Agostino Qu. Heptateuco 1173


LIBRO SECONDO

QUESTIONI SULL'ESODO

Le levatrici ingannano il Faraone.

2001
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Ex 1,19-20) Riguardo alla menzogna delle levatrici con la quale esse ingannarono il Faraone, al fine di non uccidere gli Israeliti maschi alla loro nascita, dicendo che le donne ebree non partorivano come le egiziane, si è soliti porre il quesito se tali menzogne sono approvate dall'autorità divina, dal momento che sta scritto che Dio beneficò le levatrici. Non si sa bene se Dio perdonava la menzogna per la sua misericordia o se la giudicava degna di premio. In realtà una cosa era quella che facevano le levatrici conservando in vita i bambini appena nati, una cosa ben diversa era quella che facevano mentendo al Faraone; poiché nel tenere in vita quei neonati esse compivano un'opera di misericordia. Si servivano al contrario della menzogna per la loro difesa, perché il Faraone non facesse loro del male: ciò poté tornare a loro scusa ma non a loro lode. Io poi non credo che abbiano preso questo testo come un permesso di mentire coloro dei quali è detto: Nel loro parlare non si trovò menzogna 1. Poiché, se la vita di alcune persone, di gran lunga inferiore a quella vissuta nella fede e nella virtù dai santi, ha tali peccati di menzogna lo si deve al fatto che vi si lasciano trasportare dal loro carattere e al loro avanzare negli anni, soprattutto quando, invece di aspettare i beni celesti di Dio, ricercano soltanto i beni terreni. Quanto invece a coloro che vivono in modo da essere già nei cieli, come dice l'Apostolo 2, non penso che, per quanto riguarda il loro modo di parlare, per palesare la verità ed evitare la falsità, debbono formarselo sull'esempio delle levatrici. Su questo problema però si deve discutere con maggior diligenza a causa di altri esempi che si trovano nelle Scritture.

L'azione di Mosè quando uccise un egiziano.

2002
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Ex 2,12) Riguardo all'azione compiuta da Mosè quando uccise l'egiziano per difendere i propri fratelli, nell'opera Contro Fausto scritta da noi sulla vita dei Patriarchi, abbiamo già discusso a sufficienza se fosse lodevole il suo carattere, con il quale commise quel peccato, come un terreno ferace suole essere lodato, prima ancora di seminarvi semi fruttiferi, a causa di una particolare sua fertilità, con cui produce piante sia pure inutili, oppure se quel fatto sia da giustificare sotto ogni riguardo 3. Questa ipotesi però non pare ammissibile, poiché Mosè non aveva alcuna autorità legittima, non conferitagli né da Dio né ordinata dalla società umana. Tuttavia, come dice Stefano negli Atti degli Apostoli 4, egli credeva che i suoi fratelli avrebbero capito che Dio voleva salvarli per mezzo di lui. Questo testo sembrerebbe indicare che Dio avesse già fatto intendere a Mosè di poter osare di uccidere quell'uomo, sebbene la Scrittura in quel passo non faccia alcuna menzione di ciò.

Il Signore chiamò Mosè dal roveto.

2003
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Ex 3,4) Il Signore lo chiamò dal roveto. Il Signore lo chiamò forse per mezzo di un angelo? Oppure l'angelo è il Signore, chiamato angelo del gran consiglio 5 che viene interpretato Cristo. Più sopra infatti è detto: Gli apparve l'angelo del Signore in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto 6.

La terra promessa.

2004
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Ex 3,8) (Sono sceso) per condurli verso una terra fertile e spaziosa, ove scorre latte e miele. Questa terra ove scorre latte e miele, dobbiamo intenderla forse in un senso allegorico, poiché quella terra data al popolo d'Israele, nel senso proprio del linguaggio non era tale, oppure è un modo di dire per lodare la fertilità e la piacevolezza di quella terra?

Il grido dei figli d'Israele.

2005
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Ex 3,9) E ora, ecco, è giunto fino a me il grido dei figli di Israele, non come il grido degli abitanti di Sodoma 7, che simboleggia la perversità senza timore e senza vergogna

Il servo deve ubbidire agli ordini del Signore.

2006
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Ex 3,22) Per mezzo di Mosè il Signore ordinò agli Ebrei di prendere dagli Egiziani oggetti d'oro e di argento e vestiti e aggiunse: e voi li spoglierete; questo comando non può essere giudicato ingiusto, perché è un ordine di Dio, che non doveva essere giudicato ma ubbidito. Sa lui infatti quanto è giusto l'ordine dato da lui, al servo tocca invece ubbidire ed eseguire ciò che il Signore ha comandato

Mosè si scusa d'essere incapace di parlare.

2007
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Ex 4,10) Da quanto Mosè dice al Signore: Ti prego, Signore, io non ho facilità di parola né da ieri, né da ieri l'altro, né da quando hai cominciato a parlare al tuo servo, si capisce che Mosè credeva di poter diventare per volontà di Dio tutto ad un tratto abile nel parlare, poiché dice: né da quando hai cominciato a parlare al tuo servo, come per mostrare che, se non era stato capace di parlare né il giorno prima né quello precedente, sarebbe potuto diventarlo d'un tratto dal momento che il Signore aveva cominciato a parlare con lui.

Quello che Dio vuole è sempre giusto.

2008
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Ex 4,11) Chi rende (l'uomo) muto o lo fa udire, lo fa vedente o cieco? Non sono forse io, il Signore Dio? Ci sono alcuni che criticano maliziosamente Dio o la Scrittura soprattutto dell'Antico Testamento per il fatto che Dio disse di aver fatto, proprio lui, il cieco e il muto. Che cosa dicono dunque di Cristo, nostro Signore, il quale nel Vangelo afferma chiaramente: Io sono venuto perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono non vedano 8. Ma chi, se non uno stolto, potrebbe credere che ad un uomo possa capitare qualche difetto fisico senza che Dio lo voglia? Nessuno però pone in dubbio che Dio vuole tutto quanto con giustizia.

Dio apre la tua bocca e la riempie.

2009
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Ex 4,12) Il Signore dice a Mosè: Ma ora va' e io aprirò la tua bocca e t'insegnerò ciò che dovrai dire. Qui appare assai bene che è opera della volontà e grazia di Dio non solo l'istruzione della bocca ma anche l'atto stesso di aprirla. Poiché Dio non disse: " apri la tua bocca e ti istruirò ", ma gli promise tutt'e due le cose. In un altro passo invece, proprio in un Salmo egli dice: Apri la tua bocca e io la riempirò 9, - dove Dio indica nell'uomo la volontà di ricevere ciò che Dio dà a chi lo desidera, cosicché l'ordine: Apri la tua bocca si riferisce al punto di partenza, alla volontà di prendere ciò che Dio dà a chi vuole, mentre si riferisce alla grazia di Dio l'espressione: e la riempirò - qui al contrario, è detto: Io aprirò la tua bocca e t'istruirò.

In Dio non ci sono turbamenti.

2010
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Ex 4,14-16) E il Signore, preso da una forte collera, disse. In che senso potrebbe prendersi il fatto che Dio si adira? Per non essere costretti a ripeterlo in tutti i passi in cui la Scrittura dice qualcosa di simile, è necessario comprendere che Dio non lo fa per un turbamento irrazionale come lo fa un uomo. A buon diritto però possiamo chiederci perché in questo passo Dio, a proposito del fratello di Mosè, disse incollerito che al popolo avrebbe parlato lui per Mosè (suo fratello). Sembra infatti che Dio non diede l'intera autorità che aveva intenzione di dargli in quanto questi mancava di fiducia, e volle che venisse compiuto per mezzo di due persone ciò che poteva essere compiuto da una sola, qualora avesse avuto fiducia. Ciononostante tutte le stesse espressioni, se considerate con maggiore attenzione non indicano che il Signore, nella sua collera, desse ad Aronne quel potere per vendicarsi. Dice infatti così: Ecco, non c'è forse Aronne tuo fratello levita? Io so che sa parlare assai bene. Da queste parole si vede che Dio lo rimproverò piuttosto del fatto che aveva paura di andare poiché pensava di non essere adatto, pur avendo il fratello, tramite il quale poteva esporre al popolo ciò che voleva. Egli infatti aveva la voce gracile e la lingua impacciata, sebbene avesse dovuto sperare tutto da Dio. Subito dopo Dio ripete la medesima cosa che aveva promesso poco prima e dopo essersi adirato. In realtà egli aveva detto: Aprirò la tua bocca e ti istruirò, ora invece dice: Aprirò la tua e la sua bocca e vi insegnerò ciò che dovete fare. Ma poiché aggiunse: e parlerà per te al popolo, pare che Dio gli concesse l'apertura della bocca per il fatto che Mosè aveva detto di essere piuttosto impacciato di lingua. Quanto alla gracilità della voce il Signore non volle concedere alcun rimedio a Mosè, a causa di quel difetto però aggiunse l'aiuto del fratello, affinché potesse servirsi della voce, valida per istruire il popolo. Quando perciò il Signore dice: E tu metterai le mie parole nella bocca di lui, dimostra che il Signore avrebbe dato le parole che dovevano essere dette; poiché se il Signore avesse dato ad Aronne solo parole che avrebbe dovuto sentire come il popolo, le avrebbe dette all'orecchio. Quanto a ciò che dice di seguito il Signore: E parlerà lui per te al popolo ed egli sarà la tua bocca, anche qui è sottinteso " al popolo ". E quando dice: parlerà per te al popolo, indica bene che in Mosè risiede l'autorità, mentre Aronne è solo l'esecutore di ordini. Quanto a ciò che è detto subito dopo: Tu invece sarai per lui per le relazioni con Dio, forse qui deve vedersi un gran mistero, di cui è prefigurazione Mosè come intermediario tra Mosè e Dio e Aronne come intermediario tra Mosè e il popolo.

La persona che l'angelo voleva uccidere.

2011
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Ex 4,24-26) La Scrittura poi dice: E avvenne che, lungo il viaggio, durante una sosta di ristoro, lo affrontò l'angelo e cercava di ucciderlo. Ma Seffora, presa una piccola pietra, tagliò il prepuzio di suo figlio e cadde ai suoi piedi dicendo: " Il sangue della circoncisione di mio figlio s'è fermato ". E l'angelo del Signore si allontanò poiché essa aveva detto: " Il sangue della circoncisione s'è fermato ". Riguardo a questo racconto ci si chiede anzitutto chi era la persona che l'angelo voleva uccidere, se cioè fosse Mosè, poiché è detto: Lo affrontò l'angelo e cercava di ucciderlo. Difatti a chi potremo pensare che l'angelo andò contro se non a colui che era a capo di tutta quanta la comitiva dei suoi e dal quale erano guidati tutti gli altri? Oppure cercava forse di uccidere il bambino al quale venne in aiuto la madre con il circonciderlo? In base a questa ipotesi si capirebbe che l'angelo volesse uccidere il bambino, poiché non era stato circonciso, e in tal modo volesse confermare il precetto della circoncisione con la severità del castigo. Se però la cosa sia stata così, non è chiaro di chi prima è detto: cercava di ucciderlo, poiché si scopre solo da ciò che segue il nome di chi voglia indicare. Questo è certamente un modo di parlare usato dalla Scrittura strano e inconsueto quello di dire: lo affrontò e cercava di ucciderlo, sebbene l'agiografo non abbia ancora detto prima di chi si parla. Un simile modo di dire si trova nel Salmo: Le sue fondamenta sui monti santi; il Signore ama le porte di Sion 10. In realtà il Salmo comincia con queste parole senza aver detto nulla di quello o di quella, delle cui fondamenta voleva parlare dicendo: Le sue fondamenta sono sui monti santi. Ma poiché seguita dicendo: il Signore ama le porte di Sion, perciò sono le fondamenta o del Signore o di Sion, ma in un senso più facile si tratta piuttosto di Sion, cosicché per fondamenta s'intendono quelle della città. Ora, per il fatto che nel pronome eius il genere è ambiguo, questo pronome infatti (al genitivo) è di tutti i tre generi: maschile, femminile e neutro, mentre in greco nel femminile si dice , al maschile e al neutro , ed il manoscritto greco ha , siamo costretti ad intendere quell'eius riferito non alle fondamenta di Sion, ma alle fondamenta del Signore, quelle stabilite dal Signore, del quale è detto: Il Signore edifica Gerusalemme 11. Il salmista tuttavia, dicendo: Le sue fondamenta sui monti santi, non aveva nominato prima né Sion né il Signore. Così anche qui senza essere stato nominato prima il bambino è detto: Lo affrontò e cercava di ucciderlo in modo da darci la possibilità di riconoscere nel seguito di chi aveva parlato. Tuttavia se uno volesse intendere quel pronome riferito a Mosè, non bisogna respingere tale opinione in modo reciso. Bisognerebbe cercare piuttosto di capire, se fosse possibile, quel che si dice nel seguito, che cosa significhi, cioè, che l'angelo si fosse astenuto dall'uccidere chiunque di essi per il fatto che la donna aveva detto: Si è fermato il sangue della circoncisione del bambino. Poiché non è detto: " si allontanò da lui " per il fatto di aver circonciso il bambino, ma per il fatto che si fermò il sangue della circoncisione; non perché il sangue era defluito, ma perché si era arrestato, indicando così, se non mi sbaglio, un grande mistero.

Mosè mise sua moglie e i suoi figli su mezzi di trasporto.

2012
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Ex 4,20) La Scrittura precedentemente dice che Mosè mise sua moglie e i suoi figli su mezzi di trasporto per andare con loro in Egitto, mentre (in un altro passo) dice che il suocero, Ietro, gli andò incontro con essi dopo che Mosè aveva fatto uscire il popolo dall'Egitto 12. Riguardo a queste due versioni possiamo chiederci in qual modo possono essere vere ambedue. Si deve invece pensare che dopo il proposito dell'angelo di uccidere Mosè o il bambino, Seffora fosse tornata in Egitto con i figli. Alcuni infatti hanno pensato che l'angelo impedì che la donna accompagnasse Mosè, perché non fosse di ostacolo al marito nella missione impostagli da Dio.

L'ostinazione conseguenza di un giusto castigo.

2013
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Ex 5,1-3) Si pone il quesito come mai al popolo si dice che Dio aveva dichiarato che li avrebbe fatti uscire dall'Egitto alla volta del paese di Canaan, mentre al Faraone viene detto che volevano fare un viaggio di tre giorni in direzione del deserto per immolare al loro Dio come lo stesso Dio aveva ordinato loro. Si deve invece credere che, sebbene Dio sapesse che cosa stava per fare, poiché conosceva già in precedenza che il Faraone non avrebbe lasciato partire il popolo, tuttavia fu detto in anticipo ciò che sarebbe anche accaduto prima se il Faraone avesse lasciato partire il popolo. In realtà fu l'ostinazione arrogante del Faraone e dei suoi a meritare che avvenissero tutti i fatti come sono attestati in seguito dalla Scrittura. Poiché Dio non mentisce nell'ordinare una cosa ch'egli sa che non sarà compiuta da colui al quale viene ordinata con la conseguenza di un giusto castigo.

Mosè interroga Dio e lo prega.

2014
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Ex 5,22-23) Così dice Mosè al Signore: Perché hai fatto del male a questo popolo? E perché m'hai inviato? Da quando sono andato dal Faraone per parlare in tuo nome, egli ha maltrattato questo popolo e tu non hai liberato il tuo popolo. Queste non sono parole di ribellione e d'indignazione, ma d'interrogazione e di orazione, come appare chiaramente da ciò che gli risponde il Signore, poiché non lo accusò di mancare di fede ma gli rivelò che cosa aveva intenzione di fare.

Genealogia di Mosè.

2015
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Ex 6,14-28) Non c'è dubbio che racchiuda un mistero questo passo in cui la Scrittura, volendo mostrare la genealogia di Mosè, perché ormai lo richiedeva la sua attività, comincia dal primogenito di Giacobbe, cioè da Ruben e poi da lui passa a Simeone e a Levi senza andare più lontano, poiché Mosè era discendente di Levi. Sono invece ricordati coloro che erano stati già menzionati tra quei settantacinque con i quali Israele entrò in Egitto, poiché Dio volle che la tribù sacerdotale non fosse né la prima né la seconda ma la terza, cioè quella di Levi.

Mosè si scusa per la debolezza della voce.

2016
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Ex 6,30) Mosè disse (al Signore): Ecco, io ho la voce debole, e come potrà ascoltarmi il Faraone? Sembra che Mosè si scusi per la debolezza della voce non solo di fronte a una moltitudine di persone ma anche di fronte a una sola persona. È strano che Mosè avesse una voce tanto gracile da non poter essere udito neppure da una sola persona. O per caso era il superbo disdegno del re che non permetteva loro di parlare da vicino. A Mosè però viene detto: Ecco, ti ho dato come dio al Faraone, e tuo fratello Aronne sarà il tuo profeta 13.

Cosa fu detto a Mosè quando fu inviato al popolo.

2017
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Ex 7,1) Si deve osservare che quando Mosè fu inviato al popolo, non gli fu detto: " Ecco, io ti ho dato come un dio al popolo e tuo fratello sarà il tuo profeta ", ma gli fu detto: Tuo fratello parlerà per te al popolo. Gli fu detto anche: Egli sarà la tua bocca e tu per lui, per le cose riguardanti Dio 14. Non gli fu detto: " tu sarai per lui come un dio ". Si dice invece che Mosè fu dato come un dio al Faraone e, analogamente, Aronne fu dato a Mosè come profeta, ma in relazione al Faraone. Qui ci viene fatto capire che i Profeti di Dio dicono ciò che ascoltano da lui e che un profeta di Dio non è altro che uno il quale comunica le parole di Dio alle persone che non possono o non meritano di ascoltare (direttamente) Dio.

Se l'indurimento del cuore del Faraone fu necessario.

2018
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Ex 7,3) Ripetutamente Dio dice: Io indurirò il cuore del Faraone, e sembra indicare il motivo perché lo fa. Indurirò - è detto - il cuore del Faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nell'Egitto, come se l'indurimento del cuore del Faraone fosse necessario perché si moltiplicassero o si completassero i segni di Dio nell'Egitto. Dio dunque si serve in bene dei cuori cattivi per ciò che vuol mostrare ai buoni o per ciò che ha intenzione di fare ad essi. E sebbene la propensione del cuore di chiunque scelga il male, cioè che ha il cuore rivolto al male, si produca per la colpa personale di ciascuno - colpa che trae origine dal libero arbitrio di ciascuno - tuttavia, che il cuore sia trasportato da quella sua cattiva disposizione e venga mosso al male in un senso o nell'altro, dipende da cause che agiscono sullo spirito. L'esserci o il non esserci di queste cause non è in potere dell'uomo. Esse tuttavia provengono dalla provvidenza, occulta ma assolutamente giusta, di Dio che dispone e governa tutto ciò che egli ha creato. Che dunque il Faraone avesse un tale cuore da non essere mosso dalla pazienza di Dio alla pietà, ma piuttosto all'empietà, fu conseguenza di una sua colpa personale. Il suo cuore tanto malvagio a causa della propria colpa si oppose agli ordini di Dio, proprio in questo consiste quello che è chiamato indurimento: infatti, piuttosto di arrendersi e acconsentire, s'irrigidiva e si opponeva. Il perché accaddero quei fatti, fu opera del piano divino di salvezza, che preparava, ad un simile cuore, un castigo non solo non ingiusto, ma chiaramente giusto, mediante il quale sarebbero corretti coloro che temono Dio. In effetti dall'attrattiva del lucro, per esempio, al fine di commettere un omicidio, vengono mossi in un modo un avaro, in un altro modo invece chi disprezza il denaro. Il primo viene mosso a perpetrare il delitto, il secondo invece a guardarsi bene dal compierlo; tuttavia l'offerta del lucro non era in potere di nessuno di loro. Allo stesso modo si presentano ai malvagi dei motivi di peccare che non sono in loro potere - è vero - ma forniscono loro l'occasione di mostrarsi quali sono stati resi da quei motivi a causa dei propri vizi in conseguenza della loro precedente volontà. Bisogna tuttavia vedere bene se la frase: io indurirò si può intendere come se Dio dicesse: " farò vedere io quanto egli è indurito ".

Perché l'intervento di Aronne.

2019
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Ex 7,9) Se il Faraone vi dirà: " Dateci un segno o un prodigio ", tu dirai a tuo fratello Aronne: " Prendi il bastone e gettalo davanti al Faraone e ai suoi servi ed esso diventerà un drago ". In questo caso non era necessario che Mosè, per parlare, si servisse di Aronne, poiché - a quanto sembra - gli era stato concesso quasi per necessità a causa della debolezza della sua voce, ma si doveva solo gettare il bastone perché diventasse un drago. Perché dunque non lo fece personalmente Mosè, se non perché questo intervento di Aronne, tra Mosè e il Faraone, è la figura di qualcosa d'importante?.

Aronne gettò il suo bastone.

2020
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Ex 7,10) Bisogna inoltre considerare anche quest'altro particolare: nell'atto di compiersi quel prodigio davanti al Faraone, la Scrittura dice: E Aronne gettò il suo bastone. Se avesse detto solo: " gettò il bastone ", non ci sarebbe stato alcun problema; siccome però aggiunse: " il suo ", sebbene glielo avesse dato Mosè, allora questa espressione forse non è senza ragione. Oppure si può dare il caso che quel bastone appartenesse a tutti e due, di modo che si sarebbe potuto chiamare bastone dell'uno e dell'altro con ugual verità?

Il bastone di Aronne e il bastone dei maghi.

2021
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Ex 7,12) E il bastone di Aronne divorò i loro bastoni. Se la Scrittura avesse detto: " Il drago di Aronne ingoiò i loro bastoni ", si sarebbe capito che il vero drago di Aronne avesse inghiottito non quelle apparenze irreali di bastoni prodotte dagli incantatori, ma i loro bastoni; dal momento che esso poté divorare ciò che quelli erano, non ciò che sembravano essere, ma non erano. Poiché però la Scrittura dice: Il bastone di Aronne divorò i loro bastoni, il drago, non il bastone, poté certamente divorare i bastoni. La Scrittura infatti chiama la cosa con il nome di ciò da cui era stata mutata, e non con il nome di ciò in cui era stata cambiata, poiché tornò alla sua natura anteriore e quindi si sarebbe dovuta chiamare ciò che era originariamente. Che cosa si deve dire dunque dei bastoni dei maghi? Erano diventati forse anch'essi veri draghi, ma furono chiamati bastoni per la stessa ragione per cui era chiamato anche il bastone di Aronne? O forse per un inganno sembravano essere ciò che non erano? Perché dunque in ambedue i casi la Scrittura li chiama sia bastoni che draghi, senza fare alcuna differenza quando parla riguardo il modo di questi inganni? Tuttavia anche se, da bastoni dei maghi si mutarono in veri draghi, è difficile mostrare in qual modo non furono creatori né i maghi né gli angeli cattivi, attraverso i quali i maghi operavano quei portenti. Perché nelle cose materiali sono presenti, sparse in tutti gli elementi del mondo, certe occulte ragioni seminali in virtù delle quali, date certe circostanze di tempo e certe cause favorevoli si sviluppano e danno origine a determinate specie, in virtù delle qualità e dei fini, che sono loro propri. Così gli angeli, che compiono questi prodigi, non sono chiamati creatori di animali allo stesso modo che non devono chiamarsi creatori delle messi o degli alberi o di qualunque specie di vegetali che germinano sulla terra gli agricoltori, sebbene sappiano procurare ad essi alcune evidenti occasioni opportune e cause visibili, affinché nascano. Ma ciò che fanno costoro in modo visibile lo fanno anche gli angeli in modo invisibile; al contrario l'unico creatore è il solo Dio che innestò nelle cose le loro cause e ragioni seminali. Ho parlato brevemente di un argomento che, se dovesse essere sviluppato con esempi e mediante una lunga discussione, al fine di farlo capire più facilmente, sarebbe necessario un lungo discorso. Ci scusiamo di non farlo, a causa della nostra fretta.

Fu grande l'indurimento del cuore del Faraone.

2022
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Ex 7,22) Lo stesso però fecero anche gli incantatori egiziani con i loro sortilegi; e il cuore del Faraone s'indurì e non li ascoltò, come aveva detto il Signore. Da queste parole della Scrittura sembrerebbe che il cuore del Faraone s'indurì poiché gli incantatori egiziani avevano fatto lo stesso. Il seguito (del racconto) però mostrerà quanto grande fu quell'indurimento anche quando gli incantatori fallirono.

Da dove sono uscite le rane.

2023
(
Ex 8,7) Ma gli incantatori tra gli Egiziani fecero la stessa cosa con i loro sortilegi e fecero salire le rane sul paese dell'Egitto. Si pone il quesito: Da dove (fecero salire le rane) se il prodigio era già avvenuto in tutto il paese? Ma un quesito simile è il seguente: In che modo cambiarono l'acqua in sangue, se tutta l'acqua dell'Egitto era stata già cambiata in sangue?. Si deve pensare allora che non fu colpita da tali castighi la regione, ove abitavano gli Israeliti. E così di lì gli incantatori poterono attingere l'acqua per cambiarla in sangue o far salire alcune rane solo per dimostrare il loro potere magico. Nondimeno poterono operare quei sortilegi anche dopo che quei castighi erano stati fatti cessare. Ma la Scrittura usò immediatamente di seguito la narrazione di fatti che poterono accadere anche dopo.

Le cause dell'ostinazione del Faraone.

2024
(
Ex 8,15) E il Faraone vide che si era tornati a respirare, ma il suo cuore s'indurì e non li ascoltò, come aveva detto il Signore. Qui si vede che, le cause dell'ostinazione del cuore del Faraone, non furono solo che i suoi incantatori compivano gli stessi prodigi (di Mosè), ma anche la pazienza di Dio con la quale lo perdonava. La pazienza di Dio dipende dal cuore degli uomini; per alcuni è utile in quanto li conduce a pentirsi, per altri invece è inutile in quanto li conduce a resistere a Dio e a perseverare nel male. Essa tuttavia non è inutile per se stessa, ma dipende dal cuore cattivo (dell'uomo), come abbiamo già detto. Lo dice anche l'Apostolo: (O forse agisci così) perché non sai che la pazienza di Dio ti spinge a cambiare la tua mentalità? Tu, invece, con la tua ostinazione e con il tuo rifiuto di cambiare mentalità, accumuli sul tuo capo la collera di Dio per il giorno del castigo, in cui si manifesterà la giusta sentenza di Dio che pagherà ciascuno secondo le sue azioni 15. Così anche in un altro passo, dopo aver detto: Siamo il buon profumo di Cristo ovunque, soggiunse anche: (e lo siamo) non solo per coloro che sono avviati alla salvezza, ma anche per coloro che vanno verso la perdizione 16. Non disse di essere buon profumo per coloro che sono sulla via della salvezza e invece un cattivo profumo per coloro che vanno in perdizione, ma disse soltanto di essere il buon profumo. I malvagi invece sono in verità così fatti che, anche con il buon profumo - come abbiamo spesso ripetuto - vanno in perdizione a causa della disposizione del loro cuore, la quale deve essere cambiata con la buona volontà cooperante con la grazia di Dio, affinché le possano essere di utilità i giudizi di Dio, che sono di perdizione per i cuori cattivi. Ecco perché il Salmista, avendo cambiato in meglio il suo cuore cantava: La mia anima vivrà e ti loderà; e i tuoi giudizi mi aiuteranno 17. Il Salmista non dice: " i tuoi doni " o " i tuoi premi ", bensì: i tuoi giudizi. È importante che uno con sincera confidenza possa dire: Mettimi alla prova, o Signore, e sperimentami; saggia al fuoco i miei reni e il mio cuore. E per non dare l'impressione di attribuirsi qualcosa dalle proprie forze, immediatamente aggiunge: poiché la tua misericordia è davanti ai miei occhi e mi sono compiaciuto della tua verità 18. Ricorda la misericordia usatagli al fine di poter compiacersi della verità, poiché tutte le vie del Signore sono misericordia e verità 19.

Il dito di Dio agiva per mezzo di Mosè.

2025
(
Ex 8,19) I maghi dissero al Faraone: Dito di Dio è questo, poiché non avevano potuto far uscire le zanzare: si erano certamente resi conto che i loro tentativi di far uscire le zanzare non erano stati delusi dalle loro esecrabili arti - poiché ne conoscevano il potere - come se Mosè fosse più potente di quelle arti, ma dal dito di Dio, il quale di certo agiva per mezzo di Mosè. Per dito di Dio s'intende poi, come dice assai chiaramente il Vangelo, lo Spirito Santo. Di fatto, mentre un Evangelista riferisce le parole del Signore, dicendo: Se io scaccio i demoni in virtù del dito di Dio 20, un altro Evangelista, narrando lo stesso fatto, volle spiegare che cosa intendesse con il dito di Dio e disse: Se io scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio 21. Perciò, sebbene i maghi, nel cui potere il Faraone riponeva una grande fiducia, confessassero che era in Mosè il dito di Dio in virtù del quale venivano vinti e i loro sortilegi venivano resi vani, il cuore del Faraone ora s'irrigidì in un'ostinazione assolutamente singolare. È però difficile intendere e spiegare perché i maghi fallirono in questo terzo flagello, poiché i flagelli cominciarono da quando l'acqua fu cambiata in sangue. Avrebbero infatti potuto fallire anche nel primo segno, quando il bastone fu cambiato in serpente, e nella prima " piaga " quando l'acqua fu cambiata in sangue o nella seconda relativa alle rane, se lo avesse voluto il dito di Dio, cioè lo Spirito di Dio. Chi, anche se pazzo al massimo, potrebbe dire che il dito di Dio poté impedire i tentativi dei maghi riguardo a questo segno-prodigio ma non poté impedirli in quelli precedenti? C'è dunque un motivo assolutamente certo perché fu loro permesso di operare quei sortilegi fino a questo momento. Forse qui è ricordata la Trinità e, come è vero, i più grandi filosofi pagani, per quanto si apprende dai loro scritti, fecero della filosofia senza fare allusione allo Spirito, benché non omisero di parlare del Padre e del Figlio, come ricorda anche Didimo nel libro che egli scrisse sullo Spirito Santo.

La regione in cui dimorava il popolo di Dio non fu travagliata da nessun flagello.

2026
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Ex 8,21-23) Ecco, io manderò mosconi contro di te, contro i tuoi ministri, contro il tuo popolo e contro le tue case; e le case degli Egiziani saranno riempite di mosconi perché tu sappia che sono io il Signore di tutta la terra. Io però metterò una separazione tra il mio e il tuo popolo. Ciò che la Scrittura - per non ripeterlo in ogni caso - dice chiaramente in questo passo, dobbiamo credere che avvenne non solo in relazione ai segni-prodigi posteriori, ma anche a quelli precedenti, che cioè la regione in cui dimorava il popolo di Dio non fu travagliata da nessuno di quei flagelli. Era però opportuno che questo particolare fosse indicato dalla Scrittura al punto dal quale cominciano i segni-prodigi simili ai quali i maghi non tentarono neppure compierne, poiché senza dubbio in tutto il regno del Faraone c'erano state le zanzare, ma non c'erano state nella regione di Gersen; ivi i maghi tentarono di compiere il medesimo portento ma non ci riuscirono. Fino a quando dunque i maghi non fallirono, la Scrittura non dice nulla della separazione di quella regione; ma da quando cominciarono a compiersi questi prodigi ed essi non osarono più nemmeno tentare di fare qualcosa di simile.

Verifica fra manoscritti latini e greci.

2027
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Ex 8,25) Dove i manoscritti latini hanno: Andate a sacrificare al Signore vostro Dio nel paese, quelli greci hanno: Venite a sacrificare al Signore vostro Dio. (Il Faraone) infatti non voleva che andassero dove essi dicevano, ma voleva che facessero il sacrificio lì nell'Egitto. Ciò è dimostrato dalle parole di Mosè che seguono 22, dove si dice che il sacrificio non poteva essere compiuto per le abominazioni degli Egiziani.

lI sacrificio degli ebrei abominevole per gli egiziani.

2028
(
Ex 8,26) Le parole di Mosè: Non si può fare così, perché immoleremmo al Signore nostro Dio (un sacrificio che è) un abominio per gli Egiziani vogliono dire: noi faremmo un sacrificio che gli Egiziani aborriscono e perciò non possiamo farlo nell'Egitto. Questo significato lo dimostrano chiaramente le parole che Mosè soggiunge dicendo: poiché, se offriremo sotto i loro occhi un sacrificio aborrito dagli Egiziani, saremo lapidati. Alcuni dei nostri traduttori, che non capirono queste parole, le tradussero in questo modo: Non è opportuno fare così; offriremo forse a Dio nostro Signore un sacrificio abominevole per gli Egiziani? La Scrittura invece dice che avrebbero fatto un sacrificio abominevole per gli Egiziani. Al contrario, in altri manoscritti latini si legge: Non è opportuno fare così, poiché non offriremo al Signore nostro Dio un sacrificio abominevole per gli Egiziani. L'aggiunta della particella negativa dà alla frase il senso contrario, dato che Mosè dice: Non è opportuno fare così, poiché faremmo a Dio nostro Signore un sacrificio abominevole per gli Egiziani, e per questo dicevano di volere andare nel deserto, ove gli Egiziani non potessero vedere ciò che essi abominavano. In ciò deve tuttavia vedersi un senso allegorico, come abbiamo già detto a proposito dei pastori ch'erano aborriti dagli Egiziani 23 e per questo motivo gli Israeliti ricevettero una regione separata quando andarono in Egitto. Così pure sono aborriti dagli Egiziani i sacrifici degli Israeliti allo stesso modo che è aborrita dagli iniqui la condotta dei giusti.

L'origine dei peccati è nella volontà dell'uomo.

2029
(
Ex 8,32) Dopo che le cavallette erano state portate via (dal vento), la Scrittura dice così del Faraone: Ma anche questa volta il Faraone indurì il suo cuore e non volle lasciar partire il popolo. Di certo la Scrittura non dice ora " il cuore del Faraone s'indurì ", ma: il Faraone indurì il suo cuore. Così la Scrittura dice a proposito di tutte le piaghe. Poiché l'origine dei peccati è nella volontà dell'uomo: il cuore delle persone però è mosso dalle occasioni talora in un senso, tal'altra invece in un altro, spesso da occasioni simili, a seconda delle proprie disposizioni morali, che derivano dalla volontà.

Perché l'ostinazione del faraone.

2030
(
Ex 9,7) Ma vedendo il Faraone che del bestiame dei figli d'Israele non era morto alcun capo, il cuore del Faraone s'indurì. In qual modo poté avvenire questa ostinazione del cuore del Faraone per cause da cui era da aspettarsi un effetto contrario? Se infatti fosse morto anche il bestiame degli Israeliti, allora poteva sembrare un giusto motivo che il suo cuore si ostinasse a disprezzare Dio, come se anche i suoi maghi avessero fatto morire il bestiame degli Israeliti. Ora, al contrario, ciò che avrebbe dovuto spingerlo a temere o a credere, vedendo che nessun capo di bestiame degli Ebrei era morto, fu la causa della sua ostinazione; vale a dire: la sua ostinazione arrivò perfino a questo punto.

L'ordine di spandere verso il cielo la fuliggine.

2031
(
Ex 9,8-9) Che cosa significa ciò che Dio dice ad Aronne e a Mosè: Prendete per voi a piene mani della fuliggine di fornace, e Mosè la spanda verso il cielo al cospetto del Faraone e dei suoi ministri e diventi polvere in tutto il paese d'Egitto? I segni-prodigi precedenti erano compiuti, infatti, per mezzo del bastone, che stendeva sull'acqua o con cui batteva il suolo Aronne e non Mosè; ora invece, dopo i due segni-prodigi dei mosconi e della morte del bestiame, nei quali né Aronne né Mosè avevano fatto nulla con le mani, viene detto che Mosè spanda verso il cielo fuliggine di forno, e vien dato ad entrambi l'ordine di prenderla, ma l'ordine di spanderla, non verso il suolo ma verso il cielo, viene dato solo a Mosè, come se Aronne - ch'era stato dato a Mosè per il popolo - dovesse battere il suolo oppure stendere la mano verso la terra o verso l'acqua, mentre, al contrario a Mosè - del quale era stato detto: Tu sarai per lui per le relazioni con Dio 24 - viene ordinato di spandere la fuliggine verso il cielo. Che cosa simboleggiano i due segni-prodigi precedenti, in cui né Mosè né Aronne eseguono nulla con le mani? Che significa questa differenza? Senza dubbio qualcosa d'importante.

Parole della Scrittura citate da Paolo.

2032
(
Ex 9,16) E proprio per questo sei stato mantenuto in vita, perché io mostri in te la mia forza, e il mio nome sia annunciato su tutta la terra. Queste parole della sacra Scrittura le citò anche l'Apostolo quando si trovò a trattare del medesimo passo estremamente difficile. Ivi infatti dice anche: Dio, volendo, avrebbe potuto mostrare la sua collera e manifestare la sua potenza, e invece ha tollerato con molta pazienza coloro che provocavano la sua collera - perdonando per l'appunto coloro che ab aeterno sapeva sarebbero stati cattivi, e che sono detti: maturi per la perdizione - e per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso coloro, che sono chiamati " vasi " della sua misericordia 25. Per conseguenza così risuona nei Salmi la voce di coloro che sono oggetto della misericordia: O mio Dio! La sua misericodia mi preverrà. Il mio Dio si è manifestato nei miei nemici 26. Dio sa fare dunque buon uso dei cattivi, nei quali tuttavia non crea per la cattiveria l'umana natura, ma li sopporta pazientemente fino a quando sa che è conveniente; e non senza uno scopo, ma servendosi di essi per ammonire o per provare i buoni. Ecco infatti che giova senz'altro a coloro che sono oggetto della misericordia che fosse annunziato su tutta la terra il nome di Dio. Il Faraone quindi fu conservato in vita per la loro utilità, come attesta la Scrittura e come mostra il risultato.

Anche quando è adirato, Dio mitiga il castigo.

2033
(
Ex 9,19) Perché Iddio, quando minacciò di far cadere una grandine assai violenta, ordinò al Faraone di radunare in fretta il proprio bestiame e tutto ciò che aveva nei campi, perché non perisse? In realtà questo avvertimento pare ispirato piuttosto dalla misericordia che dalla collera. Ma ciò non pone alcun problema, dal momento che, anche quando è adirato, Dio mitiga il castigo. Ciò che giustamente crea difficoltà è sapere per quale bestiame adesso egli ha riguardo, se tutti i capi del bestiame erano morti per il flagello precedente, durante il quale la Scrittura dice che Dio fece distinzione tra il bestiame degli Ebrei e quello degli Egiziani, in modo che non morì alcuna bestia degli Ebrei e al contrario morirono tutte le bestie degli Egiziani 27. O forse il problema si risolve tenendo presente che Dio aveva predetto che sarebbero morte le bestie che si trovassero nella campagna 28 e perciò si deve pensare che queste morirono tutte, ma si salvarono quelle che erano nelle stalle e che poterono anche essere radunate e trattenute nelle stalle dagli Egiziani che temevano fosse vero quanto Mosè aveva predetto che il Signore avrebbe compiuto. D'altra parte, tra queste bestie potevano trovarsi di nuovo nei campi quelle che adesso (il Signore) avverte di radunare nelle stalle perché non periscano sotto la grandine. Ciò risulta soprattutto per quanto la Scrittura dice di seguito: Le persone del seguito del Faraone che temerono la parola del Signore radunarono il proprio bestiame nelle loro stalle. Ma chi non prestò attenzione alla parola del Signore lasciò nella campagna il proprio bestiame 29. Ciò dunque poté succedere allorché Dio minacciò anche la morte, sebbene la Scrittura non lo abbia (espressamente) detto.

A Mosè è ordinato di stendere di nuovo la mano.

2034
(
Ex 9,22) E il Signore disse a Mosè: " Stendi la tua mano verso il cielo e cadrà la grandine in tutto il paese d'Egitto ". Ecco che a Mosè è ordinato di stendere di nuovo la mano non verso la terra ma verso il cielo, come prima a proposito della fuliggine.

È facile temere il castigo, ma ciò non è temere Iddio.

2035
(
Ex 9,27 Ex 30) Allorché il Faraone, atterrito dai tuoni, ch'erano molto forti durante la grandinata, chiedeva a Mosè di pregare per lui, confessando l'iniquità sua e del suo popolo, Mosè gli disse: Ma io so che tu e quelli del tuo seguito ancora non temete Dio. Che specie di timore cercava Mosè, per il quale quel timore non era ancora il timore del Signore? È infatti facile temere il castigo, ma ciò non è temere Iddio, vale a dire con il timore proveniente dallo spirito di fede ricordato da Giacobbe quando dice: Se non fosse stato con me il Dio di mio padre, il Dio di Abramo e il Terrore di Isacco, tu ora mi avresti rimandato a mani vuote 30.

In che senso Dio ha indurito il cuore del Faraone.

2036
(
Ex 10,1) Il Signore disse a Mosè: " Va' dal Faraone, poiché sono stato io a indurire il cuore di lui e dei suoi ministri, affinché piombino, l'uno dopo l'altro, su di loro questi miei segni ". Così dice la Scrittura: Sono stato io a indurire il cuore del Faraone, affinché l'uno dopo l'altro piombino su di essi questi miei segni, come se Dio avesse bisogno della cattiveria di qualcuno. La frase, al contrario, deve interpretarsi come se la Scrittura dicesse: " Io ho usato pazienza con lui e con quelli del suo seguito, in modo da non toglierli di mezzo, affinché piombino, uno dopo l'altro su di loro questi miei segni ". Poiché l'animo diventava più ostinato per la pazienza di Dio, invece di dire: " ho usato pazienza con lui ", la Scrittura dice: Ho indurito il suo cuore.

I cuori cattivi si ostinano approfittando malamente della pazienza di Dio.

2037
(
Ex 10,19-20) E in tutto il paese d'Egitto non fu lasciata una sola cavalletta. Ma il Signore indurì il cuore del Faraone. La Scrittura ricorda come un beneficio accordato certamente da Dio quello d'aver fatto sparire le locuste e poi dice che il Signore indurì il cuore del Faraone; ciò comunque egli fece per un suo favore e per la sua pazienza, con cui avveniva quella ostinazione mentre Dio perdonava il Faraone, come tutti i cuori cattivi degli uomini si ostinano approfittando malamente della pazienza di Dio.

Il flagello delle tenebre.

2038
(
Ex 10,21 Ex 12) Per la terza volta viene detto a Mosè: Stendi la tua mano verso il cielo, perché venisse anche il flagello delle tenebre. Al fratello Aronne invece non fu detto mai di stendere la mano verso il cielo. Nell'ordine dato a Mosè: Stendi la tua mano sul paese d'Egitto affinché salgano sul paese le cavallette, credo fosse indicato pure che possa fare meno chi ha maggior potere, ma che non può senz'altro fare cose maggiori colui al quale sono concessi poteri minori.

Gli Israeliti, spogliando gli Egiziani, obbedirono a Dio.

2039
(
Ex 11,2) Iddio disse a Mosè: Parla dunque in segreto alle orecchie del popolo e ogni uomo al suo vicino e ogni donna alla sua vicina chieda oggetti d'argento e d'oro e vestiti. Da questo passo nessuno deve pensare di prendere esempio per spogliare il prossimo in questa maniera; poiché a dare quell'ordine fu Dio, il quale sapeva che cosa ciascuno avrebbe dovuto sopportare. Gli Israeliti inoltre non commisero un furto, ma prestarono un servizio a Dio che lo aveva comandato. La stessa cosa avviene quando un giustiziere uccide un individuo la cui morte è stata ordinata dal giudice; certamente, però, se lo farà di sua propria volontà sarà un omicida anche se ucciderà uno che egli sa che sarebbe dovuto essere ucciso per ordine del giudice. Si presenta a questo punto un problema: se gli Ebrei abitavano in disparte nel paese di Gessen, ove non accadevano neanche le " piaghe " dalle quali era afflitto il regno del Faraone, in che modo ciascun Israelita può chiedere al suo vicino o alla sua vicina oggetti d'oro e d'argento e vestiti, soprattutto per il fatto che, appena vien dato quest'ordine per mezzo di Mosè, sta scritto così: E la donna chiederà alla sua vicina e sua compagna di tenda e compagna di cella - concellaria o concellanea, se così può dirsi - o sua coinquilina 31. Per conseguenza si deve pensare che anche nel paese di Gessen abitavano non solo gli Ebrei ma che in quella regione abitavano con loro anche alcuni Egiziani, ai quali poterono arrivare anche quei benefici divini grazie agli Ebrei di modo che li amavano anche gli stessi Egiziani che abitavano insieme a loro e facilmente concedevano ciò che quelli chiedevano, ma ciononostante Dio non giudicò che essi fossero stati estranei ai torti e ai maltrattamenti sopportati dal popolo di Dio, in modo da non essere colpiti neppure da questa perdita essi che non erano stati colpiti da quei flagelli per il fatto che Dio aveva risparmiato quella regione.

Dio fece servire a fin di bene la malvagità del cuore del Faraone .

2040
(
Ex 11,9) Il Signore poi disse a Mosè: " Il Faraone non vi ascolterà perché io moltiplichi i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto ", come se avesse avuto bisogno della disubbidienza del Faraone per moltiplicare i suoi segni e prodigi che era utile compiere per ispirare timore al popolo di Dio e, mediante il fatto stesso di separarlo (dagli Egiziani), educarlo allo spirito di fede e di amore verso Dio. Questo però non fu merito del Faraone che abusò della pazienza di Dio, ma opera di Dio che fece servire a fin di bene la malvagità del cuore del Faraone.

Nulla dell'agnello doveva rimanere.

2041
(
Ex 12,10 Ex 46) Quel che ne resterà lo brucerete interamente nel fuoco il mattino seguente. Possiamo chiederci come poteva rimanere qualcosa dal momento che il popolo era stato avvertito che, se una casa non avesse avuto tante persone sufficienti per consumare l'agnello, si dovevano prendere i vicini di casa 32. Ma poiché è detto: Non gli spezzerete alcun osso, si capisce che certamente ne sarebbero rimaste le ossa, che dovevano essere bruciate interamente nel fuoco.

Come doveva essere l'agnello.

2042
(
Ex 12,5) Sarà per voi un agnello senza difetto, maschio, di un anno. Questo modo di esprimersi può sorprendere chi non sa per qual bisogno la frase è stata tradotta così, come se l'agnello potesse essere non maschio. (Invece di agnus) si sarebbe dovuto tradurre con ovis (= pecora) poiché il greco ha , ma nella lingua greca è di genere neutro con il quale si sarebbero potuti concordare gli altri termini che seguono, come se l'agiografo avesse detto: sarà per voi pecus perfectum (un animale minuto, senza macchia), (maschio), anniculum (di un anno). In latino si poteva dire masculum pecus (un capo di bestiame maschio) come si dice Mascula tura (grani d'incenso della migliore qualità) di genere neutro; invece non potrebbe aversi ovis masculus (una pecora maschio) poiché ovis (la pecora) è di genere femminile. Analogamente sarebbe più illogico se si dicesse ovis mascula (una pecora maschia). Se, al contrario, si fosse tradotto il termine greco con pecus (capo di bestiame) si sarebbe inteso anche un altro animale e non si sarebbe conservato il mistero, poiché la Scrittura, parlando della pecora, subito dopo dice: lo prenderete tra le pecore e i capri. In questo passo si pensa con ragione che è prefigurato Cristo. Che bisogno c'era, infatti, che fosse dato quel precetto di prendere una pecora o un agnello tra gli agnelli e tra i capretti, se non fosse prefigurato Colui, la carne del quale era discendente non solo dei giusti ma anche dei peccatori? Senonché i Giudei credono doversi interpretare che si potesse prendere anche un capretto per celebrare la Pasqua. A loro parere la Scrittura dice che si poteva prendere tra gli agnelli e i capretti, come se dicesse che bisognasse prendere un agnello tra gli agnelli o un capretto tra i capretti qualora non si trovasse un agnello. È tuttavia evidente che cosa era prefigurato da quel precetto dopo che quei fatti si furono realizzati nel Cristo.

In qual senso la Scrittura suole chiamare eterna una cosa.

2043
(
Ex 12,14) La seguente frase: E celebrerete questo giorno per tutte le generazioni - prescrizione di un rito sacro - come giorno eterno (o eternale), che in greco si dice , non si deve intendere come se, tra i giorni di quaggiù ce ne potesse essere alcuno eterno, ma è eterno ciò che è significato da questo giorno. Allo stesso modo quando diciamo che è eterno Dio, noi non diciamo che sono eterne le due sillabe di Deus, ma ciò che significano. Senonché bisogna esaminare attentamente in qual senso la Scrittura suole chiamare eterna una cosa, se per caso abbia detto così solennemente eterno il giorno che gli Israeliti avrebbero dovuto ritenere illecito abbandonare o cambiare a proprio talento. Poiché una cosa è ciò che si comanda di fare in una determinata circostanza - come fu comandato che l'arca girasse attorno alle mura di Gerico 33 - un'altra cosa è comandare di osservare una pratica senza che sia prefissato il limite di tempo fino al quale si deve osservare quell'obbligo solennemente ogni giorno o mese oppure ogni anno, o a determinati intervalli di molti o solo di alcuni anni. Perciò o è stato chiamato " eterno " ciò che non avrebbero dovuto osare di omettere di celebrare di propria volontà, oppure, come ho detto, non si deve pensare come eterni i segni delle cose ma le realtà eterne prefigurate da essi.

Perché non ci fu alcuna casa senza un primogenito.

2044
(
Ex 12,30) E si alzò un urlo assai forte nel paese d'Egitto, poiché non c'era casa in cui non vi fosse un morto. Non poteva esserci forse una casa che non avesse un primogenito? Dato dunque che morivano solo i primogeniti, come mai non ce n'era alcuna che non avesse un morto? Era stato forse predisposto dalla prescienza di Dio anche questo, cioè che in tutte le case degli Egiziani, nessuna eccettuata, si trovassero dei primogeniti? Naturalmente non si deve credere che da questo flagello furono immuni gli Egiziani che abitavano nella regione di Gessen poiché era un flagello che colpiva le persone e gli animali, non la terra. Mi spiego: colpiti arcanamente dall'angelo morivano i primogeniti delle persone e degli animali: non si trattava di qualche sventura che si formava sulla terra o nel cielo, come le rane o le cavallette o le tenebre, da cui venissero tormentati gli abitanti. Infatti, poiché il paese di Gessen era stato risparmiato da siffatti flagelli, senza dubbio ne derivava un beneficio agli Egiziani che dimoravano nella medesima regione insieme agli Ebrei; da questo flagello, al contrario, furono colpiti tutti i loro primogeniti.

Si racconta di nuovo quanto accadde.

2045
(
Ex 12,35-36) I figli d'Israele fecero poi come aveva ordinato loro Mosè e chiesero agli Egiziani oggetti d'oro, oggetti d'argento e vestiti. E il Signore concesse grazia al suo popolo davanti agli Egiziani che glieli diedero; e così spogliarono gli Egiziani. Ciò era già accaduto prima della morte dei primogeniti egiziani, ma ora è ripetuto con la ricapitolazione, poiché fu raccontato quanto accadde. Ora, come avrebbero potuto gli Egiziani dare ai figli d'Israele quegli oggetti in quel lutto tanto sconsolato? Salvo che uno dicesse anche che da quel flagello non furono colpiti gli Egiziani che abitavano nel paese di Gessen insieme con gli Ebrei.

Di quale sangue furono spalmate la porta e gli stipiti.

2046
(
Ex 12,22) Che significa ciò che dice (la Scrittura): Prendete poi un mazzo d'issopo e, intingendolo nel sangue che è presso la porta, spalmatelo sopra la soglia e sopra l'uno e l'altro stipite? Infatti possiamo chiederci di quale sangue presso la porta si parla, dato che si pensa voglia senza dubbio trattarsi del sangue dell'agnello con l'immolazione del quale si celebra la Pasqua. È forse quest'ordine - anche se la Scrittura non ne parla - una conseguenza logica della prescrizione che l'agnello fosse ucciso presso la porta; oppure - cosa più probabile - è detto: con il sangue che è presso la porta, in quanto chi lo avrebbe spalmato sulla soglia e sugli stipiti ponesse presso la porta il recipiente in cui aveva raccolto il sangue per averlo vicino quando vi avrebbe intinto l'issopo?

Quanti furono gli Ebrei usciti dall'Egitto.

47
(
Ex 12,37 Ex 40) I figli d'Israele si misero in marcia da Ramses verso Sukkôt, all'incirca seicentomila adulti a piedi senza contare l'equipaggiamento o i beni, se in questo modo può tradursi ciò che il greco chiama . Con questa parola la Scrittura denota non solo le cose trasportabili, ma anche gli esseri che le trasportano, come leggiamo nel passo in cui Giuda dice a suo padre: Lascia che il ragazzo venga con me, noi ci alzeremo e partiremo, affinché sopravviviamo e non periamo noi e tu e le nostre sostanze 34. In quel passo infatti il testo greco ha , che il traduttore latino ha reso con substantia (ciò che si possiede) e altri anche latini traducono talora con censum (beni), come sopra noi abbiamo voluto tradurre instructum (equipaggiamento) ( 62) purché, con questa parola, s'intendano anche gli uomini, le bestie da tiro o tutte le specie di bestiame minuto; non so però se con quel termine si potrebbero intendere anche le mogli. Tuttavia poiché la Scrittura ricorda seicentomila uomini a piedi e aggiunge: senza contare l'equipaggiamento e i beni o le sostanze o un'altra parola con cui si traduce meglio , è evidente che mediante questa parola sono indicati anche gli uomini schiavi, le donne e le persone che non fossero in grado di fare il soldato, e, per conseguenza, dobbiamo credere che i seicentomila uomini a piedi fossero solo coloro che erano in grado di portare le armi in un esercito.

47. 2. Si suole porre il quesito se gli Ebrei potessero arrivare ad un numero tanto grande di persone durante gli anni che rimasero in Egitto e che si possono computare secondo la sacra Scrittura. Anzitutto non è un piccolo problema sapere quanti furono quegli anni (della permanenza degli Ebrei in Egitto). Poiché dopo che era stato fatto il sacrificio di una vitella di tre anni, d'una capra, di un montone, di una tortora e di un piccione 35, prima che fosse ancora nato non solo Isacco ma neppure Ismaele, Dio dice ad Abramo: Devi sapere con sicurezza che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro, saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni 36. Se dunque prendessimo i quattrocento anni nel senso del tempo della schiavitù degli Ebrei sotto gli Egiziani, non fu un breve spazio di tempo in cui il popolo avrebbe potuto moltiplicarsi. La Scrittura però attesta in modo assai evidente che quegli anni non furono tanti.

47. 3. Alcuni infatti pensano che bisogna contare quattrocentotrenta anni da quando Giacobbe entrò in Egitto fino a quando il popolo fu liberato poiché nell'Esodo è scritto: Il soggiorno dei figli di Israele, che fecero essi e i loro padri nel paese d'Egitto e nel paese di Canaan, fu di quattrocentotrenta anni 37. Quegli autori sostengono che gli anni della loro schiavitù furono quattrocento poiché nella Genesi sta scritto: Devi sapere bene che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro, saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni. Ma poiché gli anni della schiavitù si contano a partire dalla morte di Giuseppe - giacché durante la sua vita non solo non furono schiavi in quel paese ma godettero d'una grande autorità - non si vede in che modo si possano calcolare quattrocentotrenta anni (di permanenza) in Egitto. Giacobbe infatti entrò in Egitto quando suo figlio aveva già trentanove anni, poiché Giuseppe quando si presentò al cospetto del Faraone e cominciò a governare sotto di lui 38 aveva trent'anni; passati poi i sette anni dell'abbondanza Giacobbe con gli altri suoi figli venne in Egitto nel secondo anno della carestia 39. Giuseppe quindi aveva allora trentanove anni e morì all'età di centodieci anni 40. Dopo l'arrivo di suo padre in Egitto egli visse dunque settantun anni. Se sottraiamo questi settantun anni ai quattrocentotrenta, rimarranno gli anni della schiavitù, cioè non quattrocento anni ma trecentocinquantanove anni dopo la morte di Giuseppe. Se invece penseremo di dover contare gli anni da quando Giuseppe cominciò a governare l'Egitto sotto il Faraone, in modo da riconoscere che in un certo modo Israele entrò in Egitto quando suo figlio fu elevato a una dignità tanto grande 41, anche in questo caso saranno trecentocinquanta gli anni; questi anni secondo Ticonio si possono intendere come quattrocento, prendendo la parte per il tutto, cioè la parte - cinquanta anni - per il tutto - cento anni - e prova che la Scrittura è solita servirsi di questa figura retorica. Se però ammettiamo che Israele entrò in Egitto quando Giuseppe, dopo essere stato venduto, cominciò a vivere lì - cosa che si può affermare con maggiore probabilità - dovremo sottrarre ancora tredici anni e così avremo trecentotrentasette anni invece di quattrocento. Ma siccome la Scrittura, ricordando che Keat, figlio di Levi, nonno di Mosè, entrò in Egitto con il suo avo Giacobbe 42, dice d'altra parte che egli visse centotrenta anni 43, e che suo figlio Ambram, padre di Giuseppe, visse centotrentasette anni, e che Mosè invece aveva ottanta anni quando liberò il popolo dall'Egitto 44 - anche se Keat avesse generato il padre di Mosè nell'anno in cui morì e lo stesso Ambram avesse generato Mosè nell'ultimo anno della propria vita - sommati insieme 130 - 137 - 80 anni fanno 347 anni e non 430. Se poi uno dicesse che Keat, figlio di Levi, nacque l'ultimo anno della vita di Giuseppe, a quella somma possono aggiungersi ben settanta anni, poiché Giuseppe visse in Egitto settantuno anni dopo che era entrato suo padre. Per conseguenza anche così i settanta anni della vita di Giuseppe a partire dall'entrata di Giacobbe in Egitto fino alla nascita di Keat, se si affermasse che nacque allora, e i 130 anni dello stesso Keat e i 137 di suo figlio Ambram, padre di Mosè, e gli 80 dello stesso Mosè fanno 417 anni, non 430.

47. 4. Per queste ragioni il computo, seguito da Eusebio nella sua Storia cronologica si basa senza dubbio su una verità evidente. In effetti egli conta quattrocentotrenta anni a partire dalla promessa fattagli da Dio quando chiamò Abramo perché uscisse dalla sua terra e andasse nel paese di Canaan, poiché anche l'Apostolo, nel lodare ed esaltare la fede di Abramo a proposito di quella promessa con la quale egli crede che fu profetizzato Cristo, cioè con la quale Dio promise ad Abramo che per mezzo di lui sarebbero state benedette tutte le stirpi della terra 45, Ecco, dice, che cosa voglio dire: la legge, emanata quattrocentotrent'anni dopo, non può infirmare un testamento convalidato da Dio, così da rendere vana la promessa 46. L'Apostolo dunque dice che la legge fu data dopo quattrocentotrenta anni a partire dalla promessa fatta ad Abramo quando fu chiamato e per la quale ebbe fede in Dio, e non dal tempo in cui Giacobbe entrò in Egitto. Inoltre anche la Scrittura dell'Esodo indica assai chiaramente questa circostanza, poiché non dice: Il soggiorno dei figli d'Israele in un paese straniero, cioè nel paese d'Egitto fu di quattrocentotrenta anni, ma dice chiaramente: il tempo che vissero da stranieri nel paese d'Egitto e nel paese di Canaan essi e i loro padri. È quindi evidente che si deve calcolare anche il tempo dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, da quando Abramo cominciò a stabilirsi come straniero nel paese di Canaan, a partire cioè dalla promessa (fatta ad Abramo) per la quale l'Apostolo loda la sua fede, fino al tempo in cui Israele entrò in Egitto. Poiché per tutto quel tempo i Patriarchi abitarono come forestieri nel paese di Canaan e in seguito i discendenti d'Israele in Egitto. In tal modo fu completata la somma di quattrocentotrenta anni dalla promessa (fatta ad Abramo) fino all'uscita di Israele dall'Egitto, quando fu emanata la legge sul monte Sinai, la quale non infirma il testamento così da rendere vana la promessa 47.

47. 5. Abramo dunque, come dice la Scrittura, partì (dalla sua terra) alla volta del paese di Canaan all'età di settantacinque anni 48 e generò Isacco all'età di cent'anni 49. A partire dalla promessa fino alla nascita di Isacco sono perciò venticinque anni. A questi si aggiungono tutti gli anni della vita di Isacco, cioè centottanta anni 50 e sono duecentocinque. Giacobbe allora aveva centoventi anni; poiché quando suo padre aveva sessant'anni gli nacquero i due gemelli, cioè lui ed Esaù 51. Giacobbe entrò in Egitto dieci anni dopo, quando aveva centotrenta anni 52, Giuseppe ne aveva invece trentanove. A partire perciò dalla promessa fino all'ingresso di Giacobbe in Egitto sono duecentoquindici anni Giuseppe, d'altra parte, dopo il trentanovesimo anno di età in cui il padre lo ritrovò in Egitto, visse settantun'anni, poiché egli visse, in totale, centodieci anni 53. Per conseguenza, con l'aggiunta di settantun'anni ai (suddetti) duecentoquindici sono duecentottantasei anni. Restano centoquarantaquattro o centoquarantacinque anni, nei quali si crede che il popolo d'Israele fu schiavo in Egitto dopo la morte di Giuseppe. Possiamo chiederci quanto poterono moltiplicarsi gli Israeliti durante quegli anni; se consideriamo la fecondità umana favorita da Dio che volle si moltiplicassero assai, costatiamo che non c'è da stupirsi per il fatto che il popolo uscì dall'Egitto in seicentomila uomini a piedi senza contare tutto il restante equipaggiamento in cui erano compresi anche gli schiavi, le donne e quanti non avevano l'età adatta per combattere.

47. 6. Per conseguenza ciò che disse Dio ad Abramo: Devi sapere bene che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro; saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni 54, non deve essere inteso come se il popolo di Dio fosse rimasto in quella durissima schiavitù per quattrocento anni, ma poiché sta scritto: Attraverso Isacco da te prenderà nome una discendenza 55, a partire dall'anno della nascita di Isacco fino all'anno dell'uscita dall'Egitto sono calcolati quattrocentocinque anni. Se ai quattrocentotrenta anni se ne tolgono venticinque, che sono quelli che corrono dalla promessa (fatta da Dio ad Abramo) alla nascita di Isacco, non v'è nulla di strano se la Scrittura - la quale suole contare i periodi di tempo in modo da non calcolare le spezzature che sono un po' al di sopra o al disotto della somma del numero intero - volle indicare i quattrocentocinque anni con la somma tonda di quattrocento. Per conseguenza l'espressione: Li ridurranno in schiavitù e li maltratteranno non deve riferirsi ai quattrocento anni, come se gli Egiziani li avessero tenuti in schiavitù per tanti anni, ma quegli anni devono essere riferiti all'altra frase: I tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra non propria, poiché quei discendenti erano come stranieri sia nel paese di Canaan che in Egitto, prima di prendere come eredità la terra promessa da Dio. Ciò avvenne dopo che gli Israeliti furono liberati dalla cattività egiziana; qui perciò si deve riconoscere un iperbato e l'ordine delle parole dev'essere: Devi sapere che i tuoi discendenti saranno stranieri per quattrocento anni in una terra non loro, mentre si deve prendere come interposto quello che segue: E li ridurranno in schiavitù e li maltratteranno, sicché questa frase interposta non ha relazione con i quattrocento anni; fu infatti solo nell'ultima parte di questa somma di anni, vale a dire dopo la morte di Giuseppe, che il popolo di Dio sopportò una dura schiavitù.

A proposito della Pasqua.

2048
(
Ex 13,9) Che significa ciò che è detto a proposito delle pre-scrizioni (rituali) della Pasqua: Ciò sarà per te un segno della tua mano? Significa forse " al di sopra delle tue opere " cioè quel che devi anteporre alle tue opere? A causa dell'uccisione dell'agnello la Pasqua appartiene alla fede in Cristo e al suo sangue con il quale siamo stati redenti. Ora questa fede si deve anteporre alle opere sì da essere in un certo modo sulla mano contro coloro che si vantano delle opere della legge. Di questo argomento parla e tratta più di una volta l'Apostolo, il quale sostiene che la fede è anteposta alle opere buone in modo che siano queste a dipendere e a essere prevenute da essa, non che sembri sia questa ad essere retribuita per le opere buone 56. La fede infatti ha relazione con la grazia: Se è per grazia, non è a causa delle opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia 57.

Nostra collaborazione all'aiuto di Dio.

2049
(
Ex 13,18) Quando il Faraone lasciò partire il popolo, Dio non li guidò per la strada che conduce alla terra dei Filistei, poiché era più breve, Dio infatti disse: Per paura che il popolo non si penta vedendo la guerra e torni in Egitto. Qui appare chiaro che si deve fare tutto ciò che dopo attenta considerazione e con buone ragioni si può compiere per evitare le avversità anche quando è del tutto evidente che Dio presta il suo aiuto.

Che cosa intendere per generazione di uomini.

2050
(
Ex 13,18) Allora, alla quinta generazione, i figli di Israele salirono dal paese d'Egitto. Vuole forse l'agiografo che una generazione sia calcolata della durata di un secolo e perciò dice: alla quinta generazione, perché erano passati quattrocentotrenta anni? O per generazioni di uomini si deve intendere piuttosto quelle trascorse a partire da Giacobbe, che entrò in Egitto, fino a Mosè che ne uscì con il popolo? Poiché troviamo scritto che il primo fu Giacobbe, il secondo fu Levi, il terzo fu Keat, il quarto fu Abramo, il quinto fu Mosè. Il traduttore latino chiama progenie queste stirpi, che i greci chiamano (generazioni) e nel Vangelo sono chiamate generazioni 58 e sono contate secondo le discendenze dei capostipiti, non secondo il numero degli anni.

Cosa vuol dire: Non li vedrete come oggi.

2051
(
Ex 14,13) Mosè però disse: Coraggio! Resistete e vedrete la salvezza che viene dal Signore, che egli compirà oggi per voi. Poiché come avete visto gli Egiziani oggi, mai più li vedrete così, per tutto il resto del tempo. In qual senso sono da intendere queste parole dato che gli Israeliti videro gli Egiziani in seguito? Forse perché quelli che li vedevano allora non li videro più in seguito, poiché morirono non solo gli Egiziani della generazione seguente ma tutti gli Israeliti, ciascuno nel giorno della loro morte? Infatti i discendenti degli Israeliti videro i discendenti degli Egiziani. O forse l'espressione: non li vedrete come oggi deve intendersi nel senso che non li vedrete inseguirvi come nemici e incalzarvi con un esercito così numeroso come oggi, di modo che non c'è assolutamente alcun problema e nemmeno riguardo al tempo eterno di cui parla il testo, anche se gli uni e gli altri si vedranno il giorno della risurrezione, non si vedranno certamente come oggi?.

Il grido del cuore verso il Signore.

2052
(
Ex 14,15) Che significa ciò che il Signore disse a Mosè: Perché gridi verso di me? dal momento che la Scrittura non riferisce alcuna parola di Mosè e non ricorda che egli stesse pregando, se non perché volle farci capire che egli fece ciò non facendo sentire la sua voce, ma gridando con il cuore.

Il bastone dei prodigi.

2053
(
Ex 14,16) E tu alza il tuo bastone e stendi la tua mano sopra il mare. Questo è il bastone con cui si compiono i prodigi, e che adesso si dice che è di Mosè; prima invece si diceva che era di suo fratello quando questi agiva per mezzo di esso.

Il nome di terra esteso al mondo inferiore.

2054
(
Ex 15,12) Hai steso la tua destra e la terra li ha inghiottiti. Non c'è da meravigliarsi che la Scrittura dica " la terra " invece di dire "l'acqua ". Poiché tutta questa parte estrema o infima del mondo è chiamata col nome di " terra ", secondo quanto dice spesso la Scrittura: Dio che fece il cielo e la terra 59. Anche nella enumerazione che fa il Salmo; dopo aver menzionato gli esseri del cielo: Lodate - dice - il Signore, creature della terra, e continua ad esortare di dar lode al Signore anche gli esseri che vivono nelle acque 60.

Si fa menzione dello Spirito di Dio.

2055
(
Ex 15,10 Ex 8) Hai mandato il tuo Spirito e il mare li ha ricoper-ti

. Ecco, è già la quinta volta che viene menzionato lo Spirito di Dio, includendo in questo numero anche la frase della Scrittura: Dito di Dio è ciò 61. La prima volta è menzionato dove sta scritto: Lo Spirito di Dio si librava al di sopra delle acque 62; la seconda ove è detto: Il mio Spirito non rimarrà in questi uomini, poiché sono carne 63; la terza volta nel passo in cui il Faraone dice a Giuseppe: Poiché in te è lo Spirito di Dio 64; la quarta volta nel passo in cui gli incantatori degli Egiziani dicono: Dito di Dio è questo; la quinta volta in questo cantico: Hai inviato il tuo Spirito e li ha ricoperti il mare 65. Dobbiamo ricordarci però che lo Spirito di Dio è menzionato non solo in relazione ai benefici ma anche ai castighi. Che cos'altro infatti significa ciò che dice la Scrittura anche poco prima: Per lo Spirito della tua ira l'acqua si è divisa? Pertanto questo Spirito di Dio contro gli Egiziani fu lo Spirito della sua ira, poiché a loro nocque la divisione delle acque per modo che, entrando nelle acque, poterono essere sepolti dalle stesse acque quando queste tornarono al loro posto. Al contrario, per i figli d'Israele, ai quali giovò il fatto che l'acqua si divise, quello Spirito non fu lo Spirito dell'ira di Dio. Da questi fatti ci viene indicato che, a causa delle diverse azioni ed effetti lo Spirito di Dio viene chiamato in modi diversi, pur essendo solo l'unico e il medesimo Spirito che è creduto anche come lo Spirito Santo nell'unità della Trinità. Non credo perciò che si debba intenderne un altro, ma il medesimo Spirito di cui parla l'Apostolo nel passo ove dice: Infatti non avete ricevuto uno spirito che vi rende schiavi per vivere di nuovo nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito (di Dio) che vi fa diventare figli adottivi di Dio, per il quale possiamo gridare: Abba! Padre! 66, poiché per mezzo del medesimo Spirito di Dio, cioè del dito di Dio con il quale fu scritta la legge nelle tavole di pietra 67 fu infusa la paura in coloro i quali ancora non comprendevano la grazia, affinché per mezzo della legge venissero convinti della loro debolezza e dei loro peccati e la legge fosse per essi il pedagogo dal quale fossero condotti alla grazia, che è nella fede in Gesù Cristo 68. Di questo Spirito di adozione e di grazia, cioè di questa azione dello Spirito di Dio, per mezzo della quale si accorda la grazia e la rigenerazione per la vita eterna, è detto: Lo Spirito invece dà la vita, mentre prima è detto: La lettera dà la morte 69, cioè la legge scritta che contiene solo precetti senza l'aiuto della grazia.

La località chiamata Amarezza.

2056
(
Ex 15,23-24) Giunsero poi a Mara, ma non poterono bere l'acqua di Mara, perché era amara. Sì, quella località fu chiamata con il nome di " amarezza ", poiché lì non poterono bere l'acqua per il fatto che era amara - Mara infatti significa " amarezza " - in che modo giunsero a Mara se non perché la Scrittura chiamò la località nella quale giunsero con quel nome con cui già si chiamava al tempo in cui venivano riferiti, per iscritto, questi fatti? Poiché furono scritti certamente dopo che erano accaduti.

Sulla natura del legno gettato in acqua.

2057
(
Ex 15,25) E (il Signore) gli indicò un pezzo di legno ed egli lo gettò nell'acqua, e l'acqua divenne dolce. Era forse una specie di legno che possedeva una tale virtù, oppure poteva compiere quel prodigio con qualsiasi altra specie di legno Dio il quale operava tanti prodigi? Sembra tuttavia che l'espressione gli indicò voglia dire che esisteva già un legno di quella specie con cui si poteva fare quel miracolo; salvo che quella fosse una località dove non si trovava affatto alcun pezzo di legno, di modo che il fatto stesso che il Signore gli indicò il pezzo di legno lì, dove non ce n'era alcuno, e con quello rese dolci le acque si doveva all'aiuto divino, fatto che prefigurava la gloria e la grazia della croce 70. Chi anche riguardo a questa natura del legno dev'essere lodato se non Dio che l'ha creato e lo indicò?

La tentazione come prova.

2058
(
Ex 16,4) Il Signore allora disse a Mosè: " Ecco, io farò piovere su di voi dei pani dal cielo. Il popolo uscirà e raccoglierà ciò che è di un giorno per un giorno, per tentarli (e vedere) se cammineranno o no secondo la mia legge ". Questa tentazione è una prova, non una seduzione per peccare; inoltre non è una prova con cui Dio cerchi di sapere qualcosa, ma con cui mostrare agli uomini i limiti del loro essere, perché diventino più umili e chiedano l'aiuto di Dio e riconoscano la sua grazia.

La missione di Mosè e Aronne.

2059
(
Ex 16,8) Mosè e Aronne dicono, tra l'altro, al popolo: Poiché il Signore ha ascoltato le vostre mormorazioni contro di noi. Ma noi che cosa siamo? La vostra protesta infatti è contro Dio, non contro di noi. Per questa loro missione, pur così alta, Mosè e Aronne non ebbero la pretesa di ritenersi uguali a Dio; dissero infatti: Che cosa siamo noi? perché il popolo sapesse di aver protestato contro Colui che aveva inviato loro e agiva per mezzo di loro. Neppure Pietro pensa a quel modo quando dice ad Anania: Hai osato mentire allo Spirito Santo? Tu non sei stato bugiardo con gli uomini, ma con Dio 71. Infatti non disse: " Perché hai osato mentire a me? Non hai mentito a me ma a Dio "; se avesse detto così, sarebbe stata la stessa cosa. E neppure disse: " Tu hai osato mentire allo Spirito Santo? Non hai mentito allo Spirito Santo, ma a Dio "; poiché, dicendo così, avrebbe affermato che lo Spirito Santo non è Dio. Ora, al contrario, avendogli detto: Perché hai mentito allo Spirito Santo? quando Anania pensava di aver mentito agli uomini, Pietro gli dimostrò che anche lo Spirito Santo è Dio, soggiungendo: Non hai mentito agli uomini ma a Dio.

Pane come sinonimo di alimento.

2060
(
Ex 16,12) Per mezzo di Mosè Dio comanda al popolo: Verso sera mangerete e al mattino vi sazierete di pani. Ecco, qui si parla di pane non come sinonimo d'ogni specie di alimento, poiché con questo nome si comprenderebbero anche le carni, giacché anch'esse sono alimenti. Qui tuttavia non sono detti pani quelli che si fanno con il grano - questi siamo soliti chiamarli pani in senso proprio - ma con il nome di pani viene chiamata la manna. Ma non è senza un motivo che Dio dice che verso sera avrebbe dato carne e al mattino avrebbe dato pane. Infatti una cosa simile è indicata anche nel caso di Elia, quando un corvo gli portava il nutrimento 72. O forse con la carne verso sera e con il pane al mattino è indicato simbolicamente Colui che fu consegnato a morte a causa dei nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione 73. Morto la sera a causa della debolezza umana, egli fu sepolto la sera 74, ma al mattino apparve ai discepoli 75, lui che era risorto con il (suo proprio) potere.

La pietà religiosa offre sempre a Dio, qualunque sia il luogo dove offre.

2061
(
Ex 16,33-34) E Mosè disse ad Aronne: " Prendi un vaso d'oro e mettici dentro un gomor pieno di manna e lo porrai al cospetto di Dio, perché sia conservata per i vostri discendenti ", come aveva comandato il Signore. Può porsi il quesito dove Aronne lo ponesse al cospetto di Dio, dal momento che non c'era alcuna immagine né era stata ancora costruita l'Arca. O forse è detto lo porrai al futuro, perché s'intendesse che si sarebbe potuto porlo al cospetto di Dio quando ci sarebbe stata l'Arca? O piuttosto è detto: al cospetto di Dio ciò che viene compiuto dalla pietà religiosa di chi offre, qualunque sia il luogo in cui sia posto. In qual luogo infatti non c'è Dio? Ma ciò che l'agiografo aggiunge: e Aronne pose avanti alla Testimonianza per conservarlo conferma piuttosto il primo senso. La Scrittura infatti ha espresso in tal modo, mediante la prolessi, ciò che fu fatto dopo, quando cominciò ad esserci la tenda della Testimonianza.

Se gli Israeliti nel deserto non mangiarono altro che manna.

2062
(
Ex 16,35) I figli di Israele mangiarono la manna per quarant'anni, fino a quando giunsero alla terra abitata; mangiarono la manna fino a quando giunsero nella regione della Fenicia. La Scrittura si è espressa mediante una prolessi, vale a dire ricordando in questo passo ciò che avvenne anche dopo, cioè che gli Israeliti nel deserto non mangiarono altro che la manna. Poiché questo è ciò che significa l'espressione: fino alla terra abitata, cioè la terra che non è più il deserto, non perché appena giunsero alla terra abitabile cessarono di mangiare la manna, ma perché non cessarono di cibarsene prima. Viene infatti indicato che la manna cessò, dopo che gli Israeliti ebbero passato il Giordano, ove mangiarono pani di quella terra. Quando perciò giunsero nella terra abitata, prima di attraversare il Giordano, poterono cibarsi o soltanto della manna o di pane e manna: poiché in questo senso può intendersi il testo della Scrittura, dal momento che è detto che la manna cessò solo dopo che fu attraversato il Giordano 76. Sorge però un problema difficile: perché gli Israeliti abbiano desiderato anche la carne nella scarsità del deserto, dato ch'erano usciti dall'Egitto con moltissime bestie. Salvo che non si dica che, non essendoci nel deserto abbondanti pascoli e, per conseguenza, prevedendosi una minore fecondità di bestiame, essi abbiano risparmiato le loro bestie, per evitare che, venendo a mancare tutti gli animali, non rimanessero loro neppure quelli necessari per i sacrifici, oppure che si adduca un qualsiasi altro argomento con cui si possa risolvere questo problema. Sembra, tuttavia, più conveniente, pensare che gli Israeliti non avevano desiderio di carni che potevano avere prendendole dagli animali minuti ma di quelle che loro mancavano, cioè quelle degli animali acquatici, poiché erano proprio quelle che non trovavano nel deserto. Furono perciò date loro ortugometre, cioè uccelli che molti in latino hanno tradotto quaglie77, benché l'ortugometra sia una specie di uccelli diversa ma abbastanza simile alle quaglie. Dio infatti sapeva che cosa desideravano e con quale specie di carne saziare il loro desiderio. Ma poiché la Scrittura aveva detto che gli Israeliti desideravano la carne senza specificarne la specie, per questo è sorto il problema.

Col nome di Fenicia viene chiamata la terra promessa.

2063
(
Ex 16,35) Mangiarono la manna fino a quando giunsero nella regione della Fenicia. La Scrittura aveva già detto: Fin quando giunsero nella terra abitata, ma poiché non aveva precisato espressamente di quale terra parlasse, sembra che mediante la ripetizione abbia voluto specificare una terra particolare dicendo: nella terra della Fenicia. Bisogna però pensare che quella terra era chiamata così allora, poiché ora non si chiama con questo nome. Poiché quella che si chiama Fenicia - la regione di Tiro e Sidone - attraverso la quale non si legge che passassero gli Israeliti, è una terra diversa. Tuttavia forse la Scrittura ha potuto chiamare col nome di Fenicia quella terra dove già si cominciava a trovarsi la pianta della palma, dopo la desolazione del deserto, perché in greco la palma è chiamata così. All'inizio del loro viaggio, dopo essere partiti dall'Egitto, trovarono una località ove c'erano settanta palme e dodici sorgenti 78, ma poi entrarono in un vastissimo deserto, ove non c'era nulla di simile, fino a quando arrivarono a località coltivate. Ma l'interpretazione più probabile è credere che quella regione era chiamata così allora, poiché col passare del tempo i nomi di molte regioni e luoghi, come anche di fiumi e di città sono stati cambiati per determinati motivi.

Mosè divise il mare col bastone di Aronne.

2064
(
Ex 17,5) E il Signore disse a Mosè: " Va' davanti al popolo e prendi con te alcuni degli anziani del popolo; prendi in mano anche il bastone con cui hai colpito il fiume ". Si legge che percosse il fiume Aronne, non Mosè 79; Mosè infatti con lo stesso bastone divise il mare, non il fiume 80. Che vuol dire dunque: Prendi il bastone con cui hai colpito il fiume? Chiamò forse fiume il mare? Se è così, bisogna cercare un esempio di questo genere d'espressione idiomatica. Oppure ciò che fece Aronne fu attribuito piuttosto a Mosè, poiché Dio per mezzo di Mosè ordinava che cosa dovesse fare Aronne, e in Mosè c'era l'autorità e in Aronne il servizio, dal momento che Dio con le sue prime parole disse così a Mosè: Egli parlerà per te al popolo, tu invece sarai per lui mediatore per le relazioni con Dio 81?

Il bastone di Aronne è chiamato bastone di Dio.

2065
(
Ex 17,9) Ed ecco che io starò ritto in cima alla collina con il bastone di Dio in mano; così dice Mosè a Giosuè di Nave quando gli diede ordine di combattere contro Amalec. Ora dunque viene chiamato bastone di Dio quello che dapprima è detto bastone di Aronne, poi bastone di Mosè. Come viene chiamato spirito di Elia quello che è lo Spirito di Dio 82, di cui divenne partecipe Elia, allo stesso modo poté chiamarsi anche quel bastone. Si chiama anche giustizia di Dio quella che è la nostra giustizia, ma concessa da Dio: parlando di essa l'Apostolo accusa i Giudei dicendo che, ignorando la giustizia di Dio, vogliono stabilire la propria 83, cioè come se essi se la fossero procurata da loro stessi. Contro questi individui dice: Che cosa hai che non hai ricevuto? 84.

In ogni luogo si è alla presenza di Dio.

2066
(
Ex 18,12) E venne Aronne e tutti gli anziani d'Israele a mangiare il pane con il suocero di Mosè alla presenza di Dio, o, come dicono altri manoscritti, davanti a Dio, espressione corrispondente a quella del testo greco Ci si domanda " dove " alla presenza di Dio, dal momento che non c'era ancora né il Tabernacolo né l'Arca della Testimonianza che furono costruite in seguito. E nemmeno possiamo intendere anche qui l'espressione come riferita al futuro, com'è detto della manna deposta in un recipiente d'oro. Dobbiamo perciò intendere che fu compiuto alla presenza di Dio ciò che fu fatto in onore di Dio poiché in qual luogo non è Dio?

La legge di Dio è eterna e la consultano tutti coloro che hanno uno spirito di fede.

2067
(
Ex 18,15-16) Mosè risponde al suocero: Poiché il popolo viene da me per cercare un giudizio proveniente da Dio; quando infatti essi hanno qualche lite tra loro e vengono da me, io giudico ciascuno e insegno loro i precetti e la legge di Dio. Ci possiamo domandare come mai Mosè rispose così, dal momento che la legge di Dio non era stata scritta, se non perché la legge di Dio è eterna e la consultano tutti coloro che hanno uno spirito di fede per fare o comandare o proibire ciò che trovano in essa, secondo quanto essa prescrive con verità immutabile? Si deve forse pensare che Mosè, benché Dio parlasse con lui, fosse solito consultare Dio di volta in volta per qualsiasi punto delle vertenze d'una moltitudine così grande, che lo tratteneva nell'attività di giudicare dal mattino alla sera? Pur tuttavia se non avesse consultato il Signore che dirigeva il suo spirito e non avesse posto attenzione con sapienza alla sua legge eterna non avrebbe potuto trovare quale fosse la sentenza da pronunciare tra i litiganti.

Ietro dà il consiglio al genero Mosè

2068
(
Ex 18,18-19) Riguardo al fatto che Ietro dà il consiglio al genero Mosè di non logorare se stesso e il popolo con un lavoro così spossante e intollerabile, occupandosi lui solo dei giudizi, il primo quesito che sorge è perché Dio permise che venisse consigliato da uno straniero un suo servo con il quale parlava di argomenti tanto importanti e straordinari. Con ciò la Scrittura ci avverte che non dobbiamo disprezzare nessuna persona, qualunque essa sia, che ci dia un consiglio conforme a verità. Si deve anche vedere se Dio volle che Mosè venisse consigliato da uno straniero riguardo all'attività per la quale poteva tentarlo la superbia, poiché nella sua funzione di giudice sedeva da solo in tribunale, rivestito di un'altissima autorità, mentre tutto il popolo stava in piedi. Questa interpretazione è suggerita dal fatto che lo stesso Ietro esortò Mosè di scegliere, per giudicare le cause del popolo, persone che odiassero la superbia 85. Inoltre anche in questo passo si vede assai bene quanta attenzione occorre prestare a ciò che la Scrittura dice in un altro passo: Figlio, non occuparti in troppe cose 86. Sono poi da considerare le parole di Ietro che dà il consiglio a Mosè; egli dice così: Ora pertanto ascoltami e ti darò un consiglio, e Dio sarà con te. A me sembra che queste parole indicano che un animo troppo intento alle occupazioni umane si svuota in qualche modo di Dio, mentre se si riempie tanto più completamente quanto più liberamente applica il suo pensiero alle realtà divine ed eterne.

Se lo stesso Ietro, benché non israelita, è da annoverarsi tra gli adoratori del vero Dio.

2069
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Ex 18,19-21) Subito dopo è detto: Tu sarai per il popolo l'intermediario per le sue relazioni con Dio e riferirai a Dio le loro parole; e li informerai dei precetti di Dio e della sua legge; indicherai loro la via in cui dovranno camminare e le azioni che dovranno fare. Questo passo dimostra che tutti questi ordini dovevano essere eseguiti con tutto il popolo. Poiché non si dice: " Riferisci a Dio le parole di ciascuno ", ma: le loro parole, poiché prima aveva detto: Tu sarai per il popolo l'intermediario per le sue relazioni con Dio. Dopo ciò consiglia di far comporre le loro liti, da giudici scelti naturalmente tra persone capaci, timorate di Dio, giuste, che detestino la superbia, che avrebbe dovuto stabilire su di essi alcuni come capi di mille, altri come capi di cento, di cinquanta e di dieci. E in tal modo anche Mosè liberò da pesanti e pericolose occupazioni e non affaticò quelle persone, dal momento che mille uomini avevano un capo, sotto il quale ne avevano altri dieci, e sotto questi altri venti, e sotto di questi altri cento, di modo che a mala pena a ciascuno dei capi arrivava qualche problema che essi dovessero giudicare. Qui si fa vedere anche l'esempio di umiltà, che Mosè, con il quale parlava Dio, non si sentì offeso né disprezzò il consiglio del suocero che pur era straniero. Si può tuttavia porre con tutta ragione il quesito - anzi si pensa che sia più probabile - se lo stesso Ietro, benché non fosse israelita, è da annoverarsi tra gli adoratori del vero Dio e tra le persone di sentimenti religiosi come anche Giobbe, che non era neppure lui israelita. Poiché sono ambigue le espressioni relative al sacrificio da lui fatto, se cioè fu offerto al vero Dio tra il suo popolo, quando vide il proprio genero, oppure se fu Mosè ad adorare lui; benché, anche se la Scrittura avesse voluto parlare chiaramente dell'adorazione, si tratterebbe dell'ossequio reso al suocero come suole esibirsi da parte dei Patriarchi a certi personaggi per rendergli onore. Così sta scritto di Abramo che adorò gli Ittiti 87. Ma non si può sapere facilmente chi sono coloro che sono chiamati dopo i decurioni, poiché questo titolo noi non lo usiamo per denotare alcun funzionario pubblico o maestro di scuola. Alcuni infatti l'hanno tradotta con doctores (insegnanti), naturalmente nel senso d'insegnanti delle lettere, capaci d'introdurre alla conoscenza delle lettere come indica il vocabolo greco. Qui ci viene indicato evidentemente che gli Ebrei conoscevano le lettere prima di ricevere la legge. Non so però se mette conto indagare quando cominciarono a esserci. Ad alcuni pare che le lettere cominciarono fin dai primordi dell'umanità e arrivarono fino a Noè e quindi fino agli antenati di Abramo e poi al popolo d'Israele, ma non so come ciò si possa provare.

Il giorno in cui fu data la Legge.

2070
(
Ex 19,1-3 Ex 10-11) Il terzo mese dall'uscita dei figli d'Israele dalla terra d'Egitto, proprio in quel giorno arrivarono al deserto del Sinai. Essi partirono da Refidin e giunsero al deserto del Sinai e Israele si accampò lì, di fronte al monte. Mosè allora salì sulla montagna di Dio; Dio lo chiamò dalla montagna dicendo: Ecco che cosa dirai alla casa di Giacobbe e cosa annunzierai ai figli di Israele, ecc. Poi, dopo poco, aggiunse: Discendi e avverti il popolo e purificali oggi e domani e lavino i loro vestiti e si tengano pronti per il terzo giorno; poiché il terzo giorno il Signore discenderà sul monte Sinai alla presenza di tutto il popolo. In questo giorno fu data la legge, scritta dal dito di Dio su tavole di pietra, come dimostra quanto è detto in seguito 88. Questo giorno poi è il terzo giorno del terzo mese dall'uscita di Israele dall'Egitto. Dal giorno quindi in cui celebrarono la Pasqua, cioè in cui immola-rono e mangiarono l'agnello, che era il quattordicesimo del primo mese 89, fino a questo in cui viene data la legge, si contano cinquanta giorni, vale a dire i diciassette del primo mese, i restanti a partire dal giorno quattordici e poi tutti i trenta giorni del secondo mese, che fanno quarantasette, e il terzo del terzo mese che è (il cinquantesimo) dalla solennità dell'immolazione dell'agnello. Perciò come in questa "ombra del futuro ", contando a partire dal giorno della festa dell'immolazione dell'agnello, passarono cinquanta giorni fino alla promulgazione della legge scritta dal dito di Dio così, nella verità del Nuovo Testamento, a partire dalla festa dell'Agnello immacolato Gesù Cristo si contano cinquanta giorni fino a quello in cui fu dato dal cielo lo Spirito Santo 90. Che il dito di Dio è lo Spirito Santo l'abbiamo già detto anche più sopra, provandolo con testi del Vangelo 91.

In che modo si debbano ripartire i dieci comandamenti.

2071
(
Ex 20,1-17) Ci chiediamo in che modo si debbano ripartire i dieci comandamenti della legge; se (al primo gruppo) appartengano i (primi) quattro fino al comandamento relativo al sabato, i quali si riferiscono a Dio stesso; (all'altro gruppo) appartengano invece gli altri sei, il primo dei quali è: Onora il padre e la madre, che si riferiscono all'uomo, oppure al primo gruppo appartengono i primi tre e al secondo gli altri sette. Poiché coloro i quali dicono che il primo gruppo è formato dai primi quattro comandamenti, dividono in due l'espressione che comincia così: Non avrai altri dèi all'infuori di me, in modo che sia un altro comandamento quel che segue: Non ti fabbricherai (alcun) idolo ecc., con il quale si proibisce il culto degli idoli. Costoro sostengono però che sia un solo comandamento che inizia così: Non desiderare la moglie del tuo prossimo; non desiderare la casa del tuo prossimo e tutto il resto fino alla fine. Al contrario, quelli che affermano che un gruppo è formato dai primi tre comandamenti e l'altro dai sette seguenti, sostengono che costituisce un solo comandamento tutto ciò che viene prescritto sul culto di latrìa da riservare all'unico Dio, perché all'infuori di lui non venga adorato come Dio nessun'altra cosa; ma l'ultimo comandamento lo dividono in due, in modo che uno sia: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, e l'altro: Non desiderare la casa del tuo prossimo. Tuttavia che i comandamenti siano dieci non lo mettono in dubbio né gli uni né gli altri, poiché lo afferma la Scrittura.

71. 2. Tuttavia a me sembra più conveniente pensare il primo gruppo formato dai primi tre comandamenti e il secondo dagli altri sette, poiché a coloro che li considerano più attentamente pare che i primi tre relativi a Dio fanno intuire anche la Trinità. In realtà l'espressione: Non avrai altri dèi all'infuori di me viene spiegata più chiaramente quando viene proibito di adorare gli idoli. Ora, il desiderare la moglie altrui e i desiderare la casa altrui sono tanto differenti per quanto riguarda il peccato che al comandamento: Non desiderare la casa del tuo prossimo sono aggiunte altre cose (come la casa) poiché la Scrittura dice: né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle sue bestie, né alcun'altra cosa appartenente al tuo prossimo. Sembra infatti che la Scrittura faccia una distinzione tra il desiderare la moglie altrui e il desiderare alcun'altra cosa di altri, dal momento che l'una e l'altra proibizione inizia così: Non desiderare la moglie del tuo prossimo; Non desiderare la casa del tuo prossimo, e a questa proibizione aggiunse tutte le altre. Invece dopo aver detto: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, l'agiografo a questa proibizione non ne aggiunse altre dicendo: né la sua casa, né il suo campo, né il suo schiavo ecc., mentre è assolutamente chiaro che alle cose proibite in quel comandamento se ne sono aggiunte altre che sembrano essere comprese in un unico precetto, ma che sono distinte da quello in cui è nominata la moglie. Quanto al precetto ove è detto: Non avrai altri dèi ad eccezione di me, sembra che un'esposizione più precisa di questa proibizione si abbia nelle cose che sono aggiunte. A che cosa infatti si riferisce (l'aggiunta): Non fabbricarti (nessun) idolo e non farti (alcuna) immagine di ciò che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto terra. Non adorare né render culto a siffatte cose, se non al comandamento che dice: Non avrai altri dèi all'infuori di me?

71. 3. Inoltre però si pone il quesito in che cosa differisca il comandamento: Non rubare da quello con cui poco dopo si comanda di non desiderare le cose altrui. Certamente non tutti coloro che desiderano le cose del prossimo commettono un furto; ma se chiunque ruba desidera una cosa del suo prossimo, anche ciò che si riferisce al furto poteva essere incluso nel precetto generale nel quale è proibito desiderare le cose del prossimo. Si pone parimenti anche il quesito in che cosa differisca il comandamento: Non commettere adulterio da quello dichiarato poco dopo: Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Poiché nel precetto: Non commettere adulterio poteva essere compreso anche quell'altro, salvo che nei due precetti di non commettere adulterio e di non rubare sono biasimate le azioni e in questi altri due, al contrario, è proibito il desiderio; queste cose sono tanto differenti tra loro che talvolta commette adulterio chi non desidera la moglie del prossimo allorché si unisce con lei per un motivo diverso; talora invece la desidera ma non si unisce con lei per paura del castigo. E forse con ciò la legge ha voluto mostrare che tutte e due le cose sono peccati.

71. 4. Parimenti si è soliti porsi il quesito se nella parola moechia (adulterio) è compresa anche la fornicazione. Moechia infatti è una parola greca, che la Scrittura usa come latina. Tuttavia in greco si chiamano moechi solo gli adùlteri. Questo comandamento però è stato stabilito naturalmente non solo per gli individui di sesso maschile ma anche per le donne. In effetti, poiché è detto: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, la donna non deve pensare che qui non ci sia alcun precetto per lei e le sia lecito desiderare il marito della sua vicina. Se dunque in questo passo da ciò che è detto all'uomo si capisce che riguarda anche la donna, sebbene non sia detto espressamente, quanto a più forte ragione ciò che è detto: Non commettere adulterio obbliga ambo i sessi, come (i comandamenti): non uccidere, non rubare e così altri precetti che, senza indicare un solo sesso, in genere sono proclamati ugualmente per le persone dell'uno e dell'altro sesso? Quando tuttavia viene indicato chiaramente un solo genere, viene denotato naturalmente quello più nobile, cioè il maschile, affinché per mezzo di questo anche la donna comprenda che cosa le sia comandato. Perciò se una donna è adultera perché ha relazioni sessuali con uno che non è suo marito, anche se quello non è ammogliato, è certamente adultero anche un uomo ammogliato che ha relazioni sessuali con una donna che non è la propria moglie, anche se quella non è maritata. Si pone però con ragione il quesito di sapere se sono colpevoli della trasgressione di questo precetto uno non ammogliato o una donna non maritata che abbiano relazioni sessuali tra di loro. Se infatti non sono colpevoli, nel decalogo non è proibita la fornicazione ma solo la moechia, cioè l'adulterio, sebbene si comprenda che ogni moechia è anche fornicazione, come si esprimono le Scritture, poiché il Signore nel Vangelo dice: Chiunque ripudia la propria moglie, salvo il caso di fornicazione la mette in condizione di diventare adultera 92. Qui di certo si chiama fornicazione la relazione sessuale tra una donna maritata con uno che non è suo marito, azione chiamata moechia, cioè adulterio. Ogni moechia quindi nelle Scritture viene chiamata anche fornicazione. Ma che ogni fornicazione possa dirsi anche moechia, per ora non mi viene in mente alcuna citazione di tale sinonimo nelle medesime Scritture. Ordunque, se non ogni fornicazione può essere chiamata moechia, non so in quale passo del decalogo può trovarsi che è proibita la fornicazione che commettono gli uomini non ammogliati con donne non maritate. Ma se si chiama propriamente furto ogni appropriazione illecita di una cosa altrui - poiché non permette la rapina colui che proibisce il furto, ma ha certamente voluto che s'intendesse la parte per il tutto quanto a qualsiasi cosa del prossimo si ruba illecitamente - è evidente che anche con il nome di moechia deve intendersi che è proibita ogni relazione sessuale illecita e l'uso non legittimo di quelle membra.

71. 5. Riguardo al comandamento: Non uccidere, non si deve pensare che si agisce contro questo precetto quando è la legge ad uccidere o è Dio a comandare di uccidere qualcuno. Poiché quell'azione la fa colui che la comanda, dal momento che non è lecito rifiutarsi di compiere quel servizio.

71. 6. Anche a proposito del comandamento: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo suol porsi il quesito per sapere se è proibita ogni specie di menzogna, salvo che questo precetto non sia diretto contro coloro i quali dicono che si deve mentire quando la menzogna giova a qualcuno e non danneggia la persona alla quale si mentisce. Poiché una menzogna di tale genere non è contro il tuo prossimo; questo pare il motivo per cui la Scrittura aggiunse questa precisazione, mentre avrebbe potuto dire brevemente: Non testimoniare il falso, così come disse: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare. Ma di qui sorge un grave problema e da chi ha fretta - come me - non può spiegarsi convenientemente come deve intendersi l'espressione: Tu manderai in rovina tutti coloro che diranno menzogna 93; e: Non dire alcuna menzogna 94, e tutte le altre frasi di tal genere.

In che modo il popolo vedeva la voce.

2072
(
Ex 20,18) E tutto il popolo vedeva la voce e i lampi e la voce della tromba e il monte fumante. Suole porsi il quesito in che modo il popolo vedeva la voce dal momento che la voce sembri riferirsi non alla vista ma piuttosto all'udito. Ma, come or ora ho detto videatur a proposito di tutto ciò che ho esposto, così videre (vedere) suole essere usato nel senso generale, riferito non solo al corpo ma anche all'animo. Un'altra espressione simile è anche questa: Avendo Giacobbe visto che c'era grano in Egitto 95, dal quale evidentemente era lontano. Sennonché alcuni pensano che vedere la voce non significa altro che intendere (la voce) che è la vista della mente. Ma poiché qui l'agiografo doveva dire in breve che il popolo vedeva la voce e i lampi e la voce della tromba e il monte che emetteva fumo, sarebbe sorto un problema ancora più grave, quello di sapere in che modo il popolo udiva i lampi e il monte che mandava fumo. Salvo che non si dica che non si sarebbe dovuto dire tanto brevemente, ma perché fosse espresso tutto avrebbe dovuto dire: " Udiva la voce e vedeva i lampi e udiva il suono della tromba e vedeva il monte che mandava fumo ". Poiché erano due specie di voce: quella proveniente dalle nubi, come i tuoni, e quella della tromba, se pur è vero che chiama " voce " il tuono prodotto dalle nubi. Per questo motivo la Scrittura, volendo comprendere tutte le sensazioni in conciso, preferì riferire al senso generale della vista ciò che nel racconto conveniva piuttosto al senso dell'udito, anziché sottintendere il verbo "udire" per le cose che si riferiscono al senso della vista, poiché noi siamo soliti parlare in questo modo. In effetti noi siamo soliti dire: "Guarda che cosa suona "! ma non siamo soliti dire: " Ascolta che cosa risplende "!.

Al Testamento A. il timore al Nuovo l'amore.

2073
(
Ex 20,19) Parla tu a noi, ma non ci parli Dio, perché non abbiamo a morirne. Spesso e con solidi argomenti s'insegna che all'Antico Testamento appartiene piuttosto il timore, come al Nuovo l'amo-re, sebbene anche nell'Antico sia nascosto il Nuovo e nel Nuovo sia manifesto l'Antico. Non si vede chiaramente però in qual modo a quel popolo venga concesso di " vedere " la voce di Dio, né " vedere " è da intendersi nel senso di " comprendere ", dal momento che hanno paura di morire se Dio parla ad essi.

In che modo Dio tenta.

2074
(
Ex 20,20) E Mosè disse loro: " Non abbiate timore, poiché Dio è venuto a voi al fine di mettervi alla prova, perché il suo timore sia in voi e così non pecchiate ". In tal modo essi dovevano essere allontanati dal peccare, precisamente col timore di soffrire pene fisiche, poiché ancora non potevano amare la giustizia. Inoltre la tentazione con la quale Dio li metteva alla prova consisteva nel rendere manifesto ciò che essi erano, non allo scopo di farsi conoscere da Dio, al quale non era ignoto quello che essi erano, ma perché si conoscessero tra loro e divenissero noti a se stessi. Tuttavia a proposito di queste manifestazioni di terrore si mostra chiaramente la differenza dell'Antico Testamento (rispetto al Nuovo) come assai esplicitamente è dichiarato anche nella Lettera agli Ebrei 96.

Sta dappertutto Colui che non sta in nessun luogo.

2075
(
Ex 20,21) Mosè invece entrò nella nube oscura ov'era presente Dio, cioè dove erano più evidenti i segni con i quali si poteva vedere Dio. In che modo infatti stava nella nube oscura Colui il quale non è compreso dai cieli dei cieli? Se non che vi stava come sta dappertutto Colui che non sta in nessun luogo.

Ciò che proibisce il primo comandamento.

2076
(
Ex 20,23) Non vi farete dèi d'argento né dèi d'oro farete per voi stessi. Viene ripetuto ciò che è stato inculcato nel primo comandamento; negli dèi d'oro e d'argento è compresa ogni specie d'immagini sacre, (idoli) come dice anche il Salmo: Gli idoli dei pagani sono d'argento e d'oro 97.

Le ordinanze relative agli schiavi ebrei.

2077
(
Ex 21,2) Quanto alle ordinanze relative agli schiavi ebrei che siano affrancati, se sono schiavi da sei anni, perché gli schiavi cristiani non pretendano questo dai loro padroni, l'autorità dell'Apostolo ordina agli schiavi di essere sottomessi ai loro padroni per non far bestemmiare il nome di Dio e il suo insegnamento 98. Da qui risulta infatti assai chiaramente che quel precetto fu dato per indicare un mistero, poiché Dio ordinò anche di forare con la lesina presso la porta l'orecchio dello schiavo che avesse rifiutato la libertà 99.

Un passo oscuro della Scrittura.

78
(
Ex 21,7-11) Se uno vende la propria figlia come domestica, essa non andrà via (libera) come le schiave. Se non riuscirà gradita al suo padrone, che non le aveva dato il proprio nome, la ricompenserà. Egli però non è padrone di venderla a gente straniera, poiché usò disprezzo a suo riguardo. Se poi le darà il nome del proprio figlio, la tratterà secondo la norma relativa alle figlie. Se invece ne prenderà per lui un'altra, non le sottrarrà con frode ciò che le è necessario né i suoi indumenti né la sua conversazione. Se però non farà per lei queste tre cose, essa se ne andrà (affrancata) gratuitamente. Termini e modi di dire inconsueti hanno reso questo passo assai oscuro e per conseguenza i nostri traduttori quasi quasi non hanno trovato il modo di spiegarlo. Anche nella versione greca è molto oscuro ciò che qui è detto. Ciononostante cercherò di spiegare - come potrò - che cosa mi sembra voglia significare.

78. 2. Se poi uno - è detto - venderà la propria figlia come domestica - cioè perché sia una domestica, che i Greci chiamano - non andrà via (libera) come le serve, si deve intendere in questo senso: " non andrà via libera come vanno via affrancate le serve ebree dopo sei anni ". Poiché si deve credere data anche per la donna ebrea la legge che si osserva riguardo ai maschi. Perché dunque questa donna non andrà via affrancata, se non perché si capisce che è stata umiliata durante quel periodo di servitù, per il fatto che il suo padrone ha avuto relazioni sessuali con lei? Naturalmente questo motivo appare comunque chiaro nel seguito del testo. Il testo infatti in seguito dice: Se non riuscirà gradita al suo padrone, che non le aveva dato il proprio nome, - cioè non l'aveva fatta sua moglie - la ricompenserà, cosa che equivale a ciò che è detto prima: non se ne andrà affrancata come le altre serve. Poiché è giusto che riceva qualcosa in cambio d'essere stata umiliata non essendosi egli unito a lei nel rapporto sessuale facendola sua moglie, cioè non essendosela sposata. L'espressione: la ricompenserà, alcuni traduttori l'hanno resa con l'espressione: la riscatterà, che se fosse stata detta in greco sarebbe stata scritta , come sta scritta l'espressione: ed egli riscatterà Israele 100, poiché qui in greco si trova scritto . In questo passo invece si legge con cui s'intende che essa riceve qualcosa di più di quanto si dà per lei al fine d'essere riscattata. A chi infatti il suo padrone darà qualcosa per riscattare colei che egli possiede come domestica? Egli però non è padrone di venderla a gente straniera, poiché usò disprezzo riguardo a lei significa: non perché usò disprezzo per essa è perciò padrone di venderla, cioè eserciterà il suo dominio su di lei fino al punto di venderla lecitamente, anche a gente straniera. Inoltre l'espressione: usò disprezzo nei suoi riguardi, equivale a " la disprezzò " e questo termine equivale a " la umiliò " giacendo con lei senza farla sua moglie. In greco però è detto: , che corrisponde alla nostra forma verbale sprevit (disprezzò), parola che la Scrittura usa in Geremia: Come una donna disprezza colui con il quale ha relazioni sessuali 101.

78. 3. Il testo poi seguita dicendo: Se poi l'accorderà al proprio figlio, la tratterà secondo la norma stabilita per le figlie. Qui comincia già ad apparire chiaro il senso della frase che la Scrittura enuncia poco prima: che egli a sé l'aveva accordata. Poiché cos'altro vuol dire: se poi l'accorderà al proprio figlio, se non: " l'unirà a suo figlio come moglie " dal momento che è detto: la tratterà secondo la norma relativa alle figlie, cioè: " dandola così in sposa come una figlia, consegnandole cioè la dote "; poi si aggiunge: se prenderà per lui un'altra donna - cioè non la destinerà come moglie per suo figlio, ma per lui ne prenderà un'altra - non le sottrarrà con frode ciò di cui essa abbisogna né i suoi vestiti né la sua conversazione; in forza della stessa legge le darà ciò che le spetta poiché non continuò ad essere moglie di suo figlio come gliel'avrebbe dato se non l'avesse accordata a sé e non l'avesse umiliata avendo con lei relazioni sessuali. Il termine conversatio della frase: non le sottrarrà con frode la sua conversazione, il greco l'esprime con , cioè colloquio, parola con cui la Scrittura chiama eufemisticalmente l'amplesso sessuale. Che vuol dire poi: " Non le sottrarrà con frode l'amplesso sessuale ", se non: "Per l'amplesso sessuale le darà una ricompensa "? Infatti nel libro di Daniele gli anziani che stavano rendendo una falsa testimonianza contro Susanna dissero: S'è accostato a lei un giovane, che stava nascosto, e s'è unito a lei nell'abbraccio sessuale 102. E Daniele interrogandoli a proposito dello stesso caso, chiese: Sotto quale albero li avete visti parlare insieme? 103 come quelli avevano detto: si è unito a lei nell'abbraccio sessuale. Accusando poi l'altro e convincendolo del peccato, Daniele disse: Razza di Canaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto e la passione ha pervertito il tuo cuore! Così facevate con le Israelite, ma esse per paura acconsentivano a voi 104. Il testo greco dice così: , che tradotto letteralmente potrebbe dirsi: "parlavano con voi ", la quale espressione significa l'amplesso sessuale. Poco prima, quando il latino dice: Sotto quale albero li hai sorpresi, il greco ha: Li hai sorpresi mentre conversavano tra loro? Anche in quel passo viene indicato il concubito.

78. 4. Quanto dunque a ciò che la Scrittura aggiunge a proposito dell'argomento qui trattato e dice: Se egli non farà per lei queste tre cose, essa se ne andrà (libera) gratuitamente, va inteso nel senso seguente: se non la umiliò con il concubito né la unì in matrimonio con il figlio proprio né un'altra donna sposata dal proprio figlio la scaccerà, se ne andrà (libera) gratuitamente, le basterà di non continuare a essere tenuta come schiava; poiché se ne andrà libera senza ricevere nulla come uno schiavo ebreo. Poiché non è lecito al suo padrone maritarla a un uomo non ebreo, dal momento che non gli è permesso di consegnarla a gente straniera. Se però la mariterà con uno schiavo ebreo, s'intende naturalmente che se ne andrà libera gratuitamente con lui senza essere separata dal marito.

Riguardo allo stesso fatto viene lodato Dio per la sua occulta equità come viene castigato l'uomo per la propria iniquità.

2079
(
Ex 21,12-13) Se uno colpirà una persona e questa morirà, sia messo a morte; chi però la uccide non volendo, ma è stato Dio a consegnarla nelle sue mani, ti darò un luogo in cui possa fuggire. Qui si pone il quesito per sapere in che senso è stato detto: Se però la uccide senza volerlo, ma è stato Dio a consegnarla nelle sue mani, come se, anche volendolo, avesse potuto ucciderla qualora Dio non l'avesse posta nelle sue mani. Si comprende quindi che ad uccidere è solo Dio quando una persona è uccisa da qualcuno involontariamente, e perciò, poiché Dio soltanto fece quell'azione, è stato detto: ma fu Dio a consegnarla nelle sue mani. Quando, al contrario, uno uccide per sua volontà, non è solo lui ad uccidere, ma anche Dio che ha consegnato (la vittima) nelle sue mani. C'è però questa differenza, che in quel caso a farlo fu soltanto Dio, in quest'altro caso invece lo fanno tanto Dio che l'uomo, a causa della volontà di chi fa l'azione, ma l'uomo non lo fa alla stessa maniera di Dio. Dio infatti lo fa soltanto con giustizia, l'uomo invece lo fa divenendo meritevole del castigo, non perché uccise una persona che Dio non voleva che fosse uccisa ma perché la uccise per la propria malvagità. Poiché non rese un servizio a Dio che glielo avesse ordinato, ma perché cedette alla sua malvagia passione. Riguardo quindi ad un unico e identico fatto, viene lodato Dio per la sua occulta equità come viene castigato l'uomo per la propria iniquità. Infatti non perché Dio non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per tutti noi 105, viene scusato Giuda, il quale consegnò il medesimo Cristo affinché fosse mandato alla morte 106.

Il difficile problema dell'anima nell'embrione non deve essere risolto con temerità.

2080
(
Ex 21,22-25) Se due uomini litigheranno e colpiranno una donna incinta e il suo bambino uscirà ancora non formato, l'uomo sarà punito con un'ammenda; darà quanto imporrà il marito della donna con una istanza. A me pare che di questi precetti si parli piuttosto per indicare un loro significato allegorico, e non tanto perché la Scrittura sia particolarmente interessata a fatti di tal genere. Poiché se essa avesse voluto indicare che una donna gravida, la quale fosse stata colpita, si trovasse nella condizione di dover abortire, non parlerebbe di due uomini litiganti, poiché il fatto potrebbe essere commesso da uno solo qualora litigasse con la stessa donna o anche senza litigare, ma commise quel fatto volendo procurare un danno alla discendenza di un'altra persona. Al contrario, per il fatto che non pensa che un feto ancora non formato non ha nulla a che fare con l'omicidio, di certo non ritiene neppure che sia una persona un feto siffatto portato nel grembo materno. Qui suole trattarsi la questione dell'anima, se cioè il feto non formato si possa credere anche non fornito di anima e perciò non sia omicidio per il fatto che non si può dire che resti senz'anima un essere che ancora non aveva l'anima. L'agiografo infatti prosegue dicendo: Se invece era un embrione formato, darà vita per vita. Che cos'altro significa questa espressione, se non: " morirà anche lui "? Poiché la legge, data quest'occasione, prescrive d'ora in poi la stessa norma anche negli altri casi: Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido, cioè in base alla giustizia del taglione. Questa legge fu stabilita per mostrare quale specie di pena si debba infliggere. Poiché, se non si sapesse attraverso la legge quale specie di pena si debba applicare, come potrebbe sapere che cosa ci rimette il perdono per poter dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori 107? Dalla legge quindi vengono indicati chiaramente i debitori perché quando si perdona sia chiaro che cosa si perdona. In effetti non rimetteremmo i debiti, se non sapessimo dalla legge, che ce lo indica, che cosa ci è dovuto. Se dunque quell'embrione era stato informe, ma in certo qual modo animato senz'essere ancora formato - poiché il difficile problema dell'anima non deve essere risolto in fretta con la temerità di un'opinione non sottoposta ad un attento esame - la legge non volle che fosse considerato un omicidio, poiché non può ancora chiamarsi anima viva quella che è in un corpo ancora privo di sensi, se è così in un corpo ancora non formato e perciò non ancora dotato di sensi. Non è però facile capire che cosa voglia dire l'espressione: e darà mediante un'istanza, ciò che il marito della donna aveva stabilito che gli fosse dato se essa avesse partorito un feto informe. Il termine del testo greco può infatti essere inteso in più sensi ed è stato tradotto mediante un'istanza in modo meno improprio che se fosse stato tradotto diversamente. Forse (è detto) presenterà un'istanza per dare, cioè per dare soddisfazione a Dio in quel modo anche se il marito o la donna non lo chiedessero.

Se un animale dev'essere eliminato, che importanza ha il genere di morte con cui viene ucciso?

2081
(
Ex 21,28) Se un bue ferirà con le corna un uomo o una donna causandone la morte, il bue verrà lapidato a sassate, ma non se ne mangerà la carne; il padrone del bue però sarà ritenuto innocente. È dovere della giustizia che sia ucciso un animale dannoso agli uomini. E ciò che qui si dice del bue deve intendersi, come la parte per il tutto, di qualunque animale, di cui si serve l'uomo ma che è pericoloso. Se però si deve uccidere, perché a sassate? Se un animale dev'essere eliminato, che importanza ha il genere di morte con cui venga ucciso? Poi in quanto a ciò che il testo aggiunge di non mangiare la carne del bue, che relazione ha con il resto se non che tutte queste norme indicano qualcosa cui la Scrittura dà solitamente una particolare importanza?

La norma relativa al bue.

2082
(
Ex 21,35) Se però il bue di uno avrà colpito il bue del suo prossimo causandone la morte, essi venderanno il bue vivo e ne divideranno il prezzo e si spartiranno anche il bue morto. Questa norma deve forse osservarsi solo riguardo ad un bue e non nel caso simile per qualsiasi altra bestia? Perciò anche la norma relativa al bue deve intendersi nel senso che riguarda la parte per il tutto, ma non può applicarsi al caso della carne d'una bestia uccisa che non si mangia.

Perché un solo vitello vale per cinque.

2083
(
Ex 22,1) Che specie di prescrizione è quella che per un solo vitello ucciso se ne debbano dare cinque, mentre invece quattro capi di bestiame minuto per un agnello, se non si pensa che abbia un significato allegorico?

Non è omicidio se un ladro di notte è ucciso.

2084
(
Ex 22,2-3) Se un ladro verrà sorpreso nell'atto di aprire una breccia (in un muro) e morirà per essere stato colpito, all'uccisore non è imputabile l'omicidio, ma se su di lui s'era levato il sole, sarà colpevole e morirà. S'intende che non ha nulla a che fare con l'omicidio se un ladro viene ucciso di notte, ma si considera omicidio l'uccisione di un ladro di giorno; ciò infatti vuol dire l'espressione: se su di lui s'era levato il sole. Poiché si poteva vedere chiaramente che quel tale era venuto per rubare e non per uccidere e perciò non avrebbe dovuto essere ucciso. Anche nelle antiche leggi pagane - delle quali tuttavia questa è più antica - si trova che il ladro che ruba di notte può essere ucciso impunemente in qualsiasi modo, ma quello che rubò di giorno, se si difendesse con un'arma; poiché allora è più di un ladro 108.

Come viene condannato lo spergiuro.

2085
(
Ex 22,9) Che vuol dire: Chi sarà convinto (di colpa) da Dio, restituirà il doppio, se non che talora Dio vuole svelare lo spergiuro con un determinato segnale?

Di quali dèi si parla.

2086
(
Ex 22,28) Non maledirai gli dèi. Si pone il problema di sapere di quali dèi si parli: se dei capi che giudicano il popolo, come è detto di Mosè che fu dato per dio al Faraone 109, sicché ciò che segue sarebbe detto a mo' di spiegazione come per dimostrare di quali dèi si parli quando si dice: Non maledirai - o come dice il greco: non dirai male - il capo del tuo popolo. O forse l'espressione si deve intendere secondo quanto dice l'Apostolo: poiché, sebbene vi siano dei cosiddetti " dèi " sia in cielo che sulla terra, come (in realtà) vi sono molti " dèi " e molti " signori " 110? Con l'aggiunta dell'inciso: come (in realtà) ve ne sono, volle che s'intendessero come dèi quelli che sono chiamati tali anche meritamente; ma naturalmente intendendo che ciò che in greco si dice e in latino si traduce servitus (= servizio, culto di Dio) e che si sa avere attinenza con la religione è dovuta solo all'unico vero Dio, il quale è il nostro Dio; quelli invece che sono chiamati dèi, anche se vi sono di quelli che meritano questo nome, è proibito maledirli, ma non è comandato di venerarli con sacrifici o con alcun atto di culto latreutico.

Rimane peccato anche quello che fanno tutti.

2087
(
Ex 23,2) Non starai con la maggioranza nel fare il male. Nessuno quindi si difenda dicendo che lo fece insieme alla maggioranza o pensi perciò che non sia peccato.

Buona è la misericordia ma non dev'essere contro il giudizio.

2088
(
Ex 23,3) E non avrai pietà del povero nel giudizio. Se non ci fosse l'aggiunta: in un giudizio, sarebbe sorto un grosso problema. Ma anche se il senso di questo precetto non fosse stato precisato da quell'aggiunta, si sarebbe dovuto sottintendere; prima infatti era stato detto: Non ti aggiungerai al gran numero in modo da sviare il giudizio 111, e perciò la frase: Non avrai pietà del povero si sarebbe potuta intendere nel giudizio. Ma poiché questo particolare è aggiunto, non c'è alcun problema che ciò è stato comandato; per conseguenza quando giudichiamo e vediamo che la giustizia è in favore del ricco contro il povero, non deve sembrarci di agire bene se, spinti dalla misericordia, saremo favorevoli al povero contro la giustizia. Buona è dunque la misericordia ma non deve essere contro il giudizio. La Scrittura chiama, ovviamente, giudizio quello che è giusto. Perché poi non si pensi che a causa di questo precetto Dio proibisca la misericordia, molto opportunamente la Scrittura subito dopo continua dicendo: Se poi incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, li ricondurrai e restituirai a lui 112, perché tu sappia che non ti è proibito di esercitare la misericordia. Esercitala anche verso i tuoi nemici, quando essendo libero dal giudicare ne avrai la possibilità 113, poiché quando riconduci il bue disperso del tuo nemico e glielo rendi tu non siedi (in tribunale) come giudice tra altre persone.

Cosa potrebbero raccogliere i poveri se nel settimo anno si lasciasse incolta la terra.

2089
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Ex 23,10-11) Durante sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma il settimo anno non la coltiverai e la farai riposare e mangeranno i poveri del tuo popolo; il restante lo mangeranno le bestie selvatiche. Così tratterai la tua vigna e il tuo oliveto. Ci possiamo porre il quesito per sapere che cosa potrebbero raccogliere i poveri se nel settimo anno si lasciasse incolta la terra e se non viene neppure seminata - poiché non si riferisce né alla vigna né all'oliveto ciò che è detto prima: mangeranno i poveri del tuo popolo - poiché non possono prendere nulla da una terra non seminata dove non possono nascere le messi. In seguito si dice che si deve fare lo stesso della vigna e dell'oliveto e perciò quello che si dice s'intende dei campi che sono adatti a (produrre) i cereali. Oppure il comandamento: Durante sei anni di seguito seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto deve intendersi nel senso che seminerai e raccoglierai durante sei anni ma nel settimo non raccoglierai, sottintendendo seminerai la terra, quantunque ciò non sia espresso esplicitamente; per conseguenza il seminare e il raccogliere riguardano i sei anni, mentre è riferito al settimo lasciare ai poveri quanto sarà stato seminato? Che cosa altrimenti potrebbero raccogliere per sé i poveri quando ciò che resta è abbandonato alle bestie selvatiche, a quelle naturalmente che possono nutrirsi dei prodotti della terra come i cinghiali, i cervi e qualsiasi altro animale di tal sorta? Ciò tuttavia non sarebbe detto se non per indicare qualche simbolismo. Infatti se Paolo riferendosi a prescrizioni date agli uomini dice: Dio non ha cura dei buoi 114 - affermazione da intendersi non nel senso che egli non nutra gli animali che non seminano né raccolgono e non mettono il raccolto nei granai 115, ma nel senso che i suoi precetti non hanno per oggetto di esortare l'uomo ad avere cura del proprio bue - quanto meno si preoccupa di dare prescrizioni riguardo alle bestie selvatiche in che modo gli uomini debbono aver cura di esse dal momento che egli le nutre con i beni della natura sotto ogni riguardo abbondante di prodotti, e che nutre anche per altri sei anni quando si raccolgono i prodotti che vengono seminati.

La proibizione di far cuocere un capretto nel latte di sua madre.

2090
(
Ex 23,19) Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre. Non so se possa trovarsi per questa prescrizione un senso da prendersi alla lettera. Se infatti intenderemo la proibizione di far cuocere un capretto nel latte di sua madre per indicare qualche significato speciale, (l'ipotesi è infondata perché) non si usa affatto di farlo cuocere in tal modo; se invece s'intende durante l'allattamento, chi dei Giudei si attenne mai all'osservanza di non far cuocere un capretto se non dopo lo svezzamento? Che vuol dire inoltre: nel latte di sua madre, come se, pur intendendolo in questo senso, si fosse potuto far cuocere senza trasgredire questo precetto, se alla sua nascita fosse morta la madre e fosse stato allattato da un'altra capra, dal momento che nessuno dubita che questo precetto fu dato certamente per indicare un significato particolare? Ma anche le cose che comunemente possono essere praticate e osservate non vengono prescritte senza un motivo, poiché hanno un significato speciale, però non esiste o non appare chiara la possibilità di osservare alla lettera un tale precetto. Io tuttavia accetto come valida l'interpretazione che quel precetto sia una profezia riguardante Cristo, con la quale fu predetto che egli non sarebbe stato ucciso da bambino quando Erode cercava di ucciderlo, ma non lo trovò 116. In tal modo l'espressione: farai cuocere si riferisce al fuoco della passione, cioè alla tribolazione. Ecco perché la Scrittura dice: La fornace mette alla prova gli oggetti del vasaio e gli uomini (sono messi alla prova) dall'avversità della tribolazione 117. Poiché dunque Cristo non soffrì la passione da piccolo, quando Erode lo cercava per farlo uccidere e sembrava che incombesse su di lui un siffatto pericolo, fu fatta la predizione con queste parole: Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre. Forse non è illogico neppure ciò che sostengono altri, vale a dire che dal profeta fu ordinato che i buoni Israeliti non si unissero ai cattivi Giudei per opera dei quali Cristo soffrì la passione come un agnello (fatto cuocere) nel latte di sua madre, cioè nel tempo in cui fu concepito. Si dice infatti che le poppe delle donne si gonfiano di latte a partire dal concepimento e che Cristo fu concepito e soffrì la passione in quel mese, lo mostra non solo la celebrazione della Pasqua ma anche il giorno del suo natale assai noto alle Chiese. Colui infatti che nacque dopo nove mesi, all'incirca il venticinque dicembre fu concepito evidentemente all'incirca il venticinque di marzo, che fu anche il tempo della sua passione nel latte di sua Madre, cioè nel tempo del latte di sua Madre.

Fu Giosuè a introdurre il popolo nella terra promessa.

2091
(
Ex 23,20-21) Ecco, io mando il mio angelo davanti a te, affinché ti custodisca lungo il cammino e ti faccia entrare nel paese che io ti ho preparato. Bada a te stesso e ascoltalo, e non disubbidirgli, poiché egli non si ritirerà davanti a te, giacché il mio nome è su di lui. S'intende che ciò è detto certamente di colui il quale fu cambiato il nome affinché si chiamasse Gesù, poiché fu lui a introdurre il popolo nella terra promessa.

Le promesse proprie dell'A. Testamento.

2092
(
Ex 23,25-27) Tu servirai il Signore Dio tuo, e io benedirò il tuo pane, il tuo vino e la tua acqua, e allontanerò la malattia da voi. Non ci sarà alcuno che non generi né alcuna sterile nel tuo paese. Io colmerò il numero dei tuoi giorni. Manderò davanti a te la paura e riempirò di confusione tutti i popoli presso i quali tu entrerai, ecc. Sebbene queste promesse possano essere intese anche in senso spirituale, quando tuttavia sono formulate secondo la felicità umana temporale, sono proprie dell'Antico Testamento. Quantunque in esso si trovino precetti riguardanti i buoni costumi, eccettuati quelli che hanno un significato simbolico basato sull'allegoria, ciononostante sono promesse carnali e terrene. Ecco perché nel Salmo settantadue l'uomo di Dio dice che per poco i suoi piedi non s'inciampavano e non vacillavano quando si struggeva d'invidia vedendo la felicità dei peccatori 118. Egli infatti vedeva che gli empi abbondavano di quei beni che egli, secondo l'Antico Testamento, aspettava dal Signore che serviva per questa ricompensa. E poiché a causa di questa sua costatazione aveva cominciato a dubitare che Dio si curi delle questioni umane, dice che mutò parere, poiché non aveva osato respingere l'autorità dei santi e si mise a riflettere per capire e dice: Questa è una cosa troppo difficile per me, finché non entrerò nel santuario di Dio e comprenderò la loro fine 119. Ivi infatti saranno dati i premi propri del Nuovo Testamento, premi che non saranno per gli empi, e allora ci saranno pene per gli empi, che nessuno dei giusti proverà.

In che senso prendere le vespe.

2093
(
Ex 23,28) Invierò vespe davanti a te e che scacceranno gli Amorrei, gli Evei, i Cananei e gli Ittiti davanti a te. Si pone il problema di capire in che senso prendere queste vespe. Poiché si tratta di una promessa non solo fatta da Dio ma anche adempiuta, come dice il libro della Sapienza quando afferma: Come avanguardia del suo esercito (Dio) mandò le vespe 120. Noi però non leggiamo (nella Scrittura) che ciò avvenne né al tempo di Mosè né di Giosuè, figlio di Nave, né durante i Giudici né sotto i Re. Per conseguenza queste vespe sono da intendere forse come le spine della paura, che turbavano quei popoli spingendoli a ritirarsi davanti agli Israeliti. Quando, come qui, è Dio che parla, se nelle sue parole si esprime in senso figurato qualcosa che non si sia compiuto in senso letterale, ciò non è contrario all'autenticità della storia attraverso la quale si riconosce la verità della narrazione. Così pure non perde la sua autenticità il racconto degli Evangelisti se riferiscono qualcosa detto da Cristo in senso figurato.

Il culto di latria è dovuto solo al Signore.

2094
(
Ex 23,33) Se servirai i loro dèi, ti saranno d'inciampo. Qui il testo greco porta , non . Per conseguenza s'intende che anche la è dovuta a Dio in quanto è il Signore, la

al contrario è dovuta solo a Dio in quanto è Dio.

Per giustificazioni si debbono intendere i precetti dati al popolo perché fossero osservati.

2095
(
Ex 24,1-3) E a Mosè (il Signore) disse: " Sali sul monte dal Signore tu e Aronne, Nadab, Abiud e settanta anziani d'Israele; e stando lontano si prostreranno davanti al Signore. Si avvicinerà al Signore soltanto Mosè, ma essi non si avvicineranno, e il popolo non salirà con loro ". Mosè poi andò dal popolo e gli espose tutte le parole di Dio e le sue giustificazioni. Tutto il popolo ad una sola voce rispose dicendo: " Noi metteremo in pratica e ascolteremo tutte le parole che il Signore ha detto ". Fino a questo passo della Scrittura per giustificazioni si devono intendere i precetti dati al popolo perché fossero osservati. Quest'espressione però la si vede usata per la prima volta - per lo meno nella Scrittura - a proposito dello schiavo ebreo, di cui è detto di forargli l'orecchio presso lo stipite della porta 121. In tutte queste " giustificazioni " deve considerarsi ciò che può volgere a vantaggio di una vita ben regolata e alla conservazione dei buoni costumi. In molte di esse infatti ci sono dei misteri che hanno un senso simbolico piuttosto che contenere un insegnamento per la nostra vita. I traduttori latini chiamano saggiamente " giustificazioni " 122 quella che i greci chiamano .

Ci si deve impegnare a ubbidire alle parole di Dio mettendole in pratica.

2096
(
Ex 24,3) Si deve notare che il popolo risponde la seconda volta: Tutte le parole dette dal Signore noi le metteremo in pratica e le ascolteremo, sebbene l'ordine logico sembri esigere che si dicesse: le ascolteremo e le metteremo in pratica. Sarebbe dunque strano che qui non ci fosse qualche senso occulto. Poiché se ascolteremo sta per " intenderemo ", ci si deve impegnare a ubbidire alle parole di Dio mettendole in pratica, perché ci conduca lui stesso a comprendere le cose che si fanno per suo comando grazie alla fede che non le fa disprezzare ma le fa compiere. Bisogna vedere però se quel popolo assomiglia a quel figlio che al padre, che gli aveva dato un ordine, rispose: Andrò nella vigna, ma poi non ci andò 123. Al contrario i pagani, che avevano nutrito un immenso disprezzo per il Signore, in seguito, giustificati per l'obbedienza di uno solo, raggiunsero la giustizia che non cercavano 124.

L'altare eretto con dodici pietre.

2097
(
Ex 24,4) Si deve notare che Mosè costruì un altare ai piedi della montagna e dodici pietre per le dodici tribù d'Israele. S'intende che l'altare eretto con dodici pietre simboleggiava che il popolo stesso era l'altare di Dio, come è il tempio di Dio 125.

Significato di sacrifici di salvezza.

2098
(
Ex 24,5) E immolarono a Dio sacrifici di salvezza. La Scrittura non dice: " sacrifici salvatori ", ma: sacrifici di salvezza, come ha il testo greco, cioè . Ecco perché nel Salmo è detto: Prenderò il calice della salvezza 126, non è detto: " il calice salvatore ". A questo proposito occorre vedere se è prefigurato colui del quale Simeone disse: Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza 127. L'importanza di lui è sottolineata anche dal Salmo, in cui si legge: Annunziate di giorno in giorno la sua salvezza 128. Se infatti porremo maggiore attenzione, che cos'altro significa l'espressione: il giorno dal giorno se non luce da luce, cioè Dio da Dio, che è il Figlio unigenito?

Il primo sacrificio offerto a Dio da Mosè.

2099
(
Ex 24,6-7) Mosè poi prese la metà del sangue e la versò in diversi catini, l'altra metà la spruzzò sull'altare. E prendendo il libro dell'alleanza lo lesse alle orecchie del popolo. È da notare che la Scrittura qui dice chiaramente che questo è il primo sacrificio offerto da Mosè da quando il popolo fu condotto fuori dall'Egitto. Prima infatti la Scrittura aveva detto - sebbene con una certa ambiguità - che era stato Ietro, suocero di Mosè, a offrire un sacrificio a Dio 129. Si deve inoltre porre attenzione al fatto che allo spargere il sangue delle vittime viene letto il libro dell'alleanza, nel quale dobbiamo pensare che si trovavano scritte quelle giustificazioni; infatti è manifesto che per quanto riguarda il decalogo della legge fu scritto su tavole di pietra solo dopo.

Mettere in pratica e ascoltare.

2100
(
Ex 24,7) E dissero: Tutto ciò che il Signore ha detto noi lo metteremo in pratica e lo ascolteremo. Ecco già per la terza volta rispondono allo stesso modo.

Dio è spirito, non contenuto da nessun luogo.

2101
(
Ex 24,9) E Mosè, Aronne, Nadab e Abiud e settanta (del consiglio degli) anziani di Israele salirono e videro il luogo dove stava il Dio d'Israele. Per tutti coloro che sono intelligenti risulta evidente che Dio non è contenuto in alcun luogo né ha delle membra che occupino alcun posto fisico com'è proprio del nostro corpo stare seduto, giacere, stare in piedi o prendere altre posizioni di tal genere. Queste sono proprie solo dei corpi, Dio invece è spirito 130. Quando perciò Dio si mostra in sembianze corporee o in segni espressi corporalmente, non appare la sostanza per cui egli è ciò che è, ma dipende dalla sua onnipotenza prendere forme visibili.

Chi sono gli eletti.

2102
(
Ex 24,10-11) E degli eletti di Israele non fu in disaccordo neppure uno, e apparvero nel luogo di Dio e mangiarono e bevvero. Chi potrebbe dubitare che ora vengano chiamati " eletti di Israele " quegli uomini che indicò chiaramente per nome e i settanta anziani? Essi rappresentavano senza dubbio coloro che erano stati eletti nel popolo di Dio. Poiché non tutti hanno la fede 131, e il Signore conosce quelli che sono suoi; ora in una grande casa vi sono alcuni utensili per usi nobili, altri invece per usi vili 132. Poiché dunque coloro che egli conobbe in antecedenza, li predestinò anche e coloro che predestinò li chiamò anche, coloro poi che chiamò li giustificò anche, e coloro poi che chiamò li glorificò anche 133 certamente non fu in disaccordo neppure uno degli eletti di Israele. Essi poi sono prefigurati dal numero quattro, cioè da Mosè, Aronne, Nadab e Abiud a causa dei quattro Vangeli e della promessa fatta al mondo intero, che si divise in quattro parti; così anche dai settanta anziani d'Israele, cioè dal numero sette moltiplicato per dieci, che sta a simboleggiare lo Spirito Santo. Lo zaffiro è il simbolo della vita celeste, soprattutto perché è detto: come l'aspetto del firmamento. Ora chi non sa che il firmamento è chiamato cielo?. Inoltre la forma d'un mattone nello stesso zaffiro raffigura il quadrato o la stabilità o il mistero del medesimo numero quattro. Quanto poi al fatto che essi mangiano e bevono nel posto ove è Dio, esso è simbolo della dolcezza e della sazietà (che si godrà) nel regno dell'eternità. Beati infatti coloro che hanno fame e sete della giustizia poiché saranno saziati 134. Dice perciò il Signore che verranno molti - chi sono per l'appunto se non gli eletti, i conosciuti in antecedenza, i predestinati, i chiamati, i giustificati, i glorificati? - e si metteranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli 135. E in un altro passo infatti il Signore stesso promette proprio ciò ai suoi fedeli, che cioè li farà sedere a tavola e passerà a servirli 136.

Giosuè appare all'improvviso con Mosè.

2103
(
Ex 24,13) Che significa il fatto che Gesù di Nave, non ricordato tra quei quattro, all'improvviso appare con Mosè e con lui sale sul monte a prendere le tavole della legge e di nuovo all'improvviso Gesù sparisce, vale a dire non se ne parla, mentre Mosè ricevette la legge nelle due tavole, e poi di nuovo appare con lui? Quel fatto significa forse che il Nuovo Testamento è nascosto nella legge sotto il nome di Gesù e che qualche volta appare a coloro che hanno l'intelligenza? Al contrario, quanto al fatto che già è chiamato Gesù (Giosuè) quando invece la Scrittura attesta, nel libro dei Numeri, ch'egli ricevette quel nome quando gli Israeliti stavano per entrare nella terra promessa 137, la Scrittura, con una prolessi, cioè con un'anticipazione, racconta prima ciò che avvenne dopo. Tutti questi avvenimenti furono infatti scritti dopo che erano avvenuti e perciò quando avvenne ciò che viene ricordato adesso, ancora non si chiamava Gesù (Giosuè), ma quando il fatto avvenne già si chiamava così.

Un bordo tutt'intorno.

2104
(
Ex 25,11-12) E farai in esso un bordo tutto intorno. L'agiografo chiama bordi quelli che sporgono in un oggetto quadrato attorno ai quattro lati, come si suol fare per le tavole quadrate. Per il fatto poi che essi sono chiamati versatilia (che girano), non dobbiamo pensare che siano mobili - sono infatti fissi, come ho detto che sono di solito le tavole quadrate - ma sono detti versatili, cioè ricurvi, o a spirale, chiamati in greco (ritorte, attorcigliate) o scanalate, come le colonne, oppure ornate di due strie o piccole verghe intrecciate a forma di canapo come di solito si fanno anche le collane. Quanto alla frase: Foggerai per essa quattro anelli d'oro e li porrai ai quattro lati, due anelli sul primo lato e due anelli sul secondo lato, essa vuol dire che quei quattro anelli corrispondono ciascuno ai quattro lati e in tal modo, pur essendo posti solo su due lati, in realtà risultano come se fossero su tutti e quattro i lati. Uno spigolo, infatti, è comune a due lati, altrimenti, essendo gli anelli solo quattro, non potrebbe essere che due anelli fossero posti su ciascuno dei quattro lati, poiché così diverrebbero otto, se la cosa s'intendesse diversamente da quanto ho detto che avviene in relazione al numero degli spigoli. Per questo gli anelli vengono posti negli spigoli per introdurvi sostegni o stanghe con cui l'arca viene portata di qua e di là.

L'arca sopra il propiziatorio.

2105
(
Ex 25,17-20) Si suol porre il quesito per qual motivo la Scrittura dice che sopra l'arca si deve collocare il propiziatorio 138. Ma, poiché si ordina che sia d'oro e se ne indica chiaramente la lunghezza e la larghezza, identica a quella indicata per l'arca, certamente si ordina che sia come una tavola d'oro della stessa forma dell'arca per ricoprirla. Sopra il propiziatorio dovevano esserci due cherubini, uno da un lato e uno dall'altro, posti di fronte, in modo che il loro viso fosse rivolto verso il propiziatorio e lo coprissero con le loro ali: tutte queste cose sono prefigurazioni simboliche. L'oro infatti è il simbolo della sapienza, l'arca simboleggia il mistero di Dio. Nell'arca fu ordinato di porre (le tavole) della legge, la manna e il bastone di Aronne; nella legge ci sono i comandamenti, il bastone è simbolo del potere, la manna della grazia, poiché solo con la grazia si possono osservare i comandamenti. Tuttavia, poiché la legge non viene osservata interamente da tutti coloro che così fanno progressi, è posto sull'arca il propiziatorio, poiché, per raggiungere la perfezione, è necessario che sia propizio Dio, e perciò il propiziatorio è posto al di sopra per il fatto che la misericordia è al di sopra del giudizio 139. I due cherubini invece coprono con le loro ali il propiziatorio, cioè lo onorano coprendolo poiché vi sono quegli oggetti simbolici; inoltre si guardano l'un l'altro poiché sono d'accordo - essi infatti raffigurano i due Testamenti - e il loro viso è chino verso il propiziatorio, poiché mettono in gran risalto la misericordia di Dio, in cui risiede l'unica speranza. Infine quindi Dio promise di parlare a Mosè fra i cherubini al di sopra del propiziatorio 140. Orbene, se la creatura razionale per la vastità della scienza - poiché questo è il significato della parola cherubim, tradotta dall'ebraico - è simboleggiata da questi due animali, essi sono due per sottolineare l'unione della carità e coprono il propiziatorio con le loro ali, poiché attribuiscono le loro ali a Dio e non a se stessi, cioè onorano Dio con le virtù, per le quali sono superiori agli altri esseri. Il loro volto inoltre è inclinato solo verso il propiziatorio, poiché per fare qualsiasi progresso nell'immenso campo della scienza si deve riporre la speranza solo nella misericordia di Dio.

Gli anelli in casse di sostegno.

2106
(
Ex 25,27) Quanto alla frase: Gli anelli saranno in casse di sostegno per sollevare la tavola, essa deve intendersi nel senso che gli anelli erano come una sorta di casse di sostegno in cui erano introdotti i sostegni come attraverso delle casse. Poiché la Scrittura dice: Saranno in casse, come se dicesse: " saranno come delle casse ".

Perché il tabernacolo di dieci teloni.

2107
(
Ex 26,1-2) Viene ordinato di fare la tenda di dieci teloni poiché dieci sono i comandamenti della legge. I teloni in verità simboleggiano la larghezza a causa della facilità, poiché la carità è la pienezza della legge 141 e sono facili solo i precetti della carità. Viene quindi ricordata la stessa dilatazione quando si dice: Hai dilatato i miei passi sotto di me e i miei piedi non hanno vacillato 142. Ma siccome questa dilatazione avviene per grazia di Dio - la carità di Dio infatti è stata riversata nei nostri cuori non per mezzo di noi, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 143 - perciò qui ci viene ricordato in senso allegorico il numero che ha relazione con lo Spirito Santo, per mezzo del quale si può adempiere la legge. La Scrittura infatti dice che il telone deve avere ventotto cubiti di larghezza. Ora questo numero, poiché è un multiplo di sette, ha un senso allegorico quando dice che la larghezza del telone dev'essere di quattro cubiti. Infatti quattro per sette fa ventotto. Questo numero inoltre è anche perfetto, poiché come il sei risulta composto dei suoi divisori. Ciò che invece la Scrittura dice spesso: Vi farai dei cherubini con un lavoro di tessitore, che cosa pone in risalto con tutti questi particolari se non la vastità della scienza, che è significata dalla parola Cherubini?

I teli tessuti di pelo di capra sono undici.

2108
(
Ex 26,7) E farai dei teli di pelo per coprire la tenda; farai undici teli. Questi teli sono tessuti di pelo, cioè di pelo di capra e si dice che sono undici. Nei peccati evidentemente v'è una trasgressione. La trasgressione è simboleggiata proprio dal numero undici poiché travalica il numero dieci, cioè la legge 144. Ecco perché undici moltiplicato per sette fa settantasette: con questo numero il Signore volle indicare la remissione di tutti i peccati, dicendo: (Dovrai perdonare) non solo sette volte, ma settanta volte sette 145; altrettante generazioni si trovano in Luca quando, parlando del battesimo del Signore risale il corso dei tempi e arriva, passando per Adamo, fino a Dio 146. Per lo stesso motivo questi teloni sono simboli dei peccati, perché vengano manifestati nella confessione e vengano cancellati mediante la grazia del perdono conferita alla Chiesa, cioè siano coperti; per conseguenza è detto: Beati coloro ai quali sono rimesse le colpe e i peccati dei quali sono coperti 147. La Scrittura poi comanda di coprire quei teloni con pelli di montone tinti di rosso robbio. Orbene, alla mente di chi non si presenta che il montone tinto di rosso robbio è Cristo coperto di sangue a causa della sua passione? Da queste pelli sono simboleggiati anche i santi martiri, mediante le preghiere dei quali Dio perdona i peccati del suo popolo. Infine su queste pelli se ne stendono ancora altre di colore di giacinto che mediante il colore verde - immagine, per così dire, di un vigore eterno - simboleggiano la vita eterna.

Due ancone per ciascuna colonna.

2109
(
Ex 26,17) Farai due ancone per ciascuna colonna fissati l'uno di fronte all'altro, cioè uno di qua e l'altro di là ai lati della colonna. L'agiografo chiama anconisci (tenoni) quelli che comunemente chiamiamo ancones, come ve ne sono nelle cantine sui pilastri delle mensole su cui poggiano le tavole di legno, dove sono posti grandi recipienti. La parola ancones deriva dal fatto d'essere simile ai gomiti sui quali si piega il braccio sul quale si appoggiano i commensali seduti a tavola, e che in greco si chiamano (gomiti).

Due basi per ciascun montante.

2110
(
Ex 26,21) (Farai) anche due basi per ciascun montante. Sembra che la Scrittura chiami basi non solo quelle con cui sono sostenuti i montanti della parte inferiore, ma anche le basi superiori che noi chiamiamo capitelli. Ecco perché essa dice: due basi per ciascun palo da una parte e dall'altra. Quali sono infatti tutte e due le parti se non quella superiore e quella inferiore?

Otto montanti.

2111
(
Ex 26,25) La Scrittura parlando di otto montanti fissati nella parte posteriore della tenda-santuario conta sedici basi secondo la spiegazione da noi data prima. Ora, in precedenza essa aveva contato solo sei montanti 148, che aggiunti ai due degli angoli fanno otto.

Il velo fra il Santo e il Santo dei santi.

2112
(
Ex 26,33) E il velo farà per voi la separazione tra il Santo e il Santo dei santi, cioè tra il Santo e il Santo dei santi ci dev'essere questo velo, di cui ora si parla, teso su quattro sostegni. Della differenza tra il Santo e il Santo dei santi parla la Lettera agli Ebrei 149, poiché il Santo dei santi si trova dov'è l'arca dell'alleanza, si trova cioè all'interno, di là dal velo; all'esterno invece la tavola e il candelabro e tutti gli altri oggetti - che poc'anzi ho detto come dovevano essere fatti - sono chiamati " santi " ma non " santi dei santi ". Dagli oggetti all'esterno del velo era simboleggiato l'Antico Testamento, da quelli che erano all'interno era invece simboleggiato il Nuovo, trovandosi l'uno e l'altro, leggendo l'Antico Testamento, sia espresso mediante le azioni che simboleggiato con la loro prefigurazione. E per questo nel " santo " è prefigurato l'Antico Testamento, mentre nel " santo dei santi " è prefigurata la stessa verità, cioè il Nuovo Testamento. Nel " santo " perciò vi è una figura della figura, poiché è figura dell'Antico Testamento, nel " santo dei santi " invece vi è la figura della stessa verità poiché è figura del Nuovo Testamento. Tutto l'Antico Testamento è infatti una prefigurazione rappresentata da queste realtà e celebrazioni che per comando di Dio si devono osservare in questo modo.

Perché l'altare alto tre cubiti.

2113
(
Ex 27,1-2) A proposito dell'altare si pone il quesito come mai fu stabilito che fosse alto tre cubiti quando quasi uguale è la statura di un uomo. In qual modo dunque si potevano compiere le funzioni del culto all'altare quando in un altro passo si proibiva che l'altare abbia dei gradini? Non devi mostrare su di esso - è detto - la tua nudità 150. In quel passo si parlava però dell'altare che doveva essere costruito di terra o di pietre, con il quale avrebbero dovuto certamente far corpo gli stessi gradini incorporati nella costruzione. Ora invece viene ordinato di costruire un altare di tavole: e se vi si mettesse vicino una predella, su cui stesse ritto in piedi il ministro (dell'altare) al momento del servizio religioso e che fosse poi tolta una volta compiuta la funzione sacra, non farebbe certamente corpo con l'altare. Si pone ugualmente il quesito in qual modo sopra un altare di legno poteva essere posto il fuoco con cui doveva essere bruciata (la vittima del) sacrificio, soprattutto considerando che il legislatore aveva ordinato che fosse concavo e, fino alla sua metà, cioè fino alla metà della sua parte concava, fosse posta una graticola lavorata a maglie di rete. Poiché è detto: E farai dei corni ai quattro angoli e i corni faranno corpo con esso e li rivestirai di bronzo, la frase: li rivestirai di bronzo è forse da riferirsi non solo ai corni ma a tutto ciò di cui parlava la Scrittura nell'esporre le prescrizioni da osservare nel costruire l'altare?

Il senso interiore detto intelligenza.

114
(
Ex 28,3) Tu poi parla a tutti gli uomini esperti, di spirito saggio, che ho riempito di uno spirito d'intelligenza. Il testo greco veramente ha che noi siamo soliti tradurre con la parola senso, non intelligenza; ma così la Scrittura suole parlare del senso interiore, che noi chiamiamo " intelligenza ", come si trova nella Lettera agli Ebrei: Il cibo solido invece è per gli adulti, per coloro cioè che, grazie all'esercizio, hanno le facoltà intellettuali addestrate al discernimento del bene e del male 151. Ciò che qui viene espresso con sensus il testo greco lo esprime con . Quale Spirito dunque dobbiamo vedere qui se non lo Spirito Santo?

I vestiti da confezionare.

114. 2

(Ex 28,4) Ecco i vestiti che essi confezioneranno: il pettorale, lo scapolare, l'abito talare, una tunica ricamata. Si deve notare che sono chiamate " vesti " eccetera mentre prima era stato detto che si doveva confezionare un vestito solo. I traduttori latini pensarono ch'era meglio tradurre veste ricamata anziché veste con frange le quali, ben disposte, di solito servono da ornamento.

Gli oggetti inseriti nell'abito sacerdotale.

2115
(
Ex 28,14 Ex 16 Ex 9-10) Che cosa sono gli oggetti inseriti nell'abito del sommo sacerdote che il testo chiama aspidiscas? Sono forse delle scutulae così dette in latino da scutum (scudo), poiché anche i Greci chiamano lo scudo? Oppure il testo chiama quegli oggetti aspidiscas perché destinati a legare accuratamente l'efod derivando il termine da serpente, aspide, come sono chiamati anche "murene ". La lunghezza (del razionale) sarà di una spanna e di una spanna anche la larghezza. Alcuni scrittori latini hanno tradotto " una misura della palma della mano distesa dal pollice fino alla punta del mignolo ". Parimenti il passo in cui è detto: Prenderai due pietre di onice e vi scolpirai i nomi dei figli d'Israele, sei in una pietra e sei nell'altra secondo l'ordine di nascita 152, si deve intendere nel senso che le pietre corrispondono ai nomi dei figli d'Israele secondo la loro nascita, cioè secondo l'ordine in cui sono nati?

Cordoni intrecciati sul razionale.

2116
(
Ex 28,22) E farai sul razionale dei cordoni intrecciati, opera in forma di catenella d'oro puro. Ciò che i Latini hanno tradotto con razionale si deve alla povertà (lessicale) della lingua; poiché il testo greco ha , non . Noi dunque siamo soliti chiamare " razionale " quello che i Greci chiamano . Ma siccome in greco è ambiguo se significa verbum (parola) o rationem (ragione) perché denota ambedue le cose, nei passi in cui credevano che derivasse da " parola " lo tradussero con eloquium (parola; sentenza di un oracolo); così infatti tradussero le parole del Salmo: Le parole del Signore sono parole sincere 153, ove i testi greci hanno . Qui al contrario trattandosi della veste del sommo sacerdote che era stato ordinato fosse d'oro, giacinto e porpora, cremisi doppio ritorto e di bisso doppio ritorto, quadrato, doppio, che fosse sul petto del sommo sacerdote, e si chiamasse ; è incerto se questo termine derivasse da " ragione " o da " parola ", greco . I nostri traduttori latini, pensando che il nome derivasse piuttosto da "ragione " lo tradussero con " razionale ".

Sopra il razionale la manifestazione e la verità.

2117
(
Ex 28,30) Metterai sopra il razionale del giudizio la Manifestazione e la Verità. È difficile sapere che cosa ciò voglia dire o su che cosa o metallo veniva posto sopra il razionale la manifestazione e la verità, poiché la Scrittura dice che sulla veste del sommo sacerdote si devono porre oggetti di natura materiale. Alcuni tuttavia favoleggiano che quell'oggetto fosse una pietra che cambiava di colore per indicare sciagura o prosperità quando il sacerdote entrava nel Santo e dicono che questo è significato dalla frase: E Aronne porterà sul petto i giudizi dei figli d'Israele, mostrando evidentemente con quella manifestazione e verità quale giudizio avrebbe dato il Signore riguardo ad essi. Senonché si potrebbe pensare che la manifestazione e la verità stavano sul .

Una tunica talare di colore giacinto.

2118
(
Ex 28,31) E farai una tunica talare di colore giacinto, cioè che scende giù fino ai talloni, e nel suo mezzo ci sarà una scollatura - cioè l'apertura, per la quale far uscire la testa, dai Greci detta

- avente intorno al collo un orlo, opera di tessitore, la cui commessura sarà tessuta insieme con esso, vale a dire che l'orlo non dev'essere cucito dalla parte esterna; questo pare significhi l'espressione commessura tessuta con esso. Perciò il legislatore soggiunge anche: ben tessuto con esso perché non si strappi, cioè l'orlo dev'essere cucito nella trama della veste.

All'entrata e all'uscita si dovrà udire il suono dei sonagli.

2119
(
Ex 28,35) E l'userà Aronne quando compirà le sue funzioni sacerdotali; se ne sentirà la voce quando entrerà nel Santo davanti al Signore e quando uscirà, per evitare il rischio di morire. La Scrittura afferma che all'entrata e all'uscita (del sommo sacerdote) si dovrà udire il suono dei sonagli e dà tanta importanza all'osservanza di questo particolare, al punto di dire: per evitare il rischio di morire. La Scrittura ha voluto dunque simboleggiare alcuni precetti nella veste del sommo sacerdote, poiché vi è certamente prefigurata la Chiesa per mezzo di questi sonagli perché sia conosciuta la condotta del sacerdote come dice l'Apostolo: Mostrando te stesso modello di opere buone verso tutti 154; o come dice in un altro passo: Ciò che hai udito da me davanti a molti testimoni affidalo ai fedeli e a quanti sono in grado d'insegnarlo agli altri 155. O c'è qualche altro simbolo?. Quale che esso sia è tuttavia una cosa importante. L'espressione per lui che entra e per lui che esce sta per " la voce di lui che entra e di lui che esce ". La voce infine sta per " suono ", poiché quello dei sonagli è piuttosto un suono che una voce.

Sopra una lamina incise le parole: Sacro al Signore.

2120
(
Ex 28,36-38) E farai una lamina d'oro puro e sopra v'inciderai, in forma di un sigillo, la scritta: " Sacro al Signore ". Con un cordone doppio di lana viola l'attaccherai sul turbante, e precisamente sulla parte anteriore. Starà sulla fronte di Aronne e Aronne toglierà i peccati relativi alle cose sante che i figli di Israele potranno fare nell'offrire le loro cose sante. Io non capisco in che modo si possa scrivere sopra una lamina Sacro al Signore se non per mezzo di lettere. Alcuni dicono che si tratti delle quattro lettere ebraiche che si crede formassero o formano ancora adesso l'ineffabile nome di Dio, che i Greci chiamano . Ma quali che siano quelle lettere o qualunque sia la loro forma, io crederei - come ho già detto - che la santità o la santificazione del Signore - se così deve chiamarsi piuttosto, come ha il testo greco - poteva scriversi unicamente in lettere d'oro. Il testo poi dice che il sacerdote toglie i peccati relativi a qualunque cosa santa che i figli d'Israele faranno nell'offerta delle cose sante. A mio parere ciò si riferisce ai sacrifici da loro offerti per i loro peccati; non si deve pensare che si tratti di uomini santi, ma di cose sante per il fatto che sono sante quelle che si offrono sull'altare per i peccati. Ecco perché, dopo aver parlato della lamina, la Scrittura aggiunge e dice: E Aronne toglierà qualsiasi peccato relativo alle cose sante, che i figli di Israele potranno fare nell'offerta delle cose sante; cioè il sacerdote prenderà su di sé tutto ciò che viene offerto per i loro peccati, come la Scrittura ricorda in modo assai chiaro in molti passi. Quanto a ciò che la Scrittura aggiunge dicendo: e sarà sempre sulla fronte di Aronne per attirare su di essi il favore del Signore, si riferisce alla lamina d'oro, nella quale l'ornamento della fronte deve essere garanzia d'una vita santa che il sacerdote vive come uno che si comporta davvero in modo perfetto aderente alla verità e non simbolicamente e perciò può caricarsi dei peccati degli altri solo lui e non ha bisogno di offrire sacrifici per i peccati propri.

Le vesti di Aronne e dei suoi figli.

2121
(
Ex 28,41) Quando la Scrittura, parlando a Mosè, formulò le norme relative a come dovevano essere vestiti e consacrati con l'unzione Aronne e i suoi figli, che cosa vuol dire: e riempirai le loro mani perché esercitino il sacerdozio per me? Dovevano forse essere riempite dei doni che devono essere offerti a Dio?.

La castità dono di Dio.

2122
(
Ex 28,42) E farai per loro dei calzoni di lino per coprire la nudità del loro corpo; scenderanno dai reni fino alle cosce. Siccome un vestito così grande copre tutto il corpo, che significano le parole: Farai loro dei calzoni di lino per coprire la nudità del loro corpo, come se la nudità potesse apparire al di sopra di una veste così grande? L'unica spiegazione è che l'agiografo volle con ciò indicare come un segno esteriore quale simbolo di castità o di continenza che è raffigurata dall'indumento, per far capire che non la si possiede da se stessi ma è concessa (da Dio).

Che cosa significa cidarim.

2123
(
Ex 29,8-9) Parlando dei figli di Aronne l'agiografo dice: Li rivestirai con le tuniche e li cingerai con le cinture e avvolgerai ad essi i copricapo. Non si sa che cosa sia ciò che si chiama cidarim o cidaras, poiché non è stato tradotto e attualmente non è usato. Io tuttavia penso che non si tratti di un copricapo, come hanno creduto alcuni, poiché l'agiografo non avrebbe detto: Li avvolgerai ad essi se non si fosse trattato di qualcosa che si usava per il corpo e non per la testa.

Sacerdozio di Aronne e di Melchisedec..

2124
(
Ex 29,9) E il sacerdozio per me apparterrà loro per sempre. Abbiamo già detto spesso prima in qual senso si dica per sempre a proposito di queste cose che sono una prefigurazione. Questo sacerdozio infatti fu realmente cambiato perché fosse per sempre secondo il modo di Melchisedec, non secondo quello di Aronne, poiché a proposito del primo c'è un giuramento ma nessun pentimento da parte di Dio, con cui s'indicasse un mutamento. Il Signore infatti ha giurato e non si pentirà. Tu sei - è detto - sacerdote per sempre come lo era Melchisedec 156. A proposito dell'ordine di Aronne invece è detto (che sarà) per sempre o perché non era stato stabilito il tempo fino al quale doveva essere osservato o perché prefigurava realtà eterne ma tuttavia in nessun passo (della Scrittura) a proposito del sacerdozio di Aronne è detto che il Signore aveva giurato e non si sarebbe pentito. Ecco perché del sacerdozio secondo il modo di Melchisedec è detto: Non si pentirà, per indicare che si pentì del sacerdozio di Aronne, vale a dire che lo mutò.

Perché sono consacrate le mani Aronne.

2125
(
Ex 29,9) Che cosa vuol dire: Consacrerai le mani di Aronne e le mani dei suoi figli? Con il termine mani fu simboleggiato forse il potere con il quale anch'essi potevano consacrare qualcosa, mentre il potere stesso veniva consacrato mediante la consacrazione con la quale il Signore aveva comandato fossero consacrati da Mosè?.

Consacrazione per la perfezione.

2126
(
Ex 29,10) E condurrai il vitello alla porta della tenda della testimonianza ed Aronne e i suoi figli poseranno le loro mani sulla testa del vitello davanti al Signore. Ecco perché più sopra è detto che le loro mani dovevano essere consacrate, vale a dire si doveva perfezionare il loro potere perché anch'essi consacrassero, come avviene adesso quando pongono le loro mani sul vitello da immolare.

L'odore gradevole per il Signore.

2127
(
Ex 29,18) Quanto al fatto che il sacrificio delle vittime del bestiame minuto nelle Sacre Scritture è chiamato odore gradevole per il Signore, naturalmente non (si deve credere) che Dio si diletti dell'odore di quel fumo, ma Dio si diletta solo di ciò che è simboleggiato da quelle cose quando gli è offerto spiritualmente, poiché lo stesso odore di Dio dev'essere inteso in senso spirituale. Dio infatti non aspira l'odore con le narici del corpo come noi. Queste cose dunque sono espressioni allegoriche come lo è l'espressione: "Dio sente l'odore ".

Il petto dell'ariete è per Aronne.

2128
(
Ex 29,26) E prenderai il petto dell'ariete dell'investitura che è di Aronne, cioè dello stesso Aronne. Ciò infatti (il Signore) volle che spettasse al sommo sacerdote.

Il petto e la coscia delle vittime.

129
(
Ex 29,28) E sarà per Aronne e per i suoi figli come proprietà perpetua da parte dei figli d'Israele. Così dice l'agiografo parlando del petto e della coscia delle vittime. È chiamato dunque eterno secondo il costume che spesso abbiamo ricordato più sopra.

Il vestito santo.

129. 2

(Ex 29,29-30) E il vestito del (luogo) santo, che appartiene ad Aronne, apparterrà ai suoi figli dopo di lui affinché siano unti in essi e consacrare le loro mani. Quegli indumenti li indosserà per sette giorni il sacerdote che gli succederà tra i suoi figli e che entrerà nella tenda della testimonianza per officiare nelle cose sante. Queste espressioni contengono molti problemi. Innanzi tutto qui si deve osservare come, avendo l'agiografo detto prima: il vestito del santo, dopo dice al plurale: perché siano unti in essi, come se si trattasse di abiti. Infatti anche più sopra s'era detto che erano molti gli indumenti di cui era composto un solo abito 157. È comunque incerto se in ipsis dipendeva dal fatto che sono di genere neutro ipsa (tutte le cose) da cui risulta formato quell'abito, cioè il vestito del sacerdote; questa è l'ipotesi più probabile per il fatto che in seguito è detto: Durante sette giorni le indosserà il sacerdote che gli succederà, vale a dire tutte le cose che l'agiografo aveva ricordato nel descrivere l'abito del sacerdote. In verità ripete qui ciò che aveva detto prima: per consacrare le loro mani, a proposito della quale cosa ho spiegato quale fosse la mia opinione 158. Al contrario, circa la frase: Durante sette giorni l'indosserà il sacerdote, vuol dire forse che negli altri giorni non l'indosserà? Ma l'agiografo ha voluto farci capire (che parlava) dei sette giorni continui, nei quali in un certo senso si inaugurava il suo sacerdozio e il suo inizio era celebrato durante una settimana. Chiama poi successore di Aronne colui che entra nella tenda della testimonianza per officiare nelle cose sante, indicando cioè colui che non poteva essere se non l'unico, non come erano i figli di Aronne mentre era ancor vivo il loro padre, ma come era proprio il successore di Aronne in persona. Come mai dunque è detto che era competenza solo di questo entrare nella tenda della testimonianza per officiare nelle cose sante, dal momento che sono chiamate sante anche le cose situate fuori del velo dal quale sono nascoste le cose più sante e si chiama anche tenda dell'alleanza lo spazio dove si trovano le cose sante, vale a dire la tavola (dei pani) e il candelabro? Poiché in quel luogo presso l'altare e il candelabro e lo stesso altare officiano anche i sacerdoti che li seguono, come mai si dice che deve entrare nella tenda della testimonianza per officiare nelle cose sante l'unico successore di Aronne? Se l'agiografo avesse detto: per officiare nel Santo dei santi non ci sarebbe alcun problema, poiché in esso, ove si trovava l'arca dell'alleanza, entrava solo il sommo sacerdote, come viene rilevato assai precisamente anche nell'Epistola agli Ebrei, a meno che l'espressione entrare nella tenda della testimonianza per officiare nelle cose sante, non si voglia intendere se non nel " santo dei santi " perché anch'esso è detto certamente sancta (cose sante; luogo santo). Infatti non tutte le cose che sono sante possono chiamarsi santissime; al contrario quelle santissime sono certamente anche sante. Il fatto poi che quell'unico (sacerdote) il quale una volta all'anno entrava nel Sancta sanctorum prefigurava Cristo nostro Signore è ricordato assai chiaramente dalla suddetta Lettera agli Ebrei 159. Quanto poi a ciò che è prefigurato nel Santo dei Santi, che cioè sull'arca contenente la legge ci fosse il propiziatorio, con cui si deve intendere essere figurata la misericordia di Dio che perdona i peccati di coloro che non osservano la legge, a me pare che è raffigurato anche nella veste del sacerdote; infatti di che cos'altro essa è simbolo se non dei misteri della Chiesa? Poiché nel , cioè nel razionale posto sul petto del sommo sacerdote stabilì i giudizi, nella lamina al contrario la santificazione e l'offerta per i peccati, come se il razionale fosse sul petto a somiglianza dell'arca contenente la legge, e la lamina fosse sulla fronte a somiglianza del propiziatorio posto al di sopra dell'arca, e così mediante l'una e l'altra si sarebbe osservata l'affermazione della Scrittura: La misericordia supera il giudizio 160.

L'altare purificato e santificato.

2130
(
Ex 29,37) Che significa ciò che dice la Scrittura dell'altare purificato e santificato durante sette giorni che sarà una cosa santa, assai santa? L'altare per verità non è detto il " Santo dei santi " come lo spazio separato dal velo, dove si trova l'arca della testimonianza, tuttavia si dice che anche l'altare posto al di fuori del velo diventa il santo dei santi mediante la santificazione di sette giorni più che mediante l'unzione. L'agiografo aggiunge anche: Chiunque toccherà l'altare sarà santo.

Gli anelli ai due lati dell'altare.

2131
(
Ex 30,3-4) Parlando dell'altare dell'incenso che era stato ordinato fosse rivestito non di bronzo ma d'oro, si dice: Vi farai anche due anelli d'oro puro sotto il suo orlo ricurvo, li farai dai due lati sui due suoi fianchi, poiché il testo greco ha: . Infatti significa " lati " e anche significa " fianchi " o " lati ". Ecco perché alcuni autori latini hanno tradotto: Li farai in due parti su entrambi i lati. Il testo greco però non dice che significa " parti ", ma che significa " lati ". D'altra parte questa parola si trova nel Salmo in cui sta scritto: Tua moglie sarà come una fertile vigna ai lati della tua casa 161. C'è perciò solo il caso che è differente, poiché prima è espresso l'accusativo e poi invece l'ablativo: farai (gli anelli) dai due lati (latera, accusativo), sui due lati (lateribus, ablativo). È però difficile capire qual è il senso a meno che, forse, siccome la Scrittura è solita usare l'ellissi omettendo e sottintendendo qualche parola, anche qui sia sottinteso " saranno " nel qual caso il senso sarebbe il seguente: Li farai ai due lati, saranno (fissati) sui due lati, cioè farai gli anelli ai due lati poiché saranno (fissati) sui due lati.

Gli archi per le stanghe per sollevare l'altare.

2132
(
Ex 30,4) E saranno gli archi per le stanghe per sollevarlo. Quelli che erano stati chiamati " anelli " sono chiamati archi, ma l'agiografo naturalmente dice anelli invece di manici rotondi. Ma che cos'è un anello o cerchio se non un arco circolare? Ecco perché alcuni non volendo dire arco tradussero " teche ", in cui s'introducevano le stanghe, e scrissero: e saranno le teche per le stanghe. Come se il greco non avesse potuto dire così, dal momento che anche " teca " è una parola greca; ma l'agiografo usò che significa " archi ".

L'incenso di continuità.

2133
(
Ex 30,8 Ex 10) Lo farà bruciare su di esso come incenso di continuità davanti al Signore per le loro generazioni. È detto incenso di continuità poiché doveva essere acceso continuamente, cioè non doveva essere omesso in nessun giorno. Poiché si trattava di una prescrizione relativa all'altare dell'incenso, sul quale cioè si doveva porre solo l'incenso, non l'olocausto, né il sacrificio, né la libagione, era stato comandato che si dovesse offrire quotidianamente il suddetto incenso. Adesso invece è detto: Aronne vi farà la propiziazione oppure la purificazione sopra i suoi corni una sola volta all'anno con il sangue della purificazione dei peccati. Della propiziazione viene da depropitiatio che in greco si dice . Per conseguenza si deve intendere che l'ordine di propiziare Dio una volta l'anno sui corni dell'altare dell'incenso, di cospargere cioè una volta all'anno i corni dell'altare dell'incenso con il sangue della purificazione dei peccati, quello cioè delle vittime offerte per i peccati, non fa parte dell'azione di porre l'incenso come era stato comandato fosse compiuta ogni giorno. Quell'azione infatti veniva compiuta con profumi, non con il sangue, e ogni giorno, non una sola volta all'anno. Non dobbiamo quindi pensare che il sacerdote soleva entrare una sola volta all'anno nel Santo dei santi, ma che entrava una sola volta all'anno con il sangue, ma soleva entrare proprio ogni giorno senza sangue per porre l'incenso, mentre con il sangue vi entrava una sola volta all'anno. Dobbiamo pensare così soprattutto perché è detto subito dopo: Lo purificherà una volta all'anno; è una cosa santa, santissima per il Signore. Il sacerdote dunque non doveva porre sull'altare solo una volta all'anno l'incenso che invece era stato ordinato di porre ogni giorno, ma avrebbe dovuto purificare una sola volta all'anno, atto che era stato ordinato fosse compiuto con il sangue. E dopo è aggiunta la frase: È un'azione santissima al cospetto del Signore, e perciò se il " Santo dei santi " era non all'esterno, ma all'interno del velo, certamente l'altare di cui ora si tratta, era all'interno del velo poiché era stato ordinato fosse posto dall'altra parte del velo.

Il computo dei figli d'Israele al tempo della loro ispezione.

2134
(
Ex 30,12) Che significa la frase: Se prenderai il computo dei figli d'Israele al tempo della loro ispezione, se non che è comandato che talvolta si faccia l'ispezione e il computo, cioè il censimento degli Israeliti? Si deve pensare che per questo calcolo Davide fu punito poiché Dio non glielo aveva ordinato 162.

Unzione del Sancta santorum.

2135
(
Ex 30,26-33) Bisogna considerare e sottolineare come Dio comandò di ungere con l'olio dell'unzione tutte le cose, cioè il tabernacolo e tutto ciò che era in esso e dopo saranno Sancta sanctorum. Ciò significa che tutte quelle cose saranno Sancta sanctorum dopo che saranno state unte. Bisogna quindi indagare più attentamente su quale differenza ci sia tra le cose dell'interno nascoste dal velo e tutte le altre, se tutte saranno Sancta sanctorum; questo almeno abbiamo creduto doveroso rilevare. A proposito di ciò ricorderemo anche come riguardo all'altare dei sacrifici, che dopo l'unzione Dio stabilì fosse chiamato " il Santo dei santi ", subito dopo si dice: Chiunque lo toccherà, resterà santificato 163. Ciò può intendersi in due modi e cioè: sia nel senso che uno sarà santificato toccandole, sia nel senso che uno sarà santificato in modo che gli sia lecito toccarle, pur essendo vero che al popolo non era lecito toccare il tabernacolo quando offrivano le vittime oppure venivano offerte a Dio le cose portate da loro. Il testo infatti nel seguito ammonisce che è da rivolgere non ai soli sacerdoti o leviti ciò che Dio dice a Mosè: E ai figli d'Israele parlerai in questi termini - i figli d'Israele erano naturalmente tutto quel popolo - ma viene poi comandato di dir loro: Ciò sarà per voi un olio, un unguento santo per unzione, per le vostre generazioni. Sulla carne di un uomo non sarà spalmato, e secondo questa composizione non ne farete per voi stessi; è una cosa santa e sarà una santificazione per voi. Chiunque ne farà di simile e ne darà a qualcuno di nazione straniera sarà tagliato fuori dal mio popolo. Il Signore quindi non solo ai sacerdoti ma a tutto il popolo d'Israele comandò di non confezionare un simile unguento per gli usi umani, poiché questo è ciò che significa l'espressione: non venga spalmato sulla carne dell'uomo. Proibisce dunque (agli Israeliti) di confezionare un unguento per le proprie necessità e minaccia loro la morte se qualcuno farà qualcosa di simile, cioè se confezionerà un unguento simile per i propri bisogni o ne farà parte a qualcuno di stirpe diversa. E poiché Dio comanda di dire a tutto il popolo l'affermazione: sarà santificazione per voi, non vedo in che senso può intendersi se non nel senso che era loro lecito, quando andavano ciascuno con i loro doni, toccare il tabernacolo, e toccandolo venivano santificati per mezzo di quell'olio con cui erano spalmate tutte le cose. Ecco perché è detto: Ognuno che lo tocca resterà santificato, ma non allo stesso modo dei sacerdoti, che venivano unti con lo stesso olio per compiere le funzioni sacerdotali.

Il timiama.

2136
(
Ex 30,34) Quando Dio dà l'ordine circa gli aromi con cui si deve confezionare il timiama, cioè l'incenso, e dice che dev'essere un lavoro di profumiere, cotto secondo il modo usato in profumeria, non dobbiamo pensare che si dovesse confezionare un unguento con cui ungere qualcosa, ma - come è stato detto - il timiama o incenso da porre sull'altare dell'incenso sul quale non era lecito offrire sacrifici e che era posto all'interno del Santo dei santi.

L'incenso chiamato di nuovo Santo dei santi.

2137
(
Ex 30,36) E ne frantumerai minutamente una parte e la porrai in faccia alle testimonianze, d'onde mi farò conoscere a te. L'incenso sarà per voi Santo dei santi. Ecco, questo incenso è chiamato di nuovo Santo dei santi poiché si poneva sull'altare dell'incenso che era all'interno; e tabernacolo della testimonianza è chiamata propriamente la parte più interna dov'era l'arca e la distinzione è mostrata chiaramente quando Dio dice: Donde mi ti darò a conoscere. Così aveva detto prima a proposito del propiziatorio che senza dubbio si trovava nella parte interna, cioè di là dal velo sopra l'arca.

Impiegato Beseleel alla costruzione del tabernacolo.

2138
(
Ex 31,2-3) Che cosa vuol dire che quando Dio ordinò d'impiegare Beseleel alla costruzione del tabernacolo disse che lo aveva riempito d'uno spirito divino di sapienza, d'intelligenza e di scienza in ogni specie di lavoro per progettare e realizzare le opere secondo le regole dell'architettura? Sono forse da attribuire a un dono dello Spirito Santo anche questi lavori che paiono appartenere a lavoro artigianale, oppure anche questa è un'espressione allegorica nel senso che appartiene a uno spirito divino di sapienza, d'intelligenza e di scienza ciò che è figurato da queste cose? Tuttavia anche qui, sebbene si dica che questo (artigiano) è ripieno di uno spirito divino di sapienza, d'intelletto e di scienza non si menziona ancora lo Spirito Santo.

L'alleanza tra Dio e i figli d'Israele.

2139
(
Ex 31,16-17) Che cosa vuol dire l'espressione: È un'alleanza eterna in me e nei figli d'Israele, pronunciata da Dio allorché diede l'ordine di osservare il sabato? Non dice: " tra me e i figli di Israele ". Forse perché sabato significa " riposo " e per noi il riposo si trova solo in Dio? Poiché chiama certamente " figli d'Israele " tutto il suo popolo, cioè i discendenti di Abramo. Ma c'è un Israele carnale e un Israele spirituale; poiché se dovesse essere chiamato Israele solo quello di stirpe carnale, l'Apostolo non direbbe: Guardate l'Israele carnale 164. In questo passo viene indicato naturalmente che esiste un Israele spirituale, quello che è giudeo interiormente e per la circoncisione del cuore 165. Per conseguenza è forse meglio punteggiare così: alleanza perpetua in me, in modo che l'altro senso sia: e per i figli di Israele è un segno eterno, cioè simbolo di una realtà eterna, allo stesso modo che la pietra era Cristo 166, poiché la pietra era figura di Cristo. L'espressione perciò non dev'essere unita così: alleanza eterna in me e nei figli d'Israele, come se questa alleanza fosse in Dio e nei figli di Israele, ma alleanza eterna in me - poiché in Lui è stato promesso il riposo eterno - e per i figli di Israele è un segno eterno, poiché i figli d'Israele ricevettero l'ordine di osservare il segno che prefigura il riposo eterno per i veri Israeliti, cioè per i figli della promessa 167 e per coloro che vedranno Dio faccia a faccia com'egli è 168.

Le due tavole della testimonianza.

2140
(
Ex 31,18) E appena ebbe finito di parlare con lui, sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte col dito di Dio. Sebbene Dio avesse parlato di tante cose, tuttavia sono date a Mosè due tavole di pietra, chiamate tavole della testimonianza, che avrebbero dovuto essere messe nell'arca. Naturalmente s'intende che tutte le altre cose comandate da Dio, se le esaminiamo con attenzione e le capiamo bene, dipendono dai dieci comandamenti scritti sulle due tavole, allo stesso modo che gli stessi dieci comandamenti dipendono a loro volta dagli altri due, cioè l'amore di Dio e del prossimo, dai quali dipendono tutta la legge e i Profeti 169.

Gli orecchini per fabbricare l'idolo.

2141
(
Ex 32,2) Quanto all'ordine dato (agli Israeliti) da Aronne di togliere dalle orecchie delle proprie mogli e figlie gli orecchini con cui fabbricare degli dèi per loro, non è illogico pensare che egli volle imporre loro una cosa difficile per distoglierli in tal modo da quel proposito. Tuttavia, per coloro che si rattristano quando viene comandato da Dio di fare o sopportare pazientemente qualche simile sacrificio per la vita eterna, ho creduto doveroso porre in risalto il disagio sopportato (dagli Israeliti) per il fatto di procurare tutto l'oro necessario per fabbricare l'idolo.

Adorazione del vitello d'oro.

2142
(
Ex 32,8) Dio, nell'indicare a Mosè che cosa il popolo aveva fatto con il vitello, cioè con l'idolo che si era fabbricato con il proprio oro, dice che essi avevano affermato: Ecco, o Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto uscire dal paese d'Egitto. Non si legge (in alcun passo della Scrittura) che gli Israeliti avessero fatto una simile affermazione in pubblico, ma Dio rivelò che tale era il loro sentimento. In effetti essi avevano nel loro cuore il senso di quelle parole, che non poteva restare nascosto a Dio.

Dio buono infligge dei mali ai malvagi poiché è giusto.

2143
(
Ex 32,14) E il Signore fu clemente a proposito del male che aveva detto avrebbe fatto al suo popolo. Il " male " vuol significare qui " castigo ", come nella frase: e la loro morte fu considerata un castigo 170. Secondo questo significato si dice anche il bene e il male (provengono) da Dio 171, non già nel senso di " malizia ", a causa della quale sono cattivi gli uomini. Dio infatti non è cattivo, ma infligge dei mali ai malvagi poiché è giusto.

Mosè fece a pezzi le tavole.

2144
(
Ex 32,19-20) Sembra che Mosè adirato scagliò a terra e fece a pezzi le tavole dell'Alleanza scritte dal dito di Dio; tuttavia con un forte gesto simbolico fu prefigurato il rinnovamento dell'alleanza, poiché doveva essere abolita l'antica ed essere stabilita la nuova. Si deve sottolineare però quanto si sforzò (Mosè) nel rivolgere suppliche per il popolo a Dio che si era mostrato tanto severo nel volerli castigare. Quanto poi al fatto che fece a pezzi il vitello fatto di metallo fuso, dopo averlo bruciato nel fuoco, e poi ne sparse la polvere nell'acqua che diede a bere al popolo, abbiamo già scritto in un altro passo dell'opera Contro Fausto Manicheo che cosa, a nostro modo di vedere, esso voglia simboleggiare.

Aronne si difende contro Mosè.

2145
(
Ex 32,24) Ed essi hanno dato a me (gli oggetti d'oro) e io li ho gettati nel fuoco e ne è uscito questo vitello. Aronne fa un riassunto del fatto, senza dire che era stato lui ad organizzare che venisse fatto il vitello fuso. O forse Aronne mentì per scusarsi, mosso dalla paura, dando ad intendere che era stato lui a gettare nel fuoco l'oro destinato ad essere distrutto ma, senza che egli facesse nulla era venuta fuori la forma di un vitello? Non è da credere che egli disse ciò nella sua mente, poiché non sarebbe potuto rimanere nascosto a Mosè, con il quale parlava Dio, che cosa ci fosse in un uomo e non rimproverò di menzogna il fratello.

Aronne responsabile del male del popolo.

2146
(
Ex 32,25) E Mosè, avendo visto che il popolo s'era sbandato, poiché a farli sbandare era stato Aronne, cosicché erano divenuti oggetto di gioia maligna per i loro avversari... È da osservare come tutto il male che aveva commesso il popolo, è attribuito ad Aronne per il fatto che aveva consentito loro di compiere ciò che avevano chiesto per loro danno. Si spiega infatti che a farli sbandare era stato Aronne, che permise loro di sbandarsi per aver commesso un male tanto grande.

Mosè ha chiaramente riconosciuto la gravità del peccato.

2147
(
Ex 32,31-32) Mosè dice al Signore: Te ne prego, Signore, questo popolo ha commesso un grave peccato e si sono fatti degli idoli d'oro. E ora, se tu in verità perdoni il loro peccato, perdonalo; se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto. Ciò - per la verità - lo dice con tanta sicurezza che l'argomentazione si conclude con ciò che segue, che cioè, siccome Dio non avrebbe cancellato Mosè dal suo libro, avrebbe perdonato al popolo quel peccato. Si deve tuttavia porre in risalto quanto gran male aveva chiaramente riconosciuto Mosè in quel peccato, avendo pensato che sarebbe dovuto essere espiato con una strage così grande; poiché egli tanto amava i suoi fino al punto d'intercedere per loro presso Dio con quelle espressioni.

Perché Aronne non fu castigato.

2148
(
Ex 32,35) Siccome più sopra è detto che Aronne fece sbandare il popolo, possiamo chiederci con ragione perché non si inflisse alcun castigo nei suoi confronti, né quando Mosè fece uccidere chiunque si fosse imbattuto nei Leviti armati che passavano e tornavano da una porta all'altra (dell'accampamento) 172, né quando successe poi quel che narra la Scrittura: E il Signore colpì il popolo a causa della fabbricazione del vitello che era stata fatta da Aronne; soprattutto perché anche qui è menzionato il medesimo episodio ripetendo la stessa affermazione. Infatti non si dice: E il Signore colpì il suo popolo per la fabbricazione del vitello che essi avevano fatto, ma che aveva fatto Aronne. E tuttavia non solo Aronne non fu colpito, anzi fu eseguito l'ordine che aveva dato Dio riguardo al sacerdozio di lui prima che egli commettesse quel peccato. Dio dunque diede ordine di far lavare con l'acqua non solo lui ma anche i suoi figli 173, e in tal modo ricevettero l'ordinazione sacerdotale. Dio conosce quindi chi è colui al quale egli deve perdonare finché si cambi in meglio, e chi deve risparmiare per qualche tempo sebbene preveda che non si cambierà in meglio più tardi; chi non deve risparmiare affinché diventi migliore e chi non deve perdonare di modo che non aspetta neppure che diventi migliore. Tutto questo modo di agire (di Dio) si riduce all'espressione di lode che erompe dal cuore dell'Apostolo: Quanto sono insondabili le sue decisioni e imperscrutabili le sue vie! 174.

Il merito di Mosè, in quanto fedelissimo servo di Dio, era tanto grande presso Dio per la grazia di Dio.

2149
(
Ex 33,1) Va', sali di qui tu e il tuo popolo, che hai fatto uscire dal paese di Egitto. Sembra che Dio dica: Tu e il tuo popolo che hai fatto uscire essendo adirato, altrimenti avrebbe detto: " Tu e il popolo mio, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto ". Quelli però, quando reclamarono l'idolo, dicendo: Poiché questo Mosè, quest'uomo che ci ha condotti fuori dall'Egitto, non sappiamo che cosa gli sia successo 175, avevano mancato riponendo la speranza della loro liberazione in un uomo. Ciò adesso si ritorce sdegnosamente contro di loro quando si dice: Tu e il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto; questo fatto torna a biasimo di essi, non di Mosè. Poiché Mosè non voleva altro se non che ponessero la loro speranza non in lui ma nel Signore e, con il rendergli grazie, comprendessero di essere stati liberati da quella schiavitù dalla misericordia del Signore. Tuttavia il merito di Mosè, in quanto fedelissimo servo di Dio, era tanto grande presso Dio per la grazia di Dio, che Dio gli disse: Lasciami fare; preso da una viva collera li annienterò 176. Quanto all'espressione: lasciami fare, è irragionevole pensare che sia tanto quella di uno che comanda, quanto quella di uno che supplica. Se infatti Dio avesse comandato, il servo non gli avrebbe dato retta e avrebbe disubbidito, e non sarebbe stato confacente che Dio chiedesse ciò al suo servo, come per favore, soprattutto perché avrebbe potuto annientarli anche se il servo non lo avesse voluto. È quindi chiaro come il sole il senso di questa frase, che cioè con queste parole Dio fece capire che presso di lui giovava moltissimo al popolo il fatto che erano tanto amati da quel personaggio, a sua volta tanto amato dal Signore, affinché in quel modo fossimo avvertiti che, quando i nostri peccati ci opprimono al punto di non essere amati da Dio, possiamo essere risollevati presso di Lui dai meriti di coloro che egli ama. Quando infatti l'Onnipotente dice a un uomo: Lasciami fare e li annienterò, che cos'altro dice se non: " Li distruggerei, se non fossero amati da te "? È detto dunque: lasciami fare, come se fosse detto: " Non amarli ", e li annienterò, poiché il tuo amore per essi m'impedisce di farlo. Si sarebbe però dovuto ubbidire al Signore che avesse detto: " Non amarli " se l'avesse detto comandandolo e non piuttosto dando un avvertimento e facendo capire chiaramente che cosa lo distoglieva dal castigarli con l'estremo supplizio. Ma tuttavia, pur essendosi interposto Mosè, Dio non lasciò il popolo senza infliggergli la pena del castigo. Poiché non so in qual modo Dio, il quale così chiaramente li atterriva con la sua voce, pure li amava in modo misterioso perché Mosè li amasse in quella maniera.

Dio è reso propizio e salvatore dall'umiltà e dall'amore.

2150
(
Ex 33,1-3) Quando Dio dice a Mosè: Va', sali di qui tu e il tuo popolo che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, verso il paese a proposito del quale ho fatto giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Lo darò ai vostri discendenti, immediatamente dopo, come se parlasse ancora a Mosè, con un occulto rivolgimento che in greco è detto , si rivolge allo stesso popolo dicendo: E invierò anche il mio angelo davanti a te, e scaccerà il Cananeo e l'Amorreo, il Ketteo, il Ferezeo, il Gergeseo, l'Eveo e il Gebuseo e ti farà entrare nel paese che produce in abbondanza latte e miele. Poiché io non salirò con te, giacché sei un popolo dalla dura cervice, per paura di sterminarti durante il viaggio. È un mistero insondabile e meraviglioso pensare che potesse avere una misericordia più grande di quella del Signore un angelo il quale avrebbe perdonato un popolo dalla dura cervice mentre, se fosse stato con loro, Dio non li avrebbe perdonati. Tuttavia Dio, pur essendo in certo modo lontano da loro, lui che in nessun luogo può essere assente, afferma di compiere, anche mediante il suo angelo, ciò che aveva giurato ai loro padri, mostrando, a quanto pare, anche in questo caso di agire così poiché lo aveva promesso a quei santi Patriarchi e non perché ne fossero degni costoro. Che cosa dunque volle Dio far capire se non forse che egli non è con essi perché sono di dura cervice, poiché non lo rende propizio e salvatore se non l'umiltà e l'amore? Quando poi si dice che Dio è con persone di dura cervice, non vuol dire altro che è presente per correggerle e per punirle; quando perciò Dio non è presente ai cattivi a quel modo, lo fa perdonandoli. È conforme a ciò l'espressione (del salmista): Distogli lo sguardo dai miei peccati 177, poiché se lo distoglie li distrugge, come infatti fonde la cera di fronte al fuoco, così periscano i peccatori di fronte a Dio 178.

Mosè non vedeva Dio come desiderava vederlo.

2151
(
Ex 33,12-13) E Mosè disse al Signore: Ecco, tu mi dici: Guida questo popolo, ma tu non mi hai indicato chi manderai con me. Tu però mi hai detto: Io ti conosco più di tutti e possiedi grazia presso di me. Se dunque ho trovato grazia davanti a te, móstrati a me; che io ti veda in modo chiaro per essere nella condizione d'aver trovato grazia davanti a te e per sapere che questa nazione è il tuo popolo. L'avverbio che ha il testo greco alcuni autori latini l'hanno tradotto manifeste (chiaramente), sebbene la Scrittura non dica (manifestamente, chiaramente). Si sarebbe potuto dunque tradurre forse più precisamente: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrati a me di persona, che io ti veda in modo da poterti conoscere. Con queste parole Mosè mostra assai chiaramente che pur nella gran familiarità con cui vedeva Dio faccia a faccia non lo vedeva come desiderava vederlo, poiché tutte le visioni ch'erano concesse allo sguardo dei mortali e dalle quali si formava un suono da cui era percosso l'udito mortale, si presentavano nella figura che Dio assumeva a suo volere, di modo che in esse, mediante alcun senso del corpo, non si percepiva la natura propria di Dio, ch'è intera ma invisibile dappertutto e non è contenuta in alcun luogo. E poiché da due precetti, cioè dall'amore verso Dio e verso il prossimo, dipende tutta la legge 179, perciò Mosè mostrava il suo desiderio con l'uno e con l'altro, cioè con l'amore verso Dio quando diceva: Se ho trovato grazia presso di te móstrati a me nella natura tua propria, che io ti veda chiaramente, affinché io sia nella condizione d'aver trovato grazia ai tuoi occhi, e con l'amore verso il prossimo quando diceva: e affinché io sappia che questa nazione è il tuo popolo.

Dio conosce le cose che gli piacciono e ignora quelle che gli dispiacciono.

2152
(
Ex 33,17) Che cosa significa ciò che dice Dio a Mosè: Perché ti conosco più di tutti? Conosce forse Dio alcune cose di più e altre di meno? Oppure il senso è conforme a quello della frase del Vangelo rivolta ad alcuni: Io non vi conosco 180? Dio dunque conosceva Mosè, più di tutti, poiché Mosè piaceva a Dio più di tutti, conforme alla conoscenza per la quale si dice che Dio conosce le cose che gli piacciono e non conosce quelle che gli dispiacciono, non perché le ignori, ma perché non le approva, come si dice che l'arte non conosce i difetti, sebbene li faccia vedere.

Non tutto ciò di cui Dio parlò con Mosè è stato scritto.

2153
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Ex 33,12 Ex 17) Deve forse mettersi in rilievo il fatto che era stato proprio Mosè a dire prima a Dio: Tu mi hai detto: Ti conosco più di tutti? Così si legge che gli disse Dio dopo che Mosè aveva detto così a Dio, ma prima non si legge affinché comprendiamo che non tutto ciò di cui Dio parlò con lui è stato scritto. Ma si deve indagare con maggior diligenza nei passi precedenti della Scrittura, se realmente la cosa sta così.

Una grande profezia.

154
(
Ex 33,14-23) Avendo Mosè detto al Signore: Mostrami la tua gloria, il Signore gli rispose: Io passerò davanti a te con la mia gloria e proclamerò il mio nome di Signore davanti a te. E avrò pietà di chi l'avrò e userò misericordia con chi la userò, sebbene poco prima avesse detto: Io stesso andrò davanti a te e ti farò riposare. Pare che Mosè intendesse l'affermazione nel senso che Dio non sarebbe stato presente presso di lui e del popolo e perciò disse: Se non verrai tu stesso con noi, non mi far salire di qui, ecc. Dio però non gli rifiutò neppure questo dicendo: Anche questa cosa che mi hai chiesta ti farò. Come mai dunque, avendogli Mosè detto: Mostrami la tua gloria, si legge di nuovo che Dio manifesta la sua volontà di precederlo ma nello stesso tempo di non essere con loro: Io passerò davanti a te, se non perché significa un'altra cosa? Senza dubbio si comprende in senso mistico che qui parla e dice: Passerò davanti a te colui del quale il Vangelo dice: Essendo giunto il momento in cui Gesù sarebbe passato da questo mondo al Padre 181; un tale passaggio suole essere interpretato anche come la " pasqua ". Si tratta dunque di una profezia assolutamente grande. Poiché il Cristo passò da questo mondo al Padre prima di tutti i fedeli servi di Dio per preparare loro il posto nel Regno dei cieli, posto che darà loro alla risurrezione dei morti, poiché egli, che sarebbe passato davanti a tutti, divenne il primo risuscitato dai morti 182.

154. 2. Dio invece pone in gran rilievo la sua grazia per il fatto stesso che dice: E chiamerò con il nome di Signore davanti a te, come se lo facesse davanti al popolo d'Israele, del quale, ascoltando ciò, Mosè era la figura. Cristo infatti è chiamato Signore tra tutti i popoli davanti a quello stesso popolo disperso in ogni luogo. L'agiografo poi dice: Chiamerò e non sarò chiamato, usando la forma attiva invece di quella passiva del verbo con un'espressione di genere insolito, nella quale è nascosto senza dubbio un importante significato. Egli volle forse indicare che è lui in persona a fare ciò, vale a dire che avviene per sua grazia che il Signore sia chiamato così tra tutti i popoli.

154. 3. Riguardo invece a ciò che Dio soggiunge: Avrò pietà di chi vorrò e userò misericordia verso chi l'userò, Dio mostra sicuramente più chiaramente che la chiamata con cui Dio ci chiama al suo Regno e alla sua gloria non è dovuta ai nostri meriti ma alla sua misericordia. Poiché Dio prometteva d'introdurre i pagani (nel suo Regno) dicendo: Chiamerò nel nome del Signore al tuo cospetto c'insegnò che agisce così mosso da misericordia, come afferma l'Apostolo: Sì, dico che Cristo si è fatto ministro dei circoncisi per (dimostrare) la fedeltà di Dio, per compiere le promesse (fatte) ai Patriarchi e perché i pagani glorifichino Dio per la sua misericordia 183. Questo infatti era stato predetto: Avrò pietà di chi avrò pietà e userò misericordia con chi la userò. Con queste parole impedì all'uomo di vantarsi dei suoi meriti come di virtù sue proprie affinché chi si vanta, si vanti nel Signore 184. Il Signore infatti non dice: Avrò pietà di quelli o quelli, ma: di chi avrò pietà per mostrare che nessuno ha meritato la misericordia d'una sì grande chiamata con le proprie buone opere antecedenti. Cristo, infatti, è morto per gli empi 185.

154. 4. Ma non so se Dio volle ripetere la medesima cosa quando soggiunse: Avrò misericordia di chi avrò misericordia - oppure, come hanno tradotto altri, di chi avrò pietà - o ci sia una differenza. Poiché ciò che nella lingua greca è espresso con due verbi, cioè (avrò pietà) e (compiangerò; avrò compassione) - che pare significhino un'identica cosa - il traduttore latino non poté esprimerlo con due verbi distinti e perciò ripeté il medesimo concetto di misericordia in due maniere diverse. Se invece fosse stato detto: " Avrò pietà di chi ho pietà e avrò pietà di chi ho pietà " o "avrò pietà di chi avrò avuto pietà " non sembrerebbe detto molto bene. Tuttavia è più attendibile che in quella ripetizione il senso sia lo stesso poiché con questa ripetizione o Dio ha voluto mostrare la fermezza della stessa sua misericordia - come quando si dice: Amen, amen o Fiat, fiat, o come il duplice sogno del Faraone e come tante altre cose simili - o Dio in questo modo predisse che avrebbe usato misericordia per entrambi i popoli, cioè per i pagani e per gli Ebrei. L'Apostolo così parla di ciò: Poiché allo stesso modo che voi nel passato non avete creduto a Dio ma ora avete ottenuto misericordia a causa della loro incredulità, così anch'essi non hanno creduto neppure adesso, tenendo conto della misericordia usata con voi, affinché ottengano anch'essi misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti gli uomini nell'incredulità per aver misericordia di tutti 186.

154. 5. In seguito, dopo aver messo in rilievo la sua misericordia, Dio risponde alla richiesta che gli era stata fatta: Mostrami la tua gloria, o a ciò che gli aveva chiesto Mosè dicendo: Móstrati in persona a me; possa io vederti chiaramente 187. Tu non potrai vedere il mio volto - gli risponde - poiché nessuno potrà vedere il mio volto e vivere, facendo capire che a questa vita, che si vive mediante i sensi mortali della carne corruttibile, Dio non può mostrarsi come è, vale a dire che può essere visto come è (solo) nella vita, per vivere nella quale si deve morire a quella di quaggiù.

154. 6. Parimenti, dopo un inciso interposto nel racconto della Scrittura, cioè: E il Signore disse, Dio continua e dice (a Mosè): Ecco un luogo vicino a me. Ma quale luogo non è vicino a Dio il quale non è assente da nessun posto? Dicendo: Ecco un luogo vicino a me, Dio raffigura dunque la Chiesa, proclamandola in un certo senso come suo tempio; e starai - disse - sulla roccia (poiché su questa roccia, dice il Signore, edificherò la mia Chiesa 188) appena passerà la mia gloria, cioè: "Appena passerà la mia gloria starai sulla roccia ", poiché dopo il passaggio di Cristo, cioè dopo la passione e risurrezione di Cristo il popolo fedele stette sulla roccia. E io ti metterò - soggiunse - in una caverna della roccia: questa espressione significa un riparo assai saldo. Altri hanno invece tradotto: nella vedetta della roccia, ma il testo greco ha , che più esattamente si traduce " fenditura " o " caverna ".

154. 7. E io ti proteggerò con la mano su di te finché io non sia passato. E io ritirerò la mia mano e allora tu vedrai il mio dorso, ma il mio volto non sarà visto da te. Dato che Dio aveva già detto: Starai sulla roccia appena sarà passata la mia gloria - affermazione da intendere nel senso che Dio promise la stabilità sulla roccia dopo il proprio passaggio - in che senso deve intendersi l'asserzione che suona: Ti metterò in una caverna della roccia e ti proteggerò con la mia mano posta su di te, finché io non passi; poi ritirerò la mia mano e allora vedrai il mio dorso? Significa forse che Dio protegge Mosè con la sua mano su di lui una volta stabilito sulla roccia, non potendo stare in piedi sulla roccia se non dopo il suo passaggio? Qui però deve intendersi come una ricapitolazione di un particolare omesso, di cui la Scrittura suole servirsi in molti passi. In realtà essa riferisce dopo ciò che precede nella successione del tempo. Questa successione disposta con ordine è la seguente: Ti proteggerò con la mia mano su di te finché io non sia passato, e allora tu vedrai il mio dorso, poiché da te non sarà visto il mio volto; e starai sulla roccia appena passerà la mia gloria e ti metterò in una caverna della roccia. Ciò infatti avvenne a proposito di coloro ch'erano rappresentati da Mosè, cioè degli Israeliti, i quali - come raccontano gli Atti degli Apostoli - credettero in seguito, cioè appena era passata la sua gloria 189. Infatti dopo che il Signore risuscitò dai morti e ascese in cielo, poiché gli Apostoli parlavano nelle lingue di tutti i popoli per un dono dello Spirito Santo inviato dal cielo, molti di coloro, che avevano crocifisso Cristo, si sentirono come trafiggere il cuore. Siccome non lo avevano riconosciuto e avevano crocifisso il Signore della gloria, avvenne un accecamento d'una parte d'Israele 190, come era stato detto: Ti coprirò con la mia mano su di te, finché io non sia passato. A proposito di ciò un Salmo dice: Poiché giorno e notte ha pesato su di me la tua mano 191, denotando con " giorno " il tempo in cui Cristo compiva miracoli divini, con " notte " il momento in cui Cristo moriva come uomo, allorché rimasero titubanti coloro che durante il " giorno " avevano creduto. Questo dunque è il significato dell'espressione: Quando sarò passato, allora vedrai il mio dorso. Quando sarò passato da questo mondo al Padre, in seguito crederanno in me coloro dei quali tu sei la prefigurazione. Allora dunque come trafitti nel cuore dissero: Che cosa dovremo fare? Gli Apostoli allora li esortarono a cambiare mentalità e a farsi battezzare nel nome di Gesù Cristo, affinché fossero loro rimessi i loro peccati 192. Nel Salmo succitato, dopo le parole: giorno e notte ha pesato su di me la tua mano - cioè: Poiché non mi conoscevano; se infatti lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso mai il Signore della gloria 193 - continua e soggiunge: sono caduto in una travagliosa tristezza mentre mi si conficcava una spina 194, cioè: essendo compunto nel cuore. Di poi aggiunge: Ho riconosciuto il mio peccato e non ho tenuto nascosto il mio delitto 195; dopo che ebbero visto con quanto grave peccato avevano crocifisso il Cristo. E poiché avevano accolto il consiglio (degli Apostoli) di cambiare la loro mentalità e di ricevere la remissione dei peccati mediante il battesimo, confesserò - dice - al Signore contro di me il mio peccato, e tu hai perdonato l'empietà del mio cuore 196.

154. 8. Inoltre il fatto stesso mostra bene che ciò di cui il Signore parlava con Mosè era una profezia, dal momento che non si legge che, dopo ciò, succedesse alcun fatto che fosse in relazione con la roccia, con la caverna sita nella roccia, o con l'imposizione della mano di Dio, o con la visione del suo dorso. La Scrittura infatti, subito dopo aver introdotto un inciso, aggiunge: e il Signore disse a Mosè, sebbene il Signore in persona parlasse certamente anche delle cose precedenti. E in seguito espone che cosa dice poi il Signore: Tàgliati due tavole di pietra come le prime 197, ecc..

Che vuol dire: Non purificherà il colpevole.

2155
(
Ex 34,7) Che cosa vuol dire l'espressione che a proposito di Dio afferma: Non purificherà il colpevole, se non: " Non lo dichiarerà innocente "?

Significato di: Davanti al tuo popolo.

2156
(
Ex 34,10) Dio, sul monte ove si accingeva a scrivere di nuovo le due tavole della legge, dice tra l'altro a Mosè: Davanti a tutto il tuo popolo farò azioni gloriose. Ancora non si degna di dire: " Davanti a tutto il mio popolo ". O dice forse al tuo popolo come se lo dicesse a qualunque persona del medesimo popolo, cioè " al popolo al quale tu appartieni ", così come diciamo " alla tua città ", non " alla città di cui hai il dominio e che tu hai fondato, ma di cui sei cittadino "? Così infatti dice anche poco dopo: Tutto il popolo tra cui ti trovi. In altri termini, che vuol dire quell'espressione se non " il tuo popolo "? Quanto al fatto che (in detta espressione) non è detto " nel quale ti trovi ", si tratta di una locuzione abituale.

Un modo inusitato di parlare.

2157
(
Ex 34,12) Che cosa significa ciò che è detto a Mosè: Bada bene che non stabilisca mai un'alleanza con coloro che sono insediati nel paese? Poiché il testo greco non ha " non stabilire mai ", ma che non stabilisca mai. Voleva forse Dio parlargli del popolo, del quale Mosè era il capo? Non fu però lui a condurre il popolo nel paese in cui Dio proibisce di stabilire un'alleanza con coloro che lo abitavano. Si tratta pertanto di uno strano modo di parlare che ancora non si è presentato ai nostri occhi o al quale non abbiamo fatto attenzione, se pure è un modo di dire e non un'espressione di significato speciale.

Dio non lascia impunita l'infedeltà.

2158
(
Ex 34,13-15) Allorché Dio, parlando a Mosè, ordinava che, una volta concesso il paese in possesso, fosse distrutta ogni forma d'idolatria e non fossero adorati gli dèi stranieri, disse: Poiché il Signore Dio ha per nome " Geloso ", è un Dio geloso, cioè: il nome stesso con cui si denota il Signore Dio è " Geloso ", ha una cura gelosa, poiché Dio è geloso. Non per il turbamento del difetto umano agisce così Dio, sempre e assolutamente immutabile e tranquillo, ma con questa espressione mostra che non lascia impunita l'infedeltà del suo popolo qualora adorasse gli dèi stranieri. L'espressione è presa infatti nel senso tropologico metaforico della gelosia del marito con cui sorveglia la castità della moglie, cosa che giova a noi, non a Dio. Chi mai in realtà potrebbe recar danno a Dio con una tale specie di adulterio? Reca invece un danno gravissimo a colui stesso (che lo compie) portandolo alla perdizione. Dio proibisce, incutendo un gravissimo terrore, una tale infedeltà chiamandosi " Geloso "; a lui viene detto nel Salmo: Tu farai perire ogni fornicatore lontano da te; per me invece è un bene essere vicino a Dio 198. Infine il testo prosegue dicendo: Non stabilire per caso alleanza con quelli che sono insediati nel paese, perché non si prostituiscano al seguito dei loro dèi.

Non presentarsi al Signore a mani vuote.

2159
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Ex 34,20) Che vuol dire: Non ti presenterai davanti a me a mani vuote? Come mostrano le cose del contesto, delle quali Dio parla, disse davanti a lui il presentarsi nella sua tenda-santuario. Non presentarti davanti a lui a mani vuote, significa infatti: non entrerai mai senza alcuna offerta. Ciò inteso in senso mistico è un gran mistero. Ma queste cose erano dette sotto le ombre dell'allegoria.

Il riposo del sabato è doveroso in ogni stagione.

2160
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Ex 34,21) Avendo dato il comandamento del riposo nel sabato, che cosa vuol dire l'espressione aggiunta subito dopo e cioè: Durante la semina e la mietitura riposerai? Pare che significhi: al tempo della semina e della mietitura. O forse Dio comandò l'osservanza del riposo sabbatico in modo che non ne siano scusate nemmeno le stagioni in cui ai contadini è assai necessario lavorare per il vitto e per la vita? Fu comandato dunque di riposarsi il sabato anche al tempo della semina e della mietitura quando il bisogno di lavorare è molto impellente. E così con il riferimento a tali tempi che esigono un lavoro assai intenso è indicato che il riposo del sabato è doveroso in ogni stagione.

Il luogo dove presentarsi davanti al Signore.

2161
(
Ex 34,24) L'espressione: Nessuno bramerà la tua terra quando salirai per presentarti davanti al Signore Dio tuo, in tre momenti dell'anno, vuol dire che chiunque sarebbe potuto salire senza essere preoccupato riguardo alla propria terra per il fatto che Dio prometteva di sorvegliare affinché nessuno bramasse qualcosa di essa, per (assicurare) colui che saliva (al tempio) di non temere di allontanarsi dalla sua terra. E qui si mostra assai chiaramente che cosa volesse dire prima: Non ti presenterai davanti al Signore tuo Dio a mani vuote 199, poiché quest'ordine si riferiva al luogo ove Dio avrebbe avuto la sua tenda o il suo tempio.

Parole misteriose.

2162
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Ex 34,25) Che cosa vuol dire la frase: Non immolerai sopra il pane fermentato il sangue delle mie vittime sacrificali?. Chiama forse in questo passo " sue vittime sacrificali " quelle che vengono immolate a Pasqua e prescrive che allora in casa non ci sia pane fermentato poiché sono i giorni degli azzimi?

La carne dell'agnello sia completamente consumata.

2163
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Ex 34,25) Che cosa vuol dire la frase: E l'immolazione della solennità della Pasqua non dormirà fino al mattino (seguente), se non ciò che più sopra aveva prescritto chiaramente, cioè che nulla delle carni dell'agnello immolato rimanesse fino al mattino seguente. Ma l'oscurità della frase deriva dall'espressione idiomatica (dell'ebraico), poiché il testo dice: dormirà per " resterà ".

Un'importante profezia relativa a Cristo.

2164
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Ex 34,26) Non farai cuocere un capretto nel latte della sua madre. Ecco, torna a dire un'altra volta ciò che non so in che senso possa intendersi. Tuttavia si tratta di un'importante profezia relativa a Cristo tanto nel caso che potesse realizzarsi effettivamente quanto soprattutto nel caso che non potesse avverarsi. Nelle parole di Dio infatti non tutto si deve ricondurre all'essere proprio delle cose, come è il caso della roccia, della sua caverna e delle mani (di Dio) poste (su Mosè) 200. Ma dalla fedeltà del narratore si deve sicuramente esigere che quanto dice essere avvenuto sia accaduto realmente e le cose che dice essere state dette siano state dette veramente. Ciò si esige anche dagli autori dei Vangeli; in realtà, sebbene essi narrino che Cristo disse alcune cose esprimendosi in parabole, tuttavia il fatto che Cristo disse quelle cose non è una parabola, ma è un racconto storico.

Quando Mosè digiunò per quaranta giorni.

2165
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Ex 34,28) E Mosè rimase lì, davanti al Signore, quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. Ciò che l'agiografo aveva detto anche prima, quando Mosè ricevette le tavole (della legge) che poi spezzò, lo ripete anche adesso non ricapitolando ciò che era avvenuto, ma menzionando un fatto che era successo un'altra volta. Abbiamo già detto che cosa significhi la ripetizione della legge 201. Quanto poi all'espressione: non mangiò pane e non bevve acqua significa " digiunò ", poiché la Scrittura indica la parte per il tutto, cioè con il vocabolo " pane " indica ogni specie di cibo e con quello di " acqua " ogni specie di bevanda.

Mosè scrisse la legge sulle tavole.

2166
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Ex 34,27-28 Ex 1) E (Mosè) scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole. A proposito di Mosè, al quale Dio poco prima aveva detto: Scrivi per te queste parole, è detto che le scrisse lui stesso. Al contrario, la prima volta che ricevette la legge, le tavole della quale gettò via e infranse, l'agiografo non disse né che fu lui a tagliare le tavole di pietra, come ora è detto: Taglia per te due tavole di pietra, né gli fu detto che scrivesse, come gli viene detto adesso, né si narra che le scrivesse come ora narra la Scrittura e dice: Scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole. Allora invece l'agiografo disse: E, appena cessò di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole dell'alleanza scritte mediante il dito di Dio 202; e poco dopo dice: E Mosè tornò indietro e discese dalla montagna con in mano le due tavole dell'alleanza, le tavole di pietra scritte sui due lati, scritte da una parte e dall'altra, le tavole inoltre erano l'opera di Dio e la scrittura incisa sulle tavole era scrittura di Dio 203. Sorge quindi un difficile problema: sapere cioè in che senso si dice che le (prime) tavole che - come Dio sapeva di certo in precedenza - Mosè aveva spezzato, sono opera non di un uomo bensì di Dio, e non furono scritte da un uomo bensì da Dio con il dito di Dio; in che senso al contrario è detto che le tavole successive, pur destinate a durare tanto tempo e, per ordine di Dio, destinate a restare tanto tempo nel tabernacolo e nel tempio di Dio, tuttavia furono tagliate da un uomo e scritte anche da un uomo. Nelle prime era forse prefigurata la grazia di Dio, non l'opera di un uomo, grazia della quale si resero indegni (gli Ebrei) per il fatto che ebbero nostalgia dell'Egitto e si fabbricarono l'idolo - per la qual cosa si trovarono privi di quel beneficio e Mosè quindi infranse le tavole - mentre, al contrario, nelle tavole successive erano simboleggiati coloro che si vantavano delle opere proprie - per la qual cosa l'Apostolo afferma: Ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire quella propria, non si sono sottoposti alla giustizia di Dio 204 - e perciò furono date tavole tagliate e scritte per opera dell'uomo, che rimanessero con gli uomini per prefigurare coloro che si sarebbero vantati delle proprie opere e non del dito di Dio, cioè dello Spirito di Dio?

166. 2. La reiterazione della legge dunque prefigura senza dubbio la nuova alleanza - l'antica alleanza era rappresentata dalla prima legge, le cui tavole furono perciò infrante e la legge fu abolita - soprattutto poiché quando la legge è data la seconda volta, viene data senza alcun terrore come invece lo fu la prima volta in mezzo a un sì gran fragore di lampi, di nubi e di trombe; atterrito da quei fenomeni il popolo disse: Non ci parli Dio, per non morire 205. Per conseguenza qui viene indicato che nell'antica alleanza c'è il timore, nella nuova l'amore. In qual modo dunque si risolve il problema seguente, vale a dire: perché le prime tavole erano opera di Dio, le successive invece opera d'un uomo, quelle scritte con il dito di Dio, queste invece scritte da un uomo? È forse perché nelle prime tavole era figurata soprattutto l'antica alleanza per il fatto che Dio in esse aveva scritto i comandamenti ma l'uomo non li osservò? Nell'antica alleanza infatti fu stabilita la legge per convincere i trasgressori; essa subentrò perché si moltiplicassero i peccati 206. In realtà la legge non poteva essere adempiuta con il timore perché può essere adempiuta solo con l'amore. Si chiama quindi opera di Dio poiché a stabilirla fu Dio, a scriverla fu Dio, non fu opera dell'uomo, poiché l'uomo non ubbidì a Dio e così la legge lo rese piuttosto uno schiavo. Quando invece si tratta delle seconde tavole è l'uomo a farle e a scriverle con l'aiuto di Dio, poiché è l'amore soprannaturale che adempie la legge. Ecco perché il Signore dice: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a compierla 207, e l'Apostolo afferma: Pienezza della legge è la carità 208 e: La fede che agisce per mezzo dell'amore 209. E così ciò che nell'antica alleanza era difficile fu reso facile nella nuova alleanza all'uomo che ha la fede, che agisce mediante l'amore con l'aiuto del dito di Dio, cioè nello Spirito di Dio che la scrive nell'interno, nel cuore, non fuori nella pietra. L'Apostolo perciò dice: Non su tavole di pietra ma sulle tavole carnali del cuore 210, poiché la carità di Dio, mediante la quale davvero si adempie il precetto, è riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 211. Si tratta dunque di questo: dapprima fu data la legge - in cui è figurata l'antica alleanza, che è opera solo di Dio e scritta dal dito di Dio - riguardo alla qual cosa l'Apostolo dice: E così la legge, a dire il vero, è santa, e santo, giusto e buono è il comandamento 212. La legge santa e buona è dunque opera di Dio, per la quale l'uomo non fa nulla, poiché non la osserva, ma a causa della colpa è piuttosto oppresso dalla legge che minaccia e condanna: Il peccato, infatti - dice l'Apostolo - per mostrarsi come peccato per mezzo di una cosa buona mi causò la morte 213. L'uomo però è felice, quando il comandamento santo, giusto e buono è anche opera sua, ma per grazia di Dio.

Fu Dio a ordinare le cose da fare.

2167
(
Ex 35,1) Dopo che Mosè discese dal monte con le altre tavole della legge, dopo essersi messo un velo sul volto a causa dello splendore che ne emanava, che i figli d'Israele non potevano guardare, disse: Queste sono le parole che il Signore ha detto di fare. È espresso in modo ambiguo se a farle (facere ea) sia lo stesso Signore oppure quelli; è però chiaro che sono quelli, poiché fu Dio a ordinare quali cose erano da fare. Ma forse la frase è espressa in modo che potesse essere intesa in un senso e nell'altro, poiché a fare è Dio quando aiuta coloro che le fanno, secondo quanto dice l'Apostolo: Con timore e trepidazione datevi da fare per la vostra salvezza, poiché è Dio che per la sua benevolenza vi fa capaci di volere e di agire 214.

Nell'offerta uno toglie a se stesso qualcosa per offrirla a Dio.

2168
(
Ex 35,24) Chiunque portava offerte, presentava argento e rame come offerte al Signore. È come se dicesse: " Chiunque portò, portò questo o quello, tra le altre cose riferite menzionando l'argento e il rame ". Gli scrittori latini tradussero per vero demptionem (offerta di prelievo) il termine del testo greco. Infatti (l'offerta di prelievo) è chiamata demptio per il fatto che uno toglie a se stesso qualcosa per offrirla a Dio.

Dio ha preparato Beseleel al suo compito.

2169
(
Ex 35,30-32) Nel suo racconto Mosè, con le medesime e altrettante parole menziona ciò che Dio gli aveva detto a proposito di Beseleel, che cioè Dio lo aveva riempito di uno spirito divino di abilità, d'intelligenza e di scienza, per eseguire le opere della tenda-santuario che sono di competenza delle conoscenze tecniche degli artigiani. Abbiamo già detto il nostro parere su questo particolare 215. Ma ho reputato opportuno ricordare adesso questo medesimo particolare, poiché non è stato ripetuto invano con le medesime precise parole con le quali prima era stato comunicato a Mosè dal Signore. Ma qui è presentata in un modo affatto insolito come tecnica architettonica quella degli artigiani che lavorano l'oro e l'argento e qualunque altro metallo, mentre si suole chiamare " architettonica " quella relativa alla costruzione degli edifici.

L'animo di chi offre spontaneamente il proprio lavoro.

2170
(
Ex 36,2-3) (Mosè chiamò) anche tutti coloro che spontaneamente volessero andare a (intraprendere) i lavori per portarli a termine e presero da Mosè tutte le offerte. Mosè aveva fatto conoscere quali opere il Signore aveva ordinato fossero compiute, cioè la tenda-santuario con tutte le cose che dovevano esserci dentro e le vesti sacerdotali 216. Menzionò poi alcuni ai quali disse che era stato dato da Dio uno spirito mediante il quale avrebbero potuto eseguirle; e tuttavia si vede che a eseguire quelle opere andarono coloro ai quali non era stato dato alcun ordine né sono stati menzionati i loro nomi indicati dal Signore a Mosè. Non ebbero dunque questo dono da Dio soltanto coloro che sono menzionati per nome, ma forse lo ebbero in modo particolare e più eccellente. A proposito di questi si deve infatti lodare l'animo, non trascinato al lavoro come uno schiavo, ma offertosi da uomo libero e spontaneamente.

I saggi esecutori dei lavori del santuario.

2171
(
Ex 36,4-5) Si deve osservare che coloro i quali sono chiamati " saggi ", esecutori dei lavori (del luogo) santo, per i loro costumi erano anche talmente onesti che, siccome prendevano tutte le cose che il popolo offriva ritenendole necessarie per compiere tutti quei lavori e vedevano che veniva offerto più di quanto era necessario, lo dissero a Mosè, questi allora fece intimare dal banditore al popolo di non fare più alcuna offerta. Quei saggi avrebbero potuto sottrarre molte cose se lo avessero voluto ma non lo fecero trattenuti dalla moderazione o impauriti da scrupoli religiosi.

Mosè parlò al popolo sull'osservanza del sabato.

2172
(
Ex 35,1-19) Dopo che Mosè discese dal monte sono menzionati i lavori necessari per la costruzione della tenda-santuario e la confezione degli indumenti sacerdotali; ma prima di prescrivere alcunché riguardo al modo di eseguirli, Mosè parlò al popolo sull'osservanza del sabato. A questo proposito non a torto si resta imbarazzati non comprendendo per quale motivo Mosè, dopo essere disceso dal monte, ricorda al popolo soltanto l'osservanza del sabato dopo aver ricevuto per la seconda volta le dieci parole della legge sulle tavole tagliate e scritte proprio da lui. Se infatti era inutile che il popolo ascoltasse di nuovo i dieci comandamenti, per qual motivo non era inutile che sentisse parlare del sabato, dal momento che anche questo si legge nei medesimi dieci comandamenti? Forse anche ciò è simile al velo con il quale egli copriva il suo volto poiché i figli di Israele non potevano sopportarne lo splendore 217? Poiché dei dieci comandamenti ordinò al popolo d'osservare questo solo precetto che nelle tavole è prescritto in senso figurato. Quanto agli altri nove comandamenti non dubitiamo affatto che siano da osservare anche nella nuova alleanza così come sono formulati e prescritti nelle tavole della legge. Il solo comandamento del sabato era coperto da un velo agli occhi degli Israeliti a causa dell'osservanza del settimo giorno allegoricamente raffigurata e fu imposto per un significato simbolico, ed era raffigurato simbolicamente per una vera e propria disposizione salvifica di Dio fino al segno che oggi non è osservato da noi, ma ne vediamo solo il simbolismo. Ora in quel riposo in cui è comandato che non abbiano luogo le opere servili c'è una grande profondità della grazia di Dio. In effetti le opere buone si compiono col riposo quando la fede agisce mediante la carità 218, mentre al contrario la paura porta con sé una tormentosa sofferenza, ma nella sofferenza quale riposo può esserci? Ecco perché nella carità non c'è la paura 219; la carità poi è stata versata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 220. Ecco perché il sabato è un riposo santo per il Signore; ciò vuol dire che esso è da attribuirsi alla grazia di Dio, non a noi come se provenisse da noi. In caso contrario le nostre opere saranno da considerarsi solo umane oppure peccati, ovverosia compiute con la paura, non con l'amore, e perciò opere da schiavi senza riposo. La pienezza del sabato invece si troverà nel riposo eterno. Poiché non senza ragione è stato stabilito il "Sabato dei sabati " 221.

L'unzione santificatrice del santuario.

2173
(
Ex 40,9-10) Più sopra quando Dio parlò dell'unzione della tenda-santuario, disse che mediante la medesima unzione venivano santificate tutte quelle cose e diventavano Sancta sanctorum 222. Aveva detto poi che l'altare degli olocausti, santificato con la medesima unzione diventava il " Santo dei santi " 223. E tutta la differenza sembrava consistere in ciò che la denominazione di " santo dei santi " si applicava a ciò che era separato dal " santo ", lo spazio separato solo dal tendaggio, quello cioè ove era l'arca dell'alleanza e l'altare dell'incenso. Ora invece, ripetendo le medesime cose, a proposito della tenda-santuario consacrata con l'unzione e delle altre cose contenute in essa dice che venivano santificate con la medesima unzione e diventavano sante; riguardo invece all'altare degli olocausti, del quale aveva detto prima che diventava il " Santo del santo ", ora dice che con la medesima unzione diventa " Santo dei santi ". Da ciò è lecito capire che tanto l'espressione " Santo del santo " quanto l'altra, cioè " Sancta sanctorum " hanno lo stesso significato e perciò anche tutte le cose santificate con l'unzione, ossia tutta la tenda-santuario e tutte le cose contenute in essa, che prima erano state chiamate Sancta sanctorum hanno il significato uguale a quello di " santo " con cui sono chiamate adesso e ciascuna di esse dopo quella unzione non è detta solo " Santo del santo " ma anche " Santo dei santi " come l'altare degli olocausti. In tal modo, per quanto riguarda questa denotazione, non c'è alcuna differenza tra gli oggetti che si trovavano nell'interno oltre il tendaggio, cioè dove era l'arca dell'alleanza, e quegli altri ch'erano al di fuori, tranne il fatto che quelli all'interno si chiamavano Sancta sanctorum o Sanctum sanctorum come erano chiamati anche prima dell'unzione, mentre al contrario tutti gli altri venivano santificati mediante l'unzione affinché ricevessero quella denominazione. È necessario discutere che cosa significano queste espressioni ma ciò richiede tempo.

In qual modo Mosè costruì la tenda.

2174
(
Ex 40,19) Quando la Scrittura narra in qual modo Mosè costruì la tenda-santuario, stese - dice - delle cortine sopra il tabernacolo, naturalmente non sopra il tetto ma avvolgendone le colonne poiché aveva detto che aveva costruito la tenda-santuario sulle colonne.

L'altare degli olocausti era al di fuori.

2175
(
Ex 40,33) Quando l'agiografo dice: E sopra il recinto attorno al tabernacolo e all'altare mostra chiaramente che l'altare degli olocausti era al di fuori presso la porta della tenda-santuario in modo che tutto era circondato dall'atrio e l'altare stava dentro il recinto tra la porta dell'atrio e l'ingresso della tenda-santuario.

La nube che scendeva e riempiva la tenda.

2176
(
Ex 40,34-35) Si deve considerare una circostanza assai singolare, che quando scendeva e riempiva la tenda-santuario la nube, che tuttavia è chiamata gloria del Signore, non poteva entrare nella tenda Mosè il quale sul monte Sinai, quando la prima volta ricevette la legge, entrò nella nube in cui era Dio 224. Senza dubbio dunque Mosè rappresentava allora una persona e un'altra adesso; cioè allora rappresentava coloro che diventarono partecipi dell'intima verità di Dio, ora invece i Giudei ai quali la gloria del Signore che sta nella tenda-santuario - che è la grazia di Cristo - si pone davanti agli occhi come una nube, poiché non la comprendono. Ecco perché Mosè non entra nella tenda dell'alleanza. Dobbiamo inoltre pensare che questo fatto successe una volta sola appena fu eretta la tenda-santuario, per simboleggiare ciò o qualche altra cosa. Poiché non sempre la nube stava così sopra la tenda sicché Mosè non poteva entrarvi, dal momento che la nube non spariva se non quando era dato agli Israeliti questo segno di partire, cioè di levare il campo dal luogo ove si trovavano e andare dove li conduceva la nube durante il giorno e la fiamma durante la notte 225. E questi due elementi, la nube e il fuoco, rimanevano alternativamente sopra la tenda anche quando ponevano l'accampamento: la nube durante il giorno e il fuoco durante la notte.

Questione CLXXVII: Il tabernacolo

Descrizione della tenda-santuario.

2177
Siccome il libro chiamato Esodo termina con la costruzione del tabernacolo (cioè la tenda santuario), della quale si dicono molte cose, anche in passi precedenti dello stesso libro, che presentano difficoltà di comprensione - come suole avvenire con qualsiasi sorta di , cioè di descrizione di un luogo in ogni narrazione storica -, mi è parso opportuno di parlare a parte di tutta la stessa tenda-santuario: ciò affinché si comprenda per adesso, in quanto è possibile, come essa era fatta, e che cosa era secondo il senso proprio del racconto, escludendo e rinviando ad un'altra occasione il suo significato simbolico; poiché non si deve credere che in quella tenda-santuario non ci fosse qualcosa stabilito per ordine di Dio senza che avesse una prefigurazione tipologica di una qualche grande realtà futura, la cui conoscenza facesse crescere la fede e la natura del vero amore verso Dio.

177. 2 (
Ex 26,1-6) Dio dunque ordina a Mosè di costruire il tabernacolo con dieci cortine di lino fino ritorto, di porpora viola, di porpora rossa e di colore scarlatto ritorto, con Cherubini ricamati. I Latini chiamano aulaea (tappeti o drappi di porpora), dette di solito "cortine " quelle che i Greci chiamano . Mosè, dunque, non ordinò di fabbricare dieci atri, come alcuni hanno tradotto sbadatamente, giacché il testo non dice , ma . Mosè quindi ordinò di ricamare sulle cortine la figura di Cherubini. Ordinò inoltre che la lunghezza fosse di ventotto cubiti (ciascuno) e la larghezza di quattro cubiti (per ciascuno); ordinò anche che le cortine fossero unite l'una all'altra, cioè cucite tra di loro, cinque da una parte e cinque dall'altra, in modo che lo spazio recinto da esse fosse uguale a quello della tenda. In qual modo poi le medesime cinque cortine dovevano essere unite tra di loro è ordinato in questi termini: E farai per esse - è detto - dei cordoncini di porpora viola sull'orlo della prima cortina, all'estremità, su un lato, nel punto in cui si unisce all'altra giuntura, e farai lo stesso sull'orlo che è all'estremità della seconda cortina nel punto in cui si riunisce alla seconda giuntura 226. Ciò vuol dire che i cordoncini dovranno essere messi ove una cortina viene congiunta insieme con l'altra, cioè la terza con la seconda, dato che la seconda è già unita, cioè attaccata e unita insieme stando ciascuna di fronte all'altra essendo stato ordinato che fossero tra loro unite a cinque a cinque stando le une di rimpetto alle altre. Ancora però non è chiaro se fosse quadrato o rotondo lo spazio che esse recingevano, ma apparirà chiaro quando si parlerà delle colonne sulle quali vengono stese le cortine. Il Signore dunque non volle parlare se non dell'unione di tre cortine che si fa mediante due giunture, della seconda alla prima e della terza alla seconda, di modo che le altre venissero legate insieme secondo questa specie di norma. Riguardo ai cordoncini il Signore comandò che se ne facessero cinquanta per la prima cortina dalla parte in cui ad essa doveva congiungersi la seconda e cinquanta cordoncini per la terza cortina dalla parte in cui veniva unita alla seconda 227; il Signore poi ordinò che questa seconda cortina, che era nel mezzo, tra i cinquanta cordoncini da una parte e dall'altra, avesse cinquanta ganci d'oro da una parte, mediante i quali fosse unita ai cinquanta cordoncini della prima cortina. Per conseguenza anche dall'altra parte doveva avere altrettanti ganci con i quali venisse unita ai cordoncini della terza cortina. La Scrittura parla di ciò dicendo in breve: Farai cinquanta ganci d'oro e legherai le cortine l'una all'altra con i ganci, e il tabernacolo sarà un tutt'uno 228. Così dunque i cinquanta ganci d'oro della seconda cortina venivano inseriti nei cinquanta cordoncini di colore viola della prima cortina; cinquanta ganci venivano inseriti anche ai cinquanta cordoncini della terza cortina e così successivamente venivano allacciati tutti gli altri fino a unire cinque cortine e parimenti fossero allacciate le altre cinque dalla parte contraria.

177. 3 (Ex 26,7-11) (Il Signore) poi dice: E farai dei teloni di pelo di capra per coprire al di sopra il tabernacolo. Questi teloni dovevano andare al di sopra della tenda non dalla parte del tetto, ma ricoprendola sopra. Anche noi usiamo la stessa espressione per indicare che viene sovrapposto qualcosa non come il tetto d'una casa, ma come l'intonaco d'una parete quasi fosse una fascia di stoffa di lino. (Il Signore) dice: Di tali teloni ne confezionerai undici. La lunghezza di un telone sarà di trenta cubiti e la sua larghezza sarà di quattro cubiti; la misura degli undici teloni sarà la medesima. E legherai in un sol tutto cinque di questi teloni e sei teloni in un sol tutto. Allo stesso modo che il Signore volle che le cortine fossero legate insieme a cinque (da una parte) a cinque (dall'altra), così ora ordina che questi teloni siano cinque da una parte e sei dall'altra, perché erano undici non dieci. Il sesto telone - dice ancora il Signore - lo metterai ripiegato sul davanti del tabernacolo, perché ciò non creasse difficoltà, poiché i teloni si affrontavano in numero dispari, sei e cinque. Dice quindi anche in qual modo questi teloni di peli di capra dovevano essere uniti tra loro. E dice la stessa cosa di prima, però forse più chiaramente. E farai - continua - cinquanta cordoni all'orlo del telone che è di fronte a quello di mezzo, cioè di fronte al secondo, poiché starà in mezzo tra il primo e il terzo, alla commessura, cioè alla giuntura. E cinquanta cordoni farai all'orlo del telone che è unito al secondo telone, cioè sopra l'orlo del terzo telone poiché viene unito al secondo. E farai cinquanta anelli di bronzo e legherai gli anelli ai cordoni e unirai i teloni e ne risulterà un tutt'uno. Il Signore volle dunque che gli anelli si fissassero al telone di mezzo, cioè al secondo, di modo che restasse unito al primo e al terzo mediante i cinquanta ganci di ciascun lato. Riguardo a questo particolare non c'è nulla di diverso tranne il fatto che ora il Signore ordina di fare dei ganci non d'oro ma di bronzo. Riguardo ai cordoni per le cortine aveva ordinato che fossero violacei, riguardo invece a quelli per i teloni di pelo di capra, poiché non è detto di che specie fossero, che cosa dobbiamo ammettere come più probabile, se non che fossero di pelo di capra?

177. 4(Ex 26,12-14) Ciò che segue è tanto difficile da capire che temo risulti più oscuro con la mia spiegazione. Il Signore infatti dice: E lascerai pendere il soprappiù nei teloni della tenda; la metà del telone che avanzerà lo lascerai ricadere per la copertura, il soprappiù dei teloni della tenda lo lascerai ricadere per la copertura sul lato posteriore della tenda. Un cubito da una parte e un cubito dall'altra parte che avanza della lunghezza dei teloni della tenda penderà sopra i fianchi della tenda al fine di coprirla da una parte e dall'altra. Poiché il Signore aveva ordinato di ripiegare il sesto telone sul davanti della tenda, chi potrebbe capire facilmente che cosa vuol dire che di tutti i teloni ne resta la metà e che cosa significa: un cubito da una parte e un cubito dall'altra, dal momento che la metà di un telone corrisponde a quindici cubiti, dato che il Signore aveva comandato che un telone misurasse trenta cubiti? Oppure se sopravanzava qualcosa della lunghezza dei teloni poiché era stato ordinato che le prime cortine di lino fine ritorto, di scarlatto, di porpora rossa e viola fossero lunghe ventotto cubiti, mentre i teloni di peli di capra fossero lunghi trenta cubiti, ogni cortina veniva superata da ciascun telone di peli di capra per la lunghezza di due cubiti, i quali, addizionati insieme, senza contare l'undicesimo che il Signore aveva ordinato fosse ripiegato, fanno un'eccedenza di venti cubiti, somma con la quale veniva superata la dimensione delle cortine rispetto a quella dei teloni di peli di capra. Poiché dieci cubiti dei teloni - per i quali erano più lunghi delle cortine - moltiplicati per due fanno venti; di questi (venti cubiti) potevano sopravanzare da entrambi i lati dieci da una parte e dieci dall'altra, non un cubito da un fianco e un altro cubito dall'altro fianco, come dice la Scrittura. Mi sembra quindi necessario rinviare ad altro tempo la spiegazione di questo passo fino a quando la tenda-santuario non risulti costruita in tutte le sue parti, con tutte le colonne e con il recinto che le viene posto attorno. Può darsi infatti che qualcosa venga detto per anticipazione a proposito di questi teloni di peli di capra, che serva (a spiegare) ciò di cui ancora non si parla. Poiché per quanto riguarda l'espressione: E farai dei teloni di peli di capra per coprire la tenda-santuario 229, non si sa bene se con questi teloni il Signore volesse che fosse coperto tutto quanto il tabernacolo, cioè compreso il recinto, del quale si dice dopo che dev'essere posto attorno alla tenda, oppure solo la parte più interna di essa, che ordinò di fare con le dieci cortine. Il testo poi continua dicendo: E farai al tabernacolo una copertura di pelli di montone tinte di rosso. Parimenti anche per quanto riguarda questa copertura non si sa bene se il Signore ordinò di fare questa copertura per tutta quanta la tenda all'intorno o solo per la parte più interna. Quanto invece alla frase immediatamente successiva: E pelli color viola per la copertura superiore, si deve intendere nel senso che la copertura non era all'intorno, ma sotto il tetto come il soffitto di una stanza.

177. 5(Ex 26,15-21) E farai - è detto - dei montanti di legno imputrescibile, di dieci cubiti, ciascun montante, e di un cubito e mezzo di larghezza; per ogni montante due sostegni appaiati l'uno all'altro. Così farai per tutti i montanti del tabernacolo. Non vedo chiaramente perché il Signore comandò di fare questi sostegni, di cui prima ho detto che cosa fossero 230. Se infatti si fossero dovuti fare per sostenere i montanti, se ne sarebbero dovuti fare almeno quattro; se invece fossero destinati a sostenere il peso delle traverse se ne sarebbero dovute fare anche di più, poiché il Signore aveva assegnato a ogni montante cinque traverse, salvo che questi non servissero a nulla ma avessero solo un significato allegorico, come nel caso dell'undicesimo telone di peli di capra. Il montante infatti, stendendo due traverse come due braccia da una parte e dall'altra rappresenta la figura di una croce. Ma vediamo adesso il numero dei montanti mediante i quali si possa riconoscere anche se la forma della tenda-santuario è quadrata o rotonda oppure ha una quadratura bislunga con i due lati laterali più lunghi di quelli frontali, come è costruita la maggior parte delle basiliche; ciò infatti è quanto qui traspare piuttosto evidente. Poiché così dice il Signore: E farai dei montanti per la tenda, venti montanti dal lato rivolto al nord. E farai quaranta zoccoli d'argento per i venti montanti, due zoccoli per un montante da una parte e dall'altra. Quanto al secondo lato, volto verso il Sud, farai venti montanti e i loro quaranta zoccoli d'argento, due zoccoli per un montante da entrambe le parti. La ripetizione non deve causare imbarazzo, poiché è proprio d'una locuzione fare intendere la cosa di cui non si parla. Riguardo agli zoccoli abbiamo già detto prima perché un montante ne abbia due in quanto in questo passo anche le estremità sono chiamate " basi " 231.

177. 6(Ex 26,22-25) Noi dunque vediamo due lati della tenda, quello settentrionale e quello meridionale formare ciascuno una fila di venti montanti. Se gli altri due lati, l'orientale e l'occidentale, avessero avuto un ugual numero di montanti, senza dubbio la tenda sarebbe risultata quadrata. La Scrittura poi dice quanti telai deve avere il lato occidentale, ma non dice quanti ne dovesse avere quello orientale; io non so il perché: se perché non li aveva e in quella parte le cortine erano tese, senza essere fissate ai montanti, dall'ultimo montante d'un lato fino all'ultimo montante del lato opposto, oppure non ne parla per un motivo particolare, essendo sottintesi anche se non sono menzionati. Poi infatti sono menzionati dalla stessa parte orientale dieci montanti, ma dell'atrio, del quale si parla dopo e che il Signore ordinò di porre attorno alla tenda. L'agiografo dunque, dopo aver menzionato i venti montanti per ciascuno dei lati, quello del Nord e quello del Sud, della tenda continua e soggiunge dicendo: E nella parte posteriore del tabernacolo, nella parte che è verso il mare farai sei montanti. E due montanti farai agli angoli della tenda nella parte posteriore: saranno uguali e saranno perfettamente appaiati al livello dei capitelli per un'unica commessura; così farai per tutti e due i capitelli: siano ugualmente appaiati. E saranno otto montanti, e i loro zoccoli d'argento saranno sedici: due zoccoli per un montante e due zoccoli per un altro montante. A proposito degli zoccoli si trova un medesimo calcolo e un uguale modo di espressione. Pertanto il lato occidentale - questo è appunto quello rivolto verso il mare - consta di otto montanti, sei posti nella parte centrale e due agli angoli i quali, come dice l'agiografo, devono essere perfettamente appaiati per un'unica commettitura; io credo che un angolo unisca in sé due lati e il montante dell'angolo sia comune ad ambedue i lati, l'uno al lato occidentale e settentrionale, l'altro al lato occidentale e meridionale. Quanto a ciò che poi si dice, che cioè devono essere appaiati perfettamente dall'alto in basso, è detto naturalmente perché si mantengano in equilibrio perpendicolarmente, con la conseguenza che non fossero più robusti in basso che in alto, come sono la maggior parte dei montanti.

177. 7(Ex 26,26-29) Poi è detto: E farai delle traverse di legno imputrescibile, cinque per ciascun montante alla prima parte della tenda e cinque traverse per ciascun montante del secondo lato della tenda, e cinque traverse per ciascun montante del lato del tabernacolo rivolto verso il mare. Sarebbe strano se potesse dubitarsi che il lato orientale non avesse dei montanti nella parte più interna della tenda, alla quale si pone poi attorno il recinto. Il Signore dunque ordina che i montanti di tutti e tre i lati abbiano ciascuno cinque traverse. E il seguito del testo dice: La traversa mediana, in mezzo ai montanti, attraversi da una parte all'altra. Sembra voglia dire che la traversa dovesse arrivare da un montante a un altro e attraverso lo spazio intermedio dei montanti protendersi in lunghezza da un lato di un montante a quello di un altro, e perciò uno di tutti quei montanti non avrebbe dovuto avere le sue proprie cinque traverse; a quest'ultimo montante giungevano gli altri cinque provenienti dal montante più vicino ad esso. E rivestirai d'oro - è detto - i montanti e farai anelli di bronzo, nei quali introdurrai le traverse, e rivestirai d'oro le traverse. Per evitare che i montanti fossero foracchiati dai buchi attraverso i quali passassero le traverse, fu ordinato di fare degli anelli in cui fossero tenute ferme le estremità delle traverse da entrambe le parti. Si deve quindi pensare che quegli anelli pendevano da uncini fissi nel legno, perché potessero lasciar entrare e tener ferme le estremità delle traverse.

177. 8(Ex 26,30-37) E innalzerai - è detto - la tenda secondo la forma che ti fu mostrata sul monte. E farai un velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto ritorto e di lino filato; ne farai un'opera ricamata di Cherubini. Lo porrai su quattro montanti imputrescibili, rivestiti d'oro, e i loro capitelli saranno d'oro e i loro quattro basamenti d'argento. E porrai il velo sui montanti e là, all'interno del velo, introdurrai l'Arca dell'alleanza; e il velo farà per voi la separazione tra il Santo e il Santo dei santi. E con il velo nasconderai l'Arca della testimonianza nel Santo dei santi. Tutte queste indicazioni sono chiare, dicono cioè che l'Arca dell'alleanza si trovava all'interno dietro il velo, posta su quattro montanti; però non fu ordinato che fosse coperta dal velo in modo che questo fosse posto sopra il coperchio dell'arca ma fosse collocato di fronte ad essa. Di poi si dice: E porrai la tavola (dei pani) fuori del velo e il candelabro di fronte alla tavola nel lato della tenda prospiciente a mezzogiorno e porrai la tavola sul lato settentrionale della tenda. Anche ciò è chiaro. Quanto a ciò che segue: E farai una portiera di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di lino ritorto, opera di ricamatore. E per il velo farai cinque montanti e li rivestirai d'oro; e i loro capitelli saranno d'oro e fonderai per essi cinque zoccoli di bronzo, apparirà più avanti per quale uso venga confezionato questo velo steso su cinque montanti, poiché qui non si vede. In effetti il legislatore vuole che esso serva di velo all'ingresso della tenda, vale a dire di quella più interna alla quale viene posto attorno il recinto. Si ordina poi di fare l'altare dei sacrifici e degli olocausti e si dice come dev'essere fatto, ma non si dice ancora dove dev'essere collocato, ma anche questo particolare apparirà chiaro in seguito.

177. 9(Ex 27,9-13) Di qui alla fine si parla ormai del recinto da porre attorno al tabernacolo sulla costruzione del quale si è parlato prima. E farai - è detto - il recinto, che il testo greco chiama , non ; alcuni nostri traduttori, non distinguendo questo, cioè l'atrio, dalle cortine, che i greci chiamano , non , hanno tradotto e farai una tenda di dieci atri dove avrebbero dovuto dire di dieci cortine 232. Alcuni altri poi, molto più ignoranti, hanno tradotto non solo , ma anche , con ianuas cioè " porte ". Ma, come nella lingua latina troviamo aulaea (cortine), che i greci chiamano , così i nostri scrittori chiamano aulam quella che i greci chiamano . In latino però con questo termine non viene indicato l'atrio, ma la reggia, e in greco viene indicato l'atrio. Farai dunque il recinto dal lato rivolto a Oriente e i tendaggi del recinto di lino ritorto; la lunghezza dev'essere di cento cubiti su un lato, e i loro montanti saranno venti come pure venti i loro basamenti di bronzo e i loro ganci e le loro aste trasversali d'argento. Così anche per il lato settentrionale in lunghezza; tendaggi di cento cubiti con i loro venti montanti, i loro venti basamenti di bronzo, i loro anelli e i loro uncini, gli archetti dei montanti, gli zoccoli e le aste trasversali d'argento. La larghezza del recinto in direzione occidentale avrà cinquanta cubiti di tendaggi; i loro montanti e i relativi zoccoli dovranno essere dieci. La larghezza del recinto in direzione orientale avrà cinquanta cubiti, i suoi montanti dovranno essere dieci, come pure dieci i loro basamenti.

177. 10. Qui parlandosi del recinto vediamo menzionati i montanti del lato orientale e si dice che sono dieci con i (rispettivi) zoccoli di bronzo, come si disse anche di quelli occidentali. A questo proposito sorge un problema assai difficile. Poiché si comprende senz'altro che dal lato orientale avesse una fila di montanti attinenti al recinto, dal quale la tenda-santuario più interna è circondata per tutti i suoi quattro lati, per il fatto che da quel lato la tenda interiore non aveva i montanti, mentre dalla parte occidentale, dove erano già otto montanti della tenda anteriore, come dobbiamo intendere anche questi dieci montanti menzionati adesso, del recinto esterno, come se per il lato occidentale ci fossero due file di montanti, otto interni e dieci esterni? Se la cosa sta così anche i lati della tenda esterna sarebbero più lunghi di quelli della tenda più interna perché ci fosse uno spazio a partire dal quale l'altra fila di montanti si dirigesse da un estremo all'altro senza coincidere nella fila anteriore pertinente alla tenda più interna. E se è così, ne verrà per conseguenza che i venti montanti dei due lati della tenda esterna, meridionale e settentrionale, siano separati da distanze più brevi di quelle degli altri venti del recinto esterno. Ma poiché le file più esterne dei venti montanti -come dice la Scrittura - hanno cento cubiti di lunghezza, quelle interne, che hanno una misura uguale di montanti, ne avrebbero un numero quanto si voglia minore; ma poiché la Scrittura non lo ha precisato, per conseguenza gli otto montanti collocati nel lato occidentale della tenda interna saranno collocati più radi dei venti montanti del lato meridionale e settentrionale della stessa tenda, per poter comprendere uno spazio sufficiente per stendervi attorno le dieci cortine con le quali il Signore aveva ordinato, fin dal principio, di costruire il tabernacolo. In effetti le cortine hanno ventotto cubiti ciascuna e insieme fanno duecentottanta cubiti; se ce ne fossero cento su ciascuno dei due lati, del sud e del nord, ove sono le file dei venti montanti, si stenderebbero evidentemente per quaranta cubiti per gli altri due lati, l'orientale e l'occidentale. Ora gli otto montanti e i quaranta cubiti sarebbero nello stesso rapporto dei venti montanti rispetto ai cento cubiti, ma non sarebbero più lunghi del recinto esterno, poiché sono delimitati in cento cubiti e perciò non sarebbe possibile come quella fila di dieci montanti potesse racchiudere, dall'angolo meridionale all'angolo settentrionale, la fila degli otto montanti interni. Affinché quindi il recinto circondasse da ogni parte la tenda più interna, occorre che sia anche d'una lunghezza più breve. E così sarebbe necessario che i suoi venti montanti ai due lati, mediante i quali si stende in lunghezza, fossero posti più vicini l'uno all'altro di quanto sono anche i venti montanti del recinto esterno, e che gli otto montanti della tenda più interna del lato occidentale fossero tra loro più lontani dei dieci dal medesimo lato del recinto esterno, poiché la misura minore di cubiti delle cortine che sono stese nei venti montanti dei due lati verso il sud e il nord dev'essere compensata dalla larghezza del lato orientale e occidentale per completare la misura di duecentottanta cubiti delle cortine. Il Signore infatti non ordinò anche di piegare in due qualcuna delle cortine come a proposito delle pelli di capra, tra le quali ce n'è una in più. Se perciò si diminuisca la lunghezza della tenda più interna di quel tanto da poter essere racchiusa dal recinto più esterno, così che sui suoi montanti non si stendano cortine per cento cubiti ma, per esempio, come minimo per novantasei, e così si avrebbero quattro cubiti di meno; e questi quattro cubiti, che in totale sarebbero poi otto, dovrebbero naturalmente essere posti negli altri due lati, l'orientale e l'occidentale; e così con gli altri otto montanti del lato occidentale della tenda più interna si raggiunge la misura non di quaranta ma di quarantaquattro cubiti e di altri quarantaquattro da oriente. Poiché dunque con dieci montanti del recinto più esterno si raggiunge la misura di cinquanta cubiti, mentre con gli otto della tenda più interna si raggiunge la misura di quarantaquattro cubiti, si riscontra che gli intervalli degli otto montanti più interni sono più distanziati dei dieci più esterni poiché, se fossero uguali, con otto montanti si raggiungerebbe la misura di quaranta cubiti, come si raggiungeva quella di cinquanta con i dieci montanti, per il fatto che otto rispetto a dieci è nello stesso rapporto di quaranta rispetto a cinquanta, poiché cinque per otto fa quaranta e per dieci fa cinquanta.

177. 11(Ex 27,14-16) E nemmeno ci devono causare imbarazzo gli intervalli disuguali dei montanti per il fatto che fossero più stretti ai lati della lunghezza (della tenda), dove sono venti montanti, mentre sono più radi nel lato della larghezza, dove sono otto montanti, se non ci fosse un altro motivo che ci costringesse a cambiare opinione. L'agiografo infatti, dopo aver ricordato che il recinto aveva verso il mare tendaggi di cinquanta cubiti di lunghezza, dieci montanti e dieci zoccoli e che la larghezza del recinto verso Oriente era ugualmente di cinquanta cubiti e dieci montanti e dieci zoccoli 233, sembrerebbe che ciò detto sarebbe stata completa la (descrizione della) forma della tenda con il suo recinto che lo circondava da ogni parte; egli invece aggiunge qualche altro particolare che risulta assai difficile indovinare dove stava o in che senso è da intendere. Ecco come dice il testo: E di quindici cubiti sarà l'altezza dei tendaggi per il primo lato; i loro montanti tre, e tre i loro zoccoli, e quanto al secondo lato, di quindici cubiti di altezza dei tendaggi; i loro montanti tre, e tre i loro zoccoli. E per la porta del recinto una tenda di venti cubiti di altezza, di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto con un ricamo fatto a mano; i loro montanti quattro, e quattro i loro zoccoli. Non riesco a capire dove si dovrebbero porre queste cose una volta compiuta la struttura della tenda-santuario, ma vedo bene che è lo stesso il numero dei montanti, cioè dieci, fissati tre da una parte e tre dall'altra, oltre ai quattro fissati nel mezzo. E perciò i tendaggi di cinquanta cubiti non saranno confezionati come un unico tessuto, perché ci sia un ingresso nel recinto, ma i venti cubiti (del tendaggio) di mezzo saranno separati dai quindici cubiti per formare la copertura della porta della tenda-santuario, cioè il velo che pende come ornamento e copertura e occupi lo spazio di quattro montanti, che fu destinato per la porta del recinto ed è separato. Ecco perché il Signore volle che il velo, diviso e separato ai due lati di quindici cubiti, si distinguesse anche per la bellezza risultante dal ricamo eseguito con quei quattro colori. Ma i lati di quindici cubiti da una parte e dall'altra aventi tre montanti per ciascun lato, se si congiungessero nella linea retta della porta del recinto, non ci sarebbe spazio tra i dieci montanti del recinto più esterno e gli otto della tenda più interna perché vi possa essere l'altare quadrato di cinque cubiti 234 che occupa lo spazio non solo davanti allo stesso altare, in cui si possa svolgere il servizio all'altare, ma anche quello tra lo stesso altare e l'ingresso della tenda più interna, ove possa essere posta la vasca di bronzo per le abluzioni 235. Questo infatti - secondo l'ordine del Signore - doveva essere posto in modo che vi si potessero lavare le mani e i piedi i sacerdoti entrando nella tenda, o quando si avvicinavano a servire all'altare; se non immaginassimo che tale vasca era nel cortile fuori della tenda-santuario, come potrebbero i sacerdoti lavarsi prima le mani e i piedi e così entrare nella tenda? Non possiamo però mettere l'altare al di fuori del cortile, poiché il Signore ordinò di circondare sia la tenda che l'altare con il recinto (del cortile) 236. Dobbiamo quindi ammettere che i lati che avevano ciascuno cortine di quindici cubiti ciascuna sostenuta da tre montanti formassero un intervallo di altrettanti cubiti tra la porta del cortile e l'ingresso nella tenda più interna: la porta del cortile si apriva sulla larghezza di venti cubiti, e di quattro montanti, e avente una cortina ricamata, come un lavoro eseguito con l'ago, di venti cubiti; invece l'entrata interna della tenda, dove si doveva porre la cortina stessa su cinque montanti 237, dobbiamo naturalmente credere fosse posta non all'interno della fila degli otto montanti ma fuori, presso il recinto. Allora infatti si troverà il tendaggio dell'ingresso della tenda, entrata che si apriva come (si aprirebbe) una porta a due battenti, nel punto in cui le cortine non erano unite insieme con anelli e cordoncini, oppure nel caso si trovasse dentro la fila degli otto montanti della tenda più interna, (il tendaggio) steso su cinque montanti, sarebbe stato posto davanti all'entrata del tabernacolo per impedire che, quando venisse aperto, non lasciasse scoperto l'interno in modo che rimanesse nascosto alla vista dei profani. Tuttavia che quel tendaggio fosse posto all'interno o all'esterno della fila dei montanti - cosa che non è abbastanza chiara - si trovava senza dubbio a una discreta distanza dalla stessa fila di montanti per evitare che i cinque montanti, fissati più vicini ai quattro montanti, più che nascondere l'ingresso del tabernacolo, lo sbarrassero.

177. 12. Pertanto, secondo questa forma e questa disposizione della tenda-santuario non è più necessario collocare più vicini tra loro i venti montanti dei lati della tenda più interna a sud e a nord, né diradare gli otto montanti fissati dal lato occidentale. Infatti i dieci del cortile esterno dallo stesso lato occidentale non costituiscono una lunga fila di montanti in cui siano racchiusi gli otto più interni, ma con i tre impiantati a entrambi i lati e con i quattro impiantati nella porta racchiudono uno spazio in cui potrebbe starci non solo l'altare degli olocausti tra la porta del cortile davanti all'entrata della tenda, ma anche la vasca tra l'entrata della tenda e l'altare, e inoltre lo spazio necessario al servizio cultuale (da compiere) tra l'altare e la porta del recinto. E così l'intero spazio del cortile è racchiuso da dieci montanti, tre a nord e tre a sud, e quattro a ovest, come se si formasse la lettera greca . In tal modo inoltre si aggiungeva il medesimo spazio alla fila più lunga dei montanti della tenda più interna come se alla lettera greca summenzionata, dalla parte che non ha nulla, si aggiungesse il prolungamento della lettera chiamata iota in modo che dalla parte situata nel mezzo venga racchiusa da quel lato e da una parte e dall'altra restino le altre parti dello iota. Nella lunga fila della parte occidentale della tenda più interna potevano contarsi dunque dieci montanti, a condizione però che agli otto fossero aggiunti i due impiantati all'estremità nelle file dei lati del recinto del nord e del sud. Infatti anche i dieci montanti appartenenti propriamente al recinto dal lato occidentale d'onde si entrava nella tenda, ne avevano tre ai lati e quattro nella parte anteriore, dov'era la porta, e così lo spazio necessario per il rito dei sacrifici veniva racchiuso all'interno del recinto davanti alla tenda. Invece sui tre montanti impiantati ai due lati erano appesi i tendaggi di quindici cubiti, mentre sui quattro, ov'era la porta, era appeso il tendaggio di venti cubiti ricamato con un lavoro eseguito con l'ago.

177. 13(Ex 38,9-18) Non deve causarci imbarazzo ciò che dice la Scrittura: L'altezza del tendaggio per un lato sarà di quindici cubiti: tre saranno i suoi montanti e tre i suoi zoccoli. Per il secondo lato un tendaggio alto quindici cubiti: tre i suoi montanti e tre i suoi zoccoli. E per la porta del recinto il drappeggiamento alto venti cubiti 238. L'agiografo infatti dice che l'altezza dei tendaggi è uguale a quella che era stata la loro lunghezza, poiché l'altezza di essi quando sono tessuti è uguale alla lunghezza di essi quando sono stesi. E perché non sembri che ciò sia una nostra supposizione, la Scrittura riporta altrove questo medesimo particolare dicendo: E fecero il cortile a sud; i tendaggi del cortile in lino fine ritorto, cento su cento, cioè cento cubiti di tendaggi per cento cubiti di spazio che sostenevano venti montanti. Di poi continua: E i loro montanti (erano) venti e altrettanti i loro zoccoli; e dal lato verso il mare le cortine erano di cinquanta cubiti, e i loro montanti erano dieci e altrettanti i loro zoccoli. Qui vengono chiamate cortine quelli che sono i tendaggi: e dal lato orientale tendaggi di cinquanta cubiti. Dopo questi dati l'agiografo torna a parlare della parte posteriore del tabernacolo mostrando in qual modo i dieci montanti abbracciavano lo spazio summenzionato della tenda-santuario. Di quindici cubiti - dice l'agiografo - per (il lato) che si trova nel dorso. È chiamato dorso poiché era la parte posteriore della tenda, cioè dalla parte occidentale. E i loro montanti - è detto - erano tre e altrettanti i loro zoccoli. E sul secondo dorso da una parte e dall'altra presso l'entrata del cortile tendaggi di quindici cubiti e i loro montanti erano tre, e tre i loro zoccoli. È certamente chiaro che in questo passo, quando viene ricordato come sono fatte tutte le cose, si parla dei due dorsi che venivano chiamati lati, quando il Signore ordinò la costruzione del tabernacolo: erano cioè chiamati lati poiché uniti da una parte e dall'altra racchiudevano lo spazio del recinto occidentale, erano invece chiamati dorsi poiché questa parte del recinto era nella parte posteriore del recinto, cioè nella parte occidentale. L'agiografo continua dicendo: Tutte le cortine del recinto erano di lino fine ritorto. E gli zoccoli dei montanti erano di bronzo e i loro ganci d'argento e i loro capitelli rivestiti d'argento e i montanti rivestiti d'argento, tutti i montanti del recinto. L'agiografo aggiunge quindi ciò che ancora non aveva menzionato in questo passo: E il tendone della porta del recinto opera di ricamatore, di lana color giacinto, di porpora, di cremisi filato e di lino fine ritorto, di venti cubiti in lunghezza e in larghezza. Ecco dove appare che l'altezza menzionata in precedenza è la stessa che era stata la lunghezza delle cortine stese. Alla fine l'agiografo aggiunge: e la larghezza di cinque cubiti. In effetti i tendaggi del recinto più esterno si innalzavano per tanti cubiti di larghezza come per quattro cubiti quelli del recinto più interno. Così infatti era detto anche prima: La lunghezza del recinto poi sarà di cento su cento, la larghezza di cinquanta, l'altezza di cinque cubiti, in lino fine ritorto. Chiama (ora) altezza quella che chiamò larghezza poiché la larghezza delle cortine stese per terra è uguale all'altezza delle cortine disposte erette (sui montanti). Allo stesso modo, come ho ricordato poc'anzi, l'altezza delle cortine quando vengono tessute è uguale all'altezza di esse quando vengono distese.

177. 14(Ex 26,8-12) Vediamo ormai ciò che avevo rinviato ad altro tempo, come cioè possa risolversi la difficoltà relativa ai teloni di peli di capra, in base alla forma dell'intera tenda-santuario, che ho descritto come ho potuto, difficoltà resa forse più oscura poiché l'agiografo aveva detto allora per anticipazione qualcosa che sarebbe stato utile a (far capire) l'opera di cui avrebbe parlato in seguito, allorché avesse descritto il recinto da porre attorno alla tenda-santuario. Adesso vediamo dunque le parole dell'agiografo: Lascerai pendere, dice, il sovrappiù che è nei teloni della tenda: la metà eccedente del telone, quella che sovrabbonda per la copertura. Tutto ciò che è stato detto ha un solo significato e cioè: " la metà del telone che eccederà la misura, cioè la parte superflua dei teloni della tenda, deve essere lasciata ricadere dietro la tenda ". Bisogna dunque ricercare come passi la misura, cioè sia eccedente e resti una metà del telone della serie dei teloni uniti, poiché il Signore ordinò di unire cinque tra loro e sei tra loro, come aveva ordinato in precedenza dicendo che il sesto telone doveva essere ripiegato sulla facciata della tenda, cioè sul lato orientale. In realtà il Signore aveva detto che erano altrettanti i teloni della tenda-santuario per il lato posteriore ad Occidente, cioè quello rivolto al mare; qual è dunque il lato frontale della tenda se non quello rivolto ad Oriente? Pertanto la parte, in cui i cinque teloni sono uniti, misura centocinquanta cubiti, vale a dire trenta per cinque -ogni telone misurava infatti trenta cubiti, come Dio aveva comandato di farli - mentre la parte in cui erano non cinque ma sei teloni, parimenti uniti tra loro, misurava centottanta cubiti, cioè trenta per sei; e perciò col ripiegare uno di quei teli, come era stato ordinato, lungo la fronte della tenda, si sottraevano quindici cubiti, sottratti i quali rimanevano centosessantacinque cubiti. A partire quindi dai centocinquanta cubiti, mediante i quali anche la parte dei sei teloni pareggiava la misura della parte dei cinque teloni, eccedevano e rimanevano in sovrappiù ancora quindici cubiti. Infatti dal lato del tratto composto dei cinque teloni la lunghezza misurava centocinquanta cubiti, mentre dal lato del tratto composto di sei teloni, essendone stato ripiegato uno lungo la facciata della tenda, la lunghezza era di centosessantacinque cubiti. L'agiografo chiama " metà del telo " la parte che ordina di lasciar ricadere in copertura dietro la tenda. Di conseguenza, per il fatto che quello era ripiegato sul davanti della tenda questo mezzo telo eccedente dalla parte posteriore della tenda non veniva ripiegato su se stesso, ma si lasciava ricadere in copertura; vale a dire che tutti i quindici cubiti venivano posti sotto e ricoperti di teloni e così anch'essi venivano sottratti a quella lunghezza, come parimenti venivano sottratti con ripiegatura di un solo telone i quindici cubiti sulla facciata della tenda. In tal modo di fronte ai centocinquanta cubiti dei cinque teloni si trovavano dalla parte opposta i centocinquanta cubiti dei sei teloni, vale a dire ai restanti trenta cubiti dei centottanta, dopo esserne stato sottratto un telone col ripiegarlo di fronte alla facciata della tenda e l'altra metà lasciandola pendere in copertura sul lato posteriore della tenda.

177. 15(Ex 26,13) Ora, ciò che segue è un'altra cosa e presenta un altro problema soprattutto a causa del quale ho ritenuto opportuno rinviare la spiegazione di questo passo, perché prima vedessimo quanto dice la Scrittura riguardo alla forma della tenda-santuario da costruire e al recinto da porre intorno ad essa. La Scrittura dunque continua così: Il cubito in eccedenza da una parte, come il cubito in eccedenza dall'altra parte, nel senso della lunghezza dei teli della tenda, ricadranno sui due lati della tenda-santuario per ricoprirla da una parte e dall'altra. Una cosa è che una parte di sei teloni supererà l'altra parte di cinque cortine a causa di un maggior numero di cortine, della qual cosa abbiamo già parlato; e un'altra cosa è che sopravanzerà qualcosa della lunghezza delle cortine, della quale cosa abbiamo parlato adesso. In realtà così non si tratta di paragonare una parte con l'altra e trovare che l'una sopravanza sull'altra; l'una cioè che ha sei cortine è più lunga dell'altra che ne ha cinque. Affinché i due lati fossero uguali tra loro si dovette ripiegare un telo sulla fronte della tenda e sulla parte posteriore si dovette lasciar pendere in copertura la metà di un telo. Si tratta invece dei teloni di peli di capra paragonati ai tendaggi, con dieci dei quali il Signore aveva comandato di fare la tenda-santuario più interna, intessuti di quattro colori; questi sono più lunghi di due cubiti per lato, poiché ogni tendaggio misurava ventotto cubiti; quelli invece trenta. Ecco perché qui non si dice: " con ciò che sopravanza dei teloni ", ma: mediante la parte eccedente sulla lunghezza dei teloni della tenda. Che vuol dire dunque: Il cubito in eccedenza da una parte, come il cubito in eccedenza dall'altra parte, nel senso della lunghezza dei teli della tenda, ricadranno sui due lati della tenda-santuario, se non che la lunghezza per cui i teloni di peli di capra soverchiano di due cubiti ciascun tendaggio, ciascuno di essi, non deve ridursi tutto quanto in una sola parte, cioè che tutto quanto sopravanza debba ridursi verso il lato posteriore della tenda, ma dev'essere distribuito ugualmente in modo da darne la medesima misura alla parte anteriore e a quella posteriore della tenda? Ciò vuol dire: siccome i due cubiti di ciascuno dei teli misurano la medesima lunghezza, che è soverchia, deve togliere un cubito da una parte e un cubito dall'altra; in tal modo a ciascuna estremità avremo un totale di dieci cubiti in eccedenza, poiché i dieci teloni, più lunghi di due cubiti, presi tutti insieme misurano venti cubiti in eccedenza, la cui serie sembra che sorpassi quella delle cortine.

177. 16. Si deve dunque esaminare quale spazio debbano recingere i venti cubiti che superano in lunghezza i teli. Se infatti la parte interna della tenda è coperta all'intorno dai teloni di peli di capra, questi sorpassano in modo che non esiste assolutamente nessun altro spazio che possa essere coperto da essi. Resta quindi che anch'essi vengano lasciati pendere in copertura e così vengono ridotti, cosa che la Scrittura non dice. In realtà i dieci teli lunghi ventotto cubiti ciascuno, con i quali viene coperta la tenda più interna, abbracciano tanto spazio quanto ne possono abbracciare duecentottanta cubiti; di conseguenza i due lati più lunghi, quello del Sud e quello del Nord, che hanno venti montanti ciascuno, sottraggono da quei cubiti cento cubiti ciascuno; ne restano ottanta da distribuire quaranta per ciascuno dei due lati più corti, quello orientale, privo della fila dei montanti, e quello occidentale, ove erano otto montanti. Di conseguenza, poiché sottraendone trenta resteranno trecento teloni di pelle di capra, se con questi trecento teloni di pelle di capra venisse coperto il perimetro racchiuso da duecentottanta cortine, ne avanzerebbero ancora venti e in tal modo non ci sarebbe più alcuno spazio che da essi possa essere coperto. Pertanto i due cubiti, ciascuno dei quali ha un'eccedenza rispetto ai teloni di peli di capra, e che formano un totale di venti cubiti, devono distribuirsi così: un cubito da un lato e un cubito dall'altro, cioè non devono essere raccolti tutti in una parte per farli servire a coprire i lati della tenda-santuario ma quelli del cortile esterno: in altre parole tutti i trecento cubiti dei teloni di pelo di capra devono circondare il tabernacolo all'esterno. Aggiungendo poi i lati del recinto esterno di cento cubiti ciascuno, cioè di quello meridionale e di quello settentrionale, avanzano cinquanta cubiti del lato orientale e di quello occidentale che sommati tutti insieme fanno trecento cubiti, per coprire i quali bastano trecento teloni di peli di capra. Questo è il significato dell'espressione della Scrittura: un cubito da una parte e un cubito dall'altra; si tratta cioè della distribuzione dei due cubiti che hanno ciascuno un telone di peli di capra più lungo, vale a dire: mediante ciò che avanza sulla lunghezza dei teloni ci sarà di che coprire i fianchi della tenda, naturalmente quelli più esterni appartenenti al recinto, per ricoprirla da una parte e dall'altra e non i lati dello stesso recinto che si estendono per la lunghezza di cento cubiti e venti montanti ciascuno: essi infatti non sono stati fabbricati più lunghi di quelli della tenda più interna che si stendono per dieci cortine ciascuno e hanno anche essi venti montanti ciascuno. Poiché come i due lati della tenda più interna prospicienti a nord e a sud si estendono per cento cubiti di lunghezza ciascuno, hanno la stessa dimensione quelli del recinto più esterno. Pertanto la lunghezza che sorpassa quella delle cortine non può servire a coprire i lati esterni di un uguale numero di montanti dei teloni di peli di capra, poiché la loro lunghezza è uguale a quella dei lati interni, cioè cento cubiti ciascuno, che fanno duecento. Ma siccome ai lati est e ovest sarebbero bastati quaranta cubiti per ciascuno, qualora fosse recintata con tele di peli di capra soltanto la tenda più interna, aumentò la larghezza della tenda con l'aggiunta dei lati del recinto, e di conseguenza, per coprire i lati orientale e occidentale sono necessari non più quaranta ma cinquanta cubiti per ciascun lato; per coprirli sarebbe potuta servire la lunghezza dei tele di peli di capra, maggiore di quella delle cortine di modo che non si sarebbero impiegati per una parte entrambi i cubiti che eccedevano a ciascuno di essi, ma si sarebbe impiegato un cubito per una parte e un cubito per l'altra di quelle eccedenti e così il lato orientale avrebbe avuto dieci cubiti e altri dieci cubiti quello occidentale, poiché venti è il prodotto di due per dieci, in quanto i trenta cubiti dell'undicesimo telo viene tolto da questa lunghezza ripiegandolo e lasciandolo ricadere per coprire.

177. 17. Siccome però nell'espressione della traduzione latina è detto: Con il cubito da un lato e il cubito dall'altro che eccede la lunghezza dei teloni della tenda ci sarà di che ricoprire i fianchi della tenda, mentre il testo greco ha che alcuni scrittori latini hanno tradotto non latera (lati; fianchi) ma con obliqua (obliqui; divergenti), ne scaturisce un problema: poiché, sebbene alcunché si veda di obliquo ove tutti gli angoli dei quattro lati sono retti, non possono tuttavia dirsi (obliqui) i lati di cui uno è nella parte anteriore e l'altro in quella posteriore della tenda, cioè quello orientale e quello occidentale, mentre possono chiamarsi il lato destro e quello sinistro, cioè il meridionale e il settentrionale. Non essendo perciò (obliqui) i lati che hanno cinquanta cubiti ciascuno, a coprire i quali abbiamo detto che avrebbe potuto servire la lunghezza dei teloni di peli di capra, in che modo sarà vero: sopra un cubito da un lato e dall'altro con ciò che avanza della lunghezza dei teloni della tenda ci sarà di che coprire i lati della tenda? Evidentemente però l'agiografo parla della copertura dei lati - che egli chiama anche " dorsi " - di quindici cubiti ciascuno e di tre montanti ciascuno, i quali insieme alla porta del cortile, che ha venti cubiti e quattro montanti, fanno cinquanta cubiti e dieci montanti. A una estremità di questi lati si trova la porta del cortile e all'altra l'ingresso della tenda-santuario; tra la porta del cortile e l'ingresso della tenda c'è uno spazio di venti cubiti a partire dalla porta e di quindici cubiti a destra e a sinistra. In quello spazio si trova l'altare degli olocausti tra la porta del cortile davanti all'ingresso della tenda; e tra l'altare e l'ingresso la vasca di bronzo, in cui i sacerdoti si lavavano le mani e i piedi. Ciononostante, dopo un attento e accurato esame delle misure, nei lati aventi tre montanti ciascuno, che in greco sono chiamati , si troverà forse anche una qualche obliquità di modo che non senza ragione alcuni traduttori nostri tradussero con obliqui il termine che avevano trovato. Poiché i teloni di peli di capra con i loro quindici cubiti ciascuno non possono coprire i quindici cubiti dei tendoni su quei lati salvo che, prima di arrivarci, non siano stesi nella parte posteriore della tenda su una lunghezza di più di dieci cubiti. Di conseguenza, dalla linea retta della parte posteriore della tenda, cioè dalla parte di ponente - linea che avendo prima otto montanti facenti parte della tenda interna ne ebbe poi dieci per il fatto di essere stati aggiunti i lati del cortile esterno e, avendo prima quaranta cubiti corrispondenti a otto montanti, ne ebbe poi cinquanta in rapporto a dieci montanti - a partire dunque da detta linea, una volta coperti con teloni di peli di capra i dieci cubiti provenienti dai due angoli, nel mezzo ne rimarranno trenta che non saranno coperti con i teloni di peli di capra, ma solo dalle cortine, e in questo spazio di trenta cubiti per trenta si trovava l'ingresso della tenda-santuario. Pertanto se i lati aventi ciascuno tre montanti e lunghi quindici cubiti, a partire dalle loro estremità, con le quali si univano alla porta del cortile, lasciavano tra loro uno spazio aperto di venti cubiti, poiché tanto ne aveva la porta che separava i due lati, mentre dalle altre estremità, con cui erano uniti alla linea posteriore del recinto - della quale abbiamo parlato - avevano tra loro trenta cubiti, senza dubbio erano obliqui poiché tra loro lasciavano aperto dalla parte ove avevano trenta cubiti uno spazio maggiore di quello dell'altra parte, ove avevano venti cubiti. In tal modo i dieci cubiti dei teloni di peli di capra, ch'era la metà della lunghezza eccedente, e che servivano per la parte posteriore della tenda, cioè la parte di ponente, come gli altri dieci servivano per la parte anteriore, cioè la parte di levante, con cinque cubiti completavano la copertura dei lati chiamati in greco, cinque da una parte e cinque dall'altra. Se questi cubiti fossero mancati, di quei lati sarebbero stati coperti dieci e ne sarebbero rimasti scoperti cinque. A mio parere pertanto si capisce meglio la frase della Scrittura: un cubito da una parte e un cubito dall'altra con quello che eccede in lunghezza rispetto alla lunghezza dei teli della tenda-santuario, non perché erano cinque da una parte e cinque dall'altra, ma perché sopravanzavano quella lunghezza, rispetto alla quale superavano di due cubiti i teli di peli di capra; di quei due cubiti uno era servito per la parte orientale della tenda e naturalmente ne restava un altro per la parte occidentale di modo che un cubito da una parte e un cubito dall'altra avrebbe coperto i della tenda-santuario. Ecco perché l'agiografo dice: perché copra da una parte e dall'altra, perché non avrebbe coperto tutto, se fossero mancati i cinque suddetti cubiti.

177. 18. Poiché si è discusso abbastanza in qual modo si debbano intendere le notizie relative alla costruzione della tenda-santuario che parevano oscure, tentiamo ormai di mostrare brevemente, se ci sarà possibile, quale risultato abbiamo ottenuto da tale discussione. Si entrava dunque (nella tenda-santuario) da ovest e c'era una prima porta d'ingresso nel recinto larga venti cubiti, che aveva quattro montanti da cui pendeva un tendaggio largo venti cubiti e alto cinque, di tela ricamata a mano e colorata con i colori spesso ricordati. Entrando per questa porta ci si trovava nel recinto i cui lati di destra e di sinistra si estendevano per quindici cubiti e tre montanti; come c'era nel mezzo l'entrata della tenda più interna nella parte ove si poteva arrivare, così c'era nel centro la porta del recinto dalla parte dove si entrava. Questo recinto era perciò più largo che lungo; poiché la sua lunghezza andava dalla propria porta fino alla porta della tenda più interna ed era di circa quindici cubiti, la larghezza ai lati della porta era invece di venti cubiti, ai lati dell'entrata era, al contrario, di trenta cubiti. Da ciò si comprende che erano obliqui i lati che a destra e a sinistra avevano tre montanti e quindici cubiti. In questo atrio c'era l'altare dei sacrifici di forma quadrata, lungo cioè cinque cubiti e largo altrettanto. Tra la porta e l'altare c'era uno spazio ove si aggiravano coloro che ponevano sacrifici sull'altare; dentro, al contrario, tra l'altare e la porta della tenda c'era il luogo della cenere davanti all'altare e poi la vasca di bronzo, ove si lavavano le mani e i piedi i sacerdoti che si accingevano a esercitare il loro servizio all'altare nel recinto o a entrare nella tenda più interna. Inoltre i tendaggi di questo recinto nei lati dei tre montanti, ciascuno largo quindici cubiti e alto cinque cubiti, erano di lino fine.

177. 19. Da questo recinto si passava dunque alla porta della tenda dopo avere oltrepassato l'altare e la vasca di bronzo. Si passava attraverso le cortine aperte, dieci delle quali, cinque da una parte e cinque dall'altra, collocate le une di fronte alle altre, circondavano tutta la tenda più interna. Dopo essere entrati per quella porta s'incontrava la cortina situata di fronte all'entrata, tesa su cinque montanti, tinta con i quattro colori; credo che il Signore quando ordinò di confezionare quel tendaggio, lo chiamò adductorium (tendone) poiché scorreva tirandolo da una parte e dall'altra, chiudendo ed aprendo così l'ingresso. Oltrepassato questo tendone ci ci trovava nella parte centrale della tenda, situata tra questo tendone e quell'altro più interno che era posto su quattro montanti, confezionato con stoffe di quei quattro colori e che separava " il santo " che era al di fuori e il " Santo dei santi " situato nella parte più interna. In questo spazio intermedio tra quei due tendaggi, nella parte settentrionale era la tavola d'oro con i pani di proposizione e di fronte ad essa nella parte meridionale il candelabro d'oro a sette bracci. Fin qui potevano entrare i sacerdoti di secondo grado.

177. 20. Nella parte più interna, cioè nel " Santo dei santi ", di là del tendaggio di quattro montanti, c'era l'arca dorata della testimonianza, in cui erano le tavole di pietra della legge e il bastone di Aronne e il vaso d'oro con la manna e al di sopra il propiziatorio d'oro dove stavano i due Cherubini che coprivano il propiziatorio, con le ali chinate verso di esso, l'uno di fronte all'altro. Davanti all'arca poi, cioè tra l'arca e il tendaggio, era collocato l'altare dell'incenso, che la Scrittura alle volte dice ch'era d'oro, altre volte dorato, chiamando senz'altro d'oro ciò che era (solo) dorato. Solamente al sommo sacerdote era lecito entrare ogni giorno nel " Santo dei santi" per porre l'incenso (sull'altare) e una volta sola all'anno con il sangue per purificare l'altare e se talora lo esigeva la necessità per il peccato del sacerdote o di tutto il popolo, come sta scritto nel Levitico 239. Così si entrava nella tenda-santuario per la porta di ponente, cioè per la porta del recinto procedendo nell'interno fino al lato orientale ove era situata l'arca dell'alleanza.

177. 21. Infatti la tenda-santuario più interna, la quale cominciava non dalla porta del recinto, ma dall'entrata, detta entrata della tenda, e quanto alla lunghezza terminava nel lato orientale, dov'era l'arca dell'alleanza, era racchiusa da dieci cortine di ventotto cubiti ciascuna, cinque da una parte cinque dall'altra, unite tra loro da cordoni e grossi anelli, collocate le une di fronte alle altre e sostenute da venti montanti nei lati più lunghi del nord e del sud, e da otto montanti nel lato occidentale, mentre nel lato orientale non aveva montanti ma terminava con le cortine. Queste dieci cortine erano alte quattro cubiti e si estendevano in tutto il perimetro per duecentottanta cubiti: cento di esse corrispondevano ai due lati più lunghi, del sud e del nord per la lunghezza di venti montanti, ma si estendevano per quaranta cubiti agli altri due lati più corti: uno a ponente mediante otto montanti e l'altro ad oriente ove non c'erano montanti poiché si stendevano solo le cortine su due soli montanti nel mezzo; e questi tendaggi erano dieci, di stoffe tessute di quattro colori. La tenda-santuario più interna era dunque circondata da un recinto di venti montanti a sud e venti a nord. Questi due lati del recinto avevano una lunghezza uguale a quella dei lati della tenda interiore, poiché si estendevano anch'essi per altrettanti cubiti, cioè per cento cubiti. Dal lato orientale il recinto terminava con dieci montanti per la lunghezza di cinquanta cubiti: questa fila di montanti formava una linea retta e andava a raggiungere i due montanti posti agli angoli della tenda-santuario interna, i soli della parte orientale e perciò con essi si raggiungeva il numero di dieci. Nel lato occidentale il recinto aveva ugualmente dieci montanti però non in linea retta ma, come abbiamo mostrato, formavano una sorta di portico a tre lati.

177. 22. Tutto quanto il recinto (costruito) attorno alla tenda-santuario era chiuso con tendaggi di lino fine alti cinque cubiti, ricoperti da undici teli di peli di capra, cinque da una parte uniti tra loro e sei dall'altra. I cinque teli uniti tra loro misuravano centocinquanta cubiti, mentre dall'altra parte i sei teli uniti insieme misuravano centottanta cubiti, poiché ciascun telo misurava trenta cubiti. Ma perché una parte risultasse uguale all'altra, davanti alla tenda-santuario, cioè a Oriente, fu ripiegato un telo e, nella parte posteriore, cioè a Occidente, fu fatto ricadere sul tetto della tenda. In tal modo furono eliminati trenta cubiti, corrispondenti alla lunghezza di un telo e ne rimasero centocinquanta, la stessa misura di cubiti anche dall'altra parte. Il perimetro dei teli di peli di capra da cui era circondato il recinto della tenda sacra era dunque lungo trecento cubiti come il perimetro dei dieci teli della tenda-santuario più interna misurava duecentottanta cubiti. Ogni cortina misurava infatti ventotto cubiti di lunghezza mentre ogni telo di pelo di capra era lungo trenta cubiti. Per questo motivo, dell'estensione totale delle cortine della tenda-santuario interiore, che misurava duecentottanta cubiti, cento cubiti erano di ciascuno dei due lati più lunghi, il meridionale e il settentrionale e quaranta cubiti di ciascuno dei lati più corti, quelli ad est e a ovest: della larghezza totale dei teli di peli di capra, che coprivano il recinto esterno della tenda sacra e che misuravano trecento cubiti, cento erano di ciascuno dei lati più lunghi, quello meridionale e quello settentrionale, perché erano uguali ai lati della tenda più interna, mentre cinquanta erano per ciascuno degli altri due lati, quello orientale e quello occidentale. E perciò i due cubiti, per cui il telo di peli di capra era più lungo della cortina, servivano non per i due lati, meridionale e settentrionale, che erano uguali a quelli del recinto esterno e della tenda sacra più interna, ma per i lati di oriente e di ponente. Ciò dipendeva dal fatto che in quei due lati era aumentata la larghezza della tenda essendo stato collocato il recinto attorno alla parte esterna. Ma dal lato orientale, in linea retta, formata dai dieci montanti, si stendevano cinquanta cubiti di teli di pelo di capra e serviva a loro uno dei due cubiti di cui era maggiore la lunghezza degli stessi teli; al contrario gli altri cinquanta cubiti necessari per il lato occidentale, ai quali era utile l'altro dei due cubiti, non si stendevano nella linea retta dei montanti. Lì c'era infatti quella specie di triportico che racchiudeva lo spazio del recinto, ove doveva esserci l'altare dei sacrifici, formato da quattro montanti a partire dalla porta e da altri tre a partire dai lati, e perciò i cinquanta cubiti non potevano racchiudere all'intorno anche la porta, ma si stendevano fino a coprire i lati obliqui formati ciascuno da tre montanti e quindici cubiti. I teli di peli di capra invece arrivavano all'altezza di quattro cubiti e con essi erano coperti i tendaggi di lino fine del recinto e la loro altezza era di cinque cubiti.

177. 23. Le pelli tinte di rosso ricoprivano invece i teli di peli di capra. Al di sopra però, cioè dalla parte del tetto, la tenda-santuario, fatta come un soffitto a volta, era coperta con pelli color di giacinto; non risulta però chiaro se con il recinto fosse coperto anche lo spazio più interno, ma è più probabile che gli spazi tra i montanti esterni e quelli interni, avessero un soffitto a volta soprattutto quello a occidente, dov'era l'altare dei sacrifici.






Agostino Qu. Heptateuco 1173