiale a tutti i pellegrini di lingua italiana, in particolare ai numerosi membri dell'Associazione Donatori di Midollo Osseo, venuti a farmi visita nel contesto dell'iniziativa di sensibilizzazione da loro promossa, denominata "Un mese per la vita". Carissimi, la vostra presenza mi offre l'opportunità di sottolineare quanto sia importante difendere e salvaguardare la vita umana. Esprimo vivo apprezzamento per l'opera che state svolgendo e vi auguro di continuare con rinnovato slancio nell'impegno di condivisione e di generosa solidarietà a favore di quanti sono ammalati di leucemia e di neoplasie del sangue.

Saluto, poi, i soci dell'Associazione Italiana "Amici di Raoul Follereau". Grazie, carissimi, per la vostra partecipazione: continuate generosamente a promuovere una vasta sensibilizzazione per lottare contro il morbo di Hansen, che purtroppo colpisce ancora tanti nostri fratelli.

Mi rivolgo ora con affetto agli studenti di varie Chiese ortodosse e delle Antiche Chiese orientali, che compiono studi di specializzazione negli Atenei Pontifici Romani, con il sostegno del Comitato cattolico di collaborazione culturale presso il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Carissimi, mi compiaccio di questo scambio, che auguro sempre più fecondo per tutti ed invio un deferente pensiero alle Chiese che voi rappresentate, a me tanto care.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.

Ricorre oggi la memoria liturgica di san Tommaso d'Aquino, religioso domenicano e Dottore della Chiesa. Egli è per voi, cari giovani, modello di acuto pensatore cristiano, da cui si può imparare a fare sintesi tra fede e razionalità. A voi, cari ammalati, il "Dottore angelico" indica Cristo crocifisso, suprema verità su Dio e sull'uomo. A voi, cari sposi novelli, ricorda l'altissima dignità del matrimonio cristiano, sacramento dell'amore di Cristo e della Chiesa.

Saluto ai pellegrini della REPUBBLICA CECA:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini del Movimento della Gioventù Salesiana, di Praga!

Con la festa della Conversione di S.Paolo abbiamo concluso la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani. Nonostante ciò, le parole di Gesù: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Jn 17,21), continuino a risuonare in noi come costante invito alla preghiera per l'unità dei cristiani.

Di cuore vi benedico tutti.

Sia lodato Gesù Cristo!




Mercoledì 4 febbraio 1998

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1. Cristo si rivela in tutta la sua vicenda terrena come il Salvatore inviato dal Padre per la salvezza del mondo. Il suo stesso nome, "Gesù", manifesta questa missione. Esso infatti significa: "Dio salva".

E' un nome che gli è conferito a seguito di una indicazione celeste: sia Maria che Giuseppe (
Lc 1,31 Mt 1,21) ricevono l'ordine di chiamarlo così. Nel messaggio a Giuseppe il significato del nome viene chiarito: "Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".

2. Cristo definisce la sua missione di Salvatore come un servizio, la cui manifestazione più alta consisterà nel sacrificio della vita a favore degli uomini: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mc 10,45 Mt 20,28). Queste parole, pronunciate per contrastare la tendenza dei discepoli a cercare il primo posto nel Regno, vogliono soprattutto suscitare in essi una nuova mentalità, più conforme a quella del Maestro.

Nel Libro di Daniele il personaggio descritto "come un figlio d'uomo" viene presentato circonfuso della gloria dovuta ai capi, ai quali si tributa una venerazione universale: "Tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano" (Da 7,14). Gesù contrappone a questa figura il Figlio dell'uomo che si pone al servizio di tutti. In quanto persona divina, egli avrebbe pieno diritto di essere servito. Ma dicendo di essere "venuto per servire", manifesta un aspetto sconvolgente del comportamento di Dio che, pur avendo il diritto e il potere di farsi servire, si mette "a servizio" delle sue creature.

Gesù esprime in modo eloquente e commovente questa volontà di servire nel gesto dell'ultima Cena, quando lava i piedi ai discepoli: gesto simbolico che s'imprimerà definitivamente nella loro memoria come una regola di vita: "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri" (Jn 13,14).

3. Dicendo che il Figlio dell'uomo è venuto per dare la sua vita in riscatto per molti, Gesù rimanda alla profezia del Servo sofferente, che "offre la sua anima in sacrificio espiatorio" (Is 53,10). E' un sacrificio personale, molto diverso dai sacrifici di animali, in uso nel culto antico. E' il dono della vita fatto "in riscatto per molti", cioè per l'immensa moltitudine umana, per "tutti".

Gesù appare così come il Salvatore universale: tutti gli esseri umani, secondo il disegno divino, vengono riscattati, liberati e salvati da lui. Dice Paolo: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù" (Rm 3,23-24). La salvezza è un dono che può essere ricevuto da ciascuno nella misura del libero consenso e della volontaria cooperazione.

4. Salvatore universale, Cristo è l'unico Salvatore. Pietro lo afferma chiaramente: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12).

Nello stesso tempo, Egli è proclamato anche unico mediatore tra Dio e gli uomini, come afferma la prima Lettera a Timoteo: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,5-6). In quanto Dio-uomo, Gesù è il mediatore perfetto, che congiunge gli uomini a Dio, procurando loro i beni della salvezza e della vita divina. Si tratta di una mediazione unica, che esclude ogni mediazione concorrente o parallela, pur essendo conciliabile con mediazioni partecipate o dipendenti (cfr Redemptoris missio RMi 5).

Non si possono quindi ammettere, accanto a Cristo, altre fonti o vie di salvezza autonome. Pertanto nelle grandi religioni, che la Chiesa considera con rispetto e stima nella linea indicata dal Concilio Vaticano II, i cristiani riconoscono la presenza di elementi salvifici, che operano però in dipendenza dall'influsso della grazia di Cristo. Tali religioni possono così contribuire, in virtù dell'azione misteriosa dello Spirito Santo che "soffia dove vuole" (Jn 3,8), ad aiutare gli uomini nel cammino verso la felicità eterna, ma questo ruolo è anch'esso frutto dell'attività redentrice di Cristo. Anche in rapporto alle religioni, perciò, agisce misteriosamente Cristo Salvatore, che in quest'opera unisce a sé la Chiesa, costituita "come sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

5. Mi è caro concludere con una mirabile pagina del Trattato della vera devozione a Maria, di san Luigi di Montfort, che proclama la fede cristologica della Chiesa: "Gesù Cristo è l'Alfa e l'Omega, 'il Principio e la Fine' di ogni cosa. [...]. Egli è il solo maestro che deve istruirci, il solo Signore dal quale dipendiamo, il solo capo al quale dobbiamo essere uniti, il solo modello cui dobbiamo rassomigliare, il solo medico che ci deve guarire, il solo pastore che ci deve nutrire, la sola via che ci deve condurre, la sola verità che dobbiamo credere, la sola vita che deve vivificarci, il solo tutto che ci deve bastare in ogni cosa. [...]. Ogni fedele che non è unito a Cristo come il tralcio alla vite cade, secca e serve solo ad essere gettato nel fuoco. Se invece siamo in Gesù Cristo e Gesù Cristo in noi, non c'è più nessuna condanna da temere. Né gli angeli del cielo, né gli uomini della terra, né i demoni dell'inferno, né alcun'altra creatura potrà farci del male, perché non potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Gesù Cristo.

Tutto possiamo per Cristo, con Cristo e in Cristo; possiamo rendere ogni onore e gloria al Padre nell'unità dello Spirito Santo; possiamo diventare perfetti ed essere profumo di vita eterna per il prossimo" (n. 61).








Catechesi 79-2005 17127