Agostino Qu. Heptateuco




QUESTIONI SUL HEPTATEUCO


LIBRO PRIMO

QUESTIONI SULLA GENESI

PROEMIO

Mentre scorrevamo le sacre Scritture dette canoniche, leggendole e mettendole a confronto con altri manoscritti basati sulla traduzione dei Settanta, ci parve opportuno fissare per iscritto perché non sfuggissero dalla memoria le questioni che si presentavano alla mente, sia facendone un breve cenno, sia proponendole solo con un'esposizione più accurata, sia risolvendole in qualunque modo fosse possibile come può farlo una persona che ha fretta. Il nostro sforzo non era quello di spiegarle esaurientemente, ma quello di poter dare ad esse, qualora fosse stato necessario, un'occhiata oppure, partendo dalle soluzioni che ci pareva d'avere già trovato secondo le nostre possibilità, essere in grado sia di continuare le nostre ricerche con (una maggiore) riflessione, sia di esser preparati a rispondere. Se quindi c'è qualcuno che non disdegnerà queste osservazioni a causa dello stile disadorno, dovuto alla mia fretta, non pensi che non gli sia giovato a nulla, se troverà alcune questioni proposte senza essere state risolte, perché è già molto avere trovato qualcosa e sapere ciò che si deve ricercare. Ma in quelle, di cui approverà la soluzione, non disprezzi il mio stile dimesso ma piuttosto si rallegri di avere una qualche parte dell'insegnamento: perché non è la discussione che s'indaga mediante la verità, ma è la verità che va indagata con la discussione. Fatta dunque eccezione delle questioni che, dall'inizio (della Scrittura), dove si narra che Dio creò il cielo e la terra, fino all'allontanamento delle prime due persone dal paradiso, si possono spiegare in molti modi, e delle quali, per quanto siamo stati capaci, abbiamo discusso in altro tempo 1, ecco quelle che si presentavano a noi durante la lettura e che abbiamo voluto mantenere per iscritto.


La città fondata da Caino.

1001
(
Gn 4,17) In qual modo Caino poté fondare una città dal momento che una città viene fabbricata com'è naturale per una moltitudine di uomini, mentre si racconta che quelli erano solo due genitori e due figli, dei quali l'uno fu ucciso dall'altro e al posto di quello ucciso si narra che ne nacque un altro. O forse la questione nasce dal fatto che coloro, i quali leggono, credono che in quel tempo ci fossero solo gli uomini ricordati dalla Scrittura e non riflettono che i due generati prima o anche quelli generati da loro vissero tanto a lungo da generarne molti altri? Adamo infatti non generò quelli soli, poiché la Scrittura, parlando di lui, finisce dicendo che generò figli e figlie 2. Perciò, dato che quelli vissero molti più anni rispetto a quelli in cui gli Israeliti rimasero in Egitto, chi non vedrebbe quanti uomini poterono nascere con i quali quella città si sarebbe riempita, se gli Ebrei poterono moltiplicarsi in un tempo tanto più breve?

Quanto è vissuto Matusalemme.

1002
(
Gn 5,25-27) Si suole porre il quesito: In qual modo Matusalemme poté vivere dopo il diluvio in base al computo degli anni, dal momento che si afferma che morirono tutti tranne quelli entrati nell'arca 3?. Ma questo quesito è sorto a causa degli errori di parecchi manoscritti. Poiché, non solo nei manoscritti ebraici si trova diversamente ma anche in manoscritti meno numerosi ma più attendibili della traduzione dei Settanta, si trova che Matusalemme era morto prima del diluvio.

Se gli angeli possono unirsi con le figlie degli uomini.

1003
(
Gn 6,4) Si discute anche in qual modo gli angeli potessero congiungersi con le figlie degli uomini dalle quali, si narra, nacquero i giganti, sebbene alcuni manoscritti non solo latini ma anche greci non abbiano " angeli " ma figli di Dio. Alcuni, per risolvere questo problema, hanno creduto che quelli fossero gli uomini giusti, che potevano essere chiamati anche con il nome di " angeli ". Infatti della persona di Giovanni sta scritto: Ecco, io mando il mio angelo davanti a te; egli ti preparerà la strada 4. Ciò che suscita imbarazzo è in qual modo dall'unione sessuale di uomini nascessero i giganti, o come si potessero congiungere con donne, se non erano uomini ma angeli. Io però, a proposito dei giganti, cioè degli individui molto grandi e forti, non credo ci si debba stupire che potessero nascere da uomini, poiché se ne trovano di tali anche dopo il diluvio. Pure ai nostri tempi sono esistite persone dalla corporatura incredibilmente enorme, non solo tra gli uomini ma anche tra le donne. È quindi più probabile che gli uomini giusti, chiamati angeli o figli di Dio, sviati dalla passione, peccassero con le donne 5, anziché pensare che angeli, privi di corpo, potessero scendere fino a quel peccato; per quanto, a proposito dei demoni, che sono malvagi verso le donne, da molti vengano dette tante cose, che non è facile emettere un parere preciso su questo problema.

La capienza dell'arca.

1004
(
Gn 6,15) A proposito dell'arca di Noè si è soliti discutere se una così piccola capacità come quella descritta, avrebbe potuto portare tutti gli animali che si dice vi fossero entrati e il loro nutrimento. Origene risolve la presente questione basandosi sul cubito geometrico 6. Egli sostiene che la Scrittura, non senza ragione, afferma che Mosè era stato istruito in tutta la sapienza degli Egiziani 7, i quali prediligevano la geometria. Ora, Origene afferma che il cubo geometrico vale quanto sei dei nostri. Se dunque intendiamo i cubiti così grandi non c'è da mettere in discussione che l'arca avesse tanta capacità da poter contenere tutte quelle cose.

Impiego di forze per la costruzione dell'arca.

1005
(
Gn 6,15) Si discute anche se un'arca tanto grande potesse essere costruita in cento anni da quattro uomini, vale a dire Noè e i suoi tre figli. Se ciò non era possibile, non era difficile però avvalersi di altri carpentieri: sebbene, dopo aver preso la paga del loro lavoro, non si preoccupassero se Noè costruisse l'arca sapientemente o stoltamente; perciò non vi entrarono, poiché non credettero a quanto egli aveva creduto.

Struttura e ripartizione dell'arca.

1006
(
Gn 6,16) Quando si parla della costruzione dell'arca, che cosa vuol dire: Le farai stanze al piano terreno; a due piani e a tre piani? Quello inferiore infatti non sarebbe stato a due o tre piani. Ma con questa distinzione si volle fare intendere la struttura complessiva, in modo che avesse il piano inferiore e avesse anche i piani più in alto di quelli sottostanti, chiamati " bicamerati " e quelli soprastanti a quelli superiori. Infatti nel primo appartamento, cioè in quello inferiore, l'arca era di un solo piano; nel secondo appartamento invece, al di sopra di quello inferiore, era già bicamerata (cioè aveva il secondo piano) e perciò nel terzo appartamento al di sopra del secondo era senza dubbio tricamerata (aveva cioè il terzo piano).

Provviste per gli occupanti dell'arca.

1007
(
Gn 6,21) Poiché Dio aveva stabilito che nell'arca gli animali non solo vivessero ma fossero anche nutriti, e aveva dato a Noè l'ordine di far rifornimento d'ogni specie di alimenti per sé e per gli animali che sarebbero entrati accanto a lui, sorge il quesito in qual modo potessero nutrirsi lì i leoni o le aquile, abituati a vivere di carni. O meglio vi furono introdotti anche altri animali oltre al numero dei già presenti per il nutrimento degli altri, o se come è più probabile oltre alle carni fossero state provvedute, dall'uomo saggio, o per ispirazione di Dio che gliele indicava, altre sostanze che fossero adatte al nutrimento anche di animali di quella specie?.

Distinzione delle coppie degli animali.

1008
(
Gn 7,8-9) Quanto a ciò che sta scritto: Degli uccelli puri e di quelli impuri e degli animali mondi e di quelli immondi, e di tutti i rettili che strisciano sulla terra sottinteso mondi e immondi che in seguito non è più aggiunto e si aggiunge: a coppie entrarono accanto a Noè, si pone il quesito in qual modo prima sono distinte le coppie da quelle immonde, ora viceversa è detto che entrarono le coppie degli animali sia mondi che immondi. Ciò tuttavia si riferisce non al numero degli animali puri o impuri ma al maschio e alla femmina, poiché in tutte le specie d'animali sia puri che impuri ci sono due generi: il maschio e la femmina.

Lo spirito vitale è detto delle persone e degli animali.

1009
(
Gn 7,15) È da osservare che l'espressione della Scrittura: in cui è lo spirito vitale, è detta non solo a proposito degli uomini ma anche degli animali a motivo del racconto biblico in cui sta scritto: e Dio soffiò sulla sua faccia lo spirito della vita 8 o meglio: il soffio vitale, come hanno alcuni manoscritti che alcuni vogliono prendere nel senso di " Spirito Santo ".

Anche i monti sono stati sommersi dalle acque.

1010
(
Gn 7,20) A motivo di quanto si racconta del monte Olimpo si discute sull'altezza dei monti che la Scrittura afferma essere stati superati tutti dall'acqua cresciuta fino a quindici cubiti 9. Se infatti la terra poté invadere lo spazio di quella tranquilla atmosfera in cui si dice che non si possono vedere delle nubi né aver la sensazione di venti, perché non avrebbe potuto farlo anche l'acqua con il crescere?.

La durata dell'altezza dell'acqua.

1011
(
Gn 7,24) Quanto a ciò che sta scritto: E l'acqua si era innalzata sulla terra durante centocinquanta giorni, si discute se l'acqua crebbe fino a quel giorno o rimase per tanti giorni all'altezza in cui era cresciuta, poiché sembra che altri traduttori dicano ciò in modo più chiaro. Aquila per esempio dice: (l'acqua) coprì (la terra), Simmaco: rimasero al di sopra, cioè le acque.

I quaranta giorni di pioggia e i centocinquanta giorni del diluvio.

1012
(
Gn 8,1-2) Sta scritto che dopo centocinquanta giorni fu fatto soffiare il vento sulla terra e l'acqua cessò e furono rinchiuse le sorgenti dell'abisso e le cateratte del cielo e fu trattenuta la pioggia dal cielo. Riguardo a ciò si pone il quesito: Questi fatti avvennero dopo centocinquanta giorni o mediante una ricapitolazione sono stati ricordati tutti quelli che cominciarono ad accadere dopo quaranta giorni di pioggia, in modo che faccia parte dei centocinquanta giorni solo il fatto che sino a essi l'acqua s'era innalzata o perché era già cessata la pioggia dalle sorgenti dell'abisso o perché rimase nella sua altezza non essendo asciugata da nessun vento? Al contrario gli altri fatti che sono narrati non accaddero tutti dopo i centocinquanta giorni, ma sono ricordati tutti quelli che cominciarono ad accadere a partire dalla fine dei quaranta giorni.

Fu lasciato andare il corvo e non tornò.

1013
(
Gn 8,6-9) Riguardo a ciò che sta scritto che fu lasciato andare il corvo e non tornò e dopo di esso fu mandata fuori la colomba ma essa tornò, poiché non aveva trovato ove posare i piedi, suole sorgere il quesito se il corvo morì o poté vivere in qualche modo. Poiché naturalmente, se c'era della terra ove il corvo potesse posarsi, anche la colomba avrebbe potuto trovare ove posare i piedi. Perciò molti congetturano che il corvo poté posarsi su un cadavere, cosa da cui la colomba rifugge.

La colomba non trovò dove riposare.

1014
(
Gn 8,9) C'è ugualmente il problema di come mai la colomba non trovò ove posarsi se già, come risulta composta l'esposizione ordinata del racconto, le vette dei monti non erano più ricoperte 10 (dalle acque). Questo problema pare possa risolversi con la ricapitolazione, intendendo che sono raccontati dopo i fatti avvenuti prima o piuttosto che i luoghi ancora non erano prosciugati.

Le parole: Non continuerò a maledire.

1015
(
Gn 8,21) Che cosa vuol dire la seguente affermazione del Signore: Non continuerò a maledire (cioè: Mai più maledirò) la terra a causa delle opere dell'uomo, poiché la mente dell'uomo è attaccata al male fino dalla sua gioventù. Mai più dunque colpirò alcuna carne vivente, come ho fatto, e poi aggiunge i beni che egli, secondo la generosità della sua bontà, dà in dono agli uomini indegni? È prefigurata forse qui la benignità della nuova Alleanza 11 mentre la vendetta del passato apparterrebbe all'antica Alleanza, cioè l'una alla severità della Legge, l'altra alla bontà della grazia?

Ogni uomo è fratello di ogni uomo.

1016
(
Gn 9,5) Che cosa vuol dire: E alla mano dell'uomo fratello reclamerò l'anima dell'uomo?. Si vuol forse far intendere che ogni uomo è fratello di ogni uomo in base alla parentela per nascita da un solo (progenitore)?

Perché Cam fu colpito nel figlio.

1017
(
Gn 9,25-27) Si discute per quale motivo Cam, per il peccato dell'offesa arrecata al padre, non viene maledetto in se stesso ma nel proprio figlio Canaan, salvo che sia in certo modo una profezia secondo la quale gli Israeliti, discendenti della stirpe di Sem, si sarebbero impossessati del paese di Canaan dopo avere sbaragliato e scacciato di lì i Cananei.

Nembrot e i giganti.

1018
(
Gn 10,8) Si discute come mai di Nembrot è detto: Questo fu il primo gigante sulla terra, sebbene la Scrittura ricordi che i giganti erano nati anche prima. Sarà forse perché l'agiografo torna a ricordare la novità della restaurazione del genere umano dopo il diluvio, in relazione al quale rinnovamento questi fu il primo gigante sulla terra?

Eber, Falek e la divisione delle lingue.

1019
(
Gn 10,25) Si discute su cosa vuol dire: E a Eber nacquero due figli; il nome dell'uno è Falek, poiché durante i suoi giorni la terra fu divisa, salvo che durante i suoi giorni nascesse quella diversità (delle lingue) per cui avvenne che i popoli si divisero.

Le parole: E tutta la terra era un solo labbro.

1020
(
Gn 11,1) E tutta la terra era un solo labbro. In che senso può intendersi ciò, dal momento che più sopra è detto che i figli di Noè o dei suoi figli si divisero nei vari paesi a seconda delle tribù, dei popoli e delle lingue 12, salvo che vengano ricordati dopo, per mezzo di ricapitolazione, i fatti accaduti prima? Ma il passo è reso oscuro per il fatto che queste azioni sono legate strettamente tra loro con quel genere di locuzione, come se il racconto dei fatti avvenuti dopo fosse il seguito ininterrotto (dei precedenti).

Il castigo della divisione delle lingue.

1021
(
Gn 11,4) Venite, edifichiamo per noi una città e una torre, la cui testa sarà sino al cielo. Se pensavano d'essere capaci di siffatta impresa, si trova in ciò un'audacia stolta ed empia al massimo. E poiché, a causa di ciò, venne di conseguenza il castigo di Dio, per cui si divisero le loro lingue, non illogicamente si crede che avessero avuto quella persuasione.

Le parole al plurale: Venite, scendiamo...

1022
(
Gn 11,7) Venite, scendiamo e confondiamo laggiù la loro lingua, sicché nessuno possa comprendere più la lingua del proprio vicino. Va forse inteso nel senso che il Signore diede quest'ordine agli angeli? O si deve intendere, alla stregua di quanto si legge all'inizio del presente libro: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza13? Infatti anche come è detto dopo al singolare: Poiché il Signore confuse lì le lingue della terra 14, così anche, pur essendo stato detto nel passo prima accennato: Facciamo l'uomo a nostra immagine, nel seguito tuttavia non è detto: " fecero ", ma: Dio fece 15.

Gli anni di Arfaxad quando generò Cainan.

1023
(
Gn 11,12-13) Riguardo all'affermazione della Scrittura: E Arfaxad aveva centotrentacinque anni quando generò Cainan. E dopo che Arfaxad ebbe generato Cainan, visse quattrocento anni o, come troviamo nel greco, trecento anni, si discute in qual senso Dio disse a Noè: I loro anni saranno centoventi 16, poiché quando Dio disse così, Arfaxad non era ancora nato e non era nell'arca insieme con i suoi genitori. In qual senso dunque s'intendono i centoventi anni predetti della vita umana successiva, dal momento che si trova che l'uomo visse più di quattrocento anni? Salvo che s'intenda che Dio disse così a Noè vent'anni prima che si cominciasse a costruire l'arca che troviamo scritto essere stata costruita in cento anni quando già Dio preannunciava che avrebbe prodotto il diluvio ma non predisse quale sarebbe stato lo spazio della vita umana per coloro che fossero nati dopo il diluvio, bensì quello della vita delle persone che avrebbe eliminato con il diluvio.

L'origine della parola Ebrei.

1024
(
Gn 10,21) Si discute perché sta scritto: Sem era il padre di tutti i figli di Eber, sebbene si trovi che Eber è il quinto figlio nato da Sem, figlio di Noè 17. Forse perché si dice che gli Ebrei presero il nome da lui? Attraverso di lui passa effettivamente la linea delle generazioni fino ad Abramo. A giusta ragione si discute quindi se sia più probabile che gli Ebrei furono chiamati così come se " Ebrei " fosse la contrazione di " Eberei " che deriva da Eber o se il nome deriva da Abramo, come se fosse " Abraei ".

L'età di Thara quando generò Abramo.

1025
(
Gn 11,26) In qual senso deve intendersi che Thara, padre di Abramo, generò Abramo all'età di settant'anni e in seguito restò con tutti i suoi a Carran, e visse duecentocinque anni a Carran, poi morì18; e il Signore ordinò ad Abramo di partire da Carran, e il medesimo Abramo se ne partì allorché aveva settantacinque anni 19? La risposta potrebbe essere questa: mediante la ricapitolazione si mostra che il Signore parlò, essendo ancora vivo Thara e Abramo, quando era ancora vivo suo padre, andò via da Carran come aveva ordinato il Signore all'età di settantacinque anni, nell'anno centoquarantacinque di vita di suo padre, se i giorni di vita di suo padre furono duecentocinque anni; di conseguenza sta scritto: Gli anni della vita di Thara in Carran furono duecentocinque 20, poiché compì là tutti gli anni dell'intera sua vita. Con la ricapitolazione si risolve dunque il problema che resterebbe insolubile, se giudicassimo che il Signore ordinò ad Abramo di andare via da Carran, dopo la morte di Thara, perché (Abramo) non avrebbe potuto avere solo settantacinque anni, essendo già morto suo padre, che lo aveva generato all'età di settant'anni: in tale ipotesi Abramo, dopo la morte di suo padre, avrebbe avuto centotrentacinque anni, se tutti gli anni di suo padre furono duecentocinque. Questa ricapitolazione dunque, se viene riconosciuta attentamente nelle Scritture, risolve molti problemi che potrebbero sembrare insolubili anche secondo la spiegazione di problemi precedenti fatta mediante la medesima ricapitolazione.

Computo dell'età di Abramo.

25. 2. Questo problema tuttavia è risolto da alcuni diversamente; che cioè gli anni dell'età di Abramo vengono computati dall'anno in cui fu liberato dal fuoco dei Caldei, nel quale era stato gettato affinché bruciasse, poiché non aveva voluto adorare il fuoco a causa della superstizione dei Caldei; benché nella Scrittura non si legga che ne fosse stato liberato, tuttavia ciò viene tramandato da un racconto giudaico. Il problema può risolversi anche così, poiché la Scrittura, la quale dice: Thara all'età di settant'anni generò Abramo, Nacor e Carran 21, non volle naturalmente che ciò s'intendesse nel senso che nel medesimo anno settantesimo della sua età generasse tutti e tre, ma la Scrittura ricorda l'anno dal quale cominciò a generare. Può darsi dunque che Abramo sia stato generato dopo, ma sia stato menzionato prima per la sua elevatezza morale assai lodata nelle Scritture; così fece il Profeta che nominò per primo il minore: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù 22, e nei Paralipomeni, pur essendo Giuda quarto nell'ordine della nascita, è stato ricordato prima (degli altri) lui, dal quale prende il nome il popolo giudaico a causa della tribù regale 23. Più convenientemente poi si trovano parecchie vie con cui risolvere i problemi difficili.

Il racconto di Stefano relativo alla generazione di Abramo.

25. 3. In verità si deve esaminare con quale di queste spiegazioni è maggiormente d'accordo il racconto di Stefano relativo a questo fatto 24. Ora, secondo questo racconto, contrariamente a quanto sembra dire la Genesi 25, non è dopo la morte di Thara che Abramo ricevette da Dio l'ordine di andare via dalla sua parentela e dalla casa di suo padre, ma quando era in Mesopotamia, essendo già uscito dal paese dei Caldei e prima che abitasse a Carran, sicché sarebbe Dio che gli avrebbe parlato durante quel viaggio. Ma quel che Stefano racconta poi dicendo: Abramo allora, uscito dal paese dei Caldei, fissò la sua dimora a Carran. In seguito di lì, dopo la morte del padre, (Dio) lo fece emigrare in questo paese 26, crea una difficoltà non piccola a questa nostra spiegazione che si basa sulla " ricapitolazione ". Pare infatti che (Abramo) ricevesse l'ordine del Signore durante il suo viaggio per la Mesopotamia dopo essere uscito dal paese dei Caldei ed era in viaggio alla volta di Carran; egli avrebbe eseguito docilmente quel comando dopo la morte di suo padre, poiché è detto: E prese dimora in Carran. E poi di lì, dopo la morte di suo padre (Dio) lo fece emigrare in questo paese. Ma anche per questo, nell'ipotesi che Abramo avesse settantacinque anni come chiaramente dice la Scrittura della Genesi quando se ne partì da Carran, resta la questione in qual modo ciò possa essere vero; salvo che l'affermazione di Stefano: Abramo partì dal paese dei Caldei e dimorò a Carran, non si prenda in questo senso: partì dopo che gli parlò il Signore poiché era già nella Mesopotamia, come è stato già detto, quando udì quell'ordine del Signore ma Stefano, mediante il principio della ricapitolazione, volle intrecciare (i fatti) e dire nello stesso tempo donde partì e ove dimorò, quando dice: Allora Abramo se ne andò dal paese dei Caldei e dimorò a Carran. Nel tempo intermedio (tra i due fatti) però, cioè tra la partenza dal paese dei Caldei e la dimora a Carran, gli parlò Dio. Ma quanto a ciò che Stefano aggiunge, e cioè: E di lì, dopo la morte di suo padre, Dio lo fece emigrare in questo paese, si deve considerare che non dice: " E dopo la morte di suo padre partì da Carran ", ma: Di lì Dio lo fece emigrare in questo paese, e per conseguenza dopo la dimora in Carran fu fatto emigrare nel paese di Canaan. Non che partì dopo la morte del padre, ma dopo la morte del padre fu fatto emigrare nel paese di Canaan, sicché l'ordine delle parole è: "dimorò a Carran; di lì Dio lo fece emigrare in questo paese dopo la morte di suo padre ", in modo da intendere che Abramo fu fatto emigrare e stabilire nel paese di Canaan quando accolse lì il nipote di cui tutta la discendenza era stata destinata ad avere il dominio del paese, in virtù dell'eredità concessa secondo la promessa di Dio 27. Dallo stesso Abramo infatti nacque Ismaele, da Agar, e gli nacquero anche altri figli da Cettura, ai quali non sarebbe toccata l'eredità di quel paese. Anche da Isacco nacque Esaù, che fu ugualmente escluso da quella eredità 28. Tutti i figli nati poi da Giacobbe, figlio di Isacco, cioè tutta la sua discendenza ebbe parte a quella eredità. Così dunque, poiché Abramo, dopo essere stato fatto emigrare e stabilitosi in quella terra, visse fino alla nascita di Giacobbe; se giustamente s'intende, la questione è stata risolta in base alla ricapitolazione, benché non siano da trascurare altre soluzioni.

Abramo fa passare Sara per sua sorella.

1026
(
Gn 12,12 Gn 12,14) Accadrà dunque che, quando gli Egiziani ti vedranno, diranno: " Costei è sua moglie ". Avvenne poi che appena Abramo arrivò in Egitto, vedendo gli Egiziani che la donna era assai avvenente, ecc. In qual senso potrebbe intendersi che Abramo, arrivando in Egitto, volle tener nascosto che Sara era sua moglie secondo tutto ciò che dice la Scrittura riguardo a questo fatto? Si confaceva ciò a un personaggio tanto santo o si potrebbe intendere come un indebolimento della sua fede, come hanno pensato alcuni? Io, per la verità, ho discusso su questo argomento contro Fausto 29, e ciò è stato spiegato anche più diligentemente dal presbitero Girolamo 30; infatti non ne consegue che, avendo Sara trascorso alcuni giorni in casa del re dell'Egitto, si debba pensare che fosse stata anche oltraggiata, accoppiandosi con lui; poiché era costume dei re di accogliere a letto le loro donne a turno e nessuna entrava dal re se non dopo che il proprio corpo le veniva curato con lozioni e profumi. Mentre si compivano questi preparativi il Faraone fu colpito dalla mano di Dio perché la rendesse intatta al marito 31, che l'aveva affidata allo stesso Dio senza dire ch'era sua moglie, ma senza mentire ch'era sua sorella, al fine di prendere le precauzioni che poteva prendere in quanto uomo, e al fine di affidare a Dio ciò da cui non poteva guardarsi, per evitare che, se avesse rimesso nelle mani di Dio anche ciò da cui poteva guardarsi, desse l'impressione che non credeva in Dio, ma piuttosto che tentava Dio.

Il paese di Sodoma e Gomorra.

1027
(
Gn 13,10) Poiché il paese di Sodoma e Gomorra, prima che fosse distrutto, era paragonato al paradiso di Dio in quanto era irrigato ed era paragonato al paese d'Egitto irrigato dal Nilo, viene dimostrato assai chiaramente a quanto io penso in qual modo si deve intendere il paradiso, piantato da Dio ove pose Adamo 32. Io non vedo quale altra specie di paradiso possa intendersi. Comunque se, come pensano alcuni, per alberi fruttiferi nel paradiso fossero da intendersi le virtù dell'animo, nell'ipotesi che sulla terra non fu creato un paradiso di natura fisica con vere specie di alberi, non si direbbe di quel paese: come il paradiso di Dio.

Quanta terra fu promessa ad Abramo.

1028
(
Gn 13,14-15) Volgendo l'occhio attorno, dal luogo ove adesso ti trovi, guarda verso settentrione e mezzogiorno, verso oriente e occidente, poiché tutto il paese che tu vedi lo darò a te e ai tuoi discendenti, per sempre. Si discute qui in qual modo s'intende che fu promesso ad Abramo e ai suoi discendenti tanta parte di paese, quanta ne poteva abbracciare con gli occhi nello spazio dei quattro punti cardinali. Quant'è infatti lo spazio che può abbracciare la vista fisica per guardare un paese? Ma il problema non esiste se faremo attenzione che non fu promesso solo ciò; poiché non fu detto ad Abramo: Ti darò tanta terra quanta ne vedi; bensì: Ti darò la terra che vedi. Infatti, poiché gli veniva data anche la parte che si stendeva più lontano tutt'intorno, certamente gli veniva data soprattutto quella che si vedeva. Deve considerarsi poi il seguito poiché, allo scopo che lo stesso Abramo non pensasse che gli veniva promessa solo la parte che poteva vedere e abbracciare con lo sguardo: Alzati! è detto Percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te 33, e ciò affinché percorrendolo arrivasse a quello che non poteva vedere con gli occhi stando in un solo punto. Viene indicato inoltre il paese che ricevette il primo popolo d'Israele discendente da Abramo secondo la carne, non la discendenza, più numerosa secondo la fede e, perché ciò non fosse taciuto, gli fu detto che essa sarebbe diventata come la sabbia del mare, con un'iperbole è vero ma tuttavia tanto numerosa che nessuno avrebbe potuto contarla 34.

Abramo chiamato abitante di là dal fiume.

1029
(
Gn 14,13) Ed annunziò ad Abramo, abitante al di là del fiume. Anche gli esemplari greci indicano assai bene che Abramo era chiamato " abitante di là dal fiume ", ma il motivo per cui fu chiamato così pare sia questo: venendo dalla Mesopotamia passò il fiume Eufrate e stabilì la sua dimora nel paese di Canaan e fu chiamato " abitante di là dal fiume " dalla regione dalla quale era arrivato. Ecco perché Giosué figlio di Nun dice agli Israeliti: Come? Volete servire gli dèi dei vostri padri che sono di là dal fiume? 35

Le perturbazioni e l'animo del sapiente.

1030
(
Gn 15,12) (Si discute) riguardo a quanto sta scritto: Verso il tramonto del sole invase Abramo la paura e lo assalì un grande spavento. È una questione che dev'essere trattata a causa di coloro i quali sostengono che siffatti turbamenti non colpiscono l'anima del sapiente; se cioè (il turbamento di Abramo) è qualcosa di simile a quanto racconta nei libri delle Notti attiche Aulo Gellio 36, che cioè un filosofo il quale, trovandosi su di una nave durante una spaventosa tempesta aveva perduta la calma, fu biasimato da un giovane dissoluto. Siccome questo giovane, passato il pericolo, lo scherniva per il fatto che un filosofo fosse rimasto facilmente sconvolto mentre egli non aveva avuto paura e non era impallidito il suddetto filosofo gli rispose che egli non s'era turbato perché non doveva temere nulla per la sua pessima anima, in quanto non era neppur degna che si temesse qualcosa per essa. Per gli altri, invece, imbarcati sulla nave, infiammati dall'amore del sapere, tirò fuori un libro dello stoico Epitteto, ove si leggeva che non era opinione degli stoici che nessuna di siffatte perturbazioni colpiscano l'anima del sapiente, come se nulla di simile si manifestasse nelle loro passioni, ma da essi è definito turbamento solo quando la ragione cedesse a tali emozioni; quando invece non cede non deve dirsi turbamento. Si deve però considerare in qual senso dica ciò Aulo Gellio e collocarlo opportunamente nel contesto.

Si discute in che senso è detto eterno, ciò che è stato concesso per un certo tempo.

1031
(
Gn 17,8) Darò a te e dopo di te ai tuoi discendenti il paese in cui abiti, tutto il paese coltivato, in possesso eterno. Si discute in che senso è detto: eterno, benché fosse stato concesso per un certo tempo. Se è detto eterno secondo la nostra vita nel mondo e sia quindi detto come se l'aggettivo derivasse da ciò che in greco è , che significa anche la vita presente, come se in latino si potesse dire saeculare (appartenente alla vita presente), oppure se da ciò siamo costretti a intendere qui qualcosa conforme alla promessa spirituale, di modo che è detto eterno poiché mediante ciò sarebbe simboleggiato qualcosa di eterno. O non si tratterà piuttosto d'una espressione particolare delle sacre Scritture? Esse chiamano " eterna " una cosa di cui non si stabilisce il termine, o che non si deve fare neppure in seguito per quanto dipende dalla premura e dal potere di chi agisce. È in questo senso che Orazio dice: Sarà sempre schiavo chi non saprà contentarsi del poco 37. Non può essere schiavo in eterno uno la cui vita, nella quale è schiavo, non può essere eterna. Io non ricorrerei a questa testimonianza, se non fosse quella di un modo di dire, poiché siffatti autori sono maestri in fatto di parole, non della verità delle idee. Ma se le Scritture vengono difese secondo i loro propri modi di dire, detti idiotismi, quanto più secondo quelli che hanno in comune con le altre lingue!

Le parole: E re di popoli nasceranno da lui.

1032
(
Gn 17,16) Si discute in che senso fu detto ad Abramo a proposito di suo figlio: E re di popoli nasceranno da lui, se debba intendersi in relazione alla Chiesa, poiché ciò non accade in relazione ai regni terreni, oppure a causa di Esaù, ciò accadde anche alla lettera.

Pur essendo tre gli uomini apparsi, Abramo usa il singolare.

1033
(
Gn 18,2-3) E vedendoli corse loro incontro dall'ingresso della sua tenda e si prostrò fino a terra e disse: " Signore, se ho trovato grazia al tuo cospetto, non passare oltre dal tuo servo ". Si discute come mai chiama Signore al singolare: O Signore, se ho trovato grazia al tuo cospetto, pur essendo tre gli uomini che gli erano apparsi. Credeva forse che uno di essi fosse il Signore e che gli altri due erano angeli? O piuttosto vedendo negli angeli il Signore, preferì parlare al Signore anziché agli angeli, mentre uno dei tre rimane con lo stesso Abramo, gli altri due sono inviati a Sodoma e Lot lì parla ad essi come al Signore?

Perché Abramo invita gli angeli a ristorarsi.

1034
(
Gn 18,4-5) Si prenda dell'acqua e che io lavi i vostri piedi, e riposatevi sotto l'albero. Prenderò del pane e mangiate. Ecco il quesito: se li credeva angeli, come mai poteva invitarli a cibarsi del nutrimento proprio degli uomini, che è necessario alla refezione del corpo mortale e non all'immortalità degli angeli?.

La meraviglia di Abramo riguardo alla promessa fattagli di un figlio.

1035
(
Gn 18,11) Ora Abramo e Sara erano anziani, avanzati negli anni; Sara inoltre aveva cessato di avere le mestruazioni. L'età degli anziani è inferiore a quella dei vecchi, sebbene anche i vecchi siano chiamati " anziani ". Per conseguenza, se sono vere le asserzioni di alcuni medici, poiché un anziano non può fare figli con un'anziana, anche se la donna ha ancora le sue mestruazioni, possiamo credere alla meraviglia manifestata da Abramo riguardo alla promessa fattagli di un figlio 38 e al fatto che l'Apostolo parla di un miracolo 39. In quel passo il corpo come morto non dobbiamo intenderlo come se non potesse avere assolutamente alcuna forza di generare se la donna fosse di età giovanile, ma come morto nel senso che non poteva generare con una donna anch'essa d'età piuttosto avanzata. Però poté aver figli da Cetura per il fatto che la trovò giovane d'età. I medici infatti insegnano che un uomo il cui corpo è già svigorito in modo da non poter generare con una donna anziana, sebbene ancora soggetta alle mestruazioni, lo può con una giovinetta; a sua volta la donna già anziana, sebbene abbia il flusso delle mestruazioni, alla sua età non può generare figli da un anziano, ma può averli invece da un giovane. Quello pertanto fu un evento straordinario poiché, come abbiamo detto, essendo il corpo del marito come morto, anche la donna era tanto avanzata negli anni che le erano cessate le mestruazioni. Infatti se uno prendesse l'espressione corpo come morto alla lettera, per il fatto che dice: come morto, allora si dovrebbe prendere nel senso che non aveva più l'anima ma che già era cadavere: cosa propria della più assurda falsità. Così si risolve dunque la presente questione. Altrimenti essendo Abramo nell'età di mezzo, quale era delle persone che allora vivevano, e anche in seguito fece dei figli unendosi a Cetura, ci si stupisce come mai l'Apostolo parli di corpo come morto e proclami come un miracolo che Abramo mise al mondo un figlio.

Il Signore rimprovera il riso di Sara.

1036
(
Gn 18,13) Ma il Signore disse ad Abramo: " Perché Sara ha riso dicendo: "Potrò dunque partorire davvero? Io invece sono vecchia" ". Si discute perché il Signore rimproverò costei, pur avendo riso anche Abramo. Se non che il riso di lui era di sorpresa e di gioia, mentre quello di Sara era d'incredulità e poté essere distinto da Colui che conosce il cuore degli uomini 40.

Sara osò negare di aver riso.

1037
(
Gn 18,15) Sara negò dicendo: " Non ho riso ", poiché ebbe paura. In che modo credevano ch'era Dio colui il quale parlava, dal momento che Sara osò negare di aver riso come se Egli potesse ignorare ciò?. Salvo che Sara pensava forse che quei personaggi erano uomini, Abramo al contrario credeva ch'era Dio. Ma anche lui, offrendo quei servizi propri della natura umana, dei quali abbiamo parlato prima, che non potevano essere necessari se non alla debole carne, senza dubbio prima aveva creduto che fossero uomini; ma forse, da certi segni della maestà divina, presenti in loro e che si manifestavano come la Scrittura attesta essere apparsi spesso in uomini di Dio comprese che per mezzo di essi parlava Dio. Ma d'altra parte, se la cosa sta così, sorge il quesito da che cosa conobbero in seguito ch'erano angeli, se non forse dopo che li avevano visti salire al cielo.

L'obbedienza di Abramo.

1038
(
Gn 18,19) Io infatti so che (Abramo) ordinerà ai suoi figli e a quelli del suo casato dopo di lui e osserveranno le vie del Signore facendo ciò che è giustizia e diritto affinché il Signore porti a compimento per Abramo tutto ciò che gli ha promesso. Ecco dove il Signore non solo promette i premi ad Abramo ma anche l'obbedienza dei suoi figli alla giustizia, affinché anche nei loro riguardi si adempisse la promessa dei premi.

Alla debolezza umana Dio adatta il suo modo di esprimersi.

1039
(
Gn 18,21) Io dunque scendendo vedrò se sono completamente corrotti conforme al grido che è salito fino a me, oppure no, perché io lo sappia. Se prendessimo queste parole non già nel senso d'uno che dubita quale delle due cose più verosimilmente stia per accadere, ma di uno che è indignato e che minaccia, non c'è nulla da discutere. Poiché nelle Scritture Dio parla agli uomini secondo la loro usanza e coloro che sanno capire comprendono che la sua collera è senza turbamento. Inoltre anche noi siamo abituati a dire in tono di minaccia: Vediamo se non ti farò (tale o tal'altra cosa), oppure: Vediamo se non gli farò (questo o quello), o ancora: Se non gli potrò fare (questo o quello), e infine: Io saprò, cioè: Io farò proprio la prova se non sono capace proprio di ciò. Quando si dice così, minacciando ma non ignorando, si mostra il sentimento di chi è adirato, ma non è possibile che Dio si adiri. Tuttavia la maniera di parlare propria degli uomini non solo è abituale ma si accorda anche con la debolezza umana, alla quale Dio adatta il suo modo di esprimersi.

Dio avrebbe risparmiato Sodoma se vi fossero stati dei giusti.

1040
(
Gn 18,32) Si suole discutere se ciò che Dio disse di Sodoma, cioè che non avrebbe distrutto la città se vi si fossero trovati almeno dieci giusti, si debba intendere come detto con un'intenzione particolare riguardante quella città o intenderlo, in senso generale, per tutte le città, che cioè Dio risparmi qualsiasi località ove si trovino almeno dieci giusti. Veramente nel trattare questa questione non è necessario che siamo costretti ad intendere ciò riguardo ad ogni località. Tuttavia, a proposito di Sodoma, Dio poté dire anche così, poiché sapeva che lì non v'erano neppure dieci (uomini giusti). In tal modo Dio rispondeva ad Abramo per fargli conoscere che lì non se ne potevano trovare nemmeno tanti, allo scopo di mettere in evidenza il peccato di quegli abitanti. Poiché Dio non aveva necessità di risparmiare individui tanto scellerati per non sterminare con loro i giusti, potendo punire gli empi come si meritavano, dopo aver liberato i giusti da quella città. Ma, come ho detto, per mostrare la perversità di quella moltitudine disse: Se ne troverò dieci, risparmierò tutta la città. Come se avesse detto: " Per certo non posso né sterminare i pii con gli empi né tuttavia risparmiare gli empi, poiché con il liberare e separare da essi i pii, posso rendere in cambio agli empi i castighi che meritano; ma tuttavia, qualora se ne trovassero, risparmierò ", cioè, poiché non se ne sarebbero potuti trovare nemmeno tanti. Una cosa di tal genere si trova in Geremia, nel passo ove dice: Percorrete le vie di Gerusalemme e osservate e cercate nelle sue piazze e informatevi; se riuscirete a trovare un uomo che operi con giustizia e ricerchi la fedeltà, e io perdonerò i loro peccati 41, cioè: " trovatene anche uno solo e io perdonerò a tutti gli altri "; in tal modo con un'iperbole dimostra che non se ne sarebbe potuto trovare neppure uno.

Lot andò incontro agli angeli e li adorò.

1041
(
Gn 19,1) Quanto al fatto che Lot andò incontro agli angeli e li adorò prostrandosi con la faccia a terra, sembra che egli avesse capito che erano angeli, ma d'altra parte, poiché li invita alla refezione del corpo, che è necessaria (solo) ai mortali, sembra credesse che fossero uomini. La questione dunque si risolve com'è stata risolta quella a proposito dei tre angeli ch'erano andati da Abramo; mentre da alcuni segni sembra che fossero stati inviati da Dio, tuttavia erano creduti uomini. Riguardo a ciò infatti anche la Scrittura, nella Lettera agli Ebrei, parlando della virtù dell'ospitalità, dice: Grazie ad essa alcuni, senza saperlo, ospitarono degli angeli 42.

Lot disposto a prostituire le figlie pur di evitare ai suoi ospiti sodomie.

1042
(
Gn 19,8) Così dice Lot agli abitanti di Sodoma: Io ho due figlie ancora vergini. Ve le condurrò fuori, fatene quello che vi piacerà, soltanto non fate alcun torto a questi uomini. Poiché Lot voleva prostituire le figlie affinché con siffatta contropartita i suoi ospiti non subissero nulla di simile, si discute a ragione se è ammissibile la contropartita di azioni disoneste o di qualunque specie di peccati, di modo che noi facciamo qualche male per evitare che un altro commetta un male più grave; oppure sia da attribuire piuttosto al turbamento di Lot e non ad una sua deliberazione il fatto che disse così. È certamente assai pericoloso ammettere una tale contropartita. Se invece si attribuisce al turbamento e allo spirito sconvolto da una sì grave sventura, non si deve affatto imitare.

La cecità colpisce gli abitanti di Sodoma.

1043
(
Gn 19,11) Al contrario (gli angeli) colpirono con la cecità gli uomini che erano alla porta. I Greci hanno , che piuttosto significa, se si potesse dire così, avidentia, la quale sottrarrebbe alla vista non tutte le cose ma solo ciò che non è da vedersi. Poiché giustamente ci stupisce come poterono sforzarsi nel cercare la porta, se erano stati colpiti da tale cecità da non poter vedere assolutamente nulla; infatti in questo modo rimasti turbati com'erano dalla disgrazia che li aveva colpiti, non sarebbero stati più in grado di ricercare la porta. Da una tale furono colpiti anche quelli che cercavano Eliseo 43. Da quella oftalmia furono colpiti anche quelli che non riconobbero il Signore mentre camminavano con lui lungo la via, dopo la risurrezione 44, sebbene in quel passo non sia usata questa parola ma si capisca la cosa.

Lot impaurito non si fidò dello stesso Signore riconosciuto negli angeli.

1044
(
Gn 19,18-19) Ma Lot disse loro: " Ti prego, Signore, poiché il tuo servo ha trovato pietà davanti a te e hai manifestato la grande giustizia che tu usi verso di me facendo sì che la mia anima viva; io però non sono in grado di salvarmi sul monte senza che mi raggiunga la sventura ed io muoia ". Turbato da questa paura (Lot) non si fidava dello stesso Signore, che egli riconosceva negli angeli, la stessa paura a causa della quale aveva fatto la profferta di prostituire le figlie, affinché comprendessimo che non dobbiamo ritenere permesso ciò che disse del disonore cui esponeva le figlie, così come non si deve ritenere permesso di non doversi fidare di Dio.

Lot fu liberato per i meriti di Abramo.

1045
(
Gn 19,29) Dio si ricordò di Abramo e scampò Lot di mezzo a quel disastro. La Scrittura mette in risalto che Lot fu liberato piuttosto per i meriti di Abramo, affinché noi intendessimo che Lot fu chiamato " giusto " secondo un certo modo di parlare, soprattutto perché adorava il vero Dio e in confronto delle nefandezze dei Sodomiti, poiché pur vivendo tra essi, non poté piegarsi a una simile vita.

La montagna su cui salì Lot.

1046
(
Gn 19,30) Lot poi salì da Segor e abitava sulla montagna. Molto probabilmente la montagna, su cui salì spontaneamente è la stessa sulla quale non aveva voluto salire quando il Signore lo esortava; poiché o non vi è alcun altro monte o non è chiaro quale possa essere.

La debole fede di Lot.

1047
(
Gn 19,30) Infatti aveva avuto paura di abitare a Segor. Il Signore, a causa della paura e debolezza di Lot, gli aveva concesso la città che egli stesso aveva scelto. In essa gli aveva promesso la sicurezza che, grazie a lui, avrebbe risparmiato la città. Tuttavia ebbe paura di restarvi; per conseguenza la sua fede non era molto salda.

Abramo nasconde che Sara è sua moglie.

1048
(
Gn 20,2) E Abramo, a proposito di sua moglie Sara, disse: " Essa è mia sorella ", poiché aveva paura di dire: " Essa è mia moglie ", per timore che gli uomini della città lo uccidessero a causa di lei. Si è soliti domandarsi come mai Abramo temeva di correre pericolo a causa della bellezza di Sara a quell'età. Ma più che credere difficile la questione ci si deve meravigliare del potere della bellezza di Sara, che ancora poteva essere amata.

Quanto Dio disse ad Abimelech a causa di Sara.

1049
(
Gn 20,6) Riguardo a quanto Dio disse ad Abimelech a causa di Sara: E io ti ho risparmiato perché tu non peccassi contro di me, quando lo informò ch'essa era moglie di Abramo, mentre egli la riteneva sorella di lui, si deve osservare e considerare che si pecca contro Dio quando si commettono siffatti peccati, che gli uomini credono doversi ritenere lievi come se fossero solo peccati della carne. Quanto poi a quel che Dio gli disse: Ecco, tu morirai 45, si deve considerare anche in qual modo Dio lo dica come predicendo che accadrà senza dubbio ciò che dice con l'ammonire a guardarsi dal peccato astenendosene.

Abramo non festeggiò la nascita di Isacco.

1050
(
Gn 21,8) A buon diritto possiamo chiederci perché Abramo non fece un banchetto, né il giorno in cui gli nacque il figlio né il giorno in cui fu circonciso, ma il giorno in cui fu svezzato. Se questo fatto non viene giudicato secondo un significato simbolico, la questione non può essere risolta. Poiché è evidente che dev'esserci una grande gioia per l'età spirituale solo quando uno sarà diventato un uomo nuovo, spirituale, diverso da coloro ai quali l'Apostolo dice: Io vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, poiché non avreste potuto sopportarlo. Ma non potete sopportarlo neppure adesso, poiché siete ancora carnali 46.

Abramo si rattristò per la richiesta di Sara contro Ismaele.

1051
(
Gn 21,10) Si discute perché Abramo si rattristasse quando sentì dire da Sara: Manda via la schiava e suo figlio, poiché non dovrà spartire l'eredità con mio figlio Isacco, dal momento che questa era una profezia 47, che certamente doveva conoscere piuttosto lui che Sara. Ma bisogna credere o che Sara lo disse per rivelazione, poiché le era stato rivelato prima, mentre Abramo, che ne fu informato dopo dal Signore, rimase turbato per l'affetto paterno verso il figlio, oppure che entrambi prima non sapevano che cosa mai volesse dire quell'ordine e che ciò fu detto profeticamente da Sara senza saperlo, essendo mossa dal suo orgoglio di donna a causa della superbia della schiava.

Ismaele fu chiamato da Dio discendente di Abramo.

1052
(
Gn 21,13) Si deve notare che anche Ismaele fu chiamato da Dio discendente di Abramo, poiché l'Apostolo insegna che così deve intendersi l'espressione pronunciata da Dio: Da Isacco prenderà nome la tua discendenza 48; cioè: non tutti i figli nati dalla carne sono figli di Dio, ma come discendenti sono considerati solo i nati in virtù della promessa 49; questa categoria di persone ha perciò relazione con Isacco, che non era stato generato naturalmente ma in virtù della promessa, e nella sua persona è fatta la promessa che riguarda tutti i popoli.

Se Agar si mise sulle spalle Ismaele ormai grande.

1053
(
Gn 21,14) Allora Abramo si alzò di buon mattino, prese dei pani e un otre d'acqua e li diede ad Agar e le mise sulle spalle anche il ragazzo. Di solito si discute su come mai egli pose sulle spalle (della madre) un ragazzo tanto grande. In realtà Ismaele aveva tredici anni quando fu circonciso e Isacco non era ancora nato. Abramo aveva allora novantanove anni 50 e Isacco nacque quando il padre aveva cent'anni. Ora, quando Ismaele giocava con Isacco, Sara rimase turbata. Evidentemente Isacco doveva essere già grandicello essendo stato già svezzato. Ismaele doveva avere senza dubbio più di sedici anni 51 quando fu cacciato con sua madre dalla casa paterna. Ma ammesso che il fatto di giocare con il bambino sia qui riferito sotto forma di " ricapitolazione " e che fosse avvenuto prima che Isacco fosse svezzato, anche in questa ipotesi non sarebbe comunque meno assurdo credere che un ragazzo di più di tredici anni fosse stato caricato sulle spalle della madre con l'otre e con i pani. La questione si risolve facilmente se si sottintende non già mise sulle spalle ma " diede ". In effetti come sta scritto Abramo diede alla madre d'Ismaele dei pani e un otre che essa pose sulle proprie spalle. Quando poi il testo aggiunge: e il ragazzo, noi sottintendiamo " le diede ", come le aveva dato i pani e l'otre, e non " le mise sulle spalle".

Come mai Agar abbandonò sotto un albero il ragazzo quindicenne.

1054
(
Gn 21,15-18) Ora, l'acqua dell'otre si era esaurita ed essa gettò via il ragazzo sotto un abete e andò a sedersi lontano, di fronte a lui, alla distanza di un tiro d'arco, poiché diceva tra sé: " Non vedrò la morte di mio figlio ", e si era messa a sedere di fronte a lui; ma il ragazzo gridava e piangeva. Dio intese la voce del ragazzo proveniente dal posto dov'era. E l'angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: " Che c'è Agar? Non temere perché Dio ha inteso la voce di tuo figlio proveniente dal luogo dove egli sta. Àlzati, prendi il ragazzo e tienilo per mano. Poiché io farò di lui una grande nazione ". Di solito ci si chiede come mai la madre gettò via sotto un albero il ragazzo che aveva più di quindici anni e si allontanò alla distanza di un tiro d'arco per non vederlo morire. In effetti così sembra sonare ciò che viene detto come se avesse gettato via colui che portava (in collo) soprattutto perché subito dopo si dice: Il ragazzo pianse. Ma si deve intendere che non fu gettato via da chi lo portava ma, come succede, dall'animo sembrando che fosse per morire. Infatti non poiché sta scritto: Sono stato gettato via dal cospetto dei tuoi occhi 52, colui che disse così era uno che veniva portato in collo. Ciò si trova anche nel linguaggio comune d'ogni giorno, quando si dice che uno è gettato lontano da un altro con cui stava, perché non venga veduto da quello o resti con lui. D'altra parte si deve capire cosa che la Scrittura non dice che la madre s'era allontanata dal figlio perché il ragazzo ignorasse dove ella se ne fosse andata e che lei si fosse nascosta in mezzo ai cespugli della selva per non vedere il figlio che moriva dalla sete. Che c'è poi di strano che il ragazzo, anche a quell'età, scoppiò a piangere se non vide a lungo la madre e la credette morta in quel luogo ove era rimasto solo? Ciò dunque che vien detto in seguito: Prendi il ragazzo non fu detto affinché lei lo rialzasse come se fosse giacente a terra, ma perché si unisse con lui e poi lo tenesse per mano come compagno, qual era, come fanno generalmente persone di qualunque età che camminano insieme.

Come mai Agar si aggira nei pressi di un pozzo ancora inesistente.

1055
(
Gn 21,22) Ora avvenne in quel tempo e Abimelec disse, ecc. Si può discutere come corrisponda alla verità che, quando Abramo concluse un patto con questo Abimelec 53, il pozzo che fece scavare fu chiamato " pozzo del giuramento " 54. Poiché Agar, dopo essere stata cacciata dalla casa di Abramo, andava errando nei pressi del pozzo come s'è detto del giuramento, che l'agiografo dice essere stato costruito da Abramo molto tempo dopo: lì infatti fecero il giuramento Abimelec e Abramo, cosa che certamente non era ancora avvenuta quando Agar con il figlio era stata cacciata dalla casa di Abramo. In che modo quindi andava errando nei pressi del pozzo del giuramento 55?. O si deve intendere che era stato già costruito, e sotto forma di ricapitolazione fu poi ricordato ciò che fece Abramo con Abimelec? Salvo che l'agiografo, il quale scrisse il libro molto tempo dopo, chiamò con il nome di pozzo del giuramento il paese in cui andava errando la madre con il figlio, come se dicesse: " Andava errando nel paese ove fu scavato il pozzo del giuramento ", sebbene il pozzo fosse costruito dopo, ma assai prima del tempo dello scrittore. Quando il libro veniva scritto così veniva chiamato il pozzo che conservava il nome antico impostogli da Abramo. Se però è lo stesso pozzo visto da Agar ad occhi aperti, non resta altro che risolvere la questione per mezzo della ricapitolazione. Non deve neppure creare imbarazzo come Agar non conoscesse il pozzo che aveva fatto scavare Abramo se era stato scavato prima ch'essa fosse cacciata. Poteva darsi infatti benissimo che, assai lontano dalla casa, ove abitava con i suoi, Abramo avesse per il suo bestiame fatto scavare il pozzo ch'essa non conosceva.

Se Abramo possedeva un appezzamento di terreno presso il pozzo.

1056
(
Gn 21,33) Ci si può chiedere come mai Abramo avesse piantato un appezzamento di terreno presso il pozzo del giuramento, se in quel paese come dice Stefano 56 non aveva ricevuto in eredità neppure un appezzamento di terreno largo un piede. Ma per " eredità " è da intendersi quella che gli avrebbe dato Dio per suo dono, non comprata con denaro. S'intende infatti che l'appezzamento di terreno attorno al pozzo faceva parte del patto di compravendita per il quale erano state date sette agnelle quando Abimelec e Abramo si scambiarono anche il giuramento 57.

Come Dio tentò Abramo.

1057
(
Gn 22,1) E Dio tentò Abramo. Di solito si discute in qual modo ciò sia vero dal momento che Giacomo, nella sua Lettera, afferma che Dio non tenta nessuno 58, ma non è forse perché nel linguaggio della Scrittura il termine " tentare " ha lo stesso senso di " mettere alla prova "? Al contrario, per la tentazione di cui parla Giacomo, non s'intende se non quella per la quale uno cade nel peccato. Ecco perché l'Apostolo dice: (Avevo paura) che il tentatore vi avesse tentati 59. Infatti in un altro passo sta scritto: Il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se lo amate 60. Anche ciò è detto con una specie di locuzione, come se fosse detto: " per farvi sapere ", perché l'uomo ignora le forze del suo amore se non gli fossero fatte conoscere con la prova in cui è messo da Dio.

L'effetto per la causa.

1058
(
Gn 22,12 Gn 14) Le parole dell'angelo rivolte dal cielo ad Abramo: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male. Ora so che tu temi Dio. Anche questa questione si risolve in base alla locuzione simile alla precedente, poiché la frase: Ora so che tu temi Dio significa: " Ora ti ho fatto conoscere ". Questa specie di locuzione appare poi evidente nel seguito della frase ove si dice: e Abramo chiamò quel luogo: Il Signore ha visto, di modo che (ancora) oggi si dice: sul monte il Signore s'è fatto vedere. Ha visto sta per: " è apparso ", cioè ha visto sta per: " ha fatto sì che si vedesse " indicando l'effetto per chi è la causa, come " il freddo pigro " per il fatto che rende pigri.

A causa di Dio Abramo non ha risparmiato il suo figlio.

1059
(
Gn 22,12) E non hai risparmiato il tuo diletto figlio a causa di me. Forse che Abramo non risparmiò suo figlio a causa dell'angelo e non a causa di Dio? O dunque sotto il nome di " angelo " è indicato Cristo nostro Signore, che senza dubbio è Dio e dal Profeta è chiamato chiaramente: Angelo del gran consiglio 61, oppure poiché Dio era nell'angelo, anche l'angelo parlava in persona di Dio, come di solito parla anche per bocca dei Profeti. In effetti sembra che ciò appaia più chiaramente nel seguito del passo ove si legge: E l'angelo del Signore chiamò di nuovo dal cielo Abramo e disse: Giuro per me stesso, così parla il Signore 62. Difficilmente infatti si trova che Cristo nostro Signore chiami Signore il Padre, come suo proprio Signore, specialmente prima dell'Incarnazione. Sembra in realtà che ciò si dica in modo non conveniente riguardo al fatto ch'egli assunse la natura di servo. Infatti secondo la profezia di questo evento futuro, nel Salmo si legge: Il Signore mi ha detto: " Figlio mio sei tu " 63. Neppure nel Vangelo troviamo facilmente che il Padre sia stato chiamato " Signore " per il fatto che fosse il proprio Signore, sebbene troviamo (che lo chiama) " Padre " nel passo ove dice: Vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro 64. Invece la frase della Scrittura: Disse il Signore al mio Signore si riferisce a colui che parlava, cioè: Disse il Signore al mio Signore 65, vale a dire il Padre al Figlio, e l'agiografo dice: Il Signore fece piovere... dal Signore 66, perché s'intendesse che il suo Signore fece piovere dal suo Signore, cioè nostro Signore da nostro Signore, il Figlio dal Padre.

Camuel padre dei Siri.

1060
(
Gn 22,21) Quanto al fatto che, tra coloro che riferirono ad Abramo ch'erano nati dei figli a suo fratello, è nominato Camuel, padre dei Siri, ma quei tali non poterono certamente riferire ch'era nato il capostipite dei Siri, poiché la stirpe dei Siri si propagò molto tempo dopo dalla sua origine. Ma così è detto in nome proprio dall'agiografo che, scrivendo, narra tutti questi fatti dopo tutti quei tempi, allo stesso modo che abbiamo detto più sopra a proposito del pozzo del giuramento 67.

L'adorazione è dovuta solo a Dio.

1061
(
Gn 23,7) Abramo si alzò e adorò il popolo di quel paese. Ci si chiede come mai sta scritto: Adorerai il Signore, tuo Dio, e servirai lui solo 68, dal momento che Abramo onorò un popolo di pagani fino al punto di adorarlo. Si deve però considerare che nel medesimo comandamento non è detto: " Adorerai solo il Signore tuo Dio ", come è detto: e renderai culto a lui solo, che in greco si dice . Un tale culto è dovuto unicamente a Dio; per conseguenza sono biasimati gli idolatri, cioè coloro che rendono agli idoli il culto dovuto solo a Dio. E non ci deve neppure stupire che in un altro passo d'un libro della Scrittura l'angelo proibisce all'uomo di adorarlo e lo esorta ad adorare piuttosto il Signore 69, poiché l'angelo era apparso come persona così eminente da poter essere adorato come Dio. Per questo l'adoratore doveva essere corretto.

In che modo Abramo comanda al suo servo di giurare.

1062
(
Gn 24,3) Il fatto che Abramo comandi al suo servo di mettere la sua mano sotto il suo fianco e così lo fa giurare in nome del Dio Signore del cielo e della terra, di solito mette in imbarazzo gli ignoranti, i quali non riflettono che questa era una grande profezia riguardante Cristo, che cioè egli, Signore del cielo e della terra, sarebbe venuto nella carne propagata da quel fianco.

La differenza tra le azioni illecite di prendere gli auspici e il chiedere un segno.

1063
(
Gn 24,12-14) Si deve cercare quale sia la differenza tra le azioni illecite di prendere gli auspici e il chiedere un segno, come fece il servo di Abramo che chiese a Dio di mostrargli che la donna destinata ad essere la moglie del suo signore Isacco era quella alla quale, dopo aver chiesto da bere, gli avesse detto: Bevi anche tu e darò da bere anche ai tuoi cammelli finché non saranno dissetati. Poiché una cosa è chiedere qualcosa di straordinario, che sia un segno per effetto dello stesso miracolo, un'altra cosa è osservare ciò che accade in modo che non è straordinario, ma dagli indovini viene interpretato con superstiziosa vanità. Non è dunque una questione di poca importanza se si possa anche avere l'audacia di pretendere un evento straordinario, che facesse vedere ciò che si vuole sapere. Poiché in relazione a ciò è quel che si dice che tentano Dio coloro che così fanno in modo non retto. Infatti lo stesso Signore, quando fu tentato dal demonio, ricorse a un testo della Scrittura: Non tenterai il Signore Dio tuo 70. Poiché gli veniva consigliato, come uomo, di provare quanto egli fosse potente, cioè quanto fosse potente presso Dio; questa è un'azione colpevole quando la si compie. Una cosa differente è quella compiuta da Gedeone quando incombeva il pericolo della guerra 71; quella infatti fu piuttosto una consultazione che una tentazione di Dio. Per questo anche Acaz presso Isaia ha paura di chiedere un segno per non sembrare di tentare Dio 72, sebbene il Signore lo esortasse per mezzo del Profeta a chiederlo, pensando io credo che fosse messo alla prova dal Profeta se si ricordasse del comandamento che ci proibisce di tentare Dio.

Sulla concordanza delle Scritture.

1064
(
Gn 24,37-38) Il servo di Abramo, raccontando gli ordini datigli dal suo padrone, afferma che gli disse: Non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito nel loro paese, ma andrai nella casa di mio padre, nella mia tribù e prenderai di lì una moglie per mio figlio, ecc. Qualora si leggesse in qual tenore gli furono impartiti gli ordini, si troverebbe il medesimo senso; al contrario, le parole non sono state riferite tutte o le stesse o in questo modo. Ho creduto opportuno ricordare ciò, a causa di molte persone ignoranti che muovono critiche sconvenienti e ingiuste agli Evangelisti per il fatto che, riguardo ad alcune parole, non vanno completamente d'accordo tra di loro, sebbene quanto alla realtà e al pensiero non discordino affatto. Di certo, infatti, un solo scrittore è autore di questo libro; costui infatti, le cose che Abramo gli aveva detto prima, nell'impartirgli gli ordini, le poté esprimere in quel modo anche solo ricordandole se le avesse giudicate opportune, poiché la veracità del racconto che si esige altro non è se non quella dell'obiettività e del senso (espresso dalle parole) con cui si manifesta chiaramente l'intenzione che le parole rendono intelligibile.

Etimologia della parola giuramento.

1065
(
Gn 24,41) Riferendo il racconto del servo di Abramo circa gli ordini datigli dal suo padrone, i manoscritti latini hanno: Allora sarai innocente del mio giuramento (a iuramento meo, oppure a iuratione mea) mentre quelli greci hanno: dalla mia maledizione, poiché il giuramento in greco si dice , la maledizione invece , e perciò (maledetto) si dice , oppure . Per conseguenza sorge la questione in qual senso si possa intendere come maledizione il giuramento, se non che è maledetto chi agisce contro il giuramento.

Misericordia e giustizia.

1066
(
Gn 24,49) Se dunque userete misericordia e giustizia verso il mio signore, fatemelo sapere. I due termini misericordia e giustizia che ricorrono frequentemente in altri passi delle sacre Scritture e soprattutto nei Salmi poiché lo stesso significato hanno misericordia e verità 73 cominciano ad apparire già a partire da questa frase.

La profezia sia tale da non ingenerare dubbi che si avveri.

1067
(
Gn 24,51) Ecco, Rebecca è qui davanti a te. Prendila e torna indietro. Diventi la moglie del figlio del tuo padrone, come ha detto il Signore. Noi ci domandiamo: Quando ha parlato il Signore? Salvo che sapevano che Abramo era un profeta e riconoscevano come detto dal Signore profeticamente ciò che era stato detto per mezzo di lui 74; oppure chiamarono parola del Signore il segno che il servo aveva raccontato loro essergli stato dato 75: questo segno era stato rappresentato piuttosto riguardo a Rebecca. Quello infatti che aveva detto Abramo non riguardava Rebecca ma una donna qualunque della sua tribù o della sua parentela; riguardava perciò tutt'e due i casi, in modo che fosse libero dal giuramento se non avesse raggiunto lo scopo. Certamente non si dice così quando si profetizza qualcosa. È infatti doveroso che la profezia sia tale da non ingenerare dubbi che si avveri.

Ciò che i suoi fratelli dissero a Rebecca nell'atto di partire.

1068
(
Gn 24,60) Quanto a ciò che i suoi fratelli dissero a Rebecca nell'atto di partire: Tu sei nostra sorella; diventa migliaia di miriadi e i tuoi discendenti conquistino in eredità le città dei loro nemici, non furono dei profeti o lo desiderarono animati da una sì grande vanità, ma non era potuto rimanere loro nascosto ciò che Dio aveva promesso ad Abramo.

Vari significati della parola exerceri.

1069
(
Gn 24,63) Riguardo a quanto sta scritto: E Isacco uscì a esercitarsi nella campagna a mezzogiorno, coloro che non conoscono il verbo greco che denota questa azione credono che si tratti di un esercizio fisico. Ora in greco sta scritto , ma si riferisce all'esercizio spirituale, e spesso si attribuisce ad un difetto. Tuttavia, secondo l'abitudine delle Scritture, si usa di solito in senso buono. Invece di questa parola alcuni nostri scrittori hanno tradotto: esercizio, alcuni altri: garrulità, si direbbe quasi loquacità che, per quanto riguarda il linguaggio latino, a stento o mai si trova in senso buono. Ma, come ho detto, nelle Scritture è sempre usato in senso buono. A me pare che significhi una disposizione dell'animo che medita con straordinario interesse qualcosa, con il godimento proveniente dalla meditazione; salvo che siano di parere diverso coloro che intendono meglio queste parole greche.

Abramo sposa Cettura dopo la morte di Sara.

1070
(
Gn 25,1) Abramo poi prese di nuovo un'altra moglie, che si chiamava Cettura. Questo passo potrebbe costituire un problema, se fosse un peccato soprattutto rispetto agli antichi che si curavano di propagare la prole. In questo caso può sospettarsi qualsiasi cosa meno che l'incontinenza di un personaggio così eminente, tenuto conto soprattutto della sua età assai avanzata. Perché inoltre procreò figli con questa donna lui, che grazie a un miracolo aveva avuto il figlio da Sara, è stato detto più sopra 76. Sebbene alcuni asseriscano che durasse a lungo il dono di una specie di rinvigorimento fisico ricevuto da Abramo in modo da poter procreare altri figli. Ma è assai più certo che, anziano com'era, potesse procreare con una giovinetta come non avrebbe potuto farlo, lui anziano, con un'anziana, se in quel caso Dio non gli avesse accordato un miracolo soprattutto a causa dell'età, ma anche della sterilità di Sara. Certamente uno di età avanzata e come dice la Scrittura pieno di giorni possa chiamarsi anziano, cioè , può capirsi dal fatto che Abramo fu chiamato così quando morì 77. Ogni vecchio dunque è anche , ma non ogni è anche vecchio, poiché per lo più questo è il nome dell'età che, al di sotto della vecchiaia, è vicina alla vecchiaia e perciò anch'essa prese il nome nella lingua latina sicché un vecchio è chiamato . Presso i Greci però specialmente come parla la Scrittura sono chiamati e anche se viene paragonata l'età di persone giovani, come noi diciamo " più anziano " e " più giovane ". Tuttavia il fatto che Abramo dopo la morte di Sara procreò figli da Cetura, non deve intendersi come se avvenisse in base alla consuetudine umana e solo con l'idea di procurarsi una figliolanza più numerosa. In questo senso infatti gli uomini potrebbero intendere anche ciò che avvenne nel caso di Agar, se l'Apostolo non ci ricordasse che quei fatti avevano in sé un significato profetico 78 e così nella persona di ambedue le donne e dei loro figli il significato allegorico prefigurasse i due Testamenti per la predizione della realtà futura. Quindi anche nell'azione di Abramo si deve cercare qualcosa di simile. Benché non facilmente venga in mente un'idea in proposito, nel frattempo dirò ciò che mi viene in mente. Mi sembra che i doni che ricevettero i figli delle concubine siano simbolo di alcuni doni di Dio nei riti sacri in qualsiasi specie di prefigurazioni simboliche dati anche al popolo carnale dei Giudei e agli eretici come figli delle concubine, mentre il dono dell'eredità, che consiste nella carità e nella vita eterna 79, appartiene solo ad Isacco, cioè ai figli della promessa.

Le parole: I nomi dei figli di Ismaele secondo i nomi delle loro generazioni.

1071
(
Gn 25,13) Che cosa vuol dire ciò che sta scritto: Questi sono i nomi dei figli di Ismaele secondo i nomi delle loro generazioni? Poiché non è molto chiaro per qual motivo sia stato aggiunto: secondo i nomi delle loro generazioni, dal momento che sono nominati coloro che egli aveva generato, non coloro che furono generati da essi. Salvo che per caso, poiché le popolazioni generate da essi sono chiamate con i loro nomi, questa circostanza è stata indicata con l'espressione: secondo i nomi delle loro generazioni. Ma nondimeno in questo modo quelle popolazioni sono piuttosto chiamate così a causa del nome di quelli, non i nomi derivano dalle popolazioni, poiché esse sono sorte in seguito. È quindi un'espressione da notare, poiché anche in seguito di esse viene detto: I dodici capi secondo i loro popoli 80.

Rebecca andò a consultare il Signore e ne ebbe risposta.

1072
(
Gn 25,22) Riguardo a quanto sta scritto che Rebecca andò a consultare il Signore poiché i bambini si urtavano l'un l'altro entro il suo seno, si discute ove si recasse. Poiché non c'erano allora profeti e sacerdoti ordinati al servizio della tenda o del tempio del Signore. Giustamente dunque si riflette ove andasse se non forse al posto ove Abramo aveva eretto un altare 81. La Scrittura però non dice affatto in che modo fossero comunicati i responsi, se mediante un sacerdote se c'era non si può credere che in quel passo non fosse nominato e non venisse fatta assolutamente alcuna menzione di qualcuno dei sacerdoti o forse ivi dopo aver esposto i loro desideri, restavano in quel luogo a dormire affinché i responsi fossero loro ispirati durante il sonno? O forse era ancora vivo Melchisedec, ch'era un personaggio tanto eminente che alcuni si chiedono se era un uomo o un angelo? O c'erano forse uomini di Dio tali che, per mezzo di essi potesse consultarsi Dio? Qualunque cosa sia di questa ipotesi, o di altra che mi sia dimenticato di rammentare, di certo non può mentire la Scrittura nell'affermare che Rebecca andò a consultare il Signore e il Signore le rispose.

Le parole della risposta che Dio diede a Rebecca.

1073
(
Gn 25,23) Le parole della risposta che Dio diede a Rebecca: Due nazioni sono nel tuo ventre e due popoli si separeranno fuori del tuo ventre, e un popolo prevarrà sull'altro popolo e il maggiore sarà servo del minore, contengono un senso tipologico-profetico in quanto nel figlio maggiore sono simboleggiate le persone carnali del popolo di Dio, mentre nel figlio minore quelle spirituali. Poiché secondo ciò che dice l'Apostolo, non fu prima il corpo spirituale, ma quello animale (= naturale) e poi lo spirituale 82. Di solito ciò che fu detto (nella risposta a Rebecca) s'intende anche in questo: in Esaù è simboleggiato il popolo maggiore di Dio, cioè l'Israelitico secondo la carne, in Giacobbe invece è simboleggiato lo stesso Giacobbe secondo la discendenza spirituale. Tuttavia si trova scritto che questa risposta si adempì anche storicamente alla lettera quando il popolo d'Israele, cioè il figlio minore Giacobbe, riportò vittoria sugli Idumei, cioè il popolo discendente di Esaù, rendendoli tributari per mezzo di Davide 83. Così rimasero fino al re sotto il quale gli Idumei si ribellarono e scossero dal loro collo il giogo degli Israeliti secondo la profezia fatta dallo stesso Isacco, quando benedisse il minore invece del maggiore 84. Così disse al medesimo figlio minore quando poi benedisse anche lui.

In che modo ricevette, mediante l'inganno, la benedizione colui che era senza inganno.

1074
(
Gn 25,27) Giacobbe invece era un uomo semplice che dimorava in una casa. Gli scrittori latini hanno tradotto con l'aggettivo semplice quello greco " non finto, non falso ". Per questo motivo alcuni traduttori latini hanno tradotto: senza inganno, dicendo: Giacobbe era una persona senza inganno che abitava in una casa. Sorge in tal modo un difficile problema: in che modo ricevette, mediante l'inganno, la benedizione colui che era senza inganno? La Scrittura però premette questa qualifica per simboleggiare qualcosa d'importante. Soprattutto da questa infatti siamo costretti a intendere in quel passo realtà di natura simbolica, poiché era senza inganno colui che agì con inganno. Che cosa noi pensassimo di questo fatto lo abbiamo esposto assai esaurientemente in un discorso tenuto al popolo 85.

Isacco costretto dalla carestia andò da Abimelec.

1075
(
Gn 26,1) A proposito di quanto sta scritto: Ora ci fu nel paese una carestia, oltre la carestia ch'era avvenuta al tempo di Abramo; Isacco andò quindi da Abimelec re dei Filistei a Gerara, si discute quando avvenne questo evento; se dopo che Esaù vendette la sua primogenitura per un piatto di lenticchie poiché questo fatto comincia ad essere narrato dopo quel racconto oppure, come di solito avviene, il narratore, dopo essere andato avanti parlando dei figli di lui, essendo arrivato al passo più su ricordato che tratta del piatto di lenticchie, torna indietro a quei fatti con l'espediente della ricapitolazione. Si resta perplessi però, poiché si trova lo stesso Abimelec che aveva anche desiderato ardentemente Sara e qui sono ricordati il suo paraninfo ed il generale del suo esercito 86, i quali, già menzionati in quel passo non potevano nemmeno essere vivi entrambi. In effetti, allorché divenne amico di Abramo, Isacco ancora non era nato ma già era stato promesso. Supponiamo che quel fatto fosse avvenuto un anno prima che nascesse Isacco in seguito Isacco ebbe dei figli all'età di sessant'anni; quelli poi erano giovani quando Esaù vendette la sua primogenitura supponiamo anche che essi avessero circa venti anni, allora fino a quell'azione dei suoi due figli gli anni di Isacco erano arrivati a ottanta; supponiamo che Abimelec, allorché s'innamorò della madre di Isacco e divenne amico di Abramo, fosse un giovanotto; poteva quindi essere già quasi centenario se, dopo quell'azione intervenuta tra i suoi figli, Isacco andò in quel paese costretto dalla carestia. Da ciò dunque nessuna necessità ci costringe a credere che il viaggio di Isacco a Gerara sia stato narrato sotto forma di ricapitolazione. Ma poiché la Scrittura dice che Isacco si fermò colà per un lungo tempo e vi scavò dei pozzi e litigò a proposito di essi e si arricchì di molti beni 87, sarebbe strano se non fossero stati riepilogati tutti questi fatti ch'erano stati omessi, affinché arrivasse prima il racconto relativo ai suoi figli fino al passo dov'è narrato il fatto delle lenticchie.

Anche i beni temporali sono doni di Dio.

1076
(
Gn 26,12-13) Riguardo a ciò che sta scritto di Isacco: Il Signore l'aveva benedetto e così quest'uomo diventò potente e continuò a crescere in potenza finché divenne grande assai, il seguito del passo dimostra che è detto riguardo alla felicità terrena. Il narratore infatti riferisce distintamente quei medesimi suoi beni grazie ai quali divenne grande e Abimelec, turbato per questa potenza, ebbe paura che egli vivesse lì temendo che la potenza di lui gli fosse pericolosa 88. Sebbene dunque questi fatti siano simbolo di qualcosa di spirituale, tuttavia per il fatto che si avverarono fu premesso: Il Signore lo benedisse, perché mediante la retta fede comprendessimo che anche questi beni temporali non possono essere concessi né devono essere sperati quando sono desiderati dalle persone di ceto sociale più basso se non dal solo Dio, sicché chi è fedele nelle minime cose è fedele anche nelle grandi. Chi è stato trovato fedele nell'amministrare la ricchezza iniqua, costui meriterà anche di ricevere la vera ricchezza, come dice il Signore nel Vangelo 89. Così ugualmente è detto a proposito di Abramo, che tutto ciò che gli riuscì bene fu un dono di Dio. Per conseguenza non poco questo racconto serve a istruire riguardo alla retta fede coloro che lo intendono con spirito religioso, anche se non si potesse estrarre da questi fatti un senso allegorico.

Maledizioni su chi è spergiuro.

1077
(
Gn 26,28) Si faccia un'imprecazione tra noi e te, cioè un giuramento che vincola mediante maledizioni che dovrebbero cadere su chi fosse spergiuro. Come questo, deve considerarsi quanto ricordò anche il servo di Abramo raccontandolo alle persone da cui prese la moglie per il proprio padrone Isacco.

Il nome giuramento dato al pozzo.

1078
(
Gn 26,32 Gn 33) Che cosa vuol dire ciò che sta scritto, che cioè i servi di Isacco, dopo essere tornati e aver detto: Abbiamo scavato il pozzo ma non abbiamo trovato l'acqua, Isacco chiamò " Giuramento" il medesimo pozzo? Forse che, sebbene si tratti di un fatto accaduto, dev'essere ritenuto senza dubbio come un simbolo di una realtà spirituale, poiché, preso alla lettera, non ha alcuna corrispondenza logica col nome di " Giuramento " dato al pozzo per il fatto che non vi era stata trovata l'acqua? Altri traduttori dicono tuttavia che i servi di Isacco riferirono, al contrario, che l'acqua era stata trovata; ma anche così perché mai il pozzo fu chiamato " Giuramento " quando non era stato fatto alcun giuramento?

Perché Isacco chiede ad Esaù della selvaggina in cibo.

1079
(
Gn 27,1-17) Noi non crediamo affatto sia privo di un simbolismo profetico che un così gran patriarca, com'era Isacco, prima di morire chieda al figlio di andare a caccia per procurargli il cibo da lui preferito come un gran favore e gli promette la benedizione; soprattutto perché sua moglie si affretta a far sì che quella benedizione la riceva il figlio minore, ch'essa prediligeva, e poiché tutti gli altri particolari del medesimo racconto ci spingono assai a capire o indagare significati più importanti.

Lo smarrrimento di Isacco dopo la benedizione.

1080
(
Gn 27,33) Ciò che esprimono i manoscritti latini dicendo: Isacco allora si spaventò di uno spavento grande assai, quelli greci lo esprimono con le parole: rimase stordito d'uno stordimento assai grande (). Con una tale espressione s'intende un turbamento tanto forte che ne seguì un'alienazione mentale propriamente chiamata estasi. E poiché questa di solito avviene riguardo a rivelazioni di realtà importanti, si deve intendere che in questa avvenne un ammonimento riguardante realtà spirituali, affinché confermasse la sua benedizione per il figlio minore, contro il quale si sarebbe dovuto adirare poiché aveva ingannato il padre. Allo stesso modo anche a proposito di Adamo viene prefigurato profeticamente il grande mistero che l'Apostolo afferma essere il rapporto tra Cristo e la Chiesa; i due formeranno una sola carne 90, è detto poiché era preceduta l'estasi 91.

In che modo Rebecca seppe delle parole di Esaù.

1081
(
Gn 27,42) In che modo furono riferite o fatte sapere a Rebecca le parole di Esaù con le quali aveva minacciato di uccidere suo fratello, dal momento che la Scrittura afferma che aveva detto così nel suo pensiero 92? Non per alcun altro motivo se non perché con ciò ci viene dato d'intendere che veniva loro rivelata ogni cosa da Dio. Per conseguenza si riferisce a un grande piano divino il fatto che Isacco volle fosse benedetto il proprio figlio minore invece del maggiore.

Differenza fra codici latini e greci.

1082
(
Gn 28,2) Quanto alla frase riferita dai manoscritti latini detta da Isacco a suo figlio: Va' in Mesopotamia, alla casa di Batuel, padre di tua madre, e prenditi di lì la moglie, i manoscritti greci non hanno Va', ma Fuggi, cioè . Da ciò si capisce che anche Isacco sapeva che cosa suo figlio Esaù aveva detto in cuor suo a proposito di suo fratello.

Le parole di Giacobbe riguardano una profezia.

1083
(
Gn 28,16-17) Allora Giacobbe si svegliò dal suo sonno e disse: " Il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ". Poi ebbe paura e disse: " Com'è terribile questo luogo! Ciò non è nient'altro che la casa di Dio e la porta del cielo! " Queste parole riguardano una profezia poiché lì sarebbe stata la tenda stabilita da Dio tra gli uomini in mezzo al suo primo popolo. La porta del cielo poi dobbiamo intenderla nel senso che per essa i credenti possono entrare per raggiungere il Regno dei cieli.

La pietra eretta da Giacobbe come monumento.

1084
(
Gn 28,18) Quanto al fatto che Giacobbe rizzò la pietra che s'era posta (come guanciale) sotto il capo e la eresse come un monumento e versò su di essa dell'olio, non compì alcun atto somigliante all'idolatria. Né allora infatti né in seguito la visitò abitualmente adorandola ed offrendole sacrifici; ma fu una figura di un chiarissimo significato simbolico che ha relazione al termine " unzione ", in conseguenza della qual cosa il nome di Cristo deriva da " crisma ".

Il nome dato da Giacobbe a quel luogo.

1085
(
Gn 28,19) E Giacobbe diede a quel luogo il nome di " casa di Dio "; ma prima il nome della città era Ulammaus. Se questa precisazione si prende nel senso che Giacobbe dormì nei pressi della città, non c'è alcun problema, se invece dormì nella città pare strano che vi potesse erigere quel monumento. Il fatto poi che pronunziò un voto se (Dio) gli fosse stato propizio, nel suo andare e tornare, e promise di dare la decima (dei beni) alla futura casa di Dio in quel luogo 93, è una profezia riguardante la casa di Dio, ove egli al suo ritorno gli sacrificò non quella pietra chiamandola Dio, bensì la casa (di Dio), poiché in quel luogo sarebbe sorta la casa di Dio.

Giacobbe incontra Rachele.

1086
(
Gn 29,10) Quanto al fatto che Rachele arrivi con le pecore di suo padre e la Scrittura dice: Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre, s'avvicinò e rotolò via la pietra dalla bocca del pozzo, si deve notare che la Scrittura tralascia per lo più ciò che noi dobbiamo immaginare piuttosto di sollevare una questione. S'immagina infatti che i pastori, con i quali prima parlava Giacobbe, dopo essere stati interrogati su chi fosse la donna che stava arrivando con le pecore, furono essi a dirgli che era la figlia di Labano. Giacobbe naturalmente non la conosceva, ma la Scrittura, pur senza menzionarla, ha voluto che s'immaginasse la domanda posta da lui e la risposta data da loro.

Rachele accetta il bacio da Giacobbe.

1087
(
Gn 29,11-12) Quanto a ciò che sta scritto: Giacobbe baciò Rachele, alzò la voce e pianse e le fece sapere ch'egli era fratello di lei e ch'era figlio di Rebecca. Era in verità un fatto abituale proprio della semplicità degli antichi che i parenti baciassero le parenti, come avviene ancora oggi in molti luoghi. Ma ci si può domandare come mai Rachele accettò il bacio da uno sconosciuto se, solo in seguito, Giacobbe indicò la propria parentela. Si deve quindi intendere che egli, avendo già sentito chi ella fosse, si precipitò sicuro di sé a baciarla. La Scrittura narrò dopo, sotto forma di ricapitolazione, ciò che era avvenuto prima, cioè che Giacobbe le aveva fatto sapere chi fosse lui. Allo stesso modo si dice del paradiso, in che modo Dio lo piantò 94, sebbene già fosse stato detto che Dio aveva piantato il paradiso e vi collocò l'uomo che aveva modellato e si comprende che molte altre cose sono state dette per ricapitolazione.

Per gli amanti anche un breve tempo è piuttosto lungo.

1088
(
Gn 29,20) A proposito di ciò che sta scritto: Così Giacobbe servì per Rachele sette anni, ma gli sembrarono pochi giorni per il fatto che l'amava, dobbiamo chiederci come mai è detto questo dal momento che di solito per gli amanti anche un breve tempo è piuttosto lungo. L'affermazione è dunque derivata dal disagio del servizio ch'era reso facile e lieve dall'amore.

Gli anni di servizio di Giacobbe per sposare Rachele.

1089
(
Gn 29,27-30) Se non si considera attentamente il racconto di questa vicenda, si crederà che, dopo che Giacobbe prese in moglie Lia, rimase a servire (Labano) per altri sette anni per (avere in moglie) Rachele, quindi la prese in moglie. Tuttavia non è così, ma Labano gli disse: Finisci la settimana nuziale di costei, poi ti darò anche quest'altra per il servizio che presterai ancora presso di me per altri sette anni. L'espressione: Finisci la settimana di costei, è riferita pertanto alla celebrazione delle nozze, che di solito si celebravano per sette giorni. Ecco dunque che cosa gli disse: Compi i sette giorni delle nozze che riguardano costei che hai preso in moglie, poi ti darò anche quest'altra per il servizio che presterai ancora presso di me per altri sette anni. Poi continua: Ora Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale cioè i sette delle nozze con Lia , e allora Labano gli diede in moglie sua figlia Rachele. Labano inoltre diede a sua figlia Rachele come schiava la propria schiava Balla. Egli si unì a Rachele e amò Rachele più di Lia e fu ancora a servizio di lui per altri sette anni. È senz'altro chiaro che, dopo aver preso in moglie Rachele, fu a servizio di Labano per altri sette anni. Sarebbe stata infatti una crudeltà ed una grande ingiustizia che Labano, dopo aver ingannato Giacobbe, lo avesse fatto aspettare ancora sette anni e solo allora gli avesse dato colei che gli avrebbe dovuto dare prima. Che poi fosse usanza di celebrare le nozze per sette giorni lo mostra anche il Libro dei Giudici a proposito di Sansone 95, quando fece il banchetto per sette giorni. La Scrittura inoltre aggiunge che così usavano fare i giovani; Sansone lo fece per le proprie nozze.

L'uso di concubina e moglie nel linguaggio della Scrittura.

1090
(
Gn 30,3 Gn 9) Non è facile distinguere quali donne la Scrittura chiama concubine e quali mogli, dal momento che non solo Agar è chiamata moglie, mentre in seguito è chiamata concubina, ma anche Cettura e le serve date da Rachele e da Lia al loro marito 96, salvo che secondo l'usanza di parlare delle Scritture ogni concubina venga chiamata moglie, ma non ogni moglie concubina, cosicché Sara, Rebecca, Lia e Rachele non possono chiamarsi concubine, mentre Agar, Cettura, Balla e Zelfa possono chiamarsi tanto mogli che concubine.

Il senso ambiguo della parola fortuna.

1091
(
Gn 30,11) Quanto a ciò che i manoscritti latini portano, che Lia, in seguito alla nascita di un figlio avuto da Zelfa, disse: (Ora) sono beata, oppure: sono felice, mentre quelli greci hanno: , che significa piuttosto " buona fortuna ". A coloro che non intendono bene questa espressione sembra faccia pensare che tali persone adorassero la Fortuna, o come se l'autorità delle sacre Scritture avesse usato quel termine nel senso che ha ordinariamente. Si deve però intendere per " fortuna " ciò che sembra accadere per caso, non perché sia una divinità, sebbene le stesse cose che sembrano casuali avvengano per disposizione di Dio da cause occulte. Da "fortuna " sono derivate certe parole, come forte " forse; per caso ", fortasse " per avventura ", forsitan " forse ", fortuito " fortuitamente; accidentalmente; a caso " che nessuno può eliminare dal linguaggio usuale; da fortuna sembra che anche nella lingua greca suoni ciò che (i Greci) dicono , in quanto deriva da , oppure di certo Lia parlò in quel modo perché conservava ancora la mentalità pagana. Giacobbe infatti non disse così per evitare che il suo esempio potesse far credere legittimo l'uso di quella parola.

Significato della benedizione di Giacobbe.

1092
(
Gn 30,30) Quanto a ciò che disse Giacobbe: Il Signore ti ha benedetto per il mio piede, si deve considerare attentamente e porre in rilievo il senso delle Scritture, per evitare di considerare come una specie d'indovino uno che avesse parlato così. È infatti una cosa molto diversa ciò che soggiunge Giacobbe: Il Signore ti ha benedetto grazie al mio piede, poiché volle fare intendere: " grazie alla mia venuta ".

Giacobbe e le verghe variegate.

1093
(
Gn 30,37 Gn 42) A proposito di ciò che fece Giacobbe quando tagliò a strisce la corteccia di certe verghe, levandone il verde per metterne in evidenza il bianco variegato e così, nel concepimento, la prole delle pecore e delle capre diventasse variegata. Allorché le madri si abbeveravano nei trogoli, vedendo le verghe variegate concepivano la prole variegata. Si dice che accadano molti fatti simili riguardo alla figliolanza degli animali. Si racconta perciò e si trova scritto nei libri dell'antichissimo ed espertissimo medico Ippocrate che (una cosa simile) successe anche ad una donna: essendo stata sospettata di adulterio per aver partorito un bambino bellissimo ma che non somigliava a nessuno dei genitori e consanguinei, avrebbe dovuto essere punita se il suddetto medico non avesse risolto la questione: egli esortò quei tali a cercare se per caso nella loro camera da letto ci fosse la pittura di un bambino che gli somigliasse; la pittura fu trovata e la donna si trovò liberata dal sospetto. Non è però affatto chiaro quale utilità apportò l'espediente praticato da Giacobbe di unire tre verghe prese da alberi diversi al fine di moltiplicare le pecore variamente colorate. Per lo scopo voluto non importa neppure se le verghe vengono rese variegate se prese da una sola specie di albero, o se le specie degli alberi fossero più d'una, dal momento che si cerca di rendere variegate delle verghe. Questo fatto costringe perciò a cercare un significato profetico ed un senso allegorico. Poiché senza dubbio Giacobbe lo compì come profeta, e perciò non deve essere neppure accusato di frode; poiché non si deve pensare ch'egli facesse una simile azione senza una rivelazione spirituale. Inoltre, per ciò che riguardava la giustizia e l'equità come narrano più chiaramente alcuni traduttori non metteva (nei trogoli) le verghe quando le pecore concepivano la seconda volta. Ciò è detto tanto più oscuramente quanto più brevemente dai Settanta così: Quando le pecore avevano partorito non metteva (le verghe) 97. Questa espressione deve intendersi nel senso che, dopo che le pecore avevano partorito la prima volta, tralasciava di mettere le verghe, per non portarsi via tutti i piccoli, cosa che sarebbe stata ingiusta.

Parole misteriose di Labano.

1094
(
Gn 31,30) Quanto alle parole dette da Labano: Perché hai rubato i miei dèi? derivano forse dal fatto che (prima) aveva detto anche di aver avuto il presagio (della sua prosperità) per divinazione e dal fatto che sua figlia aveva parlato della " buona fortuna " 98. Si deve anche notare che dall'inizio di questo libro incontriamo adesso, per la prima volta, gli dèi dei pagani, poiché nei libri precedenti della Scrittura si parlava solo di Dio.

Significato della risposta di Giacobbe a Labano.

1095
(
Gn 31,41) Che cosa vuol dire ciò che Giacobbe dice al proprio suocero: Tu quanto al mio salario mi hai ingannato di dieci agnelle? La Scrittura infatti non racconta quando e in che modo ciò sia accaduto, ma è certamente accaduto ciò che egli ricorda, poiché lo aveva detto anche alle sue mogli, quando le chiamò nella campagna. Lamentandosi infatti del loro padre, dice tra l'altro: E quanto al mio salario mi ha ingannato di dieci agnelli 99. S'intende dunque che Labano, vedendo che ad ogni parto degli ovini, erano nati agnelli e capretti quali aveva deciso che appartenessero a Giacobbe 100, aveva combinato il patto con la frode e aveva stabilito che nel parto successivo Giacobbe avesse per salario i nati d'un colore diverso. Allora Giacobbe non metteva negli abbeveratoi le verghe striate e gli animali non nascevano pezzati, ma d'un colore unito, così Giacobbe se li portava via in virtù del nuovo patto. Vedendo ciò Labano cambiava di nuovo, con frode, il patto affinché a Giacobbe appartenessero gli animali pezzati; allora, poiché erano state poste (nei trogoli) le verghe (striate), nascevano pezzati. Questo dunque disse Giacobbe alle sue mogli: Ha cambiato il mio salario di dieci agnelli, e poi allo stesso Labano: Nel salario mi hai ingannato di dieci agnelle. Non lo disse come se la frode fosse tornata a vantaggio di suo suocero, disse che Dio lo aveva aiutato contro di lui, affinché non tornasse a vantaggio di quello. Giacobbe però usa l'espressione dieci agnelli o dieci agnelle invece dei dieci periodi di tempo in cui partorirono le pecore che egli pascolava durante un sessennio, poiché partorivano due volte all'anno. Ma era successo che il primo anno in cui fecero il patto tra loro e Giacobbe prese a pascolarle per quel salario concordato, le pecore partorirono una sola volta alla fine dell'anno, poiché, quando assunse quell'incarico di pascolare le pecore, quelle avevano già partorito una volta, come avvenne poi di nuovo nel sesto ed ultimo anno in cui avevano partorito già una volta; venne allora per Giacobbe la necessità di partire e dovette andarsene prima che le pecore partorissero una seconda volta. Di conseguenza, poiché le pecore, sotto la guida di Giacobbe, nel primo e nell'ultimo anno avevano partorito una sola volta e in ciascuno degli altri quattro anni intermedi avevano partorito due volte, tutti i loro parti sommano a dieci. Non c'è poi nulla di strano nel fatto che chiamasse questi dieci periodi di tempo con il termine agnelli, che nascevano nei medesi-mi periodi di tempo, come se uno dicesse: " per tante vendemmie " o " per tante messi ", per fare intendere con queste espressioni il numero degli anni. Per questo un celebre poeta dice: Dopo alcune spighe 101 indicando con spighe le messi e con messi gli anni. Inoltre si dice che la fecondità delle pecore di quella regione, come quelle dell'Italia, è tanto grande da partorire due volte all'anno.

La stele sacra eretta da Giacobbe.

1096
(
Gn 31,45) Ora Giacobbe prese una pietra e la eresse come una stele sacra. Si deve considerare che si erigevano queste stele sacre a testimonianza di qualsiasi fatto, non già per adorarle come dèi, ma come indicative di un qualche evento.

Il mucchio di pietre eretto da Giacobbe e Labano.

1097
(
Gn 31,47-48) Coloro che conoscono, oltre alla lingua ebraica, anche quella siriaca, insegnano che il cumulo di pietre, che eressero insieme Labano e Giacobbe, fu denominato da essi con nomi un po' diversi " mucchio della testimonianza " da Labano, " mucchio testimone " da Giacobbe , conforme al linguaggio proprio di ciascuno di loro. Poiché suole accadere che una lingua non esprima con una sola parola ciò che in questo modo si esprime in un'altra, e così una cosa viene denotata con un nome di significato analogo. Infatti, subito dopo, è detto: Perciò fu chiamato: " Il mucchio è testimone " 102. Questa espressione fu usata in senso ambivalente in modo che si confacesse all'uno e all'altro, tanto a chi aveva detto: " mucchio della testimonianza ", quanto a chi aveva detto: " mucchio testimone ".

Significato delle parole rivolte da Labano a Giacobbe.

1098
(
Gn 31,48-49) Che significa ciò che Labano dice parlando a Giacobbe: Questo mucchio è un testimone e questa stele è un testimone; ecco perché si chiama: " Il mucchio è testimone ", e la visione che egli aveva chiamato: Possa Dio posare il suo sguardo tra me e te? Forse la costruzione della frase potrebbe essere: e la visione, che Dio disse, guardi tra me e te; poiché Dio gli aveva detto in visione di non offendere Giacobbe.

Continua il discorso di Labano.

1099
(
Gn 31,50) Che cosa significa ciò che dice Labano subito dopo: Vedi, nessuno è con noi? Forse si riferisce al fatto che nessun estraneo era con loro oppure perché dovevano, per la testimonianza di Dio, considerarlo (l'unico testimone) come se non ci fosse alcun altro la cui testimonianza potessero aggiungerla a quella di lui.

Il timore di Isacco.

1100
(
Gn 31,53 Gn 42) Anche Giacobbe giurò per il timore di suo padre Isacco. Per il timore certamente per cui temeva Dio, timore che aveva ricordato anche più sopra dicendo: Iddio di mio padre Abramo e il timore di mio padre Isacco.

L'accampamento di Dio.

1101
(
Gn 32,2) L'accampamento di Dio, che vide Giacobbe durante il viaggio, era senza dubbio la moltitudine degli angeli, poiché nelle Scritture è chiamata l'esercito del cielo.

Giacobbe dispose la massa della sua gente in due accampamenti.

1102
(
Gn 32,6-12) Essendo stato riferito a Giacobbe che gli stava venendo incontro con quattrocento uomini suo fratello (Esaù), egli in verità rimase turbato e con l'animo sconvolto essendo stato preso da una grande paura e, come parve bene ad uno spaventato come lui, dispose la massa della sua gente in due accampamenti 103. A proposito di tale fatto ci possiamo chiedere come avesse potuto aver fiducia nelle promesse di Dio, dal momento che disse: Se mio fratello piomberà nel primo accampamento e lo distruggerà, il secondo si salverà 104. Si poteva però dare il caso che Esaù distruggesse gli accampamenti, e tuttavia Dio, dopo quella calamità, lo avrebbe aiutato e liberato, e avrebbe così adempiuto le promesse che gli aveva fatte. Con questo esempio, inoltre, dovevamo essere esortati affinché, pur avendo fede in Dio, facciamo tuttavia ciò che gli uomini devono fare, per non dare l'impressione di tentare Dio se non lo facessimo. Si deve infine considerare quali parole dica il medesimo Giacobbe dopo di queste. O Dio di mio padre Abramo, Dio di mio padre Isacco, o Signore che mi hai detto: " Torna al paese della tua parentela e io ti farò del bene "; mi basti tu per tutta la benevolenza e per tutta la fedeltà che hai usata verso il tuo servo. Poiché con questo mio bastone ho attraversato questo Giordano ma ora sono ridotto al punto di formare due accampamenti. Salvami dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù, perché ho paura di lui; che non arrivi e non colpisca anche me ed i miei figli con le loro madri. Tu però hai detto: " Io ti farò del bene e renderò la tua discendenza come la sabbia del mare che non si può calcolare a causa della sua moltitudine " 105. In queste parole si mostra evidente non solo la debolezza dell'uomo, ma anche la fiducia proveniente dalla sua fede religiosa.

Parole di Giacobbe e parole dell'agiografo.

1103
(
Gn 32,21) Ciò che i manoscritti latini riportano, a proposito di Giacobbe: Poiché egli disse: " Placherò il suo volto con i doni che lo precedono "; è l'agiografo che, parlando di Giacobbe, dice: Poiché egli disse: " Placherò il suo volto ". Si capisce che queste sono parole di Giacobbe, ma le parole che seguono, cioè: con i doni che lo precedono, le aggiunge l'agiografo. La costruzione logica della frase sarebbe dunque la seguente: Placherò il suo volto e poi vedrò la sua faccia; può darsi infatti ch'egli accolga la mia faccia, ma è stata inserita la frase dell'agiografo: con i doni che lo precedono.

Perché Giacobbe desiderò la benedizione dall'angelo.

1104
(
Gn 32,26) Il fatto che Giacobbe desiderasse essere benedetto dall'angelo con il quale lottò riportando la vittoria, è una grande profezia riguardante Cristo. Infatti ci fa pensare che in questo fatto c'è qualcosa di simbolico, dal momento che ogni uomo desidera essere benedetto dal più grande. Come mai dunque costui desidera essere benedetto da colui che egli aveva vinto nella lotta? Ora Giacobbe ebbe il sopravvento su Cristo, o meglio sembrò avere il sopravvento, mediante quegli Israeliti dai quali Cristo fu crocifisso, ma viene benedetto nella persona degli Israeliti che credettero in Cristo, tra i quali era colui che diceva: Anch'io infatti sono Israelita, della stirpe di Abramo e della tribù di Beniamino 106. Il medesimo Giacobbe dunque era allo stesso tempo zoppo e benedetto; zoppo riguardo alla larghezza del femore, come nella massa degli appartenenti alla sua stirpe di cui è detto: Escono zoppicanti dalle loro vie 107; benedetto invece riguardo a coloro di cui è detto: Un resto (d'Israeliti) sono stati salvati essendo stati scelti per grazia 108.

Significato delle parole rivolte da Giacobbe ad Esaù.

1105
(
Gn 33,10) Che significa quello che Giacobbe dice a suo fratello: Poiché ho visto la tua faccia come quando uno vede il volto di Dio? Forse le parole di un animo pauroso e turbato si spinsero fino a questa adulazione? Oppure si possono intendere in un certo senso che esclude il peccato? Forse, infatti, poiché anche gli dèi dei pagani sono chiamati quelli che sono demoni 109, non si dovrebbe recare pregiudizio a un uomo di Dio a causa di queste parole. Poiché non disse: " come se avessi visto la faccia di Dio ", ma: come uno vede, è incerto chi possa essere indicato in quell'uno. E inoltre le parole furono forse misurate così moderatamente che anche lo stesso Esaù accolse con piacere un onore così grande a lui tributato e perfino coloro che avrebbero potuto intenderle anche in senso diverso, non poterono accusare d'empietà colui dal quale furono dette. Sebbene queste parole fraterne fossero dette benevolmente, poiché anche dopo essere state accolte bene era passata la paura, Giacobbe poté dire "dio " allo stesso modo che anche Mosè fu detto " dio " per il Faraone 110, conforme a quanto dice l'Apostolo: Quantunque vi siano di così detti dèi sia in cielo che in terra, come vi sono molti dèi e molti signori 111, soprattutto per il fatto che in greco è detto senza l'articolo (determinativo), con cui senza alcun dubbio si suole indicare l'unico vero Dio. Poiché non è detto: (il volto del vero Dio), ma è detto: (il volto di un dio), facilmente intendono quale differenza corra fra queste espressioni coloro che hanno dimestichezza ad ascoltare e comprendere il greco.

Se Giacobbe disse una bugia nella promessa fatta ad Esaù.

1106
(
Gn 33,14) Si pone il quesito se Giacobbe disse una bugia quando promise a suo fratello che sarebbe andato da lui a Seir, seguendo nel viaggio i passi dei suoi a causa dei quali egli restava indietro, siccome poi non fece così come racconta in seguito la Scrittura 112 ma proseguì sulla via che conduceva ai propri parenti. Aveva forse fatto la promessa con animo sincero, ma poi riflettendo prese un'altra decisione?

Il nome vergine nell'uso ebraico.

1107
(
Gn 34,2-3) Come mai la Scrittura dice che Sichem, figlio di Emmor, il Chorreo, capo del paese vide Dina, figlia di Giacobbe e la prese, dormì con lei e la umiliò. E si sentì legato all'animo di Dina, figlia di Giacobbe, da forte affetto e amò appassionatamente la vergine e le rivolse parole conformi al sentimento della vergine? Come mai è chiamata vergine, se (Sichem) aveva già dormito con lei e l'aveva umiliata? Senza dubbio vergine è il nome relativo all'età, secondo il linguaggio ebraico. O forse, sotto forma di ricapitolazione, si ricorda, dopo, ciò che era accaduto prima? In realtà poté sentirsi legato da forte affetto all'animo di lei e amare la vergine e parlarle conforme ai sentimenti della vergine e in seguito giacere a letto con lei e umiliarla.

L'età dei figli di Giacobbe quando saccheggiarono Salem.

1108
(
Gn 33,5 Gn 34,25) Poiché Giacobbe, parlando poco prima con suo fratello Esaù, fece capire che i ragazzi erano suoi figli, che in greco sono chiamati , si può discutere come poterono compiere una strage ed un saccheggio della città così grandi, uccidendo i maschi sebbene sofferenti per la circoncisione (accettata) per (riparare) la (violenza fatta alla) loro sorella Dina. Si deve dunque pensare che Giacobbe dimorò lì a lungo, finché non diventò giovinetta sua figlia Dina e giovanotti i propri figli. In effetti sta scritto: Poi Giacobbe arrivò a Salem, città dei Sichemiti, che si trova nel paese di Canaan e piantò le tende dirimpetto alla città. In seguito comprò, per cento agnelli, da Emmor, padre di Sichem, la porzione della campagna ove aveva rizzato la sua tenda; ivi poi eresse un altare e invocò il Dio d'Israele. Dina, la figlia di Lia, che aveva partorito a Giacobbe, uscì per andare a vedere le figlie di quel paese 113, ecc. Risulta dunque chiaro da queste parole che Giacobbe rimase lì non di passaggio, come di solito fa un viaggiatore, ma vi comprò un campo, vi rizzò la sua tenda, vi eresse un altare e perciò vi abitò piuttosto a lungo. Sua figlia invece, essendo giunta all'età in cui si potevano avere delle amiche, ebbe il desiderio di osservare le figlie dei cittadini del luogo e così, per vendicarla, fu compiuta una strage e un saccheggio che costò tanto sangue, e che come io penso non è più discutibile. Una moltitudine di gente era infatti con Giacobbe, che era diventato assai ricco; ma a proposito di questo fatto sono nominati i suoi figli, che ne furono i capi e i suggeritori.

Ciò che disse Giacobbe per paura di una guerra dalle tribù confinanti.

1109
(
Gn 34,30) Quanto a ciò che disse Giacobbe, per paura di una guerra delle tribù confinanti con la città di Salem, che era stata saccheggiata dai suoi figli: Io invece ho pochi uomini, ma essi si raduneranno contro di me e verranno ad assalirmi e mi uccideranno, egli disse di avere pochi uomini a causa di più tribù bellicose che potevano sollevarsi, non che ne avesse molti di meno di quanti sarebbero potuti essere sufficienti a espugnare quella città, avendo diviso i suoi in due accampamenti durante il viaggio.

Dio ordina a Giacobbe di costruirgli un altare a Betel.

1110
(
Gn 35,1) Dio poi disse a Giacobbe: " Levati, sali verso il luogo detto Betel e risiedi lì, costruisci un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi dalla faccia di tuo fratello Esaù ". Perché mai Dio non disse: " costruisci un altare a me che ti sono apparso ", ma disse: costruisci lì un altare al Dio che ti è apparso? Forse perché lì era apparso il Figlio ed è il Padre a dire così? Oppure ciò è da annoverare tra qualche genere di locuzione?

La consegna degli orecchini con gli amuleti.

1111
(
Gn 35,2) Giacobbe, in procinto di salire a Betel ove gli era stato ordinato di costruire un altare, alla sua famiglia e a tutti coloro che erano con lui disse: Togliete di mezzo a voi gli dèi stranieri che sono con voi, ecc.; poi si dice: Allora diedero a Giacobbe gli dèi stranieri, che erano nelle loro mani e i pendenti che avevano agli orecchi. Qui sorge il problema perché consegnarono anche gli orecchini che se erano ornamenti, non lo erano in relazione con l'idolatria a parte il fatto che si deve pensare ch'erano amuleti di dèi stranieri. La Scrittura infatti attesta che Rebecca aveva ricevuto degli orecchini dal servo di Abramo, cosa che non sarebbe avvenuta se non fosse stato lecito avere orecchini per ornamento. Di conseguenza gli orecchini che furono consegnati con gli idoli, erano amuleti degli idoli, come è stato detto.

Come Dio agisce nello spirito degli uomini.

1112
(
Gn 35,5) Allora un terrore di Dio pervase le città che stavano attorno a loro e così non inseguirono i figli d'Israele. Dobbiamo considerare come Dio agisce nello spirito degli uomini. Da chi proveniva infatti il terrore di Dio negli abitanti di quella città se non da lui che manteneva le promesse relative a Giacobbe e ai suoi figli?

La città con tre nomi.

1113
(
Gn 35,6) Così Giacobbe giunse a Luz, cioè a Betel, che si trova nel paese di Canaan. Si deve osservare che sono già stati ricordati tre nomi di questa città: Ulammaus, come si dice fosse chiamata prima, quando vi giunse Giacobbe nel suo viaggio in Mesopotamia; Betel, nome datogli dallo stesso Giacobbe, che significa: " Casa di Dio " e Luza, ricordato poc'anzi 114. Di ciò non dobbiamo meravigliarci, poiché avviene in molti passi della Scrittura e cioè che, trattandosi di città o di fiumi o di qualsiasi località della terra, si aggiungono o si cambiano nomi, per questo o quell'altro motivo, come avviene anche riguardo agli stessi personaggi.

Giacobbe chiamato Israele e poi di nuovo Giacobbe.

1114
(
Gn 35,9-10) Dio apparve di nuovo a Giacobbe a Luza e gli disse: Tu non ti chiamerai più Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele 115. Ecco, Dio gli dice così la seconda volta con la benedizione; questa ripetizione conferma una grande promessa mediante questo nome. È infatti un fatto straordinario che coloro, ai quali è stato detto una sola volta che non si chiameranno più come si chiamavano prima, ma con il nome nuovo che veniva loro imposto, non vengano assolutamente più chiamati se non con il nome nuovo. Giacobbe invece, per tutta la sua vita, e anche in seguito, fu chiamato Giacobbe, mentre non una sola volta Dio gli aveva detto: Non ti chiamerai più Giacobbe ma ti chiamerai Israele. Si comprende dunque bene che questo nome è in relazione con la promessa (della beatitudine), in cui Dio sarà visto come fu visto prima dai Patriarchi. Ivi infatti non ci sarà il nome vecchio, poiché non resterà nulla di vecchio, neppure nel corpo, e la visione di Dio sarà il sommo premio.

I tipi di discendenze da Giacobbe.

1115
(
Gn 35,11) Tra le promesse fatte a Giacobbe si dice: Da te nasceranno delle nazioni, anzi un gruppo di nazioni. Si discute se le nazioni siano quelle generate fisicamente, mentre il gruppo di nazioni rappresenterebbe i generati dalla fede, o se tutti e due i tipi delle discendenze siano detti a causa della fede, se nazioni non possono chiamarsi l'unica nazione di Israele in rapporto alla generazione fisica.

Giacobbe fece una libazione sopra una pietra ma non offrì un sacrificio ad una pietra.

1116
(
Gn 35,13-15) Dio poi risalì dal luogo dove aveva parlato con lui. Giacobbe allora eresse una stele sacra nel luogo ove Dio aveva parlato con lui: una stele di pietra. Sopra di essa fece una libazione e sopra di essa versò dell'olio. Giacobbe allora diede il nome di Betel al luogo ove Dio aveva parlato con lui. Avvenne forse in questo luogo un'altra volta ciò che era già accaduto 116? Oppure qui è ricordato di nuovo? Tuttavia, quali che siano queste ipotesi, Giacobbe fece una libazione sopra una pietra ma non offrì un sacrificio ad una pietra. Giacobbe pertanto non (si comportò) come gli idolatri che sono soliti erigere degli altari davanti a delle pietre e offrire sacrifici alle pietre come se fossero divinità.

Quanti figli di Giacobbe nacquero in Mesopotamia.

1117
(
Gn 35,26) Nel computo dei dodici figli di Israele, che gli erano nati, si dice: Questi sono i figli d'Israele, che gli nacquero in Mesopotamia, sebbene Beniamino fosse nato molto tempo dopo che avevano oltrepassato Betel e si avvicinavano a Betlemme alcuni, che hanno tentato di risolvere questo problema, hanno detto che non si deve leggere " nacquero ", come hanno la maggior parte dei manoscritti latini, ma " furono fatti "; in greco infatti sta scritto (= " furono fatti "), volendo con ciò fare intendere che Beniamino, sebbene non fosse nato lì, tuttavia fu fatto lì, poiché era stato già generato. Perciò si pensa che Rachele uscì di lì quand'era incinta. In questo modo infatti anche se si leggesse "nacquero " potrebbero dire: era già nato nel ventre della madre, poiché era stato concepito; ciò fu detto a Giuseppe riguardo a santa Maria: Il bambino che è nato in lei è opera dello Spirito Santo 117.

117. 2. C'è però un altro fatto che impedisce la soluzione di questo problema. Poiché se Beniamino era già stato concepito lì, i figli di Giacobbe che uscirono di lì uomini fatti, avrebbero potuto avere a stento dodici anni. Giacobbe infatti visse lì venti anni 118; nei primi sette dei quali non aveva moglie, finché l'ottenne col prestare servizio. Ora, anche ammesso che gli fosse nato un figlio nel primo anno in cui prese moglie, quando Giacobbe partì di lì, il suo primo figlio poteva avere solo dodici anni. Di conseguenza, se Beniamino era già stato concepito, l'intero viaggio e tutto ciò che la Scrittura narra riguardo a Giacobbe durante il viaggio, si sarebbe compiuto entro dodici mesi. Ne consegue che i suoi figli tanto piccoli avrebbero fatto una strage così grande per vendicare la loro sorella Dina, uccidendo un tal numero di uomini da prendere la città 119. Si verrebbe così a scoprire che, di quei fratelli, Simeone e Levi, i quali per primi si gettarono con le spade su quegli uomini uccidendoli, avrebbero avuto l'uno undici anni e l'altro dieci, benché la madre avesse partorito ogni anno ininterrottamente. È certamente incredibile che potessero essere compiuti tutti quei misfatti da ragazzi di quell'età, dal momento che anche la stessa Dina avrebbe avuto appena sei anni.

117. 3. Il problema dunque si deve risolvere diversamente, purché s'intenda in modo corretto che, dopo essere stati ricordati dodici figli viene detto: Questi sono i figli di Giacobbe che gli nacquero nella Mesopotamia della Siria, perché tra tutti, ch'erano tanti, ce n'era uno solo che non era nato lì, ma che tuttavia aveva avuto lì la causa di nascere, poiché lì sua madre si era unita con suo padre. Questa soluzione del problema deve però essere confermata da qualche esempio di un simile modo di dire.

117. 4. Tuttavia nessuna soluzione di questo problema è più facile che quella d'intenderlo come un'espressione in forma di sineddoche. Dove infatti c'è una parte maggiore e più importante, di solito con il suo nome si comprende anche ciò che non appartiene a quel nome. Così Giuda non faceva più parte dei dodici Apostoli poiché era già morto quando il Signore risuscitò dai morti, eppure l'Apostolo mantenne il nome " dodici " in una sua lettera dove dice ch'egli apparve ai dodici 120. I manoscritti greci infatti hanno questo numero con l'articolo in modo che non si possano intendere dodici quali che siano, ma quelli distinti dagli altri con quel numero. Con questa figura retorica io credo che si espresse il Signore anche quando disse: Non ho forse scelto io voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo 121, in modo che non sembrasse che anch'egli appartenesse alla scelta. Poiché difficilmente si trova il nome di scelti usato in senso cattivo, se non quando i cattivi vengono scelti dai cattivi. Se poi pensassimo che anch'egli fu scelto affinché, mediante il suo tradimento, si compisse la passione del Signore, la sua malizia fu scelta per qualcosa, poiché Dio si serve anche dei cattivi per il bene. Consideriamo allora l'altro passo ove (il Signore) dice: Non parlo di tutti voi; io conosco coloro che ho scelti 122. Qui dichiara che l'essere scelti riguarda solo i buoni. Quanto all'espressione: sono stato io a scegliere voi, i dodici, essa è detta sotto forma di sineddoche in modo che, con il nome della parte maggiore e migliore, fosse abbracciato anche ciò che non ha relazione con quel nome.

117. 5. Questo modo di esprimersi si trova anche in questo medesimo libro, ove Emmor, in favore di suo figlio Sichem, affinché potesse prendere in moglie Dina, figlia di Giacobbe, andò a parlare con lo stesso Giacobbe. Vi andarono anche i suoi figli che erano assenti, e a tutti Emmor disse: Mio figlio Sichem è fortemente innamorato di vostra figlia; dategliela dunque in moglie 123. Poiché la persona più importante era il padre, dicendo, mediante una sineddoche, vostra figlia, incluse in questo nome anche i fratelli di cui non era figlia. Da qui viene anche la frase: Corri alle pecore e tra esse prendimi due capretti 124. In effetti le pecore e i capretti pascolavano assieme e poiché migliori sono le pecore, con il nome di esse abbracciò anche il gregge delle capre. Così, poiché più importante era il numero degli undici figli di Giacobbe, ch'erano nati in Mesopotamia, nel ricordarli la Scrittura ha abbracciato anche Beniamino, che non era nato lì ed è detto: Questi sono i figli di Giacobbe, che gli nacquero nella Mesopotamia della Siria.

La moglie e i figli di Esaù.

1118
(
Gn 36,1-5) Il fatto che dopo il racconto della morte di Isacco si narra quali donne prese in moglie Esaù e quali figli generò, si deve intendere come una ricapitolazione, poiché questo non poté cominciare ad avvenire dopo la morte di Isacco, avendo Esaù e Giacobbe già centovent'anni 125. Isacco infatti li ebbe quando aveva sessant'anni e visse in tutto centottant'anni 126.

Esaù si allontana dal fratello.

1119
(
Gn 36,6-7) Si discute come mai la Scrittura dica che Esaù, dopo la morte di Isacco, suo padre, partì dal paese di Canaan e si stabilì nella regione montuosa di Seir 127, sebbene si legga (nella Scrittura) che già vi abitava all'arrivo di suo fratello Giacobbe dalla Mesopotamia 128. È quindi facile immaginare che cosa poté capitare, affinché non si creda che la Scrittura s'inganni o inganni. Che cioè Esaù, dopo che suo fratello se ne andò in Mesopotamia, non volle abitare con i suoi congiunti sia a causa del risentimento che lo tormentava per essere stato defraudato della benedizione, sia a causa delle sue mogli che vedeva essere spiacevolmente antipatiche ai parenti o per qualsivoglia altro motivo, e aveva cominciato ad abitare nel paese montuoso di Seir. In seguito, dopo l'avvenuta riconciliazione tra lui e il fratello e dopo il ritorno di Giacobbe, tornò anch'egli dai suoi parenti; dopo aver seppellito insieme il loro padre morto, poiché quel paese come sta scritto non poteva accogliere i due fratelli diventati assai ricchi, se ne tornò di nuovo a Seir 129 e lì propagò la stirpe dei Cananei.

Da Esaù la terra di Edom.

1120
(
Gn 36,21) Ciò che sta scritto: Questi sono i capi tribù discendenti dal Correo, figli di Seir, è ricordato dall'agiografo in relazione al tempo in cui egli viveva. Ma poiché Seir, che aveva generato quei capi, già abitava quel paese prima che vi giungesse Esaù, di certo non si chiamava ancora il paese di Edom. In effetti il nome dato a quel paese deriva solo dallo stesso Esaù, poiché l'unica persona di nome Esaù si chiamava Esaù ed Edom, e da lui ebbero origine e si propagarono gli Idumei, cioè il popolo di Edom.

Da Esaù il conto delle generazioni.

1121
(
Gn 36,31-39) La frase della Scrittura: Questi poi sono i capitribù che regnarono in Edom prima che regnasse un re in Israele, non deve essere intesa come se fossero elencati tutti i re fino al tempo in cui cominciarono i re in Israele, dei quali il primo fu Saul. Molti infatti furono i re fino al tempo di Saul e anche (prima), al tempo dei Giudici, tempo che fu anteriore a quello dei re. Ma di molti di questi Mosè poté ricordare solo quelli che vissero prima che egli morisse. Non c'è poi nulla di strano che se si contano le generazioni da Abramo attraverso Esaù, capostipite degli Idumei, e Raguele, figlio di Esaù, e Zara, figlio di Raguele, e Iobab, figlio di Zara, al quale Iobab successe nel regno; Balach che visse ricordato come il primo che regnò nel paese di Edom, fino all'utimo capotribù che Mosè poté nominare. Di generazioni se ne trovano di più di quelle contate a partire da Abramo attraverso Giacobbe fino a Mosè. Nel primo caso se ne trovano infatti più o meno dodici, nel secondo invece, fino a Mosè, all'incirca sette. In effetti poté avvenire che nel primo caso venenissero menzionate più generazioni perché più antenati (del Cristo) successero l'uno all'altro per il fatto di essere morti prima. In tal modo è pure accaduto che Matteo da Abramo fino a Giuseppe contò quarantadue generazioni 130, Luca invece, con le generazioni secondo un ordine diverso, non attraverso Salomone, come Matteo, ma attraverso Natan ne ricorda, da Abramo fino a Giuseppe, cinquantacinque 131. Infatti nella serie ove ne vengono contate di più, sono morti più presto che non in quella in cui se ne contano di meno. Affinché poi qualcuno non si stupisca per il fatto che tra i re di Edom è ricordato Balac, figlio di Beor, e a causa della somiglianza del nome lo confonda con quel Balac che si oppose a Mosè che guidava il popolo israelitico, sappia che quel Balac era un Moabita e non un Idumeo, figlio di Zippor, non figlio di Beor, e anche lì viveva un Balaam, figlio di Beor, non di Balac. Questo Balaam fu ingaggiato dal medesimo Balac perché maledicesse il popolo d'Israele 132.

L'età di Giuseppe alla morte di Isacco.

1122
(
Gn 35,29 Gn 37,2) Dovunque ci volgiamo è difficile trovare in che modo la morte di Isacco abbia potuto combaciare con l'età di diciassette anni che allora aveva suo nipote Giuseppe, come la Scrittura sembra narrare secondo un apparente ordine cronologico 133. Non voglio dire che non si possa trovare nel timore che a me sfugga ciò che non sfugge a un altro. Se infatti, dopo la morte di suo nonno Isacco, Giuseppe aveva diciassette anni 134, quando i suoi fratelli lo vendettero mandandolo in Egitto, senza dubbio anche suo padre Giacobbe aveva centoventi anni quando suo figlio Giuseppe aveva diciassette anni. Isacco infatti aveva generato (Esaù e Giacobbe), come sta scritto 135, all'età di sessant'anni. Isacco dunque ne visse in seguito centoventi, poiché morì a centottanta anni 136. Lasciò quindi i figli che avevano centovent'anni e Giuseppe diciassette. Ma, poiché Giuseppe aveva trent'anni quando si presentò al cospetto del Faraone, e poi seguirono sette anni di abbondanza e due di carestia, allorché arrivò da lui in Egitto suo padre Giacobbe con i suoi fratelli, egli aveva di certo trentanove anni 137, però il medesimo Giacobbe, come di propria bocca dice al Faraone, aveva centotrent'anni di età 138, dunque Giacobbe aveva centoventi anni quando Giuseppe ne aveva diciassette; ma ciò non può essere affatto vero. Se infatti, quando Giuseppe aveva diciassette anni, Giacobbe ne avesse avuti centoventi, senza dubbio si troverebbe che Giacobbe nel trentanovesimo anno di Giuseppe non aveva centoventi, ma centoquarantadue anni. Se invece il giorno della morte di Isacco Giuseppe non aveva ancora diciassette anni, ma al suo diciassettesimo anno, in cui per testimonianza della Scrittura fu venduto dai fratelli in Egitto, giunse alquanto tempo dopo la morte di suo nonno, suo padre doveva avere anche più di centoquarantadue anni allorché raggiunse il figlio in Egitto. Poiché la Scrittura, dopo aver narrato 139 che Isacco era giunto al centottantesimo e ultimo anno della sua vita e ch'era stato sepolto, poi ricorda 140 come Esaù si era dipartito da suo fratello dal paese di Canaan alla volta della regione montuosa di Seir, e aggiunge subito dopo il ricordo dei re e capitribù della sua nazione in mezzo alla quale Esaù era andato a stabilirsi o di cui era capostipite; dopo questi fatti così introduce il racconto riguardante Giuseppe: Ora Giacobbe s'era stabilito nel paese di Canaan. Ed ecco le procreazioni di Giacobbe. Giuseppe aveva diciassette anni e pascolava le pecore con i fratelli 141. Si narra di poi come a causa dei suoi sogni divenne malvisto dai fratelli e fu venduto 142. Arrivò dunque in Egitto nel medesimo diciassettesimo anno di età, quand'era un po' più grande. Perciò in tutte e due le ipotesi la questione rimane irrisolta. Se infatti aveva diciassette anni dopo la morte di suo nonno, quando suo padre aveva centoventi anni, certamente nell'anno trentanovesimo della età di lui, quando Giacobbe andò in Egitto, il medesimo Giacobbe avrebbe dovuto avere centoquarantadue anni; allora invece Giacobbe ne aveva centotrenta. E perciò, se Giuseppe fu venduto e condotto in Egitto a diciassette anni, si trova che fu venduto dodici anni prima che morisse suo nonno. In effetti non poteva avere diciassette anni se non dodici anni prima della morte di (suo nonno) Isacco, nel centesimo e ottavo anno di vita di suo padre Giacobbe. Se infatti a questi aggiungeremo ventidue anni in cui Giuseppe fu in Egitto fino all'arrivo di suo padre Giacobbe, gli anni dell'età di Giuseppe saranno trentanove e quelli di Giacobbe centotrenta e non si pone alcun problema. Ma poiché la Scrittura dopo la morte di Isacco narrò i fatti suddetti, si pensa che Giuseppe dopo la morte di suo nonno avesse diciassette anni. Dobbiamo quindi pensare che la Scrittura non parli più della vita di Isacco in quanto vecchio, anzi molto decrepito, per il fatto che già parla di Giacobbe e dei suoi figli. Giuseppe perciò aveva già diciassette anni quando era ancora vivo Isacco.

Giuseppe non fu adorato dai genitori.

1123
(
Gn 37,10) Riguardo a ciò che dice Giacobbe a Giuseppe: Che cos'è questo sogno che hai fatto? Verremo forse io, tua madre e i tuoi fratelli a prosternarci a terra davanti a te? se non lo s'intende detto in senso allegorico e simbolico, in qual modo può essere inteso riguardo alla madre di Giuseppe che era già morta? Di conseguenza non si deve pensare che ciò non sia stato fatto neppure in Egitto quando egli si trovò elevato (alla più alta carica) poiché non lo " adorò " nemmeno suo padre, quando si recò da lui in Egitto, né poté farlo sua madre già morta 143. Questo dunque si può intendere facilmente riguardo alla persona di Cristo a proposito anche dei morti conforme a quanto dice l'Apostolo: (Dio) gli diede un nome che è al di sopra d'ogni nome, perché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, dei terrestri e di quelli infernali 144.

La Scrittura chiama Madianiti gli Ismaeliti.

1124
(
Gn 37,28) Si pone il seguente quesito: perché la Scrittura chiama Madianiti anche gli Ismaeliti, ai quali Giuseppe era stato venduto dai fratelli, sebbene Ismaele fosse figlio di Abramo avuto da Agar, mentre i Madianiti erano nati da Cettura? Forse perché la Scrittura, a proposito di Abramo, aveva detto che egli aveva dato doni ai figli di quelle sue concubine, Agar e Cettura, e li separò dal proprio figlio Isacco, inviandoli in un paese dell'Oriente 145, si deve pensare che formarono un solo popolo ?

Quali sono le figlie di Giacobbe.

1125
(
Gn 37,35) A proposito di Giacobbe ch'era gravemente addolorato per Giuseppe, sta scritto: Tutti i suoi figli e tutte le sue figlie si radunarono e vennero a consolarlo. Quale figlie, oltre a Dina? O forse l'agiografo parla di figli e figlie contando insieme i nipoti e le nipoti? I suoi figli più grandi infatti potevano avere a loro volta già dei figli.

L'inferno nella Scrittura e chi vi discende.

1126
(
Gn 37,35) Ma egli non volle lasciarsi consolare dicendo: " Discenderò piangendo da mio figlio nell'inferno ". Di solito si fa una grande discussione in che senso si debba intendere l'inferno: se là ove ordinariamente dopo la morte scendono solo i cattivi o anche i buoni. Se dunque vi scendono solo i cattivi, in qual modo Giacobbe dice di voler scendere là da suo figlio, che egli stava piangendo? Non crede infatti che egli si trovi tra le pene dell'inferno. Oppure sono forse parole d'una persona turbata e addolorata che perciò ingigantisce la propria sventura?

Capo dei cuochi o capo dell'esercito.

1127
(
Gn 37,36) E vendettero Giuseppe in Egitto a Petefre, l'eunuco (del Faraone), capo dei cuochi. Alcuni non vogliono che si traduca capo dei cuochi colui che in greco è detto , ma " capo dell'esercito " che aveva il potere di uccidere. Così infatti è chiamato anche (l'ufficiale) inviato da Nabucodonosor (a Gerusalemme) 146, il quale aveva il comando supremo dell'esercito.

Gli anni di Giuda e dei suoi figli al tempo di Giuseppe in Egitto.

1128
(
Gn 38,1-3) Ora in quel tempo avvenne che Giuda discese dalle parti dei suoi fratelli e si recò da un uomo di Odollam chiamato Ira. Lì poi Giuda vide la figlia d'un cananeo che si chiamava Sava, la prese in moglie e si unì a lei. Essa concepì e partorì un figlio, ecc. Si pone il quesito in quale tempo ciò poté avvenire. Se dopo che Giuseppe scese in Egitto, in qual modo nello spazio di circa ventidue anni poiché dopo tanto tempo risulta ch'essi andarono dal medesimo Giuseppe loro fratello in Egitto con il loro padre sarebbe potuto avvenire che tutti i figli di Giuda fossero dell'età di poter prendere moglie? Poiché diede la sua nuora Tamar in moglie al suo secondo figlio dopo la morte del primogenito; essendo poi morto anche quello, aspettò che crescesse il terzo; ed essendo questo cresciuto, non la diede in moglie neppure a lui, temendo che morisse anche lui 147. Avvenne perciò che essa si pose a giacere con il medesimo suo suocero 148. Si resta giustamente sconcertati come mai tutti questi fatti potessero accadere nello spazio di tanto pochi anni, salvo che come forse è solita la Scrittura voglia fare intendere mediante la forma della ricapitolazione, che ciò iniziò ad accadere alcuni anni prima che Giuseppe fosse venduto, poiché così si esprime: Ora avvenne in quel tempo. A questo proposito si discute tuttavia quanti anni potesse avere Giuda, il quarto figlio di Giacobbe, se Giuseppe quando fu venduto aveva diciassette anni, dal momento che il primogenito, Ruben, per l'età, poteva precedere suo fratello Giuseppe al massimo di cinque o sei anni. La Scrittura però dice a chiare note che Giuseppe, quando fu presentato al Faraone, aveva trent'anni. Poiché dunque si crede che egli fosse stato venduto quando aveva diciassette anni, era vissuto tredici anni in Egitto rimanendo ignoto al Faraone 149; ora, a quei tredici anni si aggiunsero sette anni di abbondanza e divennero vent'anni; a questi se ne aggiunsero altri due, poiché Giacobbe con i suoi figli entrò in Egitto il secondo anno della carestia, e si trovano ventidue anni in cui Giuseppe stette lontano dal padre e dai suoi fratelli. È difficile ricercare in qual modo poterono accadere, in questo frattempo, tutti i fatti che si narrano a proposito della moglie, dei figli e della nuora di Giuda, salvo che non crediamo poiché poté accadere anche questo che, appena Giuda entrò nell'adolescenza, si fosse innamorato di colei che prese in moglie quando Giuseppe non era stato ancora venduto in Egitto.

Modo di vestire delle vedove.

1129
(
Gn 38,14) Allora (Tamara) essendosi tolti i suoi vestiti di vedova. Di qui si vede che anche al tempo dei Patriarchi c'erano vestiti delle vedove fissati e appropriati, certamente diversi da quelli delle coniugate.

L'ordine degli avvenimenti.

1130
(
Gn 39,1) Riguardo al fatto che di nuovo si dice: Ora Giuseppe fu condotto in Egitto e lo acquistò Petefre, l'eunuco (del Faraone), la Scrittura torna alla successione ordinata degli avvenimenti dalla quale s'era allontanata per narrare i fatti descritti più sopra.

Il pane ordinario di crusca.

1131
(
Gn 40,16) Alcuni manoscritti latini hanno: Tre ceste di pani di spelta, sebbene quelli greci abbiano , che gli esperti di quella lingua interpretano come dei pani di crusca. Si rimane stupiti in che modo il Faraone potesse avere come cibo pane ordinario di crusca. È detto infatti che nel cesto superiore c'era ogni specie di cibi preparati dai panettieri per la tavola del Faraone 150. Si deve intendere anche che il cesto contenesse pani grossolani di crusca poiché la Scrittura dice: Tre ceste di pani di spelta (, e al di sopra v'erano cibi d'ogni sorta preparati dai panettieri nel medesimo canestro superiore.

La terra è più elevata rispetto all'acqua.

1132
(
Gn 41,1) Il Faraone credeva di stare sulla riva del fiume; è la stessa espressione usata dal servo di Abramo che disse: Io sto presso la sorgente d'acqua 151, poiché il greco nel secondo passo dice , allo stesso modo che nel primo dice: . Se questa espressione è intesa nel senso che ha nel Salmo, ove sta scritto: Il quale fondò la terra sull'acqua 152, non si è costretti a credere che la terra galleggi sull'acqua come una nave. In realtà, secondo questo modo di esprimersi, si capisce esattamente che la terra è più elevata rispetto all'acqua, affinché in essa possano abitare gli animali terrestri.

L'abbondanza dopo la carestia.

1133
(
Gn 41,30) Quanto alle parole della Scrittura: Si dimenticheranno dell'abbondanza futura in tutto il paese dell'Egitto, devono intendersi non nel senso che l'abbondanza avverrà per coloro che soffriranno a causa della carestia, come se l'abbondanza dovesse avvenire dopo, ma nel senso che essa sarebbe venuta allora, quando parlava l'agiografo, come se dicesse: della presente abbondanza, simboleggiata come futura dalle vacche grasse e dalle spighe piene, la gente si dimenticherà a causa della carestia simboleggiata dalle vacche magre e dalle spighe brutte.

Per la terza volta viene accennato in questo libro lo Spirito Santo.

1134
(
Gn 41,38) Potremo forse trovare un uomo tale che abbia in sé lo Spirito di Dio? Ecco, se non m'inganno, già per la terza volta ci viene fatto conoscere in questo libro lo Spirito Santo, vale a dire lo Spirito di Dio. La prima volta nel passo ove è detto: E lo Spirito di Dio si librava sull'acqua (153 Gn 1,2). La seconda volta quando Iddio disse: Il mio Spirito non resterà in questi uomini, poiché sono carne 154. La terza adesso, come dice il Faraone a proposito di Giuseppe, che in lui c'è lo Spirito di Dio. Finora però non abbiamo letto " Spirito Santo ".

Il nome dato a Giuseppe.

1135
(
Gn 41,45) Il Faraone diede a Giuseppe il nome di Psonthomphanec. Si dice che questo nome significa: " Colui che svela le cose occulte " senza dubbio per il fatto che Giuseppe svelò al re i sogni; al contrario (altri) affermano che nella lingua egiziana Giuseppe fu chiamato con questo nome: " Salvatore del mondo ".

Di chi era figlia la moglie di Giuseppe.

1136
(
Gn 41,45) E gli diede in moglie Aseneth, figlia di Petefres, sacerdote della Città del Sole. Di solito ci si pone la domanda: (Figlia) di quale Petefres? Di colui del quale era stato servo, o d'un altro? Si pensa che più probabilmente fosse la figlia di un altro Petefres. In che modo si possa credere che fosse figlia di quello è difficile dirlo a causa di molte circostanze. Anzitutto perché la Scrittura non ricorda sebbene sembri giusto che non potesse passare sotto silenzio questo particolare che tornava a non piccola gloria di quel giovane, il prendere in moglie la figlia di colui del quale era stato servo. In secondo luogo in che modo un eunuco avrebbe potuto avere una figlia? Ma si risponde: Come poté avere una moglie?. Si crede perciò che sia rimasto evirato in seguito ad una ferita casuale o di propria volontà. Inoltre c'è il fatto che non è ricordata proprio la sua carica onorifica come al solito, cioè che egli era , che i traduttori latini resero nel senso di capo dei cuochi, altri invece come comandante della guardia del corpo. Ma anche qui si risponde che quegli aveva due cariche: il ministero sacerdotale del Sole e il comando della guardia personale del Faraone; in conformità perciò in un altro passo è ricordata la sua carica che s'accordava con siffatte funzioni; qui, al contrario, dopo che in Giuseppe si manifestò un non piccolo dono della divinazione, dovette essere nominata la carica del suo suocero che era in relazione con la facoltà non piccola della divinazione, secondo l'opinione degli Egiziani riguardo al culto sacerdotale del Sole. Nondimeno, per tutte queste cause, poiché era anche il capo dei carcerieri, è assai improbabile che in questo ufficio fosse messo a capo un sacerdote. Inoltre la Scrittura non dice solo che fosse sacerdote del Sole, ma della Città del Sole, chiamata Eliopoli, che si dice sia distante più di venti miglia dalla città di Menfi, dove i Faraoni, cioè i re, avevano la loro residenza principale. In qual modo, quindi, poteva trascurare il suo ufficio di sacerdote e servire speditamente il re, essendo a capo della guardia personale del re? A ciò si aggiunge anche quanto si riferisce dei preti egiziani, che cioè prestavano il loro servizio religioso solo e sempre nei templi dei loro dèi e non ricoprivano mai alcun'altra carica. Ma se per caso allora avveniva diversamente, ciascuno la pensi come gli pare; tuttavia non è una questione che non si possa risolvere, sia che vi fosse un unico Petefres, sia che ve ne fossero due. Poiché qualunque di queste due ipotesi sia ritenuta giusta, non costituisce alcun pericolo per la fede né è contraria alla verità delle sacre Scritture.

La quantità di grano raccolto da Giuseppe.

1137
(
Gn 41,49) Così Giuseppe ammassò un'enorme quantità di grano, come la sabbia del mare, fino al punto di non poterla calcolare perché non esisteva un numero tale. L'espressione: poiché non esisteva un numero tale è usata per indicare che quell'enorme quantità oltrepassava ogni numero per una massa quanto si voglia grande ma tuttavia limitata? Salvo che questa non possa essere anche un'espressione iperbolica.

I sogni di Giuseppe avveratisi.

1138
(
Gn 42,9) E Giuseppe si ricordò dei sogni fatti da lui; poiché i suoi fratelli s'erano prostrati con la faccia a terra davanti a lui. Qualcosa di più sublime è però da ricercarsi in quei sogni, poiché non può avverarsi in quel modo, riguardo al padre e alla madre che già era morta ciò che aveva veduto a proposito del sole e della luna 155, e perciò era stato rimproverato dal padre, ch'era vivo.

Giuseppe giura per la salute del Faraone.

1139
(
Gn 42,15-16) Che cosa vuol dire che Giuseppe, persona tanto saggia e tanto elogiata, non solo dalla testimonianza della gente tra la quale viveva, ma anche dalla testimonianza della Scrittura, giura per la salute del Faraone che i propri fratelli non sarebbero ripartiti dall'Egitto se non fosse venuto il loro fratello minore? Forse che anche ad una persona buona e fedele come lui era diventata indifferente la salute del Faraone al quale serbava fede in tutto, come prima al proprio padrone? Quanto più infatti (doveva serbarla) a lui che lo aveva innalzato ad una carica tanto onorevole, se l'aveva serbata a colui che lo possedeva come uno schiavo comprato? Se ora non si curava della salute del Faraone, non avrebbe dovuto evitare anche lo spergiuro per la salute di qualsiasi persona? Oppure non è uno spergiuro? Egli infatti trattenne uno solo di essi fin quando giunse Beniamino, e si avverò ciò che aveva detto: Non partirete di qui se non verrà vostro fratello 156. Poiché non poteva riguardare tutti ciò che era stato detto; come sarebbe potuto venire anche quello, se non fossero tornati alcuni di essi per condurlo? Ma ciò che segue rende ancora più incalzante la questione quando Giuseppe ripeté il giuramento dicendo: Inviate uno di voi a (prendere) vostro fratello e conducetelo qua; voi sarete messi in prigione fino a quando le vostre parole siano messe in chiaro (per sapere) se dite o non dite la verità; se non dite la verità, per la salute del Faraone, voi siete delle spie 157; cioè: se non dite la verità, siete delle spie. Egli confermò questa affermazione con un giuramento, dicendo: Se non dite la verità siete delle spie, cioè sarebbero stati degni del castigo dovuto alle spie; egli tuttavia sapeva che dicevano la verità. Infatti uno non è spergiuro se, a colui che sa essere castissimo, dicesse: " Se hai commesso l'adulterio di cui sei accusato, Dio ti condanna " e a queste parole aggiungesse un giuramento; egli farebbe un giuramento assolutamente vero in quanto contiene la condizione " se lo hai commesso " benché egli sia persuaso che quel tale non l'ha commesso. Uno invece potrebbe dire: Questo è un vero giuramento poiché, se quel tale ha commesso l'adulterio, Dio lo condanna; ma, nel caso da noi contemplato, in qual modo è un vero giuramento l'affermare: Se non dite la verità, siete delle spie, dal momento che, anche se mentissero, non sarebbero per questo delle spie? Ma ecco che cosa io ho affermato: Giuseppe ha detto: Voi siete delle spie, come se avesse detto: Voi meritate di ricevere il castigo dovuto a delle spie, o, in altri termini: Voi sarete ritenuti delle spie a causa della vostra menzogna. Innumerevoli somiglianti modi di dire mostrano poi che si poteva dire: "voi siete ", invece di: " sarete ritenuti " e " sarete stimati "; di qui viene l'espressione di Elia: Colui che risponderà con il fuoco, sarà Dio proprio lui 158. Poiché non lo sarà allora, ma sarà considerato Dio allora.

Davanti a Giuseppe i fratelli si pentono.

1140
(
Gn 42,23) Che cosa vuol dire che, allorché i figli d'Israele, mossi dal pentimento, parlavano tra loro del proprio fratello Giuseppe dicendo di avere agito male con lui, e veniva reso loro in cambio, per castigo di Dio, di correre il pericolo d'essere accusati? la Scrittura soggiunge e dice: Essi non sapevano che Giuseppe li ascoltava, poiché tra loro e lui c'era l'interprete. Si deve, naturalmente, pensare ch'essi credevano che egli non ascoltasse dal momento che vedevano l'interprete che era tra lui e loro non tradurgli nulla di ciò di cui parlavano, e credevano che l'interprete era stato introdotto solo perché Giuseppe non conosceva la loro lingua. Inoltre all'interprete non stava a cuore riferire a colui, che si serviva di lui, ciò che dicevano non a lui ma tra di loro.

Le parole: E si avvicinò di nuovo a loro e disse loro.

1141
(
Gn 42,24) E si avvicinò di nuovo a loro e disse loro. Il testo sacro però non aggiunge che cosa disse loro. Si capisce, per conseguenza, che disse loro le medesime cose che aveva dette.

Che cosa la Scrittura intende per inferno.

1142
(
Gn 42,38) E voi farete scendere la mia vecchiaia nell'inferno con dolore. Nell'inferno, perché con dolore? Oppure, anche se non ci fosse il dolore, parla così come se morendo sarebbe sceso nell'inferno? In effetti quello relativo all'inferno è un problema difficile e che cosa intenda la Scrittura con questo termine lo si deve considerare in tutti i passi in cui esso per caso è ricordato.

Qual è l'argento provato.

1143
(
Gn 43,23) Ciò che i fratelli (di Giuseppe) sentono dire dal sovrintendente della casa: Il vostro Dio e Dio dei vostri padri vi ha dato dei tesori nei vostri sacchi: il vostro argento, che è di buona lega, io l'ho ricevuto, sembra una bugia, ma si deve credere che simboleggi qualcosa d'importante. In effetti l'argento che si dona e non diminuisce, poiché è detto anche di buona lega, è certamente simile a quello di cui in un altro passo si legge: Le parole del Signore sono parole pure, argento raffinato col fuoco, dalla ganga purgata sette volte 159, cioè in modo perfetto.

Dove ebrietà simboleggia abbondanza.

1144
(
Gn 43,34) Essi bevvero e s'inebriarono con lui. Gli ubriaconi sono soliti ricorrere all'appoggio di questo testo non a motivo dei figli di Israele ma di Giuseppe, che viene elogiato come assai sapiente; ma chi osserva attentamente troverà in molti passi che questo verbo di solito è usato nelle Scritture anche al posto di " abbondanza ". Da ciò deriva il detto: Hai visitato la terra e l'hai inebriata, l'hai ricolmata di ricchezze 160. Poiché questa parola è usata per esprimere il merito della benedizione e ricordare il dono di Dio. È chiaro che questa ebrietà simboleggia l'abbondanza. Neppure alla terra infatti è utile imbeversi come s'inebriano gli ubriaconi, poiché, a causa dell'umidità maggiore di quanta è sufficiente per la sazietà, si guasta come la vita degli ubriaconi che non si riempiono nella misura sufficiente, ma si affogano sommersi da un'inondazione.

Se Giuseppe ha ingannato i fratelli.

1145
(
Gn 44,15) Si suole discutere che cosa significhi ciò che Giuseppe dice ai suoi fratelli: Non sapevate che un uomo come me è capace di praticare la divinazione? Di questa sua arte di trarre gli auspici aveva dato ordine anche al suo sovrintendente di parlarne (ai fratelli) 161. Forse non è da ritenere una menzogna poiché la frase fu pronunciata non sul serio ma per scherzo, come poi mostrò l'esito (dell'episodio)? Le bugie infatti sono dette dai bugiardi seriamente, non per scherzo; quando invece le cose che non sono reali sono dette per scherzo, non sono considerate menzogne. Si resta però perplessi riguardo a cosa significhi l'azione di Giuseppe con cui tante volte si burlò dei suoi fratelli e li tenne sospesi in sì lunga aspettativa finché non palesò chi egli era. Sebbene tale comportamento sia tanto più attraente nel leggerlo quanto più inatteso risulta per quelli con i quali è compiuto, tuttavia, data l'elevatezza della sua sapienza, se questo, per così dire, scherzo non avesse simboleggiato qualcosa di importante, non solo non sarebbe stato fatto da lui, ma non sarebbe stato neppure registrato dalla Scrittura, in cui si trova tanta autorevolezza di santità e tanta attenzione nel profetizzare eventi futuri. Ora però non ci siamo impegnati a darne una spiegazione, ma abbiamo voluto solo ricordare che cosa qui occorra indagare. Poiché penso che non sia senza un significato il fatto che non sia stato detto: " io traggo auspici " ma: trae gli auspici un uomo quale sono io. Se invece questo è solo un modo di dire, si deve trovare qualcosa di simile in tutto l'insieme della Scrittura.

Perché Giuseppe ha tenuto sospesi i fratelli.

1146
Penso che si debba considerare attentamente in qual modo Giuseppe mantenne, per tutto il tempo che volle, l'ansia in questo turbamento dei suoi fratelli e la prolungò per tutto il tempo che ritenne opportuno, pur senza renderli sventurati, dal momento che pensava all'esito di una tanto grande gioia futura e tutto quello che faceva, procrastinando la loro gioia, lo faceva perché aumentasse con il differirla; come se le loro sofferenze lungo tutto il tempo in cui erano turbati non fossero paragonabili alla gloria dell'esultanza futura, che si sarebbe manifestata in essi 162 nel riconoscere il fratello che credevano d'avere perduto.

Perché Giuda racconta diversamente da come sono avvenuti i fatti.

1147
(
Gn 44,18-34) Nel racconto di Giuda molti particolari sono riferiti diversamente da come Giuseppe aveva agito con i fratelli, sebbene avesse parlato con lui, sicché non è detto affatto nulla dell'accusa di essere delle spie. Non è chiaro se ciò fosse taciuto di proposito o se avvenne per una dimenticanza causata dal turbamento. Infatti quanto a ciò che dissero d'essere stati interrogati dallo stesso Giuseppe sul conto del loro padre e del loro fratello e che essi glielo manifestarono, è sorprendente se questo racconto può arrivare a (riassumere) almeno il contenuto, per risultare che è veritiero. Del resto, sebbene in quel racconto alcune cose siano false, l'autore del racconto poté commettere un errore, dovuto a una dimenticanza, anziché aver la temerità di mentire scientemente, soprattutto trattandosi di uno da lui ricordato nella narrazione non come uno che non conoscesse i fatti, ma aggiungeva al racconto fatti che sapeva essere noti a quello per muoverlo a pietà.

Senso di un resto nelle parole di Giuseppe.

1148
(
Gn 45,7) Che cosa vuol dire ciò che dice Giuseppe: Dio infatti mi ha mandato davanti a voi per fare sussistere nel paese il resto che siete voi e nutrire un gran numero di vostri superstiti? Poiché ciò non concorda completamente per il fatto che intendiamo come il resto o come ciò che resta Giacobbe e i suoi figli, essendo tutti incolumi. È forse un simbolo ciò che in virtù di un segreto ed insondabile piano divino dice l'Apostolo: Un resto (d'Israeliti) è stato salvato perché eletto per grazia 163, poiché il Profeta aveva predetto: Anche se il numero dei figli di Israele sarà come la sabbia del mare, un resto sarà salvato 164? Ora Cristo fu ucciso dai Giudei e consegnato ai pagani come Giuseppe dai suoi fratelli agli Egiziani, affinché anche il resto d'Israele fosse fatto salvo. Per questo l'Apostolo dice: Poiché anch'io sono Israelita; e: Affinché l'insieme dei pagani entrasse, e così tutto l'Israele fosse fatto salvo 165; cioè: dal resto d'Israele secondo la carne e dall'insieme dei pagani che per la fede in Cristo sono l'Israele secondo lo spirito. Oppure se al popolo israelitico resta la pienezza della fede dalla quale proveniva il resto nel quale allora anche gli Apostoli furono fatti salvi, ciò è simboleggiato dalla pienezza della liberazione d'Israele con la quale furono liberati dall'Egitto, per opera di Mosè.

Quali furono le figlie di Giacobbe.

1149
(
Gn 46,6-7) Entrarono in Egitto Giacobbe e tutti i suoi discendenti, i figli e i figli dei suoi figli, le figlie e le figlie delle sue figlie con lui. Occorre domandarsi come mai si dice: le figlie e le figlie delle sue figlie, sebbene si legga che aveva soltanto una figlia. Più sopra abbiamo detto che per sua figlia si possono intendere le sue nipoti, allo stesso modo che sono chiamati " figli d'Israele " anche tutti gli appartenenti al popolo discendente da lui. Ma ora quando la Scrittura dice le figlie delle sue figlie a causa della sola Dina, è usato il plurale per il singolare, così come di solito si usa anche il singolare per il plurale, salvo che uno affermi che si potevano chiamare "sue figlie " le sue nuore.

Dove anima sta per uomo.

1150
(
Gn 46,15) Quando la Scrittura dice che Lia partorì tante "anime " o che tante e tante " anime " uscirono dai lombi di Giacobbe, si deve vedere che cosa si può rispondere, su questo punto, a coloro che, basandosi su questo testo, cercano di sostenere che dai genitori insieme con i corpi si propagano anche le anime. Poiché nessuno dubita che sono dette " anime " invece di " uomini " con un modo di dire che indica la parte per il tutto. Ma come separare la parte, che qui serve ad indicare il tutto, vale a dire l'anima usata come termine per denotare l'uomo tutto intero da coloro che la Scrittura afferma essere stati generati dalle sue ossa 166? Diremo forse che egli non generò se non i corpi, sebbene la Scrittura parli solo di anime? (Per la soluzione del problema) bisogna esaminare attentamente i modi di esprimersi delle Scritture.

Quanti figli di Giacobbe nacquero in Mesopotamia.

1151
(
Gn 46,15) Questi sono i figli che Lia partorì a Giacobbe in Mesopotamia di Siria oltre a Dina sua figlia; tutte le anime, figli e figlie di lui, assommano a trentatré. Tutte queste trentatré anime nacquero forse da Lia in Mesopotamia di Siria? Sicuramente nacquero da lei dei figli e una sola figlia, di cui sono stati ricordati i nipoti. Se dunque era sorto il problema riguardo al solo Beniamino, quando la Scrittura dopo aver contato e nominato i dodici figli di Giacobbe, dice: Questi sono i figli di Giacobbe natigli in Mesopotamia di Siria 167, con quanto più forte ragione possiamo porci adesso la domanda in che modo gli nacquero trentatré anime in Mesopotamia di Siria; salvo che qui si abbia una conferma della locuzione già esaminata, che presenta come se fossero nati lì tutti coloro dei quali vi erano nati i genitori. Di conseguenza è fuori dubbio che qui, usando il plurale per il singolare, si parla di figlie mentre è ricordata per nome una sola figlia.

Quanti figli di Giacobbe entrarono in Egitto.

1152
(
Gn 46,26-27) Quando si legge che entrarono con Giacobbe in Egitto sessantasei anime 168, eccetto evidentemente i figli di Giuseppe, e la Scrittura, dopo averli contati, soggiunge: Il numero della anime con le quali Giacobbe entrò in Egitto era di settantacinque 169, si deve intendere tutti coloro che erano nella casa di Giacobbe quando entrò in Egitto. Poiché certamente non entrò con quelli che vi trovò. Ma, esaminando più attentamente la Scrittura, si trova che al suo arrivo Efraim e Manasse erano già nati ambedue 170 non solo come dicono i manoscritti ebraici in questo passo, ma anche come dichiara nell'Esodo la versione dei Settanta 171 e non mi pare che i Settanta si siano sbagliati su questo punto quando, a causa del suo significato simbolico, hanno voluto completare questo numero con una sorta di licenza profetica, se quelli furono generati dai due figli Efraim e Manasse essendo ancora vivo Giacobbe e che credettero giusto di annoverarli tra i componenti della casa di Giacobbe. Ma poiché si trova scritto che Giacobbe visse in Egitto diciassette anni 172, non si trova però in che modo i figli di Giuseppe poterono avere anche dei nipoti durante la sua vita. Giacobbe infatti entrò in Egitto nel secondo anno della carestia 173; i figli di Giuseppe invece nacquero negli anni dell'abbondanza 174. Quali che siano gli anni dell'abbondanza in cui si pensa che nascessero, dal primo anno dell'abbondanza al secondo anno della carestia, in cui Giacobbe entrò nell'Egitto, sono nove anni; aggiungendovene diciassette, in cui Giacobbe visse lì, si constata che furono ventisei anni. In che modo quindi giovani di età inferiore ai ventisei anni poterono avere anche dei nipoti? La questione non si risolve neppure in base ad alcun passo del testo autentico della Scrittura. In qual modo infatti poté avvenire che Giacobbe prima di entrare in Egitto avesse tanti nipoti anche da Beniamino, che in quel periodo andò dal fratello (in Egitto)? In effetti la Scrittura ricorda che egli ebbe non solo dei figli ma anche nipoti e pronipoti, i quali sono messi tutti nel numero delle sessantasei persone con le quali siamo informati che Giacobbe entrò nell'Egitto anche dal testo ebraico della Scrittura 175. Si deve pure esaminare che cosa significhi il fatto che, sebbene Giuseppe e i suoi figli vengano ricordati in un numero non superiore a otto 176 e, al contrario, si trovi scritto che Beniamino e i suoi figli erano tutti insieme undici 177, ne vengono contati in totale non diciannove, quanti assommano otto più undici, ma solo diciotto 178, e poi si dice che Giuseppe e i suoi figli furono non otto anime ma nove, sebbene si trovi scritto ch'erano otto 179. Tutti questi dati contrastanti, che sembrano insolubili, contengono senza dubbio una grande ragion d'essere; ma non so se tutto può intendersi alla lettera, soprattutto quando si tratta di numeri che, a giudicare da alcuni di essi da noi esaminati attentamente, nelle Scritture sono lo crediamo con tutta ragione pieni di significati simbolici.

I patriarchi allevatori di bestiame.

1153
(
Gn 46,32-34) A proposito dei Patriarchi viene messo in rilievo che erano allevatori di bestiame fin dalla loro infanzia, come lo erano stati i loro genitori. E a ragione: poiché senza dubbio giusta servitù e giusto dominio si ha quando le bestie sono sottomesse all'uomo e l'uomo ha il dominio sulle bestie. Così infatti fu detto quando l'uomo fu creato: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza; e abbia il potere sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutte le bestie che sono sulla terra 180. Con ciò si fa vedere che la ragione deve avere il dominio su gli esseri privi di ragione. Ma a far sì che una persona divenisse schiava di un'altra persona è stato il peccato o l'avversità: il peccato, come è detto: Sia maledetto Canaan! Schiavo sarà dei suoi fratelli 181; l'avversità, al contrario, come accadde allo stesso Giuseppe di diventare schiavo di uno straniero dopo essere stato venduto dai suoi fratelli 182. Pertanto furono le guerre a creare schiavi coloro ai quali nella lingua latina fu posto questo nome. Infatti un uomo che fosse stato vinto da un altro uomo e che per diritto di guerra poteva essere ucciso, poiché veniva invece salvato, fu chiamato servus (schiavo); per lo stesso motivo si chiamano anche mancipia (schiavi) perché sono stati manu capta (presi con la mano). Tra gli uomini vige anche l'ordine della natura per cui le donne siano soggette ai mariti e i figli ai genitori, poiché anche in questo caso è giusto che la ragione più debole sia soggetta alla più forte 183. Riguardo perciò al comandare e al servire è evidentemente giusto che coloro i quali sono superiori quanto alla ragione siano superiori anche quanto al comando. Quando quest'ordine di cose viene sconvolto nel nostro mondo dall'iniquità degli uomini o dalla diversità delle nature carnali, i giusti sopportano il pervertimento temporale per possedere alla fine la felicità eterna assolutamente conforme all'ordine.

Il giusto è un abominio per l'empio.

1154
(
Gn 46,34) Poiché ogni pastore di greggi è un'abominazione per gli Egiziani. A giusta ragione per gli Egiziani, che rappresentano un simbolo della vita presente, in cui abbonda il peccato, è un'abominazione ogni pastore di greggi, poiché il giusto è un abominio per l'empio.

Ripetizione di una vicenda.

1155
(
Gn 47,5-6) Giacobbe e i suoi figli vennero in Egitto da Giuseppe; e il Faraone, re dell'Egitto, ne fu informato e parlò a Giuseppe in questi termini: " Tuo padre e i tuoi fratelli sono venuti qua da te. Ecco, il paese d'Egitto è davanti a te. Stabilisci tuo padre e i tuoi fratelli nella parte migliore del paese ". Questa ripetizione di una vicenda non tralasciata, della quale si torna a parlare spesso confusamente, sotto forma di ricapitolazione, è tuttavia assolutamente chiara, poiché la Scrittura aveva già detto come fossero venuti dal Faraone i fratelli di Giuseppe e che cosa quello dicesse loro o sentisse dire da essi 184. Adesso però questi fatti sono raccontati di nuovo dall'inizio per collegare il racconto che segue con le parole che il Faraone disse solo a Giuseppe. Di tutte queste cose nei manoscritti greci, compilati da amanuensi più attenti, alcune hanno un obelo e indicano quelle che non si trovano nell'ebraico, ma si trovano nei Settanta, altre hanno un asterisco per indicare che si trovano nei manoscritti ebraici ma non sono riportate dai Settanta.

Ciò che Giacobbe disse al Faraone.

1156
(
Gn 47,9) Che significa ciò che disse Giacobbe al Faraone: I giorni degli anni della mia vita, nei quali soggiorno come un residente di passaggio? Così in effetti portano i manoscritti greci, mentre quelli latini hanno ago, oppure habeo o qualche altro verbo. Disse dunque nei quali soggiorno come un residente di passaggio, poiché era nato sulla terra che il popolo (d'Israele) non aveva ancora ricevuto in eredità come Dio aveva promesso e vivendo lì era certamente in una terra straniera non solo quando era esule, come in Mesopotamia, ma anche quando era là dove era nato? O piuttosto lo si deve intendere nel senso che ha l'espressione di Paolo: Finché siamo nel corpo siamo come esuli lontano dal Signore 185? In questo senso s'intende anche l'espressione del Salmo: Io sono abitante della terra, ospite come tutti i miei padri 186. Di nuovo infatti, a proposito dei suoi giorni egli dice: essi non hanno raggiunto i giorni degli anni dei miei padri, i giorni in cui abitarono come stranieri. Poiché qui non volle far intendere altro se non ciò che portano i manoscritti latini, cioè " vissero " e perciò volle far vedere che la vita è solo un soggiorno passeggero sulla terra, cioè una residenza in paese straniero. Io penso dunque che ciò si confaccia ai fedeli servi di Dio, ai quali il Signore promette un'altra patria: quella eterna. Per conseguenza occorre vedere in che senso è detto agli empi: Essi abiteranno e si nasconderanno, spiano il mio calcagno 187. Più convenientemente ciò s'intende di coloro che abitano come stranieri per nascondersi, cioè al fine di tendere agguati ai figli, non restano mai in casa.

Il territorio di Ramses.

1157
(
Gn 47,11) E diede loro una proprietà nella parte migliore del paese, nel territorio di Ramses, come aveva ordinato il Faraone. Si deve ricercare se il territorio di Ramses sia quello stesso di Gessen, poiché gli Israeliti avevano chiesto proprio quello e il Faraone aveva ordinato che quello fosse dato loro 188.

Il sogno di Giuseppe riguardo al padre.

1158
(
Gn 47,12) E Giuseppe assicurava a suo padre la distribuzione del grano; ciononostante suo padre non si prosternò davanti a lui né quando lo vide, né quando ricevette il grano da lui 189. In che modo dunque penseremo ora che si adempì il sogno di Giuseppe e non piuttosto che conteneva la profezia di un evento più importante?.

Comportamento equo di Giuseppe.

1159
(
Gn 47,14) E Giuseppe portò tutto il denaro nella casa del Faraone. La Scrittura si è preoccupata di mettere in risalto la fedeltà del servo di Dio anche con questo fatto.

Come poté vivere il bestiame durante la carestia d'Egitto.

1160
(
Gn 47,16 Gn 4) Giuseppe allora disse loro: Conducete il vostro bestiame e in cambio del vostro bestiame vi darò del pane se non c'è più denaro. Si può porre il quesito poiché Giuseppe aveva fatto l'ammasso del frumento con cui potessero vivere gli uomini di che cosa potevano vivere i greggi data la grave carestia che regnava, soprattutto perché i fratelli di Giuseppe avevano detto al Faraone: Poiché non c'è più pascolo per le greggi dei tuoi servi; infatti grave è la carestia nella terra di Canaan 190, e avevano ricordato d'essere andati là anche a causa della carestia. Se quindi a causa di quella carestia difettavano i pascoli nel paese di Canaan, perché essi non erano venuti a mancare nell'Egitto, sebbene dappertutto infierisse la carestia? O forse come affermano coloro che conoscono quei luoghi in molte paludi dell'Egitto potevano non mancare pascoli, sebbene ci fosse carestia di cereali che di solito prosperano con lo straripamento del fiume Nilo? Si dice infatti che quelle paludi producono pascoli più rigogliosi quando l'acqua del Nilo straripa di meno.

Le ultime parole di Giacobbe a Giuseppe.

1161
(
Gn 47,29) Giacobbe sul punto di morire dice a suo figlio Giuseppe: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, metti la tua mano sotto la mia coscia e compirai verso di me un atto di bontà e di verità. Egli vincola (così) il figlio con il giuramento con cui Abramo aveva vincolato il servo 191: Abramo quando ordinò da quale casato doveva prendere la moglie per suo figlio, Giacobbe raccomandando la sepoltura del proprio corpo. In ambedue i casi sono tuttavia nominate le qualità morali che sono da ritenere importanti e da stimare assai in tutti i libri della Scrittura, in tutti i passi dovunque si leggono, cioè: la misericordia e la giustizia o la misericordia e il giudizio oppure la misericordia e la verità, dal momento che in un passo sta scritto: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità 192. Pertanto, queste due qualità morali, molto lodate, devono essere considerate importanti. Ora il servo di Abramo aveva detto: Se userete benevolenza e lealtà verso il mio signore 193, come dice anche questi al proprio figlio: affinché tu usi benevolenza e fedeltà verso di me. Ma che cosa significhi da parte di un sì gran personaggio una raccomandazione tanto sollecita per il suo corpo, perché non venga sepolto in Egitto ma nel paese di Canaan presso i suoi padri 194 sembra strano e quasi illogico né conforme a una sì grande superiorità di spirito profetico, se lo giudichiamo in base all'usanza umana. Se invece in tutto ciò si cercheranno degli insegnamenti di fede, a chi li avrà trovati ne verrà la gioia di una maggiore ammirazione. Poiché senza dubbio nella Legge antica nei cadaveri dei morti erano simboleggiati i peccati, dal momento che si prescrive che dopo averli toccati o dopo un qualsiasi contatto con essi le persone si dovevano purificare come se si trattasse d'una impurità 195. Inoltre di qui è derivata la seguente massima: Se uno si lava per aver toccato un morto e poi lo tocca di nuovo, a che cosa gli giova essersi lavato? Lo stesso capita a chi digiuna per (cancellare) i propri peccati, ma poi torna a commetterli di nuovo 196. La sepoltura dei morti è dunque simbolo della remissione dei peccati in relazione all'affermazione della Scrittura: Beati coloro le cui colpe sono state rimesse e coperti i peccati 197. Dove dunque sarebbero dovuti essere seppelliti i cadaveri dei Patriarchi, che avevano questo simbolismo, se non nel paese in cui fu crocifisso colui, con il sangue del quale fu compiuta la remissione dei peccati 198? Poiché nella morte dei Patriarchi sono simboleggiati i peccati degli uomini. Si dice infatti che il luogo ove fu crocifisso il Signore dista circa trenta miglia dal luogo chiamato " Abrahamio", ove sono quei corpi 199, affinché s'intenda che anche lo stesso numero è simbolo di colui che si manifestò all'età di circa trent'anni nel battesimo. Ammissibile è anche qualunque altra ipotesi che si possa intendere o in questo senso o in un altro più sublime, purché tuttavia non si pensi che personaggi così grandi e uomini di Dio tanto qualificati, si prendessero senza ragione tanta cura per la sepoltura dei loro corpi, sebbene i fedeli siano o piuttosto debbano essere sicuri che, dovunque i loro corpi vengano seppelliti o lasciati insepolti anche a causa della ferocia dei nemici, o fatti a brani per la brama della loro passione e dispersi, non per questo la loro risurrezione futura sarà meno perfetta o meno gloriosa.

Le parole: E si prosternò sulla punta del bastone di lui.

1162
(
Gn 47,31) La frase che i manoscritti latini riportano così: E si prosternò (appoggiandosi) sulla punta del bastone di lui, alcuni la riportano corretta così: e si prosternò (appoggiandosi) sulla punta del proprio bastone, o: nella punta del proprio bastone, oppure: sull'estremità superiore (in cacumen o super cacumen). Essi sono stati ingannati dalla parola greca, in quanto sia eius (= di lui) che suae (= della propria verga) si scrivono con le stesse lettere ma gli spiriti delle due parole sono diversi e dai competenti in questa materia sono tenuti in grande considerazione nei manoscritti, poiché sono di molto aiuto per distinguere la diversità di significato (delle parole). Tuttavia, nel caso che fosse suae (= della propria), il pronome potrebbe avere una lettera in più, sì da risultare scritta non (di lui), ma: (di se stesso = proprio). Ecco perché giustamente ci chiediamo che cosa significhi la frase citata. Si potrebbe intendere senz'altro che il vecchio che portava il bastone, come di solito si porta in quella età, quando s'inchinò per prosternarsi a Dio, lo fece naturalmente sopra l'estremità del proprio bastone, che portava in modo da potersi prostrare davanti a Dio, chinando su di esso la testa. Che cosa vuol dire dunque: Si prosternò sull'estremità del bastone di lui, cioè di suo figlio Giuseppe? Aveva forse preso da lui il bastone quando suo figlio gli prestava giuramento e, continuando a tenerlo, si prosternò davanti a Dio avendolo ancora in mano subito dopo (che Giuseppe aveva pronunciato) la formula del giuramento? Non si vergognava infatti di portare per un po' di tempo il distintivo del potere del proprio figlio, in cui era prefigurata un'importante realtà futura. Si dice tuttavia che sia assai facile la soluzione di questo problema, stando al testo ebraico ove si afferma che sta scritto: E Israele s'inchinò profondamente sulla testata del suo letto, in cui naturalmente giaceva, e ce l'aveva disposta in modo che vi potesse pregare senza fatica qualora l'avesse voluto. Ma non per questo tuttavia si deve pensare che la traduzione dei Settanta non abbia nessun senso o ne abbia uno senza importanza.

Giacobbe ricorda le promesse di Dio.

1163
(
Gn 48,4) Anche qui, quando Giacobbe ricorda le promesse fattegli da Dio, afferma che gli fu detto: Io ti farò diventare radunanze di nazioni. Con queste parole si simboleggia piuttosto la chiamata dei pagani (alla fede) che non la propagazione della stirpe carnale.

Chiamati figli di Giacobbe i due figli di Giuseppe.

1164
(
Gn 48,5-6) Così sta scritto riguardo a ciò che dice Giacobbe a proposito di Efraim e di Manasse: Ora dunque i tuoi figli che ti sono nati nel paese d'Egitto prima che io arrivassi da te in Egitto, Efraim e Manasse, sono miei, saranno miei come Ruben e Simeone; quelli che invece genererai in seguito saranno tuoi saranno chiamati con il nome dei loro fratelli nella loro eredità. Questo passo inganna talora i lettori e li porta a pensare che la Scrittura ha detto così come se Giuseppe avesse generato altri figli. Giacobbe avrebbe ordinato di chiamarli con i nomi di quei due, ma non è così. Poiché l'ordinata costruzione della frase risulta così: Ora dunque i due tuoi figli che ti sono nati nel paese d'Egitto, prima che io venissi da te in Egitto, e cioè Efraim e Manasse, sono miei; saranno miei come Ruben e Simeone e saranno chiamati con il nome dei loro fratelli nella loro eredità, cioè avranno l'eredità insieme con i loro fratelli, e di conseguenza saranno chiamati figli d'Israele. Quelle due tribù infatti furono aggiunte in modo che, ad eccezione della tribù di Levi ch'era di condizione sacerdotale, fossero dodici quelle che si sarebbero divise il territorio e avrebbero offerto le decime. In mezzo a quelle parole è stato inserito ciò che è detto a proposito degli altri figli di Giuseppe qualora fossero nati.

Dov'è sepolta la madre di Giuseppe.

1165
(
Gn 48,7) Che cosa spinse Giacobbe a dire adesso ciò che volle indicare a suo figlio Giuseppe, come se non lo sapesse, dove e quando seppellì la madre di lui, sebbene fosse presente anche lui insieme ai suoi fratelli, anche se era tanto piccolo d'età che non poteva curarsi di quel fatto e ricordarsene? Ma forse era utile ricordare allora che la madre di Giuseppe era stata sepolta dove sarebbe nato il Cristo.

Come Giacobbe benedice i figli di Giuseppe.

1166
(
Gn 48,14-19) Quanto al fatto che Israele (Giacobbe) benedice i nipoti ponendo la mano destra sul più piccolo e invece la sinistra sul più grande, e a suo figlio Giuseppe che lo voleva correggere, come se sbagliasse e non sapesse (che quello non era il suo primogenito) così risponde: Lo so, figlio mio, lo so; anch'egli diverrà un popolo e sarà grande anche lui, ma suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza sarà una moltitudine di popoli, si deve intendere riferito a Cristo in quanto anche a proposito dello stesso Giacobbe e di suo fratello la Scrittura dice: Il maggiore sarà servo del minore 200. In effetti, facendo così Israele compì un gesto simbolico contenente la profezia che il popolo futuro, il quale sarebbe venuto per mezzo di Cristo, con una generazione spirituale, sarebbe stato superiore al popolo precedente che si vantava della generazione carnale dei Patriarchi.

Sichem è l'eredità lasciata a Giuseppe.

1167
(
Gn 48,22) Possiamo domandarci in qual modo possa corrispondere alla lettera quello che dice Giacobbe, di dare, come parte principale (dell'eredità) Sikima al proprio figlio Giuseppe e aggiunge di averla conquistata con la sua spada e con il suo arco. Egli infatti aveva comprato quel possedimento con cento agnelle 201, non l'aveva conquistato per diritto d'una vittoria riportata in guerra. O perché i suoi figli avevano preso in battaglia Salem 202, città dei Sichemiti, e in virtù del diritto di guerra poté diventare sua e per conseguenza sembra essere stata combattuta una giusta guerra contro coloro che prima avevano arrecato una sì grande offesa con il violare la sua figliuola? Perché dunque non diede quel territorio a coloro che avevano compiuto quell'impresa, cioè ai suoi figli maggiori? In secondo luogo se ora, vantandosi di quella vittoria, dà quel territorio a suo figlio Giuseppe, perché gli dispiacquero allora i figli che avevano compiuto quel fatto? Perché, infine, anche adesso, benedicendoli, ricordò questo misfatto tra le loro azioni biasimandolo ? Senza dubbio, dunque, si cela qui una prefigurazione profetica, poiché anche Giuseppe prefigurò con una simbologia singolare il Cristo e gli viene dato quel territorio in cui Giacobbe aveva eliminato gli dèi stranieri seppellendoli 203, per farci intendere che Cristo avrebbe avuto in possesso i popoli che, rinunciando agli dèi dei loro padri, avrebbero creduto in lui.

Senso delle parole: Si riunì al suo popolo.

1168
(
Gn 49,32) È da vedere in che senso le Scritture dicono quanto dicono ripetutamente: E si riunì ai suoi antenati, oppure: Si riunì al suo popolo. Ecco, di Giacobbe è detto così quando era già morto, ma non ancora sepolto; non è tuttavia facile vedere a qual popolo si riunisse. Da lui infatti trae origine il primo popolo, che fu chiamato " popolo d'Israele "; di coloro che, al contrario, lo precedettero sono chiamati giusti tanto pochi che esitiamo a chiamarli " popolo ". Poiché, se la Scrittura dicesse: " Si riunì ai suoi antenati ", non ci sarebbe alcun problema. Oppure è forse popolo non solo quello dei fedeli servi di Dio ma anche il popolo degli angeli della città di Dio, di cui nella Lettera agli Ebrei è detto: Voi invece vi siete accostati al monte Sion e alla città di Dio, a Gerusalemme, e a miriadi d'angeli esultan-ti 204. A questo popolo si riuniranno coloro che terminano questa vita nella grazia di Dio. Si dice infatti che vengono uniti quando non resta più alcuna ansietà causata dalle tentazioni e alcun pericolo di commettere peccati. Tenendo presente ciò che la Scrittura dice: Prima della morte non lodare nessuno 205.

I quaranta giorni della sepoltura di Giacobbe.

1169
(
Gn 50,3) I quaranta giorni della sepoltura ricordati dalla Scrittura sono forse simbolo della penitenza per mezzo della quale si seppelliscono i peccati. Poiché non senza una ragione sono stati registrati anche quaranta giorni in cui digiunò Mosè 206 e Elia 207 e lo stesso Signore 208. Anche la Chiesa chiama " Quaresima " la più solenne pratica religiosa del digiuno. Ecco perché dicono che anche nel testo ebraico del profeta Giona si trova scritto, a proposito degli abitanti di Ninive: Tra quaranta giorni Ninive sarà distrutta 209, perché s'intendesse che durante tanti giorni, disposti naturalmente per la mortificazione di coloro che si pentivano, deplorarono i loro peccati con il digiuno e ottennero misericordia da Dio. Ma non si deve tuttavia pensare che quel numero si addice solo al dolore di coloro che si pentono; altrimenti il Signore non avrebbe trascorso quaranta giorni con i suoi discepoli dopo la risurrezione vivendo, mangiando e bevendo con loro 210; giorni che furono certamente di gran gioia. Non si deve credere neppure che i Settanta traduttori, che la Chiesa è solita leggere, avessero sbagliato dicendo non: " tra quaranta giorni ", ma: fra tre giorni Ninive sarà distrutta. Essi infatti erano dotati di un'autorità superiore a quella che compete alla funzione di traduttori, grazie allo spirito profetico, per cui si afferma che andarono d'accordo anche nelle loro traduzioni, come parlando all'unisono, ciò che fu un gran miracolo; scrissero quindi tre giorni, sebbene non ignorassero che nei manoscritti ebraici si leggeva quaranta giorni, affinché s'intendesse che in virtù della glorificazione del Signore Gesù Cristo vengono soppressi e distrutti i peccati, in quanto di lui è detto: Il quale fu consegnato per i nostri peccati, e risuscitò per la nostra giustificazione 211. La glorificazione del Signore poi si riconosce nella sua risurrezione e ascensione in cielo. Ecco perché egli diede anche lo Spirito Santo due volte numericamente, sebbene fosse l'unico e medesimo: la prima volta dopo la sua risurrezione 212, la seconda volta dopo l'ascensione in cielo 213. E poiché risuscitò dopo tre giorni e ascese in cielo dopo quaranta giorni, i manoscritti ebraici simboleggiano il primo fatto, avvenuto dopo, con il numero dei giorni, mentre i Settanta vollero ricordare l'altro fatto dei tre giorni relativo al medesimo argomento non attenendosi servilmente alla lettera bensì all'autorità propria del senso profetico. Non dobbiamo dunque affermare che una di queste varianti sia falsa e non litighiamo a favore di alcuni traduttori contro altri in quanto non solo i traduttori dall'ebraico ci dimostrano che sta scritto così, ma anche l'autorità dei Settanta, messa in risalto anche da un miracolo così grande compiuto da Dio, viene confermata dall'antichità in cui è stata usata dalle Chiese.

Le parole devono servire ad esprimere la volontà e a portarla a conoscenza.

1170
(
Gn 50,5) Giuseppe diede incarico ai potenti d'Egitto che a nome suo dicessero al Faraone: Mio padre mi ha fatto giurare dicendo: " Tu devi seppellirmi nel sepolcro che mi sono scavato nella terra di Canaan ". Ci possiamo chiedere in che modo ciò sia vero, poiché queste parole di suo padre non si leggono quando diede disposizioni per la sua sepoltura. Noi però dobbiamo rapportare le parole al senso, come abbiamo avvertito più sopra a proposito di altre frasi o racconti similmente ripetuti. Le parole infatti devono servire ad esprimere la volontà e a portarla a conoscenza. Ora in nessun passo precedente delle Scritture si legge che Giacobbe si era scavato la tomba. Ma se ciò non fosse accaduto quando si trovava in quelle medesime terre, adesso non verrebbe detto.

In che senso oltrepassarono il luogo della sepoltura.

1171
(
Gn 50,10) Che cosa vuol dire ciò che la Scrittura dice della comitiva in viaggio per andare a seppellire Giacobbe: E arrivarono all'aia di Atad che si trova di là dal Giordano? In effetti essi avevano oltrepassato di più di cinquanta miglia come riferiscono gli esper-ti il luogo in cui doveva essere sepolto il morto, poiché tanto più o meno era lo spazio dal luogo ove furono sepolti i Patriarchi, tra cui anche Giacobbe, fino al luogo ove si narra che quelli erano arrivati. Poiché, dopo aver fatto lì il compianto e il lamento solenne, tornarono al luogo verso cui erano diretti ripassando attraverso il Giordano. Salvo che uno non dica che, per evitare alcuni nemici, arrivassero col cadavere attraverso il deserto, per il quale anche il popolo d'Israele fu condotto da Mosè dopo essere stato liberato dall'Egitto. In effetti percorrendo quella via non solo si fa un enorme giro ma anche attraversando il Giordano si giunge fino al sepolcro di Abramo, ove sono i corpi dei Patriarchi, cioè al paese di Canaan 214. Qualunque sia il modo in cui avvenne che solo attraverso quei luoghi si andò verso l'Oriente e di lì, attraverso il Giordano, si giunse al luogo, si deve credere che avvenne per prefigurare che Israele sarebbe giunto in seguito in quelle terre con i suoi discendenti attraverso il Giordano.

Durata del lutto di Giuseppe.

1172
(
Gn 50,10 Gn 3) E Giuseppe tenne per suo padre il lutto per sette giorni. Non so se nelle Scritture si trovi che per qualcuno dei fedeli servi di Dio, il lutto fu celebrato per un periodo di nove giorni, che presso i latini si chiama " novendiale ". A me quindi pare che si debba proibire questa consuetudine e debbano esserne allontanati quei cristiani che per i loro morti praticano il lutto per un tal numero (di giorni), com'è nella consuetudine dei pagani. Il settimo giorno, al contrario, ha la sua legittimità risultante dalle Scritture. Ecco perché in un altro passo sta scritto: Il lutto per un morto dura sette giorni, ma quello dello stolto dura tutti i giorni della sua vita 215. Il numero sette poi, soprattutto a causa del significato simbolico e profondo del sabato, è simbolo del riposo; giustamente quindi lo si osserva per i morti poiché sono come entrati nel loro riposo. Gli Egiziani tuttavia decuplicarono questo numero nel manifestare il loro cordoglio per Giacobbe, poiché lo piansero per settanta giorni.

Durata della vita di Giuseppe.

1173
(
Gn 50,22-23) E Giuseppe visse centodieci anni. E Giuseppe vide i figli di Efraim fino alla terza generazione; e i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poiché la Scrittura dice che Giuseppe nella sua vita vide questi figli dei figli o nipoti dei figli, in che modo li unisce alle settantacinque persone con cui dice che Giacobbe era entrato in Egitto, dal momento che Giuseppe li vide nascere nella sua vecchiaia, mentre, quando Giacobbe entrò in Egitto, Giuseppe era giovane e il padre alla sua morte lo lasciò all'età di circa cinquantasei anni 216? È quindi chiaro che la Scrittura ha voluto sottolineare quel numero, cioè il settantacinque, per indicare ch'esso era il simbolo di un'altra realtà. Se uno però ricerca in che modo, anche rispetto alla fedeltà storica, sia vero che Giacobbe sia entrato in Egitto con settantacinque anime, si deve intendere che il suo ingresso in Egitto non ebbe luogo in quell'unico giorno in cui entrò in Egitto ma, poiché per lo più Giacobbe è chiamato in relazione ai suoi figli, ossia ai suoi posteri, ed è noto ch'egli entrò in Egitto grazie a Giuseppe, il suo ingresso in Egitto si deve intendere per tutto il tempo che visse Giuseppe, grazie al quale avvenne ch'egli vi entrasse. In tutto quel tempo dunque poterono nascere e vivere tutti coloro che sono ricordati, in modo che fino ai nipoti di Beniamino si giunge alla somma di settantacinque anime. La Scrittura infatti dice: Questi sono i figli di Lia, ch'essa partorì a Giacobbe in Mesopotamia di Siria 217, parlando anche di quelli che non erano (ancora) nati, poiché là essa aveva partorito i genitori dai quali quelli nacquero, presentandoli come se fossero nati lì, poiché lì era nata la causa per cui (poi) sarebbero nati, vale a dire i loro genitori partoriti colà da Lia; così, allo stesso modo, siccome la causa dell'ingresso in Egitto Giacobbe l'aveva avuta tramite Giuseppe, per tutto il tempo che Giuseppe visse in Egitto avveniva l'ingresso di Giacobbe in Egitto per via della sua progenie che veniva propagata durante la vita di colui, per mezzo del quale era avvenuto ch'egli vi entrasse.






Agostino Qu. Heptateuco