Agostino Qu. Heptateuco 2177


LIBRO TERZO

QUESTIONI SUL LEVITICO

Timore di peccare e timore di denunciare lo spergiuro.

3001
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Lv 5,1) Se una persona avrà commesso un peccato, e avrà sentito la parola di scongiuro e sarà stato testimone per aver visto o saputo, se non ne darà l'informazione e incorrerà nella colpa, cioè: se non ne darà l'informazione, incorrerà nella colpa. Poiché l'aggiunta di e è un modo abituale di esprimersi nelle Scritture. Siccome però il senso (dell'espressione) è oscuro, ci è parso doveroso spiegarlo. L'espressione pare voglia dire che una persona commette un peccato se, all'udire qualcuno giurare il falso, sapendo che giura il falso, tace. Egli poi lo sa se sarà stato testimone del fatto per cui si presta giuramento o lo vide o venne a conoscerlo; cioè se lo conobbe in qualche modo, o ne fu testimone oculare o glielo manifestò la stessa persona che presta giuramento: così infatti poté esserne consapevole. Ma tra il timore di commettere un tale peccato e il timore di denunciare le persone c'è generalmente una tentazione non piccola. Poiché possiamo distogliere dal commettere un peccato così grave ammonendo chi è pronto a spergiurare o proibendoglielo ma, qualora non ci ascoltasse e giurasse, in nostra presenza, riguardo a qualcosa che noi sappiamo essere falsa, è un problema assai difficile se debba essere denunciato poiché, se denunciato, potrebbe andare incontro anche alla morte. Ma siccome in questo passo non è specificato a chi dev'essere deferito il fatto, se a colui per il quale si giura o al sacerdote o a chiunque altro che non solo non può perseguirlo infliggendogli il castigo, ma anzi può intercedere per lui, mi sembra che quest'uomo si possa ritenere libero anche dal vincolo del peccato se lo denuncerà a persone tali che, più che danneggiare, possono aiutare lo spergiuro correggendolo o riconciliandolo con Dio, se anch'egli prendesse la medicina della confessione.

Vietato offrire sacrifici per lo spergiuro.

3002
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Lv 5,2-6) Dopo questo genere di peccato, quello cioè di non denunciare lo spergiuro di qualche persona, ricordato dall'agiografo, il Signore comandò di non offrire per tale peccato alcun sacrificio, ma subito dopo soggiunse: Chiunque a sua insaputa toccherà qualsiasi cosa impura, o il cadavere di un animale catturato da una belva sia di bestie morte sia di quelli che sono cadaveri delle abominazioni impure, sia le bestie domestiche impure, o toccherà qualcosa delle impurità umane, di qualsiasi impurità dell'uomo, se la toccherà si contaminerà, ma se in seguito ne sarà consapevole commette un peccato. Neppure qui si ricorda il sacrificio da offrire per questo genere di peccato, ma l'agiografo continua dicendo: Chiunque farà un giuramento, proferendolo con le proprie labbra, di fare del male o del bene relativamente a tutto ciò che l'uomo può pronunciare con giuramento, se non se ne sarà reso conto e poi verrà a conoscerlo, e commetterà uno di questi peccati e confesserà il peccato con cui peccò contro se stesso. Dopo aver finito di esporre tutte queste cose tra loro concatenate senza interporre (alcun accenno) del sacrificio, il testo soggiunge dicendo: e offrirà al Signore per le sue colpe, per il peccato che commise, una femmina del bestiame minuto, un'agnella o una capretta per il peccato e il sacerdote compirà per lui il rito di espiazione e gli verrà rimesso il peccato. Che cosa vuol dire dunque che per uno spergiuro non rivelato da una persona e per il fatto che si tocca un cadavere non si menziona alcun sacrificio, mentre per il peccato di pronunciare involontariamente un falso giuramento il Signore ordinò di offrire un'agnella o una capra? Si deve forse pensare che questo sacrificio (ha da offrirsi) per tutti i peccati menzionati prima? L'agiografo infatti preferì enumerare prima tutti i peccati e dire poi con quale sacrificio potessero espiarsi. Ma in tutti i generi di peccati elencati prima ci sono alcune frasi enunciate in modo non molto chiaro a causa degli idiomatismi (della Scrittura), come l'espressione: il cadavere dei giumenti. Orbene, i greci chiamano gli animali che la maggior parte dei nostri scrittori hanno tradotto con iumenta (giumenti); ma questa parola, nell'uso comune della lingua latina, denota gli animali che con la loro fatica ci aiutano soprattutto a trasportare carichi pesanti, come i cavalli, gli asini, i muli, i cammelli e altri animali dello stesso genere; al contrario il termine greco , che denota gli animali, ha un significato tanto esteso che abbraccia tutte o quasi tutte le specie di bestiame. E perciò in greco, nel menzionare i giumenti, si aggiunse con un nuovo genere d'idiomatismi, a guisa di , l'aggettivo impuri, poiché ci sono anche animali puri, denotati come ; quelli invece che la lingua latina denota comunemente come giumenti sono i soli che, secondo la disposizione della Legge, sono impuri.

Spesso la Scrittura usa il verbo distinguere.

3003
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Lv 5,4-6) Parimenti, riguardo all'espressione: Chiunque, distinguendolo con le labbra, avrà fatto un giuramento di fare del male o di fare del bene, si pone il quesito: che significa: distinguendo ? Poiché spesso la Scrittura usa questa parola. Per questo si trova anche l'espressione: adempirò i miei voti (fatti a Dio) distinti con le mie labbra 1; così, ugualmente a Ezechiele viene detto: Se io dirò a un malvagio: " Tu morirai di certo " e tu non hai distinto e non hai parlato 2; parimenti sta scritto: Se una donna vivente (ancora) in casa di suo padre, farà un voto, distinguendo con le sue labbra, contro se stessa 3. Sembra dunque che questa " distinzione " sia una specie d'indicazione precisa con cui si separa qualcosa dalle altre che non si mantengono solo con la parola. Quelle frasi dunque si devono intendere come se fosse detto: La persona che avrà giurato indicando precisamente con le sue labbra di fare il male o fare il bene, secondo tutte le cose che uno indica con precisione con giuramento, non se ne sarà reso conto - cioè se avrà giurato di fare qualcosa senza sapere se deve o non deve farsi - e lo verrà a conoscere e avrà commesso uno di questi peccati - sia perché giurò prima di saperlo, sia perché fece ciò che giurò di fare e seppe in seguito che non era da farsi né si doveva giurare - e confesserà il peccato con cui aveva peccato - vale a dire il peccato che aveva commesso, poiché si tratta di un idiomatismo. L'espressione aggiunta: contro di lui che cosa vuol dire, se non che confessò il peccato contro se stesso, cioè accusò se stesso confessando il proprio peccato? E per i peccati commessi offrirà al Signore, per il peccato commesso una femmina delle pecore, un'agnella. L'agiografo dice - con un idiomatismo - un'agnella femmina, come se potesse esserci un'agnella non femmina, o una capra tra le capre, come un'agnella tra le pecore, come se potesse esserci una pecora che non fosse una delle pecore o una capra che non fosse una delle capre. Sorge poi un problema non irrilevante, anzi considerevole, quello cioè di sapere che cosa vuol dire l'espressione ricorrente: ma in seguito si sarà reso conto di ciò e avrà peccato, come se il peccato venisse commesso (solo) quando uno ne avesse coscienza. O piuttosto vuol dire che non si può offrire soddisfazione per il peccato se non dopo averne avuta coscienza? L'agiografo però non dice: " ma dopo questo ne avrà coscienza e si pentirà ". Che vuol dire dunque: dopo ciò ne avrà coscienza e peccherà? Vuol dire forse: " peccherà dopo esserne consapevole " di modo che, se farà ciò che non si sarebbe dovuto fare, allora il peccato dovrà essere espiato? Prima però l'agiografo non si è espresso così. Sembra infatti che (il Signore) castiga i peccati commessi da chi non ne ha coscienza e perciò non vuole commetterli. Forse quindi l'espressione peccherà è un genere d'idiomatismo che vuol dire: " avrà coscienza che è un peccato ". Oppure la frase è espressa con una costruzione inversa - poiché nella Scrittura si trovano anche tali specie di modi di esprimersi - mentre lo stesso concetto è espresso con la costruzione diretta in altri simili passi. Poiché sebbene si trovi scritto tante altre volte così: e peccherà e ne avrà coscienza, soltanto qui - come ho detto - si dice prima: ne avrà coscienza, e poi: peccherà. Secondo la costruzione dell'agiografo però si potrebbe dire: Qualunque persona che toccherà qualsiasi cosa impura, sia essa d'un cadavere o d'una bestia impura, agnello d'una bestia catturata da una belva, sia delle cose che sono cadaveri delle abominazioni impure, il cadavere di giumenti impuri o toccherà qualcosa dell'immondezza umana, di qualsiasi impurità umana con cui si contamina se verrà toccata, e se non se ne renderà conto in seguito però ne avrà coscienza 4.

Offerta di due tortore per il sacrificio.

3004
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Lv 5,7) Se però la sua mano non ha mezzi per procurarsi un animale del bestiame minuto per il peccato da lui commesso, offrirà al Signore due tortore o due piccioni: uno per il peccato e uno per l'olocausto. Qui è risolto forse il quesito a proposito del quale in antecedenza avevamo dei dubbi, poiché pare sia usata l'espressione: uno per il peccato e l'altro per l'olocausto, in quanto il sacrificio per il peccato veniva offerto solo insieme con l'olocausto. Inoltre, precedentemente, parlando a parte degli olocausti, l'agiografo menziona la tortora ma non dice che se ne offrissero due 5. Ora invece dice che se ne devono offrire due, poiché non si offriva un sacrificio per il peccato senza l'olocausto. Quanto dunque a ciò che era detto più sopra, cioè: e lo porrà al di sopra dell'olocausto 6, non c'è dubbio che sull'altare prima si metteva l'olocausto e poi al di sopra si poneva l'altra vittima; ora invece a proposito di animali con le ali si parla diversamente: prima si offra un alato per il peccato e poi un altro per l'olocausto.

Anima sta per uomo.

3005
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Lv 5,15) Quanto poi alla frase: Se a un'anima sarà sfuggito per dimenticanza, vuol dire: se per dimenticanza avverrà che sfugga a lui, cioè a un uomo (eum) o a lei (eam) se si riferisce a una persona, poiché qui chiama anime gli uomini, le persone.

Un peccato per inavvertenza.

3006
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Lv 5,15-16) E commetterà involontariamente un peccato appropriandosi dei beni sacri del Signore. Si ha l'impressione che questa specie di peccato sia stata espressa in maniera oscura, ma viene spiegata da ciò che si dice in seguito, dove, dopo aver accennato al sacrificio d'un capro di espiazione è detto: lo restituirà e ve ne aggiungerà un quinto. Perciò commettere un peccato per inavvertenza sottraendo ai beni sacri del Signore significa: " appropriarsi inavvertitamente di qualcosa " destinato alle cose sacre o ai sacerdoti o alle offerte delle primizie o di qualsiasi altra cosa simile.

Mancanza di distinzione fra varie specie di peccati.

3007
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Lv 5,17-19) E se una persona commetterà un peccato e compirà una delle azioni che il Signore vieta di fare e anche se non ne ha coscienza, commette il peccato e porterà il peso del proprio peccato e offrirà un capro senza difetti del suo bestiame minuto in valore di danaro come sacrificio per il peccato al sacerdote; e il sacerdote farà il sacrificio per il perdono del peccato involontario commesso senza saperlo e gli sarà perdonato; in effetti egli aveva commesso un peccato al cospetto del Signore. A parte l'insolita abbondanza d'idiotismi che per la loro continua ripetizione dovrebbero essere ormai arcinoti, il senso di tutto questo passo è oscuro, poiché ci chiediamo come distinguere questa specie di peccato da quelli che più sopra l'agiografo ha raccolto in una certa maniera generica. Sembra infatti che la ragione esiga che per determinate specie di peccati siano da offrire determinate specie di sacrifici con cui espiarli. Ma il passo che ora ho ricordato non lascia capire di quale peccato in particolare si tratti, ma sembra restare nella generalità; prima di parlarne il Signore stabilì di offrire un vitello come sacrificio per il sacerdote e parimenti un vitello per tutta la comunità, un capro per il principe e per qualunque anima, cioè per qualsiasi persona, una capra o, se si preferisse, un capo di ovini, ma tuttavia bestiame di genere femminile 7. Poi l'agiografo prese ad esaminare alcune specie di peccati e a indicare quale sacrificio si dovesse offrire e per quali peccati, chiamandoli per nome; come per esempio lo spergiuro, udito ma non denunziato, di chiunque, il toccare un cadavere o una cosa immonda e il giuramento falso fatto inavvertitamente, per i quali doveva offrirsi un'agnella o un paio di tortore o due piccioni o un decimo di efa di fior di farina 8; invece, per il peccatore, che inavvertitamente si era appropriato ingiustamente dei beni santi, un capro e la restituzione, con l'aggiunta di un quinto in più, della roba di cui si era appropriato. Adesso, al contrario, senza indicare chiaramente di quale specie di peccato si tratti, si aggiunge in modo generico: Qualunque persona che avrà peccato e avrà compiuto una delle azioni che i comandamenti del Signore vietano di compiere - così diceva in quella prescrizione generica una delle azioni che il Signore vieta di fare - e anche senza averne coscienza e commetterà il peccato, cioè se avrà peccato involontariamente per inavvertenza, il Signore ordina di offrire un capro, non una capra o una femmina delle pecore, come aveva ordinato (parlando dei peccati) in modo generico. Che vuol dire dunque tale mancanza di distinzione (tra le varie specie di peccati)? Salvo che, nell'espressione di questo passo: poiché commise un peccato davanti al Signore, l'inciso: davanti al Signore voglia significare il peccato che si commette nell'appropriarsi delle cose che si fanno davanti al Signore, cioè delle cose mediante le quali si compie il culto del Signore nella Tenda. A proposito di ciò era stato detto qualcosa poco prima nell'espressione: commise un peccato detraendo (qualcosa) dei beni santi 9, e lo abbiamo nel seguente senso: " si appropriò di qualcuna delle cose sante " poiché il Signore aveva comandato anche di restituirla. E perciò riguardo a tali cose non solo così può commettersi un peccato, se cioè uno si appropria di qualcosa di esse inavvertitamente, ma in molti altri modi può uno commettere un peccato, senza averne coscienza, riguardo alle cose che si offrono per il culto del Signore. L'agiografo volle in seguito menzionare in maniera generale questa specie di peccati e perciò sia prima che adesso il Signore comandò di offrire un capro. Le Scritture poi sono piene di espressioni come questa: davanti al Signore e non significano altro se non ciò che si offre al Signore come il sacrificio o le primizie o un servizio di culto con le cose sante.

Se sono prescritti sacrifici differenti secondo la differenza dei peccati.

3008
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Lv 5,7) C'è anche quest'altro quesito: quello cioè di sapere se la frase: Se uno non ha i mezzi sufficienti per avere un animale del bestiame minuto, deve intendersi in ogni caso nel senso che egli deve offrire un paio di tortore o due piccioni e, se non riesce neppure a fare così, una determinata quantità di fior di farina. Poiché, se s'intende che è lecito in ogni caso fare così, non può dirsi sicuramente che il sacerdote non ha (da offrire) un vitello né che non ha un capro o una pecora l'intera comunità, né il capo. E se la cosa sta così, che necessità c'era di dire poi che uno spergiuro non denunciato di una persona o l'atto di toccare qualcosa d'impuro o lo spergiuro fatto per ignoranza si espia con il sacrificio di un'agnella o d'una capra, dal momento che i medesimi sacrifici sono prescritti anche in quella indicazione generale del peccato, alla quale avrebbero potuto appartenere anche questi peccati? Se però questi peccati si distinguono per il fatto che per essi era lecito offrire tortore e piccioni o anche fior di farina in mancanza di questa offerta, mentre non era lecito dove non è specificato nulla, allora non sembra che si fosse venuto in aiuto dei poveri, poiché ci sarebbero potuti essere molti altri peccati non indicati particolarmente che potevano riferirsi all'indicazione generale, secondo la quale i poveri sarebbero stati oppressi, se fosse stato lecito solo offrire una capra delle capre o un'agnella delle pecore oppure uccelli e fior di farina. Salvo che si dica che la sola differenza tra i peccati eccettuati e indicati con il proprio nome e quelli menzionati in modo generico deriva proprio dal fatto che qui si parla di un'agnella e lì di una pecora, in modo che l'età degli animali faccia risaltare una certa qual differenza, purché s'intenda che i poveri sono stati parimenti aiutati, sicché, se non possedessero alcun animale quadrupede, potessero offrire o i suddetti uccelli o fior di farina per i loro peccati commessi inavvertitamente. Potrebbe però creare imbarazzo il problema di sapere perché il legislatore, avendo prima messo in generale tutti i peccati d'inavvertenza in un unico elenco e avendo distinto i sacrifici non in base alla differenza dei peccati ma in base a quella delle persone, volle poi distinguere anche i peccati e prescrivere sacrifici differenti secondo la loro differenza, come se tutti non rientrassero in quella generalità; bisogna tuttavia intendere che la distinzione fu fatta in seguito; in tal modo dobbiamo pensare che tutti i peccati che rimarranno, eccetto quelli menzionati nominatamente e particolarmente dal legislatore, si trovano compresi in quella generalità. Questa forma di idiotismo non è possibile trovarla in alcun altro passo, ma nelle Sacre Scritture si trova qualcosa di simile, come nel passo ove l'Apostolo dice: Qualsiasi peccato commetta l'uomo è fuori del corpo. Sembra che qui non è stato omesso alcun peccato dal momento che si dice: Qualsiasi peccato commetta l'uomo, e in seguito tuttavia eccettuò la fornicazione soggiungendo: chi però fornica, commette un peccato contro il proprio corpo 10. Questa asserzione secondo il consueto modo di parlare sarebbe espressa così: qualsiasi peccato commetta l'uomo, eccetto la fornicazione, è fuori del corpo, chi però fornica pecca contro il proprio corpo. Così anche qui, pur avendo parlato prima in genere di tutti i peccati commessi per inavvertenza, da espiare con i sacrifici da lui menzionati, l'agiografo tuttavia eccettuò quelli che, menzionati espressamente e distintamente, dovevano essere riparati con determinati sacrifici: in tal modo, eccettuati questi peccati, tutti i rimanenti dovevano rientrare in quella generalità.

Si cerca un significato simbolico.

3009
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Lv 6,6 Lv 10) Offrirà un montone del proprio gregge senza difetti, secondo il prezzo per il peccato commesso. L'espressione non dev'essere separata come se secondo il prezzo per il peccato commesso, significasse: " secondo il prezzo per il qual prezzo peccò ", ma: " se offrirà un montone, lo offrirà secondo il prezzo ", cioè comprato. In effetti sembra che il Signore volle che anche questo particolare avesse un qualche significato simbolico, in quanto non determinò il prezzo. Mi spiego: se lo avesse determinato, sarebbe potuto sembrare che avesse ordinato di non offrire in sacrificio un animale di poco valore, in modo che, anche se colui che lo offriva non l'avesse comprato, avrebbe tuttavia offerto una cosa che avesse un valore equivalente. Aggiungendo però non solo il prezzo, in modo che si offrisse un montone comprato, ma anche il prezzo in sicli santi - così infatti dice l'agiografo: al prezzo di sicli d'argento, valutati al tasso del siclo santo 11 - il Signore volle che il montone fosse comprato per alcuni sicli, non per un solo siclo. Riguardo a che cosa vuol dire: siclo santo abbiamo già esposto una nostra opinione quando ci è parso opportuno. L'agiografo però, dopo aver detto: Per il suo peccato offrirà al Signore un montone del gregge degli ovini senza difetti, soggiunge: per il peccato da lui commesso, espressione che si deve intendere: " offrirà per ciò in cui peccò ", cioè " per quella cosa; a causa di quella cosa ". E ritirerà l'holocarpoma - l'olocausto che il fuoco avrà consumato completamente - dall'altare. Che cosa ritirerà se è stato consumato completamente? Il Signore infatti ordinò al sacerdote di ritirare l'holocarpoma, cioè l'olocausto consumato completamente dal fuoco ch'era stato acceso tutta la notte. E che cosa vuol dire anche la parola olocausto che l'agiografo aggiunse, dal momento che l'holocarpoma ha lo stesso significato di olocausto? Solo che forse è vero ciò che si trova in un manoscritto greco, in cui non si dice: " ritirerà l'holocarposis " (l'olocausto), ma: ritirerà il catacarposis, cioè il residuo dell'olocausto consunto dal fuoco. L'agiografo però chiamò holocaustosis (olocausto) quel residuo, come sono la cenere e il carbone, servendosi del nome della cosa consumata, chiamandola residuo della consunzione.

Come si completa il senso della frase.

3010
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Lv 6,9) Poco prima l'agiografo dice: Ecco la legge dell'olocausto; poi, esponendo quale sia la medesima legge, aggiunge: dell'olocausto che starà sul fuoco del braciere (posto) sull'altare tutta la notte fino al mattino e il fuoco dell'altare brucerà su di esso; non dovrà spegnersi. (Questo passo) sarebbe più chiaro se, conforme al nostro abituale modo di esprimerci, non avesse la congiunzione e, poiché, tralasciando tale congiunzione, il senso risulterebbe connesso così: Ecco l'olocausto che starà sul fuoco del braciere posto sull'altare; tutta la notte fino al mattino il fuoco dell'altare arderà su di esso, cioè sull'altare. Poi, per completare il senso dell'enunciato viene aggiunto: non si spegnerà, sebbene ciò fosse indicato dalle parole: tutta la notte.

L'holocarpoma.

3011
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Lv 6,11) E indosserà un altro vestito e porterà via l'holocarpoma fuori dell'accampamento in un luogo puro. È chiamato holocarpoma ciò che è stato già consumato col fuoco, che però nel testo greco è detto . Alcuni autori latini invece hanno aggiunto: che è stato consumato col fuoco, e hanno tradotto così: e porterà via l'holocarpoma, consumato col fuoco, fuori dell'accampamento in un luogo puro.

Il fuoco arderà sempre sull'altare.

3012
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Lv 6,12) E il fuoco arderà sull'altare dopo quello e non si spegnerà, cioè dopo il fuoco in cui bruciò l'olocausto fino al mattino. Il Signore infatti non vuole che il fuoco si spenga del tutto, ma che dopo aver bruciato l'olocausto fino al mattino e dopo che sia stato portato via il residuo (della vittima) dell'olocausto consumato (dal fuoco), neppure così il fuoco si spenga ma sia alimentato perché ne vengano bruciate le altre vittime che vi si pongono sopra.

Significato dell'espressione al mattino.

3013
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Lv 6,12-13) Il legislatore continua dicendo: E il sacerdote al mattino farà bruciare su di esso la legna e vi porrà sopra l'olocausto e vi collocherà al di sopra il grasso del sacrificio di salvezza; e il fuoco arderà sempre sull'altare; non si deve lasciare spegnere. A proposito dell'espressione al mattino bisogna vedere se essa significa " ogni giorno " di modo che non si lasci passare alcun giorno in cui non si trovi l'olocausto e il grasso del sacrificio di salvezza, oppure al mattino significa che in qualsiasi giorno si ponga sull'altare la legna per il fuoco, si deve porre solo la mattina. Poiché se intenderemo l'espressione nel senso di " ogni giorno ", che dire se nessuno portava l'offerta? Se invece erano i sacerdoti a procurare gli olocausti giornalieri prendendoli dalle proprietà del popolo o dai propri beni, su di essi venivano poste le cose offerte dal popolo per i peccati e che il Signore aveva ordinato di porre sopra l'olocausto e non era necessario che la persona, che offriva sacrifici per il peccato, offrisse anche l'olocausto sul quale fosse posto il proprio sacrificio, se non quando veniva offerto un paio di tortore o due piccioni, poiché in quel caso era stabilito senza eccezioni che doveva essere offerto uno in sacrificio per il peccato e l'altro per l'olocausto, e prima quello in sacrificio per il peccato e poi quello per l'olocausto 12. Possiamo inoltre domandarci se l'olocausto che il Signore comandò di offrire la mattina doveva bruciare anch'esso per tutta la notte fino al mattino seguente o se l'olocausto che si dice debba bruciare tutta la notte fosse quello vespertino, a partire dal quale si comincia a parlare della legge dell'olocausto di modo che si inizi a partire dall'olocausto vespertino, ma sarebbe strano che non si dicesse né si ricordasse che quegli olocausti dovevano offrirsi la sera.

I sacrifici e il sommo sacerdote.

3014
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Lv 6,19-20) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Ecco l'offerta che Aronne e i suoi figli offriranno al Signore nel giorno in cui lo ungerai ". Una cosa sono i sacrifici che l'agiografo menziona nell'Esodo, con i quali per sette giorni vengono consacrati i sacerdoti perché comincino ad esercitare il loro sacerdozio 13, e un'altra cosa è quella menzionata adesso, cioè che cosa deve offrire il sommo sacerdote quando viene ordinato, ossia quando viene unto. Il testo infatti continua così e dice: Nel giorno in cui lo ungerai. Non dice: " li ungerai ", sebbene fosse comandato dal Signore di ungere anche i sacerdoti di grado inferiore. Il legislatore poi parla dell'offerta da presentare per il sacrificio: la decima parte di un'efa di fior di farina come sacrificio perpetuo. Qui sorge il problema in che senso un sacrificio è perpetuo, se da colui che riceve l'unzione viene offerto solo nel giorno in cui viene unto come sommo sacerdote. Il problema si può risolvere pensando che quel sacrificio deve offrirsi sempre nel giorno in cui viene unto il sommo sacerdote, vale a dire che i sommi sacerdoti nel succedersi gli uni agli altri dovranno offrire sempre quel sacrificio il giorno della consacrazione. Si potrebbe tuttavia intendere perpetuo anche se riferito non al sacrificio, ma a ciò di cui esso è simbolo.

Il sacrificio fatto di varie offerte.

3015
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Lv 6,20-21) Di essa - è detto - metà al mattino e l'altra metà al pomeriggio, che il testo greco traduce con . Sarà cotta alla teglia con l'olio; impastata e tagliata a fette la offrirà; è il fior di farina ciò di cui parla qui il legislatore. Il testo poi dice fresa (fior di farina), seppure il termine rende bene quello greco: , usato al plurale di genere neutro. Il traduttore latino infatti non dice fresam, al femminile singolare, come se si trattasse della similaginem (fior di farina), che aveva detto mescolata con l'olio; egli invece denota con questo termine un sacrificio fatto di vari pezzi. Non è dunque del tutto chiaro se il traduttore denoti come fresa i frammenti, cioè le piccole fette, oppure i granelli assai minuti del fior di farina.

Eterno ciò di cui il rito è simbolo.

3016
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Lv 6,21-22) L'agiografo poi continua e dice: Sacrificio (che è) fragranza di buon odore per il Signore. Lo farà il sacerdote, l'unto, che gli succederà tra i suoi figli. Ecco perché forse l'agiografo aveva chiamato perpetuo il sacrificio, perché lo facesse ogni sommo sacerdote quando succedeva a quello defunto, il giorno in cui fosse unto; il testo infatti aggiunge l'espressione legge eterna, potendosi intendere come eterno ciò di cui il rito è il simbolo.

Consumazione totale dell'offerta.

3017
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Lv 6,23) Il testo continua: Tutto sarà completato, così ha il greco alcuni traduttori hanno usato l'espressione: sarà posto tutto (sull'altare). Con questa espressione l'agiografo vuol fare intendere che si tratta di un olocausto, poiché (dell'offerta) non ne resta nulla. Di conseguenza l'agiografo aggiunge: e tutto il sacrificio del sacerdote sarà consumato interamente e non se ne potrà mangiare. Giustamente (prima) aveva detto: Sarà completato tutto.

I residui del sacrificio appartengono al sacerdote.

3018
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Lv 6,26 Lv 30) Parlando del sacrificio per il peccato l'agiografo dice: Il sacerdote che offrirà (la vittima) la mangerà. Il sacerdote non mangerà dell'offerta che porrà sull'altare - poiché essa verrà consumata dal fuoco - ma di ciò che ne rimarrà, poiché non è un olocausto che debba bruciare interamente sull'altare. Di poi l'agiografo dice: Di nessuna vittima per il peccato, di cui si sarà introdotto il sangue nella tenda della testimonianza per fare l'espiazione nel luogo santo, se ne mangi, ma essa verrà bruciata interamente col fuoco 14. In qual modo allora apparterranno ai sacerdoti i residui del sacrificio per il peccato e possono essere mangiati? Ciò quindi occorre intenderlo nel senso che vengono escluse le vittime con il sangue delle quali si bagnano (gli angoli) dell'altare dell'incenso nella tenda della testimonianza. Così infatti il Signore in precedenza aveva ordinato di fare a proposito del vitello che doveva essere offerto dal sacerdote per il proprio peccato e a proposito del vitello che doveva offrire per il peccato di tutto il popolo, che cioè le carni che fossero rimaste venissero bruciate fuori dell'accampamento 15; ciò viene ricordato brevemente anche adesso.

Offerta esclusiva del sacerdote.

3019
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Lv 7,1) Questa è la legge del montone offerto per il peccato; si tratta d'una offerta sacrosanta, vale a dire che ne possono mangiare solo i sacerdoti.

Differenza fra il peccato e il delitto.

3020
(
Lv 7,7) Che cosa significa ciò che la Scrittura, dopo aver parlato del capro offerto in sacrificio e aver esposto la legge del rito relativo, dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto; una sola legge per esse? Qui sorge il problema di sapere quale differenza ci sia tra il peccato e il delitto, poiché, se non ci fosse nessuna differenza l'agiografo non avrebbe detto affatto: Come la vittima per il peccato così anche quella per il delitto. Sebbene infatti non ci sia alcuna differenza tra la legge e il sacrificio, poiché unica è la legge per ambedue, tuttavia se tra queste due colpe, per le quali esiste un'identica legge - cioè il peccato e il delitto - non ci fosse alcuna differenza e se fossero due nomi denotanti la stessa cosa, la Scrittura non si preoccuperebbe di sottolineare tanto diligentemente che il sacrificio per entrambi è lo stesso.

20. 2. Il peccato dunque è forse compiere il male, il delitto invece è abbandonare il bene, così che, come in una vita degna di lode una cosa è allontanarsi dal male e un'altra è fare il bene - come siamo esortati dalla Scrittura che dice: Allontànati dal male e compi il bene 16 - così in una vita degna di biasimo una cosa è allontanarsi dal bene e un'altra fare il male, e quella sarebbe un delitto, questa un peccato. Se infatti esaminiamo anche questo vocabolo che cos'altro vuol dire delictum (il delitto) se non derelictum (ciò che è stato abbandonato)? E che cosa abbandona chi delinque se non il bene? Anche i Greci hanno denotato questo flagello con due vocaboli usuali. Il peccato (delictum) in greco si dice sia che . Proprio in questo passo del Levitico si trova . Quando l'Apostolo dice: Se uno s'è lasciato sorprendere da qualche peccato 17, il testo greco ha . Se analizziamo l'etimologia di questi nomi, vediamo che con s'intende che in un certo senso " cade in rovina " chi commette un peccato e da " cadere " deriva il termine " cadavere ", che i latini formano derivandolo da "cadere ", e in greco il fallo si dice , che deriva da , cioè dal verbo che vuol dire " cadere ". Chi dunque commette il male col peccare cade prima dal bene peccando. Così pure è un nome simile a " negligenza ", poiché in greco " negligenza " si dice , in quanto non si prende a cuore ciò che si trascura. Il greco infatti traduce l'espressione " non mi importa " con . In questo caso la particella , che si aggiunge per formare il vocabolo , significa praeter (al di fuori di; contro), sicché , che denota la negligenza, sembra significare " senza diligenza ", invece " al di fuori della diligenza ", che è quasi la stessa cosa. Ecco perché anche alcuni nostri scrittori 18 hanno preferito tradurre il termine non con " delitto ", ma con "negligenza ". Nella lingua latina inoltre, che cos'altro è negligitur (si trascura) se non ciò che non legitur, cioè non si sceglie? Perciò anche gli autori latini hanno detto che legem (la legge) deriva da legere (scegliere). Da questi indizi si deduce in certo qual modo che delinquit (pecca) chi derelinquit (abbandona) il bene e, abbandonandolo, decade dal bene poiché lo trascura, cioè non l'ha a cuore. Per il momento però, quanto alla parola peccato, che in greco si dice , non mi viene in mente quale sia l'etimologia in nessuna delle due lingue.

20. 3. Si potrebbe anche credere che è delitto quello che si commette inavvertitamente, cioè per ignoranza, peccato invece quello che si commette consapevolmente. Con questa differenza sembrano accordarsi i seguenti testi della Scrittura: Chi comprende i propri delitti? 19 e quest'altro passo: Poiché tu conosci la mia imprudenza, soggiungendo immediatamente: le mie colpe non ti sono nascoste 20, ripetendo - per così dire - in un altro modo il medesimo concetto. E non contrasta con questa spiegazione la frase dell'Apostolo citata da me poco prima: Se uno si è lasciato sorprendere da qualche peccato 21. Per il fatto stesso che dice di essersi lasciato sorprendere da qualche peccato, indica che quel tale è caduto in fallo inavvertitamente. L'apostolo Giacomo, al contrario, definendo in un certo modo il peccato come appartenente a uno che ne è consapevole, dice: Chi sa di dover fare il bene e non lo fa, commette peccato 22. Ma quale che sia la differenza - quella o questa o qualche altra - tra il peccato e il delitto, se tra essi non ce ne fosse nessuna, la Scrittura non avrebbe detto, come dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto un'unica legge per esse 23.

20. 4. Ciononostante le due parole si usano indifferentemente, sicché il peccato si chiama delitto, e il delitto peccato. Così, quando si dice che nel battesimo sono rimessi i peccati, non significa che non siano rimessi anche i delitti; ciononostante non vengono nominati ambedue questi termini poiché con il solo termine peccato s'intendono entrambi. Così anche il Signore afferma di versare il proprio sangue per la remissione dei peccati 24. Poiché non dice anche "dei delitti " oserà forse qualcuno dire che mediante il suo sangue non avviene la remissione dei delitti? Parimenti il seguente testo dell'Apostolo: Poiché il giudizio provocato dal peccato di un solo uomo (porta) alla condanna, mentre la grazia concessa dopo tanti delitti ci portò alla giustificazione 25, che cos'altro vuol dire se non che sotto il termine " delitti " sono compresi anche i " peccati "?

20. 5. Anche in questo stesso libro del Levitico, da cui ci vediamo obbligati a trovare o a credere qualche differenza tra il delitto e il " peccato " si legge quanto segue, che cioè Dio, parlando dei sacrifici da offrirsi per i peccati, disse: Se però l'intera comunità dei figli d'Israele avrà commesso un fallo per inavvertenza e il fatto rimarrà nascosto agli occhi della comunità e avrà fatto un'azione di quelle proibite dal Signore e così essi avranno commesso un delitto, se poi sarà riconosciuto come proprio il peccato commesso da loro contro il divieto 26. Ecco che l'agiografo, immediatamente dopo aver detto: e commetteranno un delitto, soggiunge: il peccato commesso da loro, cioè lo stesso delitto che essi avevano commesso. E poco dopo l'agiografo dice: Se invece a peccare sarà il capo e commetterà, anche involontariamente, una delle azioni proibite dal Signore nostro Dio, anche in questo caso commetterà un delitto 27. Parimenti in (uno dei) passi susseguenti è detto: Se una sola persona del popolo del paese commetterà un peccato involontariamente facendo una delle azioni che il Signore proibisce di fare, e delinquerà e sarà poi consapevole del peccato commesso contro la prescrizione 28. Ugualmente in un altro passo: Se una persona, a viva voce, pronuncerà un giuramento di far del male o del bene in tutto ciò che l'uomo può proferire con giuramento e non si sarà reso conto della cosa, ma poi la riconoscerà e avrà commesso uno di tali peccati per il quale peccò contro se stessa e offrirà al Signore per quello di cui si rese colpevole, per il peccato che ha commesso 29. E poco dopo: E il Signore parlò a Mosè in questi termini: "Se qualcuno commetterà una mancanza e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore per il suo delitto un ariete senza difetto, preso dal gregge, che valuterai in sicli d'argento in base al siclo del santuario; risarcirà il danno fatto al santuario, aggiungendovi un quinto, e lo darà al sacerdote, il quale farà per lui il rito espiatorio con l'ariete offerto come sacrificio di riparazione e gli sarà perdonato " 30. Il testo prosegue ancora e dice: Quando uno peccherà facendo, senza saperlo, una cosa vietata dal Signore, sarà colpevole e dovrà scontare la mancanza. Presenterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto, secondo la tua stima; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per l'errore commesso per ignoranza e gli sarà perdonato: È un sacrificio di riparazione; quell'individuo si era certo reso colpevole verso il Signore 31. E continua ancora, dicendo: E il Signore disse a Mosè: "Quando uno peccherà e commetterà una mancanza verso il Signore, rifiutando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto o un pegno consegnatogli o una cosa rubata o estorta con la frode, o troverà una cosa smarrita, mentendo a questo proposito e giurando il falso circa qualcuna delle cose per cui un uomo può peccare, se avrà così peccato e si sarà reso colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode o il deposito che gli era stato affidato o l'oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui abbia giurato il falso. Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto e renderà ciò al proprietario il giorno stesso in cui offrirà il sacrificio di riparazione. Porterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione in onore del Signore, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto secondo la tua stima. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lui davanti al Signore e gli sarà perdonato, qualunque sia la mancanza di cui si è reso colpevole " 32. In conclusione a proposito di quasi tutte le azioni che l'agiografo dice che sono peccati li chiama anche delitti. È perciò evidente che in molti passi delle Scritture i due termini sono usati indifferentemente, ma d'altra parte, che tra di essi vi sia una qualche differenza lo attesta la stessa Scrittura quando dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto.

L'uso del grasso di un animale morto.

3021
(
Lv 7,23-25) D'ogni parte grassa dei bovini, ovini e caprini non ne mangerete. E le parti grasse di un animale morto o sbranato da una belva serviranno per ogni uso, ma non saranno mangiate per nutrimento. Chiunque mangerà qualche parte grassa degli animali che porterete come offerta al Signore perirà, rigettato dal suo popolo. Prima la Scrittura aveva detto: Tutto il grasso è per il Signore 33, e ci eravamo posto il quesito se si trattasse soltanto del grasso d'ogni animale puro, senza eccezione - poiché riguardo agli animali immondi non c'è alcun problema - e che uso dovesse farsi del grasso che il Signore aveva proibito di usare come cibo. Ora invece dice che uso deve farsi del grasso d'un animale morto e sbranato da una belva, che cioè può servire per qualsiasi cosa, naturalmente per qualunque cosa per cui sia necessario il grasso. Per conseguenza rimane il quesito relativo a quale uso può farsi del grasso di tutti gli altri animali che sono puri e destinati ad essere mangiati. Ma poiché il Signore dice che perirà, rigettato dal suo popolo, chiunque mangerà il grasso d'uno degli animali offerti al Signore, sembra che la proibizione di mangiare il grasso degli animali puri era limitata solo per gli animali offerti in sacrificio, sebbene abbiamo sentito dire che i Giudei non mangiano affatto nessuna specie di grasso. Ma noi dobbiamo ricercare che cosa prescrive la Scrittura, non ciò che pensano i Giudei. Questi inoltre non trovano quale buon uso fare del grasso da cui si astengono e in che modo possano gettarlo via, dal momento che la Scrittura dice: Ogni parte grassa (degli animali) appartiene al Signore, visto che vogliono che ciò s'intenda non solo del grasso degli animali sacrificati, ma anche di quelli che non vengono sacrificati perché immondi.

Dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima.

3022
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Lv 7,29-31) Che cosa vuol dire l'agiografo in merito ai sacrifici di salvezza, poiché avverte di nuovo e dice che colui il quale fa l'offerta del proprio sacrificio di salvezza, deve dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima, in modo tale però che il grasso del petto venga offerto al Signore con il lobo del fegato, mentre prima, parlando dei sacrifici di salvezza aveva anticipato che fosse offerto al Signore il lobo del fegato con il grasso del ventre, dei reni e dei lombi 34, ma non aveva parlato del grasso del petto? Forse qui menziona ciò che ha tralasciato prima? Perché dunque parla del lobo del fegato tanto qui che prima? C'è forse qualche differenza per il fatto che prima ha enunciato la prescrizione riguardo al sacrificio di salvezza, ora invece aggiunge la " propria " salvezza, come se una cosa fosse "la salvezza " e un'altra " la propria salvezza "?

Si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote.

3023
(
Lv 4,3-7 Lv 8,2 Lv 14-15 Lv 28-29) La prima volta che l'agiografo parla dei sacrifici per i peccati, dice che si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote che avesse fatto peccare il popolo 35; anche in seguito, quando la Scrittura narra come erano stati eseguiti gli ordini dati dal Signore nei riguardi di Aronne e dei suoi figli, si dice che fu offerto un vitello per il peccato 36. Più sopra però il Signore ordina di bagnare con il sangue del vitello i lati dell'altare dell'incenso e di spargerne in direzione del velo santo, e versare il resto del sangue alla base dell'altare degli olocausti 37. Poi, però, quando Aronne viene consacrato 38, non si dice nulla dello spargere il sangue in direzione del velo, mentre si parla dei lati dell'altare ma senza aggiungere: altare dell'incenso 39; si aggiunge tuttavia che si deve spargere il sangue alla base dell'altare; non si dice " alla sua base ", come se fosse necessario intendere che si trattasse dell'altare del quale aveva bagnato i lati col sangue. Pertanto, sebbene il testo si presenti ambiguo, si è tuttavia liberi di pensare che il rito (della consacrazione) si debba svolgere come era stato ordinato prima riguardo al sacrificio del vitello per il peccato; in tal modo non siamo obbligati a pensare che furono bagnati con il sangue del vitello i lati dell'altare alla cui base fu sparso ma ne furono bagnati i lati dell'altare dell'incenso mentre il sangue fu sparso sulla base dell'altare dei sacrifici.

23. 2. Più sopra, trattandosi di prescrizioni generali, era stato ordinato che, se il sacerdote avesse peccato, fosse lo stesso sacerdote unto e consacrato - cioè lo stesso sommo sacerdote - a offrire questi sacrifici 40; adesso, al contrario, quando viene consacrato Aronne, è Mosè che offre e allo stesso tempo riceve il petto 41, che prima l'agiografo dice doversi dare al sacerdote 42. Ora invece io penso che fosse chiamato " petto dell'imposizione " poiché se ne poneva il grasso (sull'altare) come l'agiografo ha detto più sopra a proposito del sacrificio di salvezza 43. Poiché dunque pare che il sommo sacerdozio cominciò con Aronne, cosa pensiamo che fu Mosè? Se non era sacerdote, in che modo erano compiuti da lui tutti quei riti? Se invece lo era, in che modo affermiamo che il sommo sacerdozio cominciò con suo fratello? Sebbene anche il Salmo in cui è detto: Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti 44, elimini il dubbio che anche Mosè fosse sacerdote, tuttavia ad Aronne e ai sommi sacerdoti suoi successori 45 è ordinato di ricevere la veste sacerdotale che racchiude un gran mistero. Nell'Esodo, prima che si prescrivesse alcunché circa la consacrazione e, in certo qual modo, l'ordinazione dei sacerdoti, allorché salendo Mosè sul monte, si ordina che non vi salgano i sacerdoti 46, non possiamo pensare siano altri se non i figli di Aronne, non perché già lo fossero, ma perché lo sarebbero stati e perciò la Scrittura li ha chiamati così già da allora per anticipazione, come (nella Scrittura) si trovano molti esempi di simili modi di dire; così, per esempio, anche Giosuè, figlio di Nave, fu chiamato così 47, anche se, come dice la Scrittura, questo nome gli fu imposto molto tempo dopo 48. Mosè e Aronne, dunque, erano allora ambedue sommi sacerdoti. O piuttosto il sommo sacerdote era Mosè e Aronne invece lo era alle sue dipendenze? Oppure era anche lui sommo sacerdote per la sua veste di pontefice e Mosè per il suo ministero più eccellente? Fin dal principio infatti a Mosè il Signore disse: Egli parlerà per te quanto a ciò che concerne il popolo, e tu sarai per lui intermediario per le relazioni con Dio 49.

23. 3. Può essere posto anche il quesito seguente: chi, dopo la morte di Mosè, ungeva il successore del sommo sacerdote, che naturalmente poteva succedere solo a quello defunto? Forse perché era già stato unto tra i sacerdoti di secondo grado - in quanto era il medesimo l'olio con cui si ungevano tanto il sommo sacerdote che quelli di secondo grado - ma soltanto il pontefice indossava la veste dalla quale appariva la suprema sua autorità? E se la cosa sta così, la veste la indossava da sé oppure gliela metteva un altro, come Mosè la mise al figlio di suo fratello dopo la morte di questi? Se dunque veniva vestito da un altro sarebbe potuto essere forse sommo sacerdote chi veniva vestito da un sacerdote di secondo rango? Soprattutto poiché la veste era fatta in modo tale che per indossarla era necessario che fosse aiutato da un'altra persona. Ci si vestiva forse così prima come anche dopo? Effettivamente non è che una volta indossata quella veste (poi) non se la togliesse o che, dopo essersela tolta, non tornasse poi ad indossarla. Poteva dunque forse accadere che i sacerdoti di secondo rango vestissero quello di primo grado a titolo di ossequio, non di superiorità. Ma da che cosa appariva chi dei figli doveva succedere al sommo sacerdote? In realtà la Scrittura non ha determinato che fosse il primogenito o il maggiore, salvo il credere che la designazione soleva avvenire in base alla decisione di Dio, manifestata mediante un Profeta o in qualunque altro modo in cui si suole consultare Dio. Sennonché sembra che la faccenda non risultasse priva di discussioni, sicché in seguito parecchi furono i sommi sacerdoti poiché nella disputa del potere supremo fra gli eccellenti, allo scopo di dirimere la contesa, si conferiva a molti quell'onore.

La locuzione stare seduti nell'uso delle Scritture.

3024
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Lv 8,35) Che cosa significa ciò che dice Mosè ad Aronne e ai suoi figli quando vengono consacrati per iniziare il loro servizio sacerdotale: Per sette giorni starete seduti giorno e notte all'ingresso della Tenda della Testimonianza, altrimenti morirete. È forse credibile che sia stato prescritto loro di rimanere seduti giorno e notte per sette giorni in un solo luogo, in una posizione, dalla quale non si sarebbero dovuti muovere affatto? Da questo testo non segue tuttavia che siamo obbligati a pensare che sia indicato in senso allegorico qualcosa che non si debba fare ma solo capire; ma che piuttosto dobbiamo riconoscere un modo di esprimersi proprio delle Scritture quando usano la locuzione stare seduti invece di " abitare; trattenersi in un luogo ". Così, per esempio, non per il fatto che la Scrittura dice che Semei sedette tre anni in Gerusalemme 50 si deve credere che per tutto quel tempo restò seduto sopra una sedia senza alzarsi mai. Per questo motivo si chiamano " sedi " anche i luoghi in cui dimorano coloro che vi risiedono; con questo nome fu denotata infatti l'abitazione.

Il termine senatus.

3025
(
Lv 9,1) E avvenne che Mosè nell'ottavo giorno chiamò Aronne e i suoi figli, e il senato d'Israele. Quello, che alcuni nostri scrittori tradussero con il termine senato, il testo lo chiama . Il traduttore latino ricalcò dunque questo termine, poiché anche senatus (il senato) pare che derivi da senium (vecchiaia). In latino però non sarebbe esatto dire: " chiamò la vecchiaia d'Israele " invece di: " (chiamò) i vecchi, gli anziani ". Sennonché analogo sarebbe il modo di dire: " chiamò la gioventù d'Israele ", invece di: " (chiamò) i giovani "; ma questo modo di dire è usato in latino comunemente, quello invece no. Poiché questo modo di dire sarebbe appropriato, se si potesse dire: " la vecchiaia " d'Israele. Alcuni, perciò, pensando che talora si traduce anche con senato, tradussero l'ordine degli anziani. Tuttavia si sarebbe forse potuto dire meglio brevemente: "chiamò gli anziani d'Israele ".

Tre specie di sacrifici.

3026
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Lv 9,3-4) Mosè dice ad Aronne: E al consiglio degli anziani d'Israele parla in questi termini: prendi tra le capre un capro (da offrire in sacrificio) per il peccato, e un montone e un vitello e un agnello di un anno, senza difetto, per l'olocausto, e un vitello e un ariete per il sacrificio di salvezza davanti al Signore, e del fior di farina impastato con l'olio, poiché oggi il Signore si farà vedere in mezzo a voi. In precedenza sono ricordate 51 quattro specie di sacrifici di animali: l'olocausto, il sacrificio per il perdono dei peccati, il sacrificio per la salvezza e il sacrificio della perfezione; ma il sacrificio della perfezione era quello offerto per la consacrazione del sacerdote. Qui dunque si prescrive che vengano offerte le tre rimanenti specie di sacrifici e ciò viene detto agli anziani d'Israele affinché arrivasse a tutto il popolo. In questo passo però, al sacrificio per il perdono dei peccati sono destinati tre animali: un capro, un montone e un vitello; all'olocausto invece è destinato un agnello, e al sacrificio della salvezza il vitello e l'ariete. Non si devono perciò separare (le parole del passo) in modo da intendersi destinato al sacrificio per il peccato solo il capro, e invece le rimanenti tre specie di animali, cioè il montone, il vitello e l'agnello destinate per l'olocausto, ma piuttosto le prime tre specie riservate per il peccato, in modo che nell'espressione: Prendete un capro tra le capre per il peccato e un ariete e un vitello, si sottintenda per il peccato, rimanendo così l'agnello per l'olocarposi, cioè per l'olocausto. Ci è parso doveroso fare questa osservazione poiché le parole della frase potrebbero essere separate anche in modo che, dopo l'espressione: prendete un capro tra le capre per il perdono dei peccati, il resto della frase potrebbe riguardare solamente l'olocausto. Al contrario l'espressione aggiunta: senza difetto, potrebbe riferirsi a tutti gli animali. Siccome dunque non è sicuro quale sia il modo migliore di dividere le parole della frase, i primi tre animali ci sembrano destinati al sacrificio per il peccato, dato che prima è comandato di offrire un capro per il peccato d'un capo 52, ma per il peccato personale di ciascuno, fatto al cospetto del Signore, cioè un'azione di quelle proibite, il Signore comandò di offrire un montone 53, mentre per il peccato di tutta la comunità un vitello 54. Era pertanto conveniente che, dicendo Aronne agli anziani che cosa tutto il popolo dovesse offrire, fosse ordinato di offrire un capro per i capi, un montone per il peccato personale di ciascuno e un vitello per il peccato di tutta la comunità. Infatti una cosa è che ciascun membro del popolo abbia un suo peccato personale - e tutti possono avere peccati personali - un'altra cosa è quando il peccato è comune e si commette con la stessa intenzione e con il medesimo sentimento da una folla adunata insieme.

26. 2. Quanto invece al fatto che Mosè ordina di offrire un vitello e un montone come sacrifici di salvezza, ordina di offrire gli animali più importanti poiché si tratta di tutto quanto il popolo. In precedenza però, parlando dei sacrifici di salvezza, comandò di offrire animali di qualsiasi specie, sia maschi che femmine, purché fossero offerti bovini, ovini o caprini 55. Se però si cerca di sapere il motivo per il quale sia prescritto di offrire due animali, un vitello e un montone, è difficile trovarlo, salvo forse pensare che fu prescritto di offrire un vitello come sacrificio di salvezza di tutto quanto il popolo; il montone invece per ciascun individuo in particolare come se si trattasse di tutti, presi singolarmente; poiché sembra che anche prima era stato comandato di offrire - per così dire - due specie di sacrifici di salvezza: uno che in un certo senso fosse di tutti quanti, e lo chiamò sacrificio di salvezza 56, e un altro quando disse: Se uno offrirà il sacrificio della propria salvezza 57. In questo testo notavamo anche una differenza, poiché in quel passo in cui si parla del sacrificio di salvezza, non si accenna che il grasso del petto della vittima dev'essere offerto al Signore e che lo stesso petto e il braccio destro devono darsi al sacerdote 58; ma in quel passo è ordinato di fare ciò che poi è chiamato sacrificio della propria salvezza 59, che forse si pensa essere un sacrificio privato, offerto dalle singole persone, non pubblico, di tutti quanti. Poiché anche Mosè offrì sacrifici di salvezza - ma allora non erano qualificati come della propria salvezza - credo che li offrì per tutto il popolo, poiché dove sono tutti c'è anche ciascuno, dove però è ciascuno non ne segue senz'altro che ci siano tutti quanti. Poiché le singole persone possono esistere senza la totalità, mentre la totalità non può non essere composta delle singole persone, in quanto le singole persone radunate insieme o contate nella somma fanno la totalità.

26. 3. Naturalmente si deve osservare che, quando si offrono i sacrifici per il popolo viene ordinato anche di offrire sacrifici per il peccato, l'olocausto e i sacrifici di salvezza; per il sacerdote invece è offerto il sacrificio per il peccato, l'olocausto e il sacrificio della consacrazione rituale, ma non quello di salvezza. Il sacrificio della consacrazione però veniva offerto quando i sacerdoti venivano consacrati perché esercitassero il sacerdozio e questi sono i sacrifici offerti da Mosè per Aronne e i suoi figli 60. In seguito però allo stesso Aronne, già consacrato e nell'esercizio del sacerdozio, fu ordinato di offrire per se stesso un vitello per il peccato e un montone per l'olocausto, ma non gli fu comandato di offrire il sacrificio della consacrazione rituale, perché questo era stato offerto per essere consacrato sacerdote e potere esercitare il sacerdozio; ma, poiché già lo esercitava, non era necessario che fosse consacrato di nuovo.

Prima si deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l'olocausto.

3027
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Lv 9,7-21) E Mosè disse ad Aronne: " Accóstati all'altare e offri il sacrificio per il tuo peccato e il tuo olocausto e compi il rito di espiazione per te e per il tuo casato ". È sorprendente come l'agiografo prima dice che si deve fare il sacrificio per il peccato e poi l'olocausto, dal momento che poco prima è prescritto di porre le cose da sacrificare per i peccati al di sopra degli olocausti 61, eccetto quando si ordina di offrire degli uccelli 62. Oppure forse l'agiografo qui menziona dopo il sacrificio che si offriva prima cioè l'olocausto? Non dice infatti qui come aveva detto degli uccelli: fa' prima questo e poi quello, ma: fa' questo e quello. Che cosa, d'altra parte, si debba far prima lo indica l'istruzione esposta più sopra, ove si dice che ciò che si offre per il sacrificio per espiare i peccati si deve porre sopra l'olocausto. Sennonché suscita un grande imbarazzo il fatto che la Scrittura dice che anche Aronne fece così come aveva udito di dover fare, ricordando che prima deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l'olocausto. Non si potrebbe ritenere come un fatto sicuro che facesse anche lui prima quel sacrificio o se la Scrittura ha detto prima ciò che fu fatto dopo, come è solita fare in molti casi, se ciò che ho detto non si leggesse prima, quando essa tratta del sacrificio per il peccato. In realtà vi si legge così: E il sacerdote porrà l'offerta sull'altare al di sopra dell'olocausto del Signore e il sacerdote farà l'espiazione per il peccato commesso da lui e gli sarà perdonato 63. In qual modo dunque potrebbe ciò essere posto sopra l'olocausto, se prima non vi fosse posto l'olocausto? Ma anche a proposito del sacrificio per la salvezza era prescritto che fosse posto sopra l'olocausto 64. Ma siccome ciò non si dice in tutti i passi né per tutti i sacrifici di salvezza, né per tutti i sacrifici per l'espiazione del peccato, si può forse affermare che ciò non era comandato come una regola generale, ma è detto che si facesse in quel modo soltanto in quell'occasione, vale a dire nel sacrificio di salvezza, quando si sacrifica un giovenco - poiché così era ordinato per quel caso - e nel sacrificio per il peccato, quando si sacrifica una femmina degli ovini; non è invece necessario che siano poste sopra l'olocausto tutte le altre vittime da sacrificare sia per il sacrificio di salvezza, sia per il peccato.

27. 2. Si rimane imbarazzati anche dal fatto che quando Aronne fa l'offerta per il popolo, menzionata più sopra, non viene ricordato che furono immolate tutte le vittime che erano prescritte, ma solo il capro per il peccato e l'olocausto, e tuttavia in quel caso non si parla chiaramente dell'agnello, e al contrario non si parlò di altre due vittime che abbiamo detto 65 appartenere al sacrificio per il peccato piuttosto che all'olocausto, cioè il montone e il vitello, salvo che per caso l'agiografo volesse intendere la parte per il tutto e così, parlando solo del capro, capissimo che erano state immolate anche quelle altre vittime.

27. 3. L'agiografo, raccontando in qual modo Aronne compì i sacrifici di salvezza del popolo, a proposito del vitello e dell'ariete dice: E sgozzò il vitello e il montone per il sacrificio di salvezza del popolo e i figli di Aronne gli portarono il sangue ed egli lo sparse intorno all'altare, poi il grasso preso dal vitello e dal montone, il lombo e il grasso che ricopre il ventre e i due rognoni e il grasso che li ricopre e il lobo del fegato; e pose quei grassi sopra il petto (delle vittime) e fece porre quei grassi sull'altare; e Aronne prelevò il petto e la spalla destra, come prelevamento davanti al Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosè. L'agiografo, parlando dei due animali, il vitello e il montone, parla talora al singolare, tal'altra al plurale. Quando dunque parla di due rognoni si deve intendere presi da ambedue gli animali e perciò i rognoni sono quattro; e così è di tutti gli altri. Che significa però la frase: e pose quei grassi sopra il petto (delle vittime), dal momento che (Aronne) non pose i petti sull'altare, poiché erano dovuti al sacerdote con le spalle destre 66? Si deve forse intenderla nel senso seguente: e pose i pannicoli adiposi che sono sul petto (degli animali)? In effetti furono essi quelli che egli pose per collocarli sull'altare dopo averli tolti dai petti. Così infatti era stato comandato anche prima. L'agiografo poi continua dicendo: e pose i pannicoli adiposi sull'altare e Aronne prelevò il petto e la spalla destra come un prelevamento davanti al Signore, introducendo ora al singolare e dicendo appunto il petto dei due animali, mentre prima aveva detto i petti.

Come celebrare il culto divino all'altare.

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Lv 9,22) L'agiografo poi dice: E Aronne, elevate le mani sul popolo li benedisse, e discese dopo aver sacrificato la vittima per il peccato, gli olocausti e gli animali della salvezza. Che significa ciò? Dove compì quei riti se non sull'altare? Cioè stando in piedi presso l'altare e servendo all'altare? Discese dunque da dove stava. Questo testo sembra senza dubbio confermare la soluzione del quesito posto da noi a proposito di un passo dell'Esodo, in cui ci chiedevamo come si potesse celebrare il culto divino all'altare che era alto tre cubiti. In quel passo non ci era lecito ammettere che (all'altare) fosse annesso un gradino poiché Dio lo aveva vietato, affinché sopra l'altare non rimanessero scoperte le parti vergognose del celebrante, cosa che sarebbe potuta accadere se ci fossero stati dei gradini facenti corpo con l'altare, se cioè con esso fossero stati saldamente uniti 67. Ciò fu proibito quando si parlava d'un altare composto di varie parti, poiché l'altare sarebbe risultato una sola cosa con i gradini, che ne sarebbero stati una parte e perciò furono proibiti. Al contrario, dove l'altare era tanto elevato che, se il sacerdote non fosse potuto stare in piedi su qualche supporto, non avrebbe potuto officiare convenientemente, si deve intendere che qualunque supporto si poneva e si toglieva durante l'officiatura rituale, non era parte dell'altare e non era quindi contro il comandamento con cui era proibito che l'altare avesse il gradino; la Scrittura però non indicò quel particolare - qualunque cosa fosse - e perciò è sorto il problema. Ma ora quando la Scrittura dice che il sacerdote discese dopo aver compiuto i sacrifici, cioè dopo aver posto sull'altare le vittime immolate, senza dubbio dice apertamente che egli era rimasto ritto in piedi su qualche sostegno dal quale era disceso e, poiché era stato lì in piedi, aveva potuto quindi servire all'altare di tre cubiti officiando il rito sacro.

Significato di estasi.

3029
(
Lv 9,24) E tutto il popolo vide e divenne come dissennato; altri traduttori hanno detto: si spaventò, cercando di trasportare dal greco in latino la forma verbale da cui deriva anche la parola , termine spesso usato dalle Sacre Scritture latine con il senso: il fatto di uscire fuor di sé.

Il Signore è in ogni luogo.

3030
(
Lv 9,24) E uscì un fuoco proveniente dal Signore e divorò ciò che era sull'altare, gli olocausti e i pannicoli adiposi; possiamo chiederci che cosa vuol dire l'espressione dal Signore, se ciò avvenne per un segno e per volontà del Signore o se il fuoco uscì dal luogo dov'era l'Arca dell'alleanza. Di certo il Signore non sta solamente in un luogo particolare, come se non stesse anche in un altro.

Non è stato scritto tutto ciò che Dio disse agli scrittori sacri.

3031
(
Lv 10,1-3) Dopo che erano morti i due figli di Aronne arsi da un fuoco, mandato dal Signore, per aver osato servirsi di un fuoco profano e porre così nei loro incensieri l'incenso per il Signore - azione illecita, perché tutto ciò che occorreva accendere nella tenda-santuario doveva accendersi con il fuoco divampato per volontà di Dio sull'altare e poi custodito - dopo dunque che essi erano morti, Mosè disse: Ecco ciò che aveva detto il Signore nei seguenti termini: Tra coloro che si avvicinano a me io mi farò riconoscere santo e in mezzo a tutta la comunità io mi farò glorificare, volendo far capire che si avvicinano al Signore coloro che esercitano il sacerdozio nella tenda-santuario, e che egli si fa riconoscere santo tra loro anche castigando, come infatti era avvenuto. Disse Dio così forse perché si sapesse quanto meno perdona agli altri se non perdona ad essi - nel qual senso la Scrittura dice: Se il giusto sarà salvato a stento, dove compariranno l'empio e il peccatore? 68 - non è forse nel senso di quest'altro testo: tanto più sarà richiesto a colui al quale più è stato dato 69, o di quest'altro passo: Chi non sa quel che vuole il proprio padrone e farà cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche, mentre il servo che, pur conoscendo la volontà del proprio padrone, farà cose degne di percosse, ne riceverà molte 70, e nel senso dell'altro passo: Poiché al piccolo sarà concessa misericordia, ma i potenti subiranno tormenti più gravi 71? Ma nei passi precedenti della Sacra Scrittura non si trova dove il Signore disse ciò che Mosè menziona detto da lui. Un caso simile a questo è quello dell'Esodo in cui (Mosè) dice al Signore: Tu hai detto: Io ti conosco meglio di tutti 72, cosa che troviamo scritta essere stata detta dal Signore, ma in seguito. Orbene, poiché Mosè non avrebbe mai detto una bugia simile, si comprende che il Signore gli aveva detto ciò anche prima, sebbene non sia stato scritto : anche qui succede la stessa cosa. Da quanto detto si dimostra che non è stato scritto tutto ciò che Dio disse a coloro per mezzo dei quali ci è stata tramandata la Sacra Scrittura.

Mosè vietò di piangere coloro che Dio castigò.

3032
(
Lv 10,6-7) Che significa ciò che (Mosè) dice quando proibisce ad Aronne e ai figli rimastigli di piangere la morte dei due figli: Non togliete la tiara dalla vostra testa, ove mostra senza dubbio che le tiare erano coperture del capo? Il divieto è spiegato solo dal fatto che coloro, che facevano il lutto, facevano ciò che era contrario all'ornamento consueto. Allo stesso modo che, secondo la nostra abitudine, siamo soliti avere la testa scoperta e la copriamo a causa d'un lutto, così dovevano tenerla scoperta coloro che piangevano, poiché era per loro un ornamento tenerla coperta. Mosè vietò di piangere coloro con il castigo dei quali era stato riconosciuto santo il Signore, cioè era stato messo in rilievo il timore a lui dovuto. Il motivo di quel divieto non era perché quei (due figli di Aronne) non dovessero essere compianti - Mosè infatti permise che essi fossero compianti dagli altri - ma perché essi non dovevano far lutto allora dato che stavano celebrando i giorni della loro consacrazione, non essendo ancora passati i sette giorni nei quali era stato comandato loro di non allontanarsi dalla tenda-santuario. Comunque sia, essendo stati quelli consacrati con l'olio, potrebbe sembrare che ciò fu detto perché non avrebbero dovuto mai piangere alcuno. Mosè infatti dice così: I vostri fratelli però, tutta la casa d'Israele, piangeranno la morte di essi arsi dal fuoco inviato su di loro dal Signore. Ma dalla porta della tenda della testimonianza voi non dovrete uscire per evitare di morire, poiché su di voi è l'olio dell'unzione proveniente dal Signore.

La proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti.

3033
(
Lv 10,8-11) E il Signore parlò ad Aronne nei termini seguenti: "Tu e i tuoi figli con te non berrete né vino né altre bevande inebrianti quando entrerete nella tenda della testimonianza o quando vi avvicinerete all'altare, e così non morrete". Quando mai dunque era lecito loro di bere, dal momento che dovevano entrare ogni giorno nella tenda-santuario e accostarsi all'altare per il continuo servizio? Se invece uno dirà che non si solevano imporre sacrifici ogni giorno, che cosa dirà del fatto dell'entrare nella tenda-santuario che avveniva ogni giorno a causa del candelabro e per portare i pani dell'offerta sull'altare? Se poi si risponde che per la tenda della testimonianza di cui si parla ora deve intendersi quella ov'era l'arca dell'alleanza, (si deve ribattere che) anche là doveva entrare il sommo sacerdote per non fare spegnere l'incenso. Egli non entrava una volta sola all'anno, ma una volta sola all'anno con il sangue della purificazione, mentre per l'incenso vi entrava ogni giorno. O forse si deve intendere che Dio comandò che non bevessero vino in alcun modo. Perché dunque non formulò piuttosto il comando in modo da dire brevemente: Non dovrete bere vino, ma aggiunse: quando entrerete nella tenda o quando vi accosterete all'altare? Forse perché non c'era ragione di passare sotto silenzio il motivo di non bere, soprattutto perché Dio sapeva che in seguito ci sarebbero stati anche tanti sommi sacerdoti contemporaneamente, cioè non risultanti per via di successione, i quali avrebbero svolto a turno l'officiatura per la tenda, per i sacrifici e per l'incenso, e per tutto ciò che era richiesto dal culto, quando certamente non bevevano quelli dei quali era il turno di officiare, mentre gli altri bevevano? O che cos'altro si deve intendere in base a questo testo? Poiché, dopo la proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti, il testo aggiunge: regola eterna per le vostre generazioni. È incerto se questa espressione sia connessa con la frase precedente, cioè al divieto di bere vino, o alla seguente ove è detto: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra le pure e le impure, e insegnare ai figli d'Israele tutte le regole che il Signore ha enunciato loro per mezzo di Mosè, affinché questa sia una legge eterna per il ministero dei sacerdoti e dei loro discendenti. In qual senso poi quella regola è detta eterna, lo abbiamo spiegato già numerose volte. Ambiguo è pure il senso della frase seguente: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra quelle pure e quelle impure, se per il fatto che ci sono cose sante e cose pure o profane e impure, o per il fatto che ci sono santi e puri o corrotti e impuri, cioè se Dio volle che i sacerdoti distinguessero tra le azioni fatte secondo le debite cerimonie o no, oppure tra le stesse persone lodevoli o riprovevoli o piuttosto il comando si deve riferire a tutte e due le specie (di realtà), cioè sia alle persone che alle cose sacre.

Il petto e la spalla delle vittime separate per il sacerdote.

3034
(
Lv 10,14) Il petto della parte separata e la spalla del prelevamento le mangerete in un luogo santo. Sebbene ciascuna cosa sia data a ogni sacerdote, tuttavia è evidente che ambedue le cose si potrebbero dire separate, poiché l'una e l'altra cosa viene separata per essere data al sacerdote e l'una e l'altra potrebbe dirsi di prelevamento oppure oggetto detratto, che in greco si dice , poiché l'una e l'altra cosa si prende e si porta via a coloro per i quali viene offerta, perché sia data ai sacerdoti. Proprio più sopra abbiamo letto del petto della deposizione e della spalla del prelevamento 73, poiché dalla spalla nulla veniva posto sull'altare, mentre vi veniva posto il grasso tolto dal petto.

I sacrifici della salvezza.

3035
(
Lv 10,14) Che cosa significa l'espressione: (prelevata) dai sacrifici delle salvazioni, quando in un altro passo sono chiamati sacrifici di salvezza e al singolare è detto sacrificio di salvezza sebbene si parli della stessa cosa? In questo passo dove è detto: Dai sacrifici delle salvazioni si sarebbe forse dovuto dire: delle sanità? Infatti nel Salmo ove si dice: Ascoltaci o Dio, nostra salvezza 74, il greco ha questa medesima parola che ha in questo passo, cioè . È però incerto se questo genitivo plurale nella lingua greca è un caso della declinazione di salus, -tis (salute, salvezza) o del (neutro) salutare, -is (salute, sicurezza, mezzo di salvezza, redenzione), poiché significa salvezza o sanità e il suo genitivo plurale è salutare invece in greco si dice e il suo genitivo plurale è il medesimo. Se dunque può intendersi correttamente anche come sacrificio di salvezza quello che è il sacrificio per l'azione di salvare, poiché la salvezza si dà mediante l'azione di salvare, e l'azione di salvare è ciò per cui si riceve la salvezza, non è necessario pensare che qui, ove si parla di sacrifici delle salvazioni, si tratti di sacrifici di molte salvezze, ma forse di molte sanità che tuttavia si ottengono per mezzo di un solo sacrificio di salvezza. La fede cristiana però sa che si tratta della salvezza di Dio, della quale è detto: Prenderò il calice della salvezza 75 e della quale parla Simeone nel Vangelo, dicendo: Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza 76. I sacrifici della salvezza possono dunque intendersi o chiamarsi a ragione anche " sacrifici salutari ".

Alle donne è vietato cibarsi del vitto dei sacerdoti.

3036
(
Lv 10,15-20) E ciò sarà per te, per i tuoi figli e le tue figlie una regola per sempre. Non senza ragione è stato aggiunto: per le figlie, poiché alle donne è vietato cibarsi di alcune cose relative al vitto dei sacerdoti, che invece è comandato agli uomini.

36. 2. Mosè s'era informato circa il capro offerto (in sacrificio) per i peccati della comunità ma, non avendolo trovato - perché era stato bruciato - si adirò, poiché il Signore aveva ordinato che le vittime offerte dal popolo (in sacrificio) per il peccato dovevano essere mangiate dai sacerdoti dopo esserne stati offerti (al Signore) i pannicoli adiposi e i rognoni; Mosè però non s'era adirato contro suo fratello ma contro i figli di questi, cosa - credo io - attinente al suo ufficio di ammonirli. Aronne gli rispose in questi termini: Oggi essi hanno offerto le vittime per il loro peccato e i loro olocausti al cospetto del Signore e mi sono capitate queste cose; e io mangerò oggi la vittima destinata al sacrificio per il peccato; ciò sarà forse gradito dal Signore? Mosè udì queste parole e ne restò soddisfatto. Pare che Aronne disse così poiché nel giorno che i figli d'Israele avevano offerto per la prima volta il sacrificio per il loro peccato, quel sacrificio non s'era dovuto mangiare dai sacerdoti, ma bruciato totalmente senza farne tuttavia una regola per gli altri sacrifici, poiché in seguito i sacerdoti mangiavano le vittime sacrificate per i peccati. Ma poiché quello fu offerto la prima volta il primo giorno, si deve pensare che il sacerdote Aronne disse ciò per ispirazione divina, affinché in seguito i sacerdoti osservassero il comando impartito da Dio a Mosè e che quanto aveva detto Aronne, come ispirato da Dio, fu approvato da Mosè. Che cosa dire dunque degli altri sacrifici di quel giorno, cioè del montone e del vitello, i quali abbiamo detto doversi intendere offerti per il peccato? Forse non c'è alcun problema a proposito del sacrificio del vitello, dato che doveva essere compiuto come era stato ordinato, in modo che fosse introdotta (nella tenda-santuario) parte del suo sangue, con il quale ungere i corni dell'altare dell'incenso ed era naturale che la vittima bruciasse completamente? Che dire quindi del sacrificio del montone? Poiché Mosè dapprima s'era informato del capro, si deve intendere anche del montone ciò che gli era stato risposto a proposito del capro, sul quale si sarebbe informato successivamente qualora non gli fosse piaciuta la risposta del sacerdote? Ma a proposito del (sacrificio del) vitello quali informazioni avrebbe potuto chiedere, dal momento che poteva essere stato compiuto secondo la legge stabilita da Dio riguardo al vitello da sacrificare per il peccato del sacerdote, che cioè doveva essere bruciato interamente fuori dell'accampamento 77? Queste infatti sono le parole rivolte da Mosè ai figli di suo fratello, sdegnato per non aver trovato il capro da lui richiesto per il peccato, essendo stato completamente consumato dal fuoco: Per qual motivo non avete mangiato nel luogo santo l'animale che era (la vittima) per il peccato? In effetti, essendo cose santissime, il Signore vi ha dato di mangiarne affinché eliminiate il peccato delle comunità e lo espiate davanti al Signore. Poiché nulla del suo sangue è stato introdotto nella tenda-santuario, nell'interno, alla presenza (del Signore), lo mangerete nel santuario, come ha ordinato il Signore. Comunque sia, quando si dice: Poiché nulla del suo sangue fu introdotto alla presenza del Signore nell'interno del santuario, senza dubbio distingue ciò che si compie così per il peccato del sacerdote o per il peccato di tutta la comunità, non riguardo al capro che non doveva essere bruciato interamente in quanto non era stato ordinato che il suo sangue fosse introdotto all'interno (del santuario) per ungere i corni dell'altare dell'incenso, ma che fosse mangiato dai sacerdoti. Il motivo perché avvenne in quel modo, cioè che fosse anch'esso bruciato per intero, fu esposto da Aronne nella sua risposta e Mosè ne fu soddisfatto.

36. 3. Certamente, agli anziani del popolo era stato ordinato che fossero offerti per il popolo sei animali: di questi sono menzionati prima quattro: il capro, il montone, il vitello e l'agnello di un anno; di essi evidentemente il capro era da offrirsi per il peccato, mentre l'agnello di un anno - come è anche evidente - era per l'olocausto. Avevamo visto, al contrario, che era incerto se i due animali elencati in mezzo, cioè tra il montone e il vitello, servissero per il sacrificio offerto per il peccato e fossero aggiunti al capro o piuttosto all'agnello perché fossero offerti per l'olocausto, problema su cui a suo luogo abbiamo esposto la nostra opinione. In seguito, infatti, perché si completasse il numero di sei animali, ha commemorato il vitello e il montone nel sacrificio di salvezza, e tuttavia, quando sono stati immolati e parimenti menzionati, non si fa menzione degli stessi animali, il montone e il vitello, che erano stati inseriti tra il capro e l'agnello, ma sono nominati solo il vitello e il montone che era stato ordinato fossero offerti per il sacrificio di salvezza; di conseguenza si può pensare che non si trattasse più di sei, ma piuttosto di quattro animali 78; si potrebbe forse pensare che i due animali nominati prima tra il capro e l'agnello sono menzionati di nuovo e che non è un altro vitello o un altro montone per il sacrificio di salvezza, e così l'agiografo, avendo spiegato che il capro era destinato al sacrificio per il peccato, ma non per che cosa, cioè per quale sacrificio erano destinati il montone e il vitello, mentre indica l'agnello destinato all'olocausto, in seguito avrebbe voluto dire che cosa dovesse farsi del vitello e del montone, cioè che era comandato di non offrirli né per il peccato come il capro, né per l'olocausto come l'agnello, ma per il sacrificio di salvezza. Se però intenderemo la cosa in questo senso, rimarrà il problema di sapere per qual motivo per il peccato della comunità fu offerto un capro, dal momento che, parlando fin dal principio dei sacrifici che si dovevano offrire per i peccati, il Signore aveva comandato che per il peccato della comunità si offrisse un vitello, così come per il peccato del sacerdote aveva comandato si offrisse non un capro ma un vitello - a proposito del quale vitello comandò che s'introducesse nel santuario anche il sangue, così come per il peccato del sacerdote, per ungere i corni dell'altare dell'incenso 79 - (rimane inoltre il quesito) per quale motivo sia Mosè offrì un vitello per il peccato di Aronne 80, sia lo stesso Aronne offrì un altro vitello 81, come dovevano essere offerti per il peccato del sacerdote secondo il precetto di Dio, mentre per il peccato del popolo non si offriva un vitello - com'era stato comandato - ma piuttosto un capro 82. Poiché incontravamo difficoltà in questo problema, ci sembrò - come abbiamo detto in precedenza - che si comandava di offrire non solo un capro per il peccato del popolo, ma anche un montone e un vitello, solo che per questi tre sacrifici si sottintenda lo scopo, cioè " per il peccato ", poiché non solo facevano parte del popolo anche i capi, per i quali si doveva offrire il capro, ma anche le singole persone potevano avere peccati, per i quali si doveva offrire un montone, e poiché avevano tutti un qualche peccato, per il quale veniva offerto un vitello, per il peccato di tutta la comunità si doveva offrire un vitello, come era stato comandato fin dal principio 83. Perciò infatti, quando si facevano sacrifici viene nominato soltanto il capro perché gli altri animali, anche se non nominati, erano sottintesi mediante la metafora con la quale si esprime la parte per il tutto, poiché tutti quegli animali erano offerti per il peccato.

Recipiente d'acqua reso immondo da carogne immonde.

3037
(
Lv 11,33-34) Trattando delle carogne degli animali immondi il testo sacro dice: Se una di quelle carogne cadrà in un recipiente di argilla tutto ciò che vi si trova all'interno sarà immondo e anche quello sarà rotto, vale a dire il recipiente. E ogni specie di alimento commestibile sul quale sarà caduta dell'acqua sarà impuro per voi. Non deve intendersi di qualunque acqua che, se sarà caduta sull'alimento, lo rende immondo, ma di quella che fosse contenuta eventualmente nel recipiente reso immondo da carogne immonde e cadesse da quello.

Gli animali generanti esseri vivi.

3038
(
Lv 11,47) Per insegnare ai figli d'Israele (a distinguere ) tra gli animali generanti esseri vivi, che si possono mangiare, e animali generanti esseri vivi che non si possono mangiare, alcuni nostri autori preferirono tradurre la parola greca con vivificantia - termine bene o male entrato in uso nella nostra lingua - anziché formarne uno insolito, qualora fosse stato possibile dire vivigignentia (generanti esseri vivi). Poiché indica non gli animali che fanno vivere, ma quelli che generano viva la loro prole, cioè non le uova ma i loro piccoli.

Dove potevano entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull'altare.

3039
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Lv 12,4) Che cosa significa ciò che dice il testo sacro a proposito della donna che ha partorito: Non toccherà alcunché di santo e non entrerà nel santuario ? Qual santuario vuole che s'intenda, dal momento che leggiamo nella Scrittura che nella tenda-santuario solevano entrare solo i sacerdoti e solo fino al secondo velo interno, mentre oltre quello dov'era l'Arca dell'alleanza poteva entrare solo il sommo sacerdote? Si poteva forse chiamare santuario anche il locale davanti alla tenda-santuario ov'era l'altare dei sacrifici? Spesso infatti è chiamato luogo santo anche lo stesso atrio, quando si dice: Le mangeranno nel luogo santo 84. Là solevano forse entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull'altare.

I giorni dell'isolamento della purificazione della donna.

3040
(
Lv 12,2-8) Che significa il seguente testo: Se una donna partorirà un maschio sarà impura per sette giorni; conforme ai giorni d'isolamento (della sua indisposizione) sarà immonda; l'ottavo giorno, poi, farà circoncidere la carne del prepuzio di lui; e durante trentatré giorni resterà seduta nel suo sangue. Non toccherà nulla di ciò che è santo e non entrerà nel santuario? Quale differenza c'è tra quei sette giorni nel corso dei quali è dichiarata impura e i trentatré giorni in cui resterà seduta nel suo sangue puro? Poiché, se non è più impura per trentatré giorni, per qual motivo non può toccare ciò che è santo? C'è forse la differenza ch'essa si trova (inattiva) sebbene con il sangue puro? Ci sarebbe così la differenza che, quando è impura, rende impuro anche qualsiasi luogo in cui starà seduta, mentre, quando ormai sta seduta con il sangue puro non le è lecito toccare solo ciò che è santo ed entrare nel santuario? Questo infatti significa l'espressione: conforme ai giorni dell'isolamento della sua purificazione, poiché in un altro passo è detto che l'impurità della donna, la quale si purifica delle mestruazioni, dura sette giorni, durante i quali tutto ciò su cui starà seduta sarà immondo 85. L'agiografo inoltre dice: dell'isolamento, poiché la donna restava alquanto in disparte per non contaminare ogni cosa mentre trascorreva quei giorni. La legge raddoppiava quei giorni dell'impurità della donna se avesse partorito una femmina e ne fissava quattordici; la legge poi aveva anche ordinato che degli altri giorni che la donna restava con il proprio sangue puro fossero osservati il doppio, cioè sessantasei, in modo che, nel caso che la donna avesse partorito un maschio, i giorni in totale fossero quaranta e, nel caso avesse partorito una femmina, fossero ottanta. Alcuni manoscritti greci non portano la lezione: nel suo sangue puro, ma: nel suo sangue impuro.

40. 2. E quando saranno terminati i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia, essa porterà (al sacerdote) un agnello d'un anno, senza difetto, per l'olocausto, e il piccolo di un piccione o d'una tortora per il peccato all'ingresso della Tenda della testimonianza. Il sacerdote lo offrirà davanti al Signore e farà il sacrificio espiatorio per essa e la purificherà dal flusso del suo sangue. Ecco la legge riguardante colei che partorisce un maschio o una femmina. Se però la sua mano non ha trovato il sufficiente per (offrire) un agnello, prenderà due tortore o due piccoli d'un piccione, uno per l'olocausto e l'altro per il peccato, e il sacerdote farà il sacrificio espiatorio per essa ed essa resterà purificata. Pertanto la lezione corretta della frase precedente non è: offrirà un agnello d'un anno, senza difetto, per l'olocausto " oppure " il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, come hanno alcuni manoscritti ma, come abbiamo detto: e il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, dal momento che poi il testo dice: se la sua mano non ha trovato i mezzi sufficienti per (offrire) un agnello, prenderà due tortore, dove pare che il testo ha in più la congiunzione e, tolta la quale la frase continua in modo corretto: prenderà due tortore o due piccoli d'un piccione, cioè un uccello per l'olocausto e un altro per il peccato.

40. 3. Ma per quale peccato? Forse qui si mostra la discendenza da Adamo, della quale l'Apostolo dice: Da uno per la condanna 86 e poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo d'un solo uomo e attraverso il peccato la morte e così la morte passò su tutti gli uomini 87. Anche in questo testo appare assai chiaramente il senso espresso nelle parole: Io infatti nella colpa sono stato concepito e nei peccati mia madre nel suo ventre mi ha fatto crescere 88. Perché dunque la Scrittura dice che mediante questo sacrificio viene purificato non il figlio nato ma la madre che lo ha partorito? La purificazione è stata forse riferita, a causa del flusso del sangue, proprio a colei dalla quale proveniva quella sorgente? Tuttavia tale purificazione non poteva avvenire senza quella dello stesso feto nato dallo stesso sangue? A che cosa infatti si riferisce la frase precedente: Per un figlio o per una figlia essa porterà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, se con questo sacrificio non si procurava alcun beneficio alle creature che nascevano?

40. 4. Se poi uno cercherà di punteggiare il periodo del testo in modo da affermare che la frase non deve unirsi così: Per un figlio o per una figlia offrirà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione per il peccato, ma si deve leggere piuttosto nel modo seguente: e quando saranno compiuti i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia, cioè si saranno compiuti i giorni della purificazione per quello o per quella, vale a dire per il figlio o per la figlia, in modo che il testo poi continui con un altro senso: offrirà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione per il peccato, cioè per il suo peccato, allorché saranno terminati i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia. Se uno cercherà di punteggiare la frase in questo modo, sarà convinto d'errore dal Vangelo, in cui, quando fu compiuta una simile cerimonia religiosa per il Signore nato dalla Vergine, più per accondiscendenza a un'abitudine della legge che per la necessità di espiare e purificare alcun peccato in Lui, si legge così: Quando i genitori portarono il bambino Gesù nel tempio per compiere a suo riguardo quanto era consueto farsi secondo la legge 89. L'agiografo non dice: " riguardo a sua madre ", ma: riguardo a lui, sebbene fossero compiute le prescrizioni che in questo passo erano state ordinate a proposito delle due tortore o dei due piccoli piccioni. Così infatti si degnò di essere battezzato anche Lui con il battesimo di Giovanni, che era un battesimo di " penitenza " per la remissione dei peccati 90, sebbene egli non avesse alcun peccato. Giustamente quindi alcuni nostri scrittori tradussero questo passo del Levitico in modo da dire non: " a proposito " del figlio o della figlia, ma: per il figlio o per la figlia. Essi infatti avevano compreso che questo è il significato della proposizione super in questo passo, ove il greco dice: (per un figlio o per una figlia). Di certo bisogna considerare quanto povero volle nascere il Signore, fino al punto che per lui fu offerto non un agnello e un giovane piccione o una tortora, ma un paio di tortore o due giovani piccioni, come si legge nel Vangelo91; quanto comandò di offrire la Scrittura del Levitico allora con l'espressione: Se la mano dell'offerente non avrà il sufficiente per un agnello.

La cicatrice indica un difetto del colore.

3041
(
Lv 13,2) Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice di un segno, chiara, e sulla pelle di quel colore sarà apparso un altro attacco di lebbra. L'agiografo poi, a modo di spiegazione, espone più avanti come si debba intendere ciò che aveva detto prima, poiché aveva detto: Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice chiara, perché non intendessimo la cicatrice come suol essere il segno di una ferita rimarginata, e spiega che, quando aggiunge: e sarà sulla pelle del suo colore un attacco di lebbra, dice ciò riguardo al colore. Qualunque cosa sia ciò che l'agiografo chiama cicatrice, è un difetto del colore. Quanto a ciò che invece chiama attacco di lebbra, non (si deve pensare) che quel colore si senta con il tatto, ma si chiama attacco di lebbra come se la persona o il suo corpo venisse toccato dalla lebbra, cioè coperto di macchie ed infettato. Così per esempio si suol dire: " Ha avuto o non ha avuto un attacco di febbre ". Così l'agiografo chiama la stessa macchia attacco (della lebbra) e la chiama sempre con questo nome. Per questo motivo alcuni dei nostri (traduttori) non hanno tradotto attacco, ma macchia. Per la verità con questo vocabolo sembra più chiaro il senso di ciò che si legge; ma anche il testo greco avrebbe potuto dire non , cioè contagio, ma , cioè macchia, dal quale deriva che vuol dire senza macchia, sebbene la Scrittura sia solita chiamare puro non solo ciò che riguarda il colore, ma ciò che è privo d'ogni specie di difetto. La Scrittura, quindi, non vuole che s'intenda come una macchia di colore, ma come una macchia d'ogni specie di difetto ciò ch'essa chiama . Ciò che si riferisce al solo colore si sarebbe potuto dire dunque, termine usato dall'Apostolo nel passo ove, parlando della Chiesa, dice: senza macchia né ruga 92. (L'agiografo del Levitico) però non disse né né , ma , cioè contagio, parola che anche nella lingua greca è usata raramente riguardo ai colori. Perché dunque se ne sarebbero dovuti vergognare i latini? Quanto all'espressione: cicatrice d'un segno, essa è usata perché significa qualcosa o piuttosto perché con un segno distingue la persona dalle altre, cioè lo rende riconoscibile tra gli altri.

L'inquinamento della lebbra.

3042
(
Lv 13,3) Che significa la frase: E lo esaminerà e lo inquinerà il sacerdote, dal quale andrà (il malato) per essere mondato? Ma inquinerà è detto nel senso " lo dichiarerà inquinato " se il sacerdote vedrà in lui gli indizi indicati dalla Scrittura a proposito della macchia della lebbra.

La macchia di colore della lebbra.

3043
(
Lv 13,4 Lv 7 Lv 2) Se però nella pelle del suo colore ci sarà un bianco lucente e ciò che si vede non sarà incavato rispetto alla pelle. Nell'espressione bianco lucente si sottintende " l'attacco ", cioè la macchia di colore, non i peli. Riguardo poi all'espressione che segue: Se però è cambiata la significazione sulla pelle, ora l'agiografo chiama significazione ciò che prima nel testo latino si legge signum (segno). Il testo greco infatti tanto prima che qui usa il medesimo vocabolo, cioè .

Segregazione del lebbroso.

3044
(
Lv 13,5-6) E il sacerdote lo isolerà di nuovo per sette giorni; e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco che (la macchia) del contagio sarà di colore oscuro e sulla pelle non si sarà cambiata; il sacerdote lo purificherà, poiché si tratta di un segno, cioè lo dichiarerà purificato, poiché non è la lebbra, ma un segno.

Il sacerdote esamini il colore della lebbra.

3045
(
Lv 13,7-8) Ma se nella sua evoluzione la significazione nella pelle si sarà cambiata dopo che lo aveva esaminato il sacerdote per purificarlo e l'uomo si farà visitare di nuovo dal sacerdote e questi lo esaminerà ed ecco che la significazione nella pelle è cambiata e il sacerdote lo inquinerà: è lebbra. Anche qui è detto lo inquinerà, cioè " lo dichiarerà impuro "; il testo ha in più la congiunzione e, secondo l'esprimersi della Scrittura. Pare quindi che l'agiografo ammonisca che quando si è visto solo il colore bianco e lucido dissimile dal colore sano, il sacerdote esamini il malato di nuovo affinché, se vedrà mutato nel colore bianco anche il pelo e divenuta più profonda la cavità della pelle in cui si trova il colore bianco, solo allora dichiari che si tratta di lebbra, giudichi impuro l'uomo dichiarandolo lebbroso. Se però - è detto - nella pelle del suo colore ci sarà il bianco lucido - sarà cioè bianco lucido il contagio, nome con cui il testo denota la medesima macchia - e non apparirà profonda la cavità nella pelle e il pelo non si sarà cambiato in bianco, ma è scuro - cioè che lo stesso pelo non è bianco e il sacerdote terrà segregata la persona affetta per sette giorni. E il sacerdote esaminerà il settimo giorno quell'attacco (del contagio) - vale a dire quella macchia - ed ecco, l'attacco rimane davanti a lui, ma non si è esteso nella pelle, cioè non si è trovato dissimile e di colore diverso da quello della pelle. Era dunque tornata sana la parte che prima era malata. È comandato però che la guarigione sia controllata ancora per altri sette giorni e perciò la Scrittura continua dicendo: E il sacerdote terrà l'uomo di nuovo isolato durante sette giorni - cioè per altri sette giorni - e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco il gonfiore (diventato) oscuro - vale a dire che non è bianco e lucido e perciò dello stesso colore del colore sano - l'attacco nella pelle non si è cambiato - come aveva detto poco prima, cioè non è diverso dal colore di tutta l'altra pelle - e il sacerdote lo purificherà, cioè lo dichiarerà libero dal sospetto di lebbra non perché abbia avuto la lebbra che ormai non ha, ma perché la lebbra non c'è stata per il fatto che nel colore lucido e bianco del contagio, cioè della macchia ch'era apparsa, allorché si aspettava per vedere se la cavità (sulla pelle) divenisse più profonda e il pelo in quel punto si cambiasse in bianco, non avvenne così, ma piuttosto quel contatto che prima era lucido e bianco, fu trovato scuro, cioè simile a tutto il restante colore non lucido. Non era dunque la lebbra; infatti ciò che appariva lebbra non lo era, ma solo un segno. Tuttavia, sebbene liberato per questo motivo dal sospetto della lebbra, dovrà lavare le sue vesti, poiché in quel segno c'era qualcosa per cui si dovevano lavare gli abiti, e sarà puro.

La lebbra consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore.

3046
(
Lv 13,7-8) Il testo infine continua: Se però sulla pelle il segno si sarà cambiato dopo che il malato era stato esaminato dal sacerdote per essere purificato - cioè dopo che il sacerdote lo aveva esaminato prima il settimo giorno trovandolo sano per purificarlo, quella significazione, cioè quel segno sulla pelle, era cambiata - e sarà stato esaminato di nuovo dal sacerdote - cioè dopo altri sette giorni - e il sacerdote lo avrà esaminato, ed ecco il segno sulla pelle è cambiato - cioè non perdurò nello stato di salute in cui lo aveva visto dopo i primi sette giorni - e il sacerdote lo dichiarerà impuro: è lebbra. Orbene in questo caso, poiché ciò che era apparso sano dopo i primi sette giorni non era continuato a rimanere nel suo stato, ma si era mutato nel male di prima, viene dichiarato lebbra: di conseguenza in quel caso non si deve aspettare né che la cavità (sulla pelle) sia più incavata, né che il pelo sia mutato in bianco. Poiché la lebbra non è percettibile e non si presenta come un male ma consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore, il fatto stesso di tornare da un colore malsano a quello naturale e da quello naturale a quello malsano è tanto percettibile che non c'è bisogno di aspettare ciò che nel primo caso era stato ordinato di aspettare circa la cavità più fonda e circa la bianchezza del pelo, ma dal solo fatto del cambiamento viene considerata sicuramente lebbra.

La carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco.

3047
(
Lv 13,9-17) L'agiografo poi continua così: Nel caso che in un uomo ci sarà un attacco di lebbra lo si condurrà dal sacerdote. E il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca sulla pelle ed essa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco e da quello sano della carne viva nella cicatrice. Se toglieremo e da questa frase, aggiunto secondo il modo di esprimersi delle Scritture, il senso della frase sarà il seguente: Il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca nella pelle e questa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco da sano che è quello della carne viva nella cicatrice. La costruzione diretta della frase è la seguente: ha fatto cambiare il colore del pelo in bianco sulla cicatrice da quello sano della carne viva, cioè: mentre la carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco : È lebbra inveterata nella pelle del suo colore; e il sacerdote lo condannerà - cioè lo dichiarerà impuro - non lo isolerà perché è impuro. L'agiografo pare voglia dire che quando si trova il pelo mutato in bianco, un pelo del medesimo colore del pelo bianco per la malattia della carne, non s'isolerà più il malato per esaminarlo né si aspetta per vedere se la cavità diventi più profonda, ma per il solo fatto che la pelle è bianca di colore diverso dal restante, ed ha il pelo bianco di colore diverso da quello degli altri che sono nella carne viva e sana, si dichiara che c'è la lebbra inveterata; inveterata poiché non dev'essere verificata più durante i suddetti quattordici giorni. Se invece sarà restituito il colore naturale e si sarà cambiato in bianco - (l'agiografo dice così) poiché aveva detto che tutto il colore bianco esteso su tutta la pelle era già puro per il fatto stesso che non c'era più il cambio di colore -. Continua poi dicendo: Ma in qualunque giorno sarà visto in lui il color vivo, verrà dichiarato impuro. Da questa frase appare in modo assai chiaro che si disapprova il cambiamento di colore. E perciò riguardo a quanto ha detto poco prima l'agiografo, cioè: Se invece sarà restituito il colore sano e si sarà cambiato in bianco, (il malato) si recherà dal sacerdote. E il sacerdote lo esaminerà ed ecco l'attacco rimutato in bianco e il sacerdote purificherà l'uomo colpito dall'attacco: è puro, non dobbiamo pensare che il colore sano ritornò perché risultasse sano, poiché era già sano il colore ma per caso tuttavia diventava impuro a causa del suo cambiamento. Dice che tornò sano il colore in modo che tornò ad essere quel che era stato, cioè colore bianco scomparendo quello sano. Poiché allora sarà di nuovo puro, quando sarà tutto bianco poiché non ci sarà nessun cambiamento. Ma prendere restituito nel senso di "scomparso " sarebbe un modo di esprimersi troppo inusitato. Pare infatti che si sarebbe dovuto dire piuttosto: se però sarà restituito il colore bianco. Ora, al contrario, si dice: sarà stato restituito sano e si sarà cambiato in bianco come se dicesse: se sarà stato restituito in bianco il colore sano.

La lebbra della testa.

3048
(
Lv 13,30) Per qual motivo, quando la Scrittura parla della lebbra della testa, la chiama anche una percossa, dal momento ch'essa consiste solo nel colore della cute e dei capelli e dal fatto che appare più incavata rispetto al resto della pelle, tuttavia senza alcun dolore o scossa? Ha forse l'agiografo preferito chiamare colpo invece di " piaga " ciò che è impuro, come se uno fosse percosso da tale impurità?

La lebbra dei vestiti.

3049
(
Lv 13,47-48) Che cosa vuol dire la Scrittura quando, parlando della lebbra dei vestiti o di altre cose attinenti ai bisogni umani dice: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa o di canapa o nella lana e nelle cose di lino o di lana, dal momento che già prima aveva detto: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa? Poiché una cosa di stoppa è certamente (anche) di lino. O forse l'agiografo lì volle fare intendere i vestiti, qui invece qualunque oggetto di lana o di lino? Poiché non sono vestiti le coperte dei giumenti, pur essendo di lana, o sono vestiti le reti pur essendo di lino. Prima dunque volle parlare in particolare dei vestiti e poi in genere di tutti gli oggetti di lana e di lino.

Il pellame lavorato.

3050
(
Lv 13,48) Si pone il presente quesito: perché l'agiografo dice: in ogni specie di pellame di lavoro. Ma alcuni hanno tradotto: in ogni sorta di pellame lavorato. Il testo greco però non dice , ma dice: , parola, questa, usata anche nel Libro dei Re dove Gionata dice a Davide: Rimani nella campagna in un giorno lavorativo 93, cioè in un giorno in cui si lavora. E perciò anche qui per pellame di lavoro dobbiamo intendere quello in cui si fa un lavoro, cioè adatto a qualche lavoro. Ci sono infatti delle pelli che si tengono solo per ornamento, non per farvi dei lavori.

Il termine vas indicante qualsiasi utensile.

3051
(
Lv 13,49) Che cosa vuol dire l'espressione: In qualsiasi oggetto di lavoro di pelle, se non quello fatto di pelle, cioè un qualsiasi oggetto di pelle? D'altra parte l'agiografo in questo passo chiama ciò vas (arnese), che in greco si chiama ; termine, questo, generale indicante qualsiasi utensile. Altra cosa è invece ciò che è chiamata (vaso; recipiente) poiché anche questo in latino significa vas (vaso, recipiente). Ma per s'intende piuttosto un recipiente che contiene del liquido.

Il malato ha il dovere di lavarsi le mani..

3052
(
Lv 15,11) Che cosa significano le seguenti espressioni: Qualunque persona che il malato di gonorrea toccherà, senza essersi lavato le mani nell'acqua, laverà le sue vesti e bagnerà il suo corpo nell'acqua, e sarà impuro fino alla sera? Poiché l'espressione: senza essersi lavato le mani nell'acqua è formulata in modo ambiguo, quasi volesse dire: " dopo averlo toccato ". Si deve invece intendere così: qualunque persona che (il malato) toccherà senza essersi lavate prima le mani, la stessa persona ch'egli avrà toccato dovrà lavarsi le vesti, ecc.

In qual modo si dovrà fare l'espiazione per i santi.

3053
(
Lv 16,16 Lv 19). Che significa ciò che l'agiografo, a proposito del comando (dato dal Signore) al sommo sacerdote quando deve entrare nel " Santo ", situato dietro il velo, tra l'altro dice: Farà l'espiazione per purificare i santi dalle impurità dei figli d'Israele e dalle loro ingiustizie (e) da tutti i loro peccati ? In qual modo farà l'espiazione per i santi, se sarà fatta per togliere le impurità dei figli d'Israele e le ingiustizie dei loro peccati? Forse, perché non dice: " in favore (pro) delle impurità ", ma dalle (ab) impurità dei figli d'Israele, si deve intendere: farà l'espiazione per i santi dalle impurità dei figli d'Israele? Vale a dire per coloro che sono santi esenti dalle impurità dei figli d'Israele in quanto non acconsentono alle loro impurità, non perché si dovesse fare l'espiazione solo per essi, ma anche per essi, affinché non si pensasse che fossero talmente santi da non aver nulla per cui si dovesse fare l'espiazione per essi, sebbene fossero estranei dalle impurità dei figli d'Israele e dalle loro ingiustizie. Da tutti i loro peccati, cioè dalle ingiustizie derivanti da tutti i loro peccati.

53. 2. Il senso della frase: Farà l'espiazione dalle impurità dei figli d'Israele potrebbe essere anche questo altro, che cioè si fa l'espiazione per essi, affinché fossero al riparo dalle impurità dei figli d'Israele. Ma farà l'espiazione non può intendersi se non nel senso espresso dall'altro verbo farà propizio. Si chiama perciò anche " propiziatorio " quello che altri traducono con " offerta espiatoria ", e in greco si chiama . Inoltre ciò che in questo passo il latino esprime dicendo: farà l'espiazione (exorabit) per i santi, il greco lo esprime con , che non s'intende se non per i peccati. Ecco perché nel Salmo sta scritto: (Il Signore) che perdona tutti i tuoi peccati 94. Questo dunque è il senso più confacente, quello di intendere che il sacerdote invochi Dio propizio anche verso coloro che sono santi, estranei cioè alle impurità dei figli d'Israele e perché, sebbene siano tanto santi da non acconsentire alle impurità e alle ingiustizie dei figli d'Israele, hanno tuttavia qualche colpa a causa della quale è necessaria per essi la misericordia di Dio.

53. 3. Per la verità in un manoscritto greco troviamo: Ed espierà il Santo, non " a favore dei santi " e il termine il Santo è in verità di genere neutro, cioè . In effetti l'espressione potrebbe intendersi nel senso " supplicherà Dio santo " e non ci sarebbe alcun problema, è però difficile dire in qual senso possa intendersi espierà il Santo se non forse intendendo per Santo tutto ciò che è Dio, perché anche lo Spirito Santo, che è Dio, in greco è espresso col genere neutro . E forse - qualora il manoscritto che pareva più corretto fosse più autentico -, significa ciò, vale a dire lo Spirito Santo che in latino non può denotarsi con il genere neutro. Sennonché anche negli altri tre manoscritti, uno greco e due latini, abbiamo trovato solo ciò che abbiamo detto più sopra: Farà l'espiazione per i santi. Questa espressione però potrebbe intendersi anche nel senso che l'espiazione non riguarda le persone sante, ma le cose che sono sante, cioè la tenda-santuario e tutti gli oggetti che tra quelle cose sono consacrati al Signore; in modo che il senso dell'espressione: farà l'espiazione per i santi al fine di liberarli dalle impurità dei figli d'Israele, sarebbe: Farà propizio Dio verso le cose consacrate al Signore liberandole dalle impurità dei figli d'Israele, poiché la tenda-santuario era situata in mezzo a loro. Avendo infatti l'agiografo detto: Farà l'espiazione per i santi per purificarli dalle impurità dei figli d'Israele e dalle ingiustizie di tutti i loro peccati, soggiunge immediatamente: e la medesima cosa farà con la tenda della testimonianza, che si trova tra di loro, in mezzo alle loro impurità; così che quella espiazione pare necessaria per le cose sante, cioè per la tenda-santuario e per tutti gli oggetti pertinenti ad essa che sono chiamati santi. Infatti anche un po' dopo si dice dell'altare che il sacerdote deve purificare con l'aspersione del sangue e santificarlo purificandolo dalle impurità dei figli d'Israele.

Se santificherà in modo perfetto ciò che santifica.

3054
(
Lv 16,20) Porterà a termine purificando il Santo. Compirà forse il Santo? Oppure facendo espiazione per il santo, come abbiamo detto più sopra? Poiché anche qui in greco è detto di genere neutro. Facendo dunque l'espiazione al Signore, porterà a compimento il santo, cioè santificherà in modo perfetto ciò che santifica? Oppure significa: completerà espiando il santo, cioè quel santo che è (lo Spirito Santo)?

I due capri, l'uno destinato ad essere immolato e l'altro a essere allontanato.

3055
(
Lv 16,8-10 Lv 26-33) A proposito dei due capri, l'uno destinato ad essere immolato e l'altro a essere allontanato nel deserto, chiamato dai Greci , suole esserci discussione: da alcuni quello destinato a essere immolato è preso nel senso buono, quello destinato ad essere allontanato invece in senso cattivo. Tuttavia una tale opinione non si deve sostenere, poiché all'uomo, per mezzo del quale il capro viene allontanato nel deserto, è comandato, quando torna, di lavare i suoi vestiti e il suo corpo con l'acqua e così entrare nell'accampamento - come se anche questo fosse una prova perché si debba considerare in senso cattivo quel capro, dal cui contagio l'uomo si deve purificare; nello stesso modo dice che deve lavarsi anche colui che avrà preso le carni d'un altro capro e di un vitello e le avrà bruciate fuori dell'accampamento -, poiché così comanda che si faccia a proposito del capro e del vitello, con il sangue dei quali, dopo essere stati immolati, si fa l'aspersione e sono sacrificati per il peccato. Perciò la distinzione di questi due capri dev'essere interpretata in senso allegorico. Allo stesso modo, quando il Signore stabilì il dieci del settimo mese per il Sabato dei Sabati in cui si doveva fare la suddetta purificazione dall'unico sacerdote che succede al proprio padre, parlando del medesimo sacerdote dice: Compia il rito espiatorio per il luogo santissimo. Orbene, io non so se questa espressione si possa intendere in un senso diverso dal seguente, cioè: compirà il rito dell'espiazione nel Santo dei santi, a causa di una forma di idiomatismo; vale a dire nel luogo santo, in cui entrava solo lo stesso sommo sacerdote, ed era situato all'interno oltre il velo, ov'erano l'Arca dell'alleanza e l'altare dell'incenso. Naturalmente il sommo sacerdote non espierà il medesimo luogo come se fosse Dio, ma, siccome lì espierà Dio, così è usata l'espressione: compirà il rito dell'espiazione per il Santo dei santi. Infatti anche questa locuzione è espressa in greco col genere neutro: . O forse farà l'espiazione dello Spirito Santo, cioè ? O piuttosto espierà sta per "espiando purificherà "? Infatti il testo continua così: E compirà il rito espiatorio per il luogo santissimo e per la tenda della testimonianza e per l'altare e compirà il rito espiatorio per i sacerdoti e per tutta la comunità. In che modo dunque compirà il rito di espiazione per la tenda e per l'altare se non, come abbiamo detto, dobbiamo intendere ciò nel senso seguente: " compiendo il rito espiatorio purificherà "?

Proibiti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso.

3056
(
Lv 17,3-4) C'è un testo che dice: Chiunque ucciderà un vitello, un montone o una capra nell'accampamento e chi li ucciderà fuori dell'accampamento e non li porterà alla porta della tenda della testimonianza; in questo testo si stabilisce un peccato e si minaccia chi lo commette, ma non si parla degli animali che vengono uccisi per la necessità di nutrirsi o per altre necessità, ma di quelli destinati ai sacrifici. Il testo proibisce infatti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso, ma porti (le vittime) dove siano offerte a Dio per mezzo del sacerdote. In questo modo non offriranno nemmeno sacrifici ai falsi idoli; poiché il testo precedentemente aveva ammonito anche di guardarsi da ciò in quella consuetudine. Il fatto che non era lecito offrire sacrifici se non nella tenda-santuario, alla quale in seguito successe il tempio, valse di conseguenza quando anche Geroboamo, re d'Israele, osò fare erigere due vitelli, ai quali il popolo doveva sacrificare, affinché dietro l'obbligo di questa legge, coloro che erano sotto il suo regno non venissero sviati da lui mentre andavano a Gerusalemme per offrire i loro sacrifici nel tempio e per questa sua azione fu condannato dal Signore 95. Si pone perciò con ragione il quesito in qual modo sacrificò lecitamente Elia fuori del tempio di Dio, quando con le preghiere ottenne (di fare scendere) il fuoco dal cielo e confutò vittoriosamente i profeti dei demoni 96. Mi pare che questo fatto non si giustifichi con nessun'altra ragione che quella con cui si giustifica anche l'azione di Abramo perché volle immolare il figlio per suo ordine 97. Quando colui che stabilisce la legge ordina di fare qualcosa che è proibita nella (sua) legge lo stesso comando è considerato legge poiché è l'autore della legge (che lo dà). Oltre al sacrificio non potrebbero mancare altre situazioni strane con cui sarebbero vinti e confutati i profeti dei boschi sacri; ma qualsiasi cosa lo Spirito di Dio, che era in Elia, abbia operato in questa circostanza, non può essere contro la legge, poiché è lui il datore della legge.

Il senso della proibizione di mangiare il sangue.

3057
(
Lv 17,10-12) Che significa ciò che dice l'agiografo quando parla della proibizione di mangiare il sangue: l'anima di ogni carne è il suo sangue? Tutto questo passo lo spiega nel modo seguente: E ogni uomo o dei figli d'Israele o degli immigrati stabilitisi tra voi che mangerà qualsiasi tipo di sangue, volgerò la mia faccia a colui che mangia il sangue e lo radierò dal suo popolo. Poiché l'anima d'ogni carne è il suo sangue. Ed io ve l'ho concesso per fare il rito dell'espiazione per le anime vostre, poiché il suo sangue servirà di espiazione per l'anima. Ecco perché ho detto ai figli d'Israele: " Nessuno tra di voi mangerà del sangue, neppure l'immigrato stabilitosi tra voi mangerà del sangue ". Se dunque diciamo che il sangue è l'anima di un animale, si deve forse credere che il sangue è anche l'anima dell'uomo? Niente affatto! Perché allora l'agiografo non dice: L'anima di ogni carne di animale è il suo sangue, ma dice: l'anima di ogni carne è il suo sangue? Tra tutte le specie di carne è considerata senz'altro anche la carne dell'uomo. Oppure, forse perché c'è qualcosa di vitale nel sangue, dato che soprattutto per mezzo di questo stesso c'è vita nella carne dal momento che mediante tutte le vene si diffonde in tutte le parti del corpo, per questo viene chiamata anima la vita stessa del corpo, non la vita che abbandona il corpo, ma quella che termina con la morte? Con questa espressione diciamo che questa vita è temporale, non è eterna, è mortale, non immortale, poiché è immortale la natura dell'anima, che fu portata via dagli angeli nel seno di Abramo 98, e alla quale è detto: Oggi sarai con me in paradiso 99, e che soffriva terribili tormenti nell'inferno 100. Così secondo questo significato per il quale è chiamata anima anche la vita temporale, l'apostolo Paolo disse: Non ritengo la mia vita meritevole di nulla 101, frase con la quale voleva mostrare d'essere pronto anche a morire per il Vangelo, poiché secondo il significato per cui si chiama " anima " quella che va via dal corpo, egli considerava più preziosa quella la quale acquistava un sì gran merito. Ci sono anche altre espressioni idiomatiche di tal genere. E così questa nostra vita temporale è mantenuta nel corpo soprattutto dal sangue. Ma che significa l'espressione: Perciò vi ho concesso di porlo sull'altare in espiazione per le vostre anime: come se l'anima facesse l'espiazione per l'anima? Può forse il sangue espiare per il sangue, come se noi fossimo preoccupati per il nostro sangue, quando cerchiamo espiazione per la nostra anima? Ciò è una cosa illogica.

57. 2. È però ancora più assurdo pensare che il sangue di un animale possa fare l'espiazione per l'anima dell'uomo, la quale non può morire: quando la Scrittura nella Lettera agli Ebrei afferma chiaramente che il sangue delle vittime non serviva a nulla per fare l'espiazione a Dio per i peccati degli uomini, ma prefigurava qualcosa che avrebbe arrecato vantaggio. La Lettera infatti afferma: È impossibile che il sangue dei tori e dei capri cancelli i peccati 102. Ne consegue perciò che, poiché per l'anima nostra fa l'espiazione quel Mediatore che era prefigurato da tutti quei sacrifici che allora si offrivano per i peccati, si chiama anima ciò che simboleggia l'anima.

57. 3. La cosa, che è simbolo, suole infatti denotarsi con il nome di quella simboleggiata; in questo modo la Scrittura dice: Le sette spighe sono sette anni - non dice: simboleggiano sette anni - e le sette vacche sono sette anni 103, e molte altre espressioni del genere. A questo proposito la Scrittura dice: quella roccia era Cristo 104; non è detto: " la roccia rappresentava Cristo ", ma (è detto così) come se fosse ciò che evidentemente non era quanto alla sua natura, ma quanto al simbolo. Così anche il sangue, poiché a causa d'una certa costituzione fisica vitale, rappresenta l'anima, nei riti sacri è chiamato "anima ". Se però uno crede che l'anima di un animale è il sangue, non ci si deve occupare di tale questione, ma si deve evitare assolutamente di ritenere che il sangue sia l'anima dell'uomo, quella che dà la vita alla carne umana ed è razionale; questo errore dev'essere rigettato. Vanno anche ricercate le espressioni in cui con il contenente viene indicato il contenuto, cosicché, dato che l'anima è contenuta nel corpo per mezzo del sangue - tant'è vero che, se il sangue viene sparso, essa esce dal corpo - per mezzo di questo stesso venga meglio indicata l'anima, e in tal modo il sangue acquisti il nome di essa. Così viene chiamato " chiesa " il luogo ove si raduna la Chiesa; Chiesa infatti sono le persone, della quale è detto: Per far comparire davanti a lui la Chiesa splendente di gloria 105. Tuttavia che si chiami con questo nome la casa delle preghiere lo attesta il medesimo Apostolo nel passo ove dice: Per mangiare e per bere non avete forse la vostra casa? Disprezzate forse la Chiesa di Dio? 106 L'usanza del parlare quotidiano è invalsa a far sì che si dice: " andare in chiesa ", o " rifugiarsi nella chiesa " solo di uno che sia andato o si sia rifugiato in quel luogo e nelle sue pareti in cui è contenuta la comunità della Chiesa. Sta scritto anche: e versa sangue chi sottrae la mercede dell'operaio 107. Qui è detto sangue la mercede, poiché con la mercede viene sostentata la vita, che viene denotata con la parola sangue.

57. 4. Però, mentre il Signore dice: Se non mangerete la mia carne e berrete il mio sangue non avrete in voi la vita 108, che cosa significa il fatto che al popolo viene proibito con tanta insistenza di nutrirsi del sangue dei sacrifici che sono offerti per i peccati, se da quei sacrifici era prefigurato l'unico sacrificio mediante il quale si effettua la vera remissione dei peccati; tuttavia non solo a nessuno viene proibito di assumere come alimento il sangue di questo sacrificio ma anzi sono esortati a berlo tutti coloro che desiderano avere la vita? Si deve quindi ricercare che cosa significa il fatto che all'uomo è proibito dalla legge di nutrirsi del sangue e gli viene comandato di versarlo per Dio. Sulla natura dell'anima, perché sia denotata con il termine "sangue ", abbiamo già detto quanto per ora ci pare che basti.

In che consiste l'indecenza del padre e della madre.

3058
(
Lv 18,7-8) Non scoprirai la nudità di tuo padre né quella di tua madre (poiché) è la loro vergogna. È proibito il rapporto sessuale con la madre; in questo consiste l'indecenza del padre e della madre. Più avanti infatti è proibito il rapporto anche con la matrigna, ove è detto: Non scoprirai la nudità della moglie di tuo padre, poiché è la vergogna di tuo padre. In questo passo è spiegato come nella madre c'è la vergogna d'ambedue, cioè del padre e della madre, nella matrigna invece c'è solo la vergogna del padre.

Non è lecito scoprire la nudità di una sorella.

3059
(
Lv 18,9 Lv 11) Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o di tua madre, nata in casa o fuori casa; non scoprirai la nudità di lei. Per colei che è nata in casa s'intende quella nata dal padre; per quella nata fuori casa s'intende quella nata dalla madre nel caso che l'avesse avuta da un precedente marito e fosse venuta con lei in casa quando sposò il padre del figliastro: è questi che la Scrittura ammonisce di non scoprire la nudità della propria sorellastra. In questo passo sembra che non fosse stato proibito e quasi passato sotto silenzio il rapporto sessuale con la sorella nata da entrambi i genitori, poiché non è detto: " non scoprirai l'indecenza di tua sorella, figlia di tuo padre e di tua madre ", ma di tuo padre o di tua madre. Chi però non vede che a maggior ragione è proibito quell'altro rapporto sessuale? Se infatti non è lecito scoprire la nudità di una sorella figlia di uno qualunque dei due genitori, quanto meno è lecita una tale azione con la figlia di entrambi i genitori? Ma perché, dopo aver riferito la proibizione del concubito anche con le proprie nipoti sia da parte del figlio che della figlia, il testo continua e dice: Non scoprirai la nudità della figlia della moglie di tuo padre? Poiché, se la Scrittura, arrivata a questo punto, non avesse aggiunto altre parole, comprenderemmo che fosse proibito il rapporto sessuale con la figlia della matrigna, messa al mondo da questa con il precedente marito e non sarebbe la sorella - per parte del padre e della madre - di colui al quale è fatta la proibizione; siccome però aggiunge: è una tua sorella, figlia del medesimo tuo padre, non scoprirai la sua nudità, è chiaro che questa proibizione è fatta relativamente alla sorella in quanto era figlia del padre e della matrigna, di cui si era parlato già in precedenza. Ha voluto forse l'agiografo ripetere con maggior chiarezza detta proibizione, poiché prima non era molto chiara? Così infatti fa spesso la Scrittura.

Non scoprire la vergogna di uno zio.

3060
(
Lv 18,14) Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre e non ti accosterai alla moglie di lui. Si spiega qui che cosa significa: Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre, cioè del tuo zio paterno; perché ciò vuol dire: non ti accosterai alla moglie di lui, in quanto l'autore sacro volle che si distinguesse la vergogna dello zio paterno nella moglie dello zio, così come nella moglie del padre volle s'intendesse la vergogna del padre.

Proibito accostarsi alla moglie del proprio fratello.

3061
(
Lv 18,16) Non dovrai scoprire l'indecenza della moglie di tuo fratello; è la vergogna di tuo fratello. Ci domandiamo se questo atto è proibito durante la vita del fratello o dopo la sua morte: e il quesito non è di poca importanza. Se infatti diremo che la Scrittura parla della moglie del fratello vivente in un unico precetto generale con cui è proibito all'uomo di accostarsi alla moglie altrui, vi è incluso certamente anche questo 109. Perché dunque la Scrittura in un modo così diligente distingue dalle altre con proibizioni particolari queste persone chiamate domestiche? Poiché l'atto che si proibisce riguardo alla moglie del padre, cioè della matrigna, si deve intendere quello compiuto essendo vivo il padre e non dopo la sua morte. Infatti chi non vede che quell'atto è proibito molto più severamente essendo vivo il padre, se è proibito di disonorare con l'adulterio la moglie altrui, di qualsiasi uomo si tratti? Sembra dunque che parli di quelle persone che non avendo marito possono unirsi in matrimonio, salvo che fosse loro proibito dalla legge, come si dice essere consuetudine dei persiani. Ma d'altra parte, se intenderemo che era proibito di sposare la moglie del fratello dopo che questi fosse morto, ci si presenta l'obbligo che la Scrittura prescrive di osservare al fine di procurare un discendente al fratello, se questi sia morto senza lasciare figli 110. E perciò, confrontando questo divieto con quel comando, affinché non siano in contraddizione tra loro, si deve pensare a un'eccezione, cioè che non è lecito ad alcuno sposare la moglie del fratello defunto, se il defunto lasciò dei discendenti, oppure pensare che quell'atto fu proibito anche al fine che non fosse lecito sposare la moglie del fratello, compresa quella che a causa del ripudio si fosse separata dal fratello ancora vivente. Poiché a quel tempo - come dice il Signore - Mosè aveva permesso di dare la dichiarazione scritta di divorzio 111, e a causa di questo ripudio si poté pensare che chiunque potesse sposare lecitamente la moglie del proprio fratello dal momento che non avrebbe avuto paura di commettere adulterio, poiché quella si era separata a cagione del ripudio.

Proibito il rapporto con la madre e con la figlia di lei.

3062
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Lv 18,17) Non scoprirai la nudità di una donna e quella di sua figlia, vale a dire nessuno pensi che gli sia lecito sposare la figlia di sua moglie. Poiché non è lecito scoprire insieme la nudità d'una donna e di sua figlia, cioè aver relazione sessuale con ambedue, con la madre e con la figlia di lei.

Proibito sposare la figlia dei propri figli.

3063
(
Lv 18,17-18) Non prenderai la figlia del figlio di quella donna né la figlia di sua figlia. La Scrittura proibisce anche di sposare la nipote della donna, cioè la figlia di un suo figlio o d'una sua figlia. Non prenderai in moglie una donna e in più sua sorella per provocarne la gelosia. Qui non è proibito di sposare più di una donna, come era lecito fare agli uomini del tempo passato al fine di propagare un'abbondante discendenza, ma è proibito di avere per mogli due sorelle allo stesso tempo. Ciò pare che avesse fatto Giacobbe 112 o perché ancora non era stato proibito dalla legge o perché era stato ingannato, essendogli stata data in moglie un'altra e dopo che ebbe in moglie colei che a maggior diritto gli toccava in base all'impegno, ma sarebbe stato ingiusto mandar via la prima, per evitarle di farle commettere adulterio. Quanto poi all'espressione: per provocarne la gelosia, è usata forse nel senso che non ci sia gelosia tra le sorelle, gelosia di cui non si sarebbe dovuto fare alcun caso se fosse stata tra persone che non fossero sorelle? Oppure è usata piuttosto perché non si faccia per questo motivo, cioè che il matrimonio con due sorelle non si faccia con l'intenzione di provocare gelosia tra di loro?.

Rispettare una donna durante la mestruazione.

3064
(
Lv 18,19) Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l'immondezza mestruale, cioè non ti accosterai ad una donna durante la mestruazione, poiché veniva segregata secondo la legge, a causa dell'impurità. Che significa il fatto che l'autore ha voluto aggiungere qui questo caso (d'impurità sessuale) con i medesimi precetti con i quali lo aveva proibito assai sufficientemente più sopra 113? O forse, avendo l'autore parlato di ciò in precedenza, per evitare che fosse preso in senso figurato, è stato ripetuto anche in questo passo in cui sono elencate le proibizioni di azioni di tal genere, proibizioni che senza dubbio devono essere osservate anche al tempo del Nuovo Testamento, eliminando l'osservanza delle ombre antiche? Sembra che la Scrittura abbia indicato questa cosa per mezzo del profeta Ezechiele che, tra i peccati che non sono simbolo ma chiaramente contrari alla legge di Dio, menziona anche questo di accostarsi a una donna durante la sua mestruazione, e tra i meriti della giustizia menziona quello di non accostarsi 114. In questo caso non si condanna la natura, ma si mostra il danno che si arreca al concepimento della prole.

Proibito l'adulterio.

3065
(
Lv 18,20) Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei. Ecco, qui si torna a proibire l'adulterio che si commette con la moglie di un altro ed è proibito anche nel decalogo115. Di qui è chiaro che quelle cose vengono proibite in modo che, anche dopo la morte dei loro mariti non devono sposare le donne delle quali è proibito scoprire la nudità.

Proibito servire gli uomini come se fossero dèi.

3066
(
Lv 18,21) Non permetterai che nessuno della tua discendenza serva il principe. Qui non vedo in che senso possa prendersi (servire) il principe, se non il principe che viene adorato invece di Dio. In greco infatti non è detto ma che i Latini sono soliti tradurre solo con la parola servire; tra i due termini infatti c'è un'enorme differenza di significato. Poiché la Scrittura non proibisce di servire gli uomini come servono gli schiavi, cosa che non è ma ; ma nel senso proprio di (adorare) è comandato di servire il solo vero Dio e non gli uomini, come sta scritto: Adorerai il Signore tuo Dio e servirai lui solo 116. La Scrittura però indica bene di quale principe essa parli, cioè colui al quale si rende culto come a Dio, non solo con il verbo , ma anche per il fatto che aggiunge: e non profanerai il nome santo, il nome di Dio, dal popolo del quale si può servire il principe in quel modo, o il nome santo del popolo d'Israele, a motivo del quale è detto: Voi siete santi, poiché anch'io sono santo 117. Molto opportunamente anche in questo passo viene aggiunta l'affermazione: Io sono il Signore, con cui Egli ammonisce che a lui solo è dovuta la , cioè il servizio con il quale si serve Dio.

La terra inorridisce, perché inorridiscono gli uomini.

3067
(
Lv 18,25) E la terra è inorridita per coloro che vi si sono stabiliti. (Inorridì) per le cattive azioni menzionate prima; non si deve pensare però che la terra abbia il senso con il quale avere la sensazione di queste azioni e inorridirne, ma con il nome di terra sono indicati gli uomini che vivono sulla terra. Perciò quando gli uomini compiono queste cattive azioni inquinano la terra, poiché si contaminano coloro che le imitano e la terra inorridisce, perché inorridiscono gli uomini che non le fanno né le imitano.

Se si può peccare in vista di un bene.

3068
(
Lv 19,11) Non ruberete, non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo. Il precetto di non rubare si trova nel decalogo 118. Quanto poi a ciò che segue: Non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo, sarebbe strano se non fosse contenuto nel precetto scritto nello stesso decalogo: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo 119, poiché non si può calunniare senza mentire, cosa che è inclusa nel precetto generale della falsa testimonianza. Ma un problema difficile è quello di sapere se questi peccati si possono commettere in vista di un compenso (di bene), come sembra quasi a tutti a proposito della menzogna, che si possa mentire per salvare qualcuno quando non si reca danno a nessuno. Si può forse dire la stessa cosa a proposito del furto? Oppure non si può fare un furto quando non si danneggia nessuno? Anzi, al contrario, può farsi anche quando si viene in aiuto a qualcuno al quale si ruba, come se uno rubasse la spada a uno che volesse uccidersi. Quanto invece alla calunnia io non so se uno può essere calunniato perché gli sia di giovamento. A meno che il fatto che Giuseppe aveva incolpato falsamente del furto della coppa i suoi fratelli - contro i quali aveva mosso anche la falsa accusa di essere delle spie 120 -, tendeva ad aumentare la gioia che avrebbero goduto in seguito. Sennonché se tentassimo di precisare queste cose entro determinati limiti, forse non si commette furto se non quando si danneggia il prossimo con il sottrarre di nascosto la roba altrui, e non c'è calunnia se non quando si danneggia il prossimo con l'accusa di una colpa falsa; quanto alla menzogna però non possiamo dire che ci sia solo quando si danneggia il prossimo, poiché quando si dice il falso coscientemente, senza dubbio è una menzogna sia che venga danneggiato qualcuno o nessuno. Perciò il difficile problema della menzogna, se talora cioè possa essere giusta la bugia, forse si risolverebbe facilmente se considerassimo solo i precetti e non anche gli esempi. In effetti quale comandamento è più tassativo di questo, essendo enunciato come il precetto non ti fabbricherai nessun idolo - azione, questa, che non può essere mai lecita - e allo stesso modo che è enunciato: non commettere adulterio - chi oserebbe infatti dire che l'adulterio talora può essere lecito? - e: non rubare - che secondo la precedente definizione del furto non può mai essere lecito - e: non uccidere 121, poiché quando viene uccisa giustamente una persona, la uccide la legge, non sei tu ad ucciderla. Si può forse dire che quando uno mentisce lecitamente, mentisce la legge? Ma gli esempi complicano estremamente il problema. Le ostetriche egiziane avevano mentito e Dio le ricompensò con benefici 122; Raab aveva mentito in favore degli esploratori del paese e per questo fu liberata 123. Per il fatto che nella legge è detto: Non mentirete, si deve forse concludere che non è lecito mentire nemmeno in un caso simile a quello in cui si legge che Raab disse una menzogna? Possiamo invece pensare piuttosto che la menzogna era proibita per il fatto che era illecita, anziché pensare che divenne ingiusto perché era proibito. Forse dunque, come abbiamo detto delle levatrici, non furono ricompensate per il fatto che avevano mentito, ma perché avevano salvato dei bambini ebrei, e così quell'atto di misericordia rese veniale quel peccato, ma tuttavia non si deve pensare che non fosse un peccato; così anche a proposito di Raab si deve pensare che fu ricompensata per aver salvato gli esploratori, di modo che le fu perdonata la menzogna per aver procurato loro la salvezza. Nel caso infatti che si concede il perdono è chiaro che c'è il peccato. Si deve però evitare di pensare così, cioè che si possa concedere il perdono agli altri peccati qualora vengano commessi per la salvezza delle persone. Poiché da questo errore derivano molti mali intollerabili e molto detestabili.

Che cosa vuol dire recar danno.

3069
(
Lv 19,13) Non recherai danno al tuo prossimo. Se tutti comprendessero chiaramente che cosa vuol dire " recar danno " o " non recar danno ", forse questo precetto sarebbe sufficiente a conservare l'innocuità. Poiché tutto ciò che è proibito fare al prossimo si può ridurre all'unico precetto espresso con le parole: Non recherai danno al tuo prossimo. Infatti il seguito: Non sottrargli (la sua roba) ha il senso di non danneggiarlo con il rubare; alle volte accade che uno danneggi il prossimo astenendosi dal sottrargli qualcosa. Infatti a uno che si comporta da pazzo si deve sottrarre la spada e, se uno non lo facesse quando fosse necessario, gli recherebbe un danno maggiore.

La volontà di correggere o di vendicarsi.

3070
(
Lv 19,17-18) Che cosa significa il fatto che, avendo detto prima: Non avrai odio per il tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera apertamente il tuo prossimo e così non incorrerai in un peccato a causa di lui, l'autore sacro soggiunge subito dopo: e la tua mano non sarà vendicata? Vindicatur sta forse per " non sarà punita "? Poiché fai con sentimento ben disposto verso di lui la correzione al tuo prossimo che commette un peccato, per non incorrere nel suo peccato trascurando di rimproverarlo. A ciò si riferisce la frase precedente: Non coverai odio contro il tuo prossimo nel tuo cuore. Poiché a colui che viene rimproverato può sembrare che tu lo abbia in odio sebbene questo non sia nel tuo cuore. O forse la frase: la tua mano non si vendicherà significa piuttosto: " non cercare che la tua mano sia vendicata e non lasciarti trascinare dalla passione della vendetta ". Che cos'altro infatti vuol dire " volersi vendicare " se non rallegrarsi e compiacersi del male altrui? Ecco perché la Scrittura dice: Non ti adirerai con i figli del tuo popolo. L'ira infatti è stata definita giustamente la passione della vendetta. Alcuni manoscritti al contrario hanno: e non si vendicherà la tua mano, cioè: non vendicarti rimproverando, ma piuttosto cerca di fare il bene di colui che rimproveri.

Proibito di farsi incisioni sul corpo a causa di un lutto.

3071
(
Lv 19,28) E non farete incisioni sul vostro corpo per un'anima. Per un'anima vuol dire " per il cadavere di un morto "; in realtà si soffre per la dipartita di una persona. Di questo dolore fa parte il lutto a causa del quale alcuni popoli hanno l'abitudine di farsi incisioni sul corpo. È questo ciò che Dio proibisce di fare.

Non idolatrare gli uomini.

3072
(
Lv 20,5) Affinché quelli del suo popolo fórnichino per i prìncipi. Il testo non vuol dire " prìncipi del suo popolo ", ma " fórnichino quelli del suo popolo ". L'agiografo vuol fare intendere qui per " prìncipi " quelli ch'erano adorati come dèi, come dice l'Apostolo: Seguendo il principe dell'impero dell'aria 124, e nel Vangelo il Signore dice: Ora il principe di questo mondo è stato cacciato fuori 125, e: Ecco, verrà il principe del mondo, ma in me non troverà nulla 126.

Una certa differenza tra un uomo quale che sia e il prossimo.

3073
(
Lv 20,10) Qualunque uomo che commetta adulterio con la moglie di un altro o chiunque commetterà adulterio con la moglie del suo prossimo devono morire assolutamente. Si dice al plurale: Devono morire assolutamente, cioè tanto l'adultero quanto l'adultera. Qui l'autore ha voluto indicare una certa differenza tra un uomo quale che sia e il prossimo, sebbene la Scrittura in molti passi usi il termine prossimo per indicare un uomo qualsiasi. Ma che vuol dire questo modo di esprimersi che, avendo già parlato di un uomo qualsiasi, ripete la medesima cosa a proposito del prossimo, pur essendo naturale che, se ci si deve astenere dalla moglie di un qualsiasi uomo, molto di più ci si deve astenere dalla moglie del prossimo? Se infatti prima l'Autore avesse parlato del prossimo, avrebbe dovuto aggiungere il riferimento a un uomo qualsiasi, perché non si pensasse che fosse lecito commettere adulterio con la moglie di chi non fosse prossimo; ora, al contrario, se non è lecito il male minore, quanto meno è lecito il male più grave. Poiché se non è lecito non commettere adulterio con la moglie di qualsiasi uomo, quanto meno lecito sarà commetterlo con la moglie del prossimo! O forse questa ripetizione spiega - per così dire - che cosa fu detto prima, affinché si comprendesse quanto male sia commettere adulterio con la moglie di (qualsiasi uomo) poiché, se lo si facesse, si commetterebbe adulterio con la moglie del prossimo? In effetti ogni uomo è prossimo rispetto a qualunque altro uomo.

In qual modo è colpevole una bestia.

3074
(
Lv 20,16) Se una donna si accosta a una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte, sono colpevoli. Sorge il problema in qual modo è colpevole una bestia, dato che è irrazionale e non è in alcun modo capace d'intendere e osservare la legge. O forse, come nella figura retorica, chiamata in greco , si trasportano i vocaboli delle qualità proprie da un essere animato a un essere inanimato - come si dice "vento malvagio " e " mare adirato " - così anche qui è stata trasferita una qualità propria d'un essere a un altro essere irrazionale? Si deve infatti pensare che è stato comandato di uccidere le bestie per il fatto che, contaminate da una turpitudine così infamante, ridestano il ricordo di un fatto così vituperevole.

Vedere nel senso di conoscere.

3075
(
Lv 20,17) Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei, e lei quelle di lui, è un'infamia; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; si addosseranno il loro peccato. Che cosa vuol dire vede, se non " la conoscerà mediante l'accoppiamento "? Così è detto nella legge: conobbe sua moglie 127, che sta per: " si accoppiò con lei ". E che cosa vuol dire: si addosseranno il loro peccato, mentre l'autore parla del loro castigo, se non che vuole chiamare " peccato " il castigo del peccato?.

Proibito il matrimonio fra parenti.

3076
(
Lv 20,20 Lv 25) Chi si coricherà con una sua parente, scopre l'indecenza della sua parentela: morranno senza figli. Ci chiediamo fino a qual grado si deve intendere questa parentela, dal momento che è certamente lecito prendere moglie dal grado lontano. Si deve però intendere che non è lecito prenderla dai gradi proibiti conforme a quanto è detto: Chi si coricherà con una sua parente. Qui l'autore ha passato sotto silenzio anche alcuni membri da considerarsi componenti una parentela, come una sorella, figlia di ambedue i genitori, come la moglie del fratello della madre, cioè dello zio materno. Prima infatti il testo sacro proibisce di sposarsi con la moglie dello zio paterno, sebbene questa non si chiami parentela ma affinità. Ma che vuol dire: morranno senza figli, dato che da tal genere di unioni sono nati figli prima e nascono ancor oggi? Si deve forse pensare che è stato stabilito dalla legge di Dio che i nati da tali unioni non siano considerati come figli, cioè non succedono con alcun diritto ai loro genitori?

76. 2. Non renderete le vostre vite abominevoli a causa delle bestie, degli uccelli e di tutti gli animali che strisciano per terra che io vi ho fatto distinguere come immondi. Sembra che qui il testo voglia dire che gli animali menzionati sono impuri non per natura, ma in quanto sono prefigurazione d'una verità religiosa profonda, dal momento che il testo dice: che io vi ho fatto distinguere come immondi, come per dire che per gli Israeliti non sarebbero impuri, se non fossero separati per loro.

Lapidato chi sposa un indovino.

3077
(
Lv 20,27) Se uno, uomo o donna, avrà un ventriloquo o un incantatore, devono morire ambedue; li lapiderete con le pietre, sono colpevoli. Saranno lapidati forse l'uomo e la donna oppure l'uomo e il ventriloquo o la donna e il ventriloquo o indovino? L'ipotesi più probabile però sembra questa: non solo la persona che ha l'indovino, ma anche l'indovino che essa ha.

Poiché è santo è un'espressione che suole usare la Scrittura.

3078
(
Lv 21,7-8) Non prenderanno in moglie una prostituta o profanata, e una donna ripudiata dal marito; poiché è santo per il Signore suo Dio. L'agiografo prima aveva detto: non prenderanno in moglie, ora invece dice: poiché è santo, e non " poiché sono santi ". Parlava di più persone che sono sacerdoti nello stesso tempo e di ciascuno di loro dice: poiché è santo, con un'espressione che suole usare la Scrittura. Dopo infatti menziona l'unico sommo sacerdote che entrava nel luogo più santo (della tenda-santuario), ma conclude il discorso dicendo: E lo si riterrà santo: è lui che offre i doni del Signore vostro Dio; è santo poiché sono santo io, il Signore che li santifico. Quanto poi si riferisce ai doni, poiché dice: È lui che offre i doni del Signore vostro Dio, non li offrivano solo il sommo sacerdote ma anche i sacerdoti inferiori. Perciò la proibizione formulata con le parole: Non prenderanno in moglie una prostituta e già disonorata né una donna ripudiata dal marito, si riferisce anche ai sacerdoti di secondo grado, poiché si parla poi del sommo sacerdote e si dice che ha l'obbligo di prendere in moglie solo una vergine 128.

La Scrittura chiama cristo l'olio.

3079
(
Lv 21,10) E il sacerdote, il grande tra i suoi fratelli cioè quello che per l'appunto è grande tra i suoi fratelli, colui - s'intende - che è l'unico sommo sacerdote. Sulla testa del quale è stato versato l'olio santo, la Scrittura chiama unto l'olio.

L'abilitato a indossare i paramenti.

3080
(
Lv 21,10) Che è stato abilitato per indossare i paramenti, precisamente quelli che sono descritti con molta esattezza a proposito delle vesti sacerdotali 129.

Ciò che è proibito al sacerdote.

3081
(
Lv 21,10-11) Non scoprirà il capo togliendosi la tiara e non si straccerà le vesti né si avvicinerà ad alcuna anima morta. S'intende che gli era proibito di fare ciò che più sopra era detto a proposito del lutto, cioè scoprire il capo togliendo la tiara e stracciandosi le vesti. Poiché stracciarsi le vesti era un costume proprio degli antichi, come la Scrittura dice di Giobbe quando gli fu annunciato che i suoi figli erano stati schiacciati sotto la caduta della casa 130. Scoprire la testa togliendo la tiara poté invece essere un segno di lutto per il fatto ch'era il togliersi un ornamento. Quanto all'espressione: non si avvicinerà ad alcuna anima morta, è al contrario difficile comprendere il senso in cui si dice anima morta, il corpo morto. Esso è tuttavia un modo di esprimersi usuale delle Scritture, mentre per noi è assai insolito. In realtà il corpo privo dell'anima riceve anche il nome di essa che lo governava, poiché dev'essere restituito ad essa nella risurrezione; così l'edificio chiamato " chiesa ", anche quando esce da essa l'assemblea (dei fedeli) che sono uomini, tuttavia si chiama chiesa. Ma siccome il corpo non riceve il nome di anima in una persona vivente, è strano che venga chiamato " anima " quando è rimasto privo dell'anima. D'altra parte se intenderemo come anima morta quella separata dal corpo, cosicché sembri che l'agiografo abbia chiamato " morte " quella separazione, cioè che sia morta l'anima una volta che si sia separata dal corpo senza perdere la sua natura - poiché nemmeno quando si dice che siamo morti al peccato 131, si afferma che sia morta la natura, ma che non viviamo più nel peccato, di modo che in questo senso s'intenda " morta " l'anima, cioè morta al peccato poiché ha cessato di vivere nel peccato, sebbene viva nella sua natura - in che modo può uno accostarsi a un'anima morta, azione proibita al sacerdote, in quanto chi vi si accosta, si accosta a un corpo morto e non a un'anima ch'è uscita dal corpo? O forse ciò che l'agiografo chiama con il nome di " anima " denota la vita temporale, che di certo è morta in un corpo defunto dopo la dipartita dell'anima, che non può morire? Non che l'anima fosse la vita ma che per la presenza dell'anima dalla quale sussisteva prese il nome di essa, come abbiamo distinto quando parlavamo del sangue 132, per qual motivo l'autore sacro disse: L'unione di ogni carne è il suo sangue 133. Poiché anche il sangue è morto in un corpo morto, e non se ne allontana con l'anima che se ne diparte. La Scrittura dunque proibì al sommo sacerdote di avvicinarsi al cadavere di suo padre o di sua madre, cosa che non proibì ai sacerdoti di rango inferiore. L'autore infatti continua dicendo: Non si contaminerà né per suo padre né per sua madre; la disposizione ordinata delle parole è però la seguente: per suo padre non si contaminerà né per sua madre.

Quando il sacerdote non deve uscire dai luoghi santi.

3082
(
Lv 21,12) E non uscirà dai (luoghi) sacri. Senza dubbio non doveva uscirne durante il tempo in cui si celebravano i funerali dei suoi come gli era vietato di uscire dai luoghi sacri durante i sette giorni in cui veniva consacrato 134, però non sempre. Naturalmente se ai sommi sacerdoti non era proibito allora di sposarsi e di generare figli, sorge un grave problema. Poiché la legge dice che un uomo è impuro fino alla sera anche per il coito coniugale, pur dopo essersi lavato il corpo con l'acqua 135 e al sommo sacerdote è comandato di entrare due volte al giorno quotidianamente al di là del velo ov'era l'altare dell'incenso 136 perché l'incenso continuasse a bruciare e non era lecito ad alcuna persona impura avvicinarsi ai luoghi sacri, in qual modo poteva adempiere questo suo dovere ogni giorno il sommo sacerdote se generava figli? Se infatti uno chiedesse chi lo potesse supplire qualora si fosse ammalato, gli si potrebbe rispondere che per grazia di Dio non si ammalava. Per conseguenza o doveva essere continente o durante alcuni giorni si doveva interrompere il servizio dell'incenso oppure, se non poteva interrompersi quel servizio dell'incenso che solo il sommo sacerdote poteva porre, questi non sarebbe rimasto impuro per il coito coniugale grazie alla sua speciale condizione di consacrato. Oppure se si riferisce anche a lui ciò che è detto nel seguito a proposito dei figli di Aronne, che cioè nessuno di essi si avvicini ai luoghi sacri se gli capitasse di avere qualche impurità 137, resta certamente solo da pensare che in alcuni giorni non si poneva l'incenso.

Vietato al sommo sacerdote avvicinarsi al cadavere di suo padre.

3083
(
Lv 21,11) Quanto al divieto fatto al sommo sacerdote di non avvicinarsi al cadavere di suo padre si può porre il quesito: in qual modo poteva già essere sommo sacerdote quando suo padre non era ancora morto, dal momento che la Scrittura ordina che i sommi sacerdoti succedano ai loro padri? Per mantenere sempre acceso l'incenso, che doveva essere messo ogni giorno dal sommo sacerdote (sul braciere dell'altare), era necessario che venisse sostituito il sacerdote al precedente sommo sacerdote anche se questo non fosse stato ancora sepolto. Sennonché resta irrisolto anche il problema della malattia del sommo sacerdote se avesse dovuto rimanere infermo alcuni giorni prima di morire, salvo che anche questo problema si possa risolvere dicendo che i sommi sacerdoti erano soliti morire improvvisamente, come di Aronne dice la Scrittura 138.

La santificazione invisibile e i riti sacri.

3084
(
Lv 21,15) Si deve notare che la Scrittura molte volte dice: Sono io il Signore che lo santifico, parlando del sommo sacerdote e questa stessa cosa è detto (di farla) a Mosè: e lo santificherai 139. In qual modo allora santifica Mosè e il Signore? Mosè non lo fa in luogo del Signore, ma mediante il suo ministero celebrando i riti sacri visibili, il Signore invece lo fa mediante lo Spirito Santo con la grazia invisibile in cui sta tutta l'efficacia anche dei riti sacri visibili. In realtà senza tale santificazione prodotta dalla grazia invisibile a che cosa giovano i riti visibili? Giustamente quindi si pone il quesito se anche l'invisibile santificazione non giovi ugualmente per nulla senza i riti sacri visibili, con i quali l'uomo viene santificato visibilmente, cosa che è certamente illogica. Poiché più tollerabilmente uno potrebbe dire che la santificazione non esisterebbe senza quelli, anziché dire che non gioverebbe se ci fosse, in quanto è nella santificazione tutta l'utilità dei riti. Ma bisogna considerare attentamente come possa affermarsi con ragione che senza i riti non potrebbe esistere la santificazione. A nulla infatti giovò il battesimo visibile a Simon Mago al quale mancò la santificazione invisibile 140. Coloro però ai quali giovò la santificazione invisibile poiché l'avevano, avevano ricevuto anch'essi i riti visibili essendo stati battezzati ugualmente. Quanto a Mosè, che santificava visibilmente i sacerdoti, la Scrittura non fa vedere tuttavia ove fu santificato lui stesso con gli stessi sacrifici o con l'olio, ma chi oserebbe negare che fu santificato invisibilmente lui, che aveva la grazia in grado così elevato? Ciò può dirsi anche di Giovanni Battista, poiché apparve prima come battezzatore che come battezzato 141. Per conseguenza non possiamo negare assolutamente che fosse santificato. In nessun passo (della Scrittura) troviamo che questo fatto sia avvenuto in lui visibilmente prima che giungesse al ministero di battezzare. Lo stesso può dirsi anche del ladrone crocifisso con il Signore, che gli disse: Oggi sarai con me in paradiso 142; egli infatti non ricevette una sì grande felicità senza la santificazione invisibile. Logicamente perciò si può concludere che alcuni ebbero e giovò loro la santificazione invisibile senza i riti sacri che furono cambiati rispetto alle diverse epoche, di modo che allora erano diversi da quelli che sono adesso, ma la santificazione visibile, prodotta per mezzo dei riti visibili, può aversi ma può non giovare. Non per questo tuttavia dev'essere disprezzato il rito visibile, poiché se uno lo disprezza non può essere santificato in alcun modo. Di qui si deduce che Cornelio e coloro che erano con lui, sebbene apparissero già santificati invisibilmente per aver ricevuto lo Spirito Santo, tuttavia furono battezzati 143 e non fu giudicata inutile la santificazione visibile, sebbene fosse stata già preceduta da quella invisibile.

Il sommo sacerdote deve accostarsi alle cose sante senza impurità.

3085
(
Lv 22,1-3) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Di' ad Aronne e ai suoi figli: "E abbiano rispetto per le cose sante dei figli d'Israele - e non profaneranno il mio santo nome - tutte quelle che essi santificano per me; sono io il Signore". E dirai loro: "Per le vostre generazioni ogni uomo, chiunque egli sia, discendente da ogni vostro seme, quando si avvicinerà a qualsiasi cosa che i figli di Israele avranno santificato al Signore e l'impurità sarà in lui, quell'anima sarà sterminata da me; sono io il Signore vostro Dio" ". Viene eliminato ogni dubbio che nessuno dei sommi sacerdoti o di quelli inferiori doveva accostarsi alle cose sante qualora fosse in lui la sua impurità. Ne seguiva dunque il dovere della continenza imposto al sacerdote per evitare che per la procreazione dei figli non si continuasse in alcuni giorni a mettere l'incenso, che soleva essere messo due volte al giorno, al mattino e alla sera, dai sommi sacerdoti 144, dal momento che, dopo il coito coniugale e dopo essersi lavato il corpo, restava immondo fino alla sera il sacerdote dal quale era necessario che fosse posto l'incenso sull'altare 145. Quanto poi all'espressione: le cose che santificano i figli di Israele, deve intendersi ciò che offrendolo ai sacerdoti doveva essere offerto da essi al Signore. Si deve inoltre considerare il genere di consacrazione che si fa per un voto e per la devozione dell'offerente. Ma si deve considerare anche se la Scrittura dice che gli uomini consacrano se stessi nello stesso modo che vengono consacrate le cose da loro offerte, quando in qualche caso consacrano se stessi.

Toccare un cadavere produce un'impurità.

3086
(
Lv 22,4) E chi toccherà qualunque impurità di anima, cioè qualche cadavere, il cui contatto produce un'impurità secondo quanto dice la legge.

Differenza fra pronunciare e maledire il nome del Signore.

3087
(
Lv 24,15-16) Qualunque uomo che maledirà Dio prenderà su di sé il proprio peccato, ma chi avrà pronunciato il nome del Signore, muoia senza scampo, come se una cosa fosse il maledire il proprio Dio e un'altra aver pronunciato il nome del Signore e quello fosse un peccato e questo un sacrilegio così grave da meritare perfino la morte; sennonché in questo passo l'espressione nome del Signore si deve intendere nel senso che uno lo faccia con una maledizione, vale a dire pronunci il nome del Signore maledicendolo. Quale differenza c'è allora tra quel peccato e questa colpa di un sacrilegio così grave? Ripetendo la stessa cosa ha voluto forse la Scrittura mostrare che quello non era un peccato leggero ma un sacrilegio tanto grave da dover essere punito con la morte? L'espressione però risulta non molto chiara, poiché il testo introdusse il concetto con una distinzione; infatti non dice: nominans enim (chi pronuncia), ma: nominans autem (chi invece pronuncia). Se, perciò, ciò s'intende bene, si deve considerare anche il genere del modo di esprimersi.

L'espressione l'anima dell'uomo ferita.

3088
(
Lv 24,17) E l' uomo che ferirà l'anima di un uomo e questi morirà, muoia inesorabilmente. Il testo non dice: " chiunque ferirà un uomo e questi morirà ", ma l'anima di un uomo, quando è piuttosto il corpo dell'uomo a essere ferito dall'assassino, come dice anche il Signore: Non temete coloro che uccidono il corpo 146. La Scrittura secondo il suo solito modo di esprimersi chiama anima la vita del corpo che gli è data dall'anima e in questo modo ha voluto far vedere che è omicida uno in quanto ferisce l'anima di un uomo, cioè priva della vita un uomo ferendolo a morte. Perché allora il testo aggiunge: e questi morirà se già si mostra l'omicidio con il fatto che ha ferito l'anima di un uomo, cioè un uomo è stato privato della vita dall'assassino? Si è voluto forse dire in qual senso deve intendersi l'espressione: " l'anima dell'uomo ferita " e perciò dice: morirà, come se dicesse: " cioè morirà "? È questo infatti ciò che significa il fatto che fu ferita l'anima di un uomo.

Si spiega come riposa la terra.

3089
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Lv 25,2-7) Quando entrerete nel paese che vi dò, la terra che vi dò riposerà il Sabato per il Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo frutto; nel settimo anno invece vi sarà un riposo per la terra, Sabato per il Signore. In qual senso deve intendersi la frase: Quando entrerete nel paese che vi dò, e la terra riposerà; per sei anni seminerai il tuo campo, ecc.? Poiché dà l'impressione che venga comandato di fare ciò quando la terra si sia riposata, mentre la terra riposa poiché è lasciata riposare. Il testo infatti vuole che il riposo della terra sia inteso naturalmente quello nel settimo anno, nel quale era stato comandato che nessuno lavorasse in essa compiendo le opere dell'agricoltura. Il lungo iperbato però rende oscuro il senso della frase. Sembra dunque che l'ordine delle parole sia il seguente: Quando entrerete nel paese che vi do e la terra che vi do si sarà riposata, è Sabato del Signore; i vegetali che spuntano spontaneamente dal tuo campo non li mieterai e l'uva della tua santificazione non la vendemmierai. Sarà l'anno del riposo per la terra. E il riposo della terra servirà da cibo per te, per il tuo servo, per la tua serva, per il tuo salariato e per il forestiero che risiede presso di te. E per le tue bestie e per gli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento tutto ciò che nascerà dal campo. Al fine di spiegare come riposa la terra l'autore interpose però le seguenti frasi: Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo prodotto, ma nel settimo anno ci sarà il Sabato: sarà il riposo della terra, il Sabato del Signore. Non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Inoltre dall'espressione: non poterai, dobbiamo intendere che in quell'anno era proibito ogni lavoro agricolo per coltivarla, poiché se non la si può potare non può essere arata né tenuta in ordine con sostegni né impiegare alcun altro mezzo necessario per coltivarla; ma allo stesso modo che suole prendersi la parte per il tutto, così con il termine " potatura " è indicata ogni altra specie di coltivazione. Così pure il campo e la vigna, ch'era proibito rispettivamente di seminare e di potare, devono essere presi per qualsiasi altro genere di terreno coltivabile, poiché non si deve compiere alcun lavoro né in oliveto né in qualsiasi altro genere di terreno tenuto a cultura. Quanto invece alla frase: e il Sabato della terra servirà da nutrimento per te, per il tuo servo, per la tua serva, ecc., fa capire bene che al padrone del campo non è proibito di mangiare i prodotti nati spontaneamente (nel suo campo) quell'anno ma di raccoglierne i frutti. Gli è permesso perciò di prenderne qualcosa per mangiarlo, come di passaggio, prendendo solo ciò che può consumare subito mangiandolo, non ciò che si raccoglie al fine di metterlo in serbo per i bisogni della vita.

Nessuno osi vendere la terra, ricevuta da Dio, ai profani.

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Lv 25,23) E la terra non sarà venduta per la profanazione. Altri manoscritti hanno: per la confermazione; penso che questo errore negli uni o negli altri sia capitato prima nel testo greco a causa della somiglianza del suono della parola, poiché significa profanazione, invece vuol dire confermazione. Il senso però della prima parola è chiaro: E la terra non sarà venduta per la profanazione, cioè che nessuno osi vendere la terra, ricevuta da Dio, ai profani perché se ne servano per l'empietà e il culto degli dèi stranieri e falsi. Non è invece molto chiaro il senso della frase: E la terra non sarà venduta per la confermazione, penso che non si debba intendere se non nel senso che la vendita non sia tanto definitiva che il venditore non possa riaverla nel tempo stabilito per essere restituita come è comandato. Invece ciò che segue può accordarsi al senso di ambedue le espressioni, sia che si legga: e la terra non sarà venduta per la profanazione, sia: in modo definitivo, perché immediatamente si aggiunge: Poiché mia è la terra, in quanto per me voi siete degli immigrati e residenti di passaggio.

Ogni uomo è un forestiero nel nascere e un abitante di passaggio nella vita.

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Lv 25,24) E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra. Altri manoscritti invece hanno: Darete il riscatto del terreno. Il senso dunque è il seguente: Il terreno non sarà venduto per la profanazione, vale a dire a coloro che lo userebbero per offendere il Creatore, oppure: in modo definitivo, cioè in modo che il compratore lo possieda per sempre né lo restituisca al venditore dopo un determinato intervallo di tempo, secondo il precetto di Dio. Poiché mia - è detto - è la terra, per conseguenza dovete servirvene secondo il mio precetto. E per dimostrare che è sua e non di essi e che cosa essi fossero nella terra, il testo aggiunge immediatamente dopo: Poiché per me voi siete degli immigrati e residenti di passaggio, cioè: sebbene per voi siano degli immigrati, vale a dire forestieri, coloro i quali, provenienti dagli stranieri, si uniscono al vostro popolo e quantunque siano residenti di passaggio, cioè non siano residenti nella propria terra, tuttavia anche voi per me siete immigrati e residenti di passaggio. Dio dice così non solo agli Israeliti in quanto diede loro la terra degli altri popoli che egli cacciò via, ma anche a ogni uomo, poiché agli occhi di Dio che rimane in eterno e, come sta scritto 147, riempie di certo il cielo e la terra con la sua presenza, ogni uomo è un forestiero nel nascere e un abitante di passaggio nella vita, poiché con la morte è costretto ad emigrare.

Il riposo della terra come ricompensa per l'abitazione.

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Lv 25,24) Il testo poi aggiunge la frase seguente: E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra come inquilini, oppure il riscatto. Se non mi sbaglio l'agiografo vuole qui farci intendere ciò che, preso dalla terra, in certo qual modo le restituivano lasciandola incolta ogni sette anni e ogni cinquanta anni 148, scadenza che era chiamata " annata della remissione ", cosicché il riposo della terra come ricompensa per l'abitazione e il riscatto sarebbero derivati da colui che è il padrone della terra, cioè da Dio che l'ha creata.

Dio è spirito e sempre lo stesso.

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Lv 26,11) Io porrò la mia tenda in mezzo a voi e l'anima mia non vi avrà in abominazione. Dio chiama anima la sua volontà. Poiché egli non è un essere vivente composto di corpo e di anima; e la sua sostanza non è come quella della sua creatura che si chiama anima, creata da lui, come attesta lui stesso per mezzo di Isaia dicendo: e ogni alito vitale l'ho creato io 149, cosa che dal seguito del testo si capisce bene che Dio lo dice dell'anima dell'uomo. Come dunque, allorché Dio si esprime parlando dei " suoi occhi " e delle " sue labbra " o usando gli altri vocaboli denotanti le membra del corpo, non pensiamo che egli sia delimitato dalla natura del corpo ma tutti quei termini denotanti le membra li consideriamo solo come effetti delle azioni e delle potenze di Dio, così anche quando Dio dice: l'anima mia dobbiamo intendere che vuol dire la sua volontà. In effetti la natura perfetta e semplice che si chiama Dio non risulta composta di corpo e di spirito e non è mutabile per lo spirito come lo è l'anima; Dio invece è spirito e sempre lo stesso, e in lui non c'è cambiamento150. Dal nostro passo presero il pretesto gli Apollinaristi, i quali affermano che il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 151, non avesse l'anima ma fosse unicamente Verbo e carne quando dice: L'anima mia è oppressa dalla tristezza fino a morirne 152. Ma dal suo modo di agire che a noi si manifesta chiaramente attraverso il racconto del Vangelo, le funzioni dell'anima umana appaiono così evidenti che dubitarne è proprio di chi è demente.

I trasgressori della legge saranno annientati.

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Lv 26,33 Lv 36) Che cosa significa il fatto che Dio, nel minacciare i castighi dovuti alla disubbidienza, tra il resto disse: Vi annienterà la spada che verrà all'improvviso, e poi aggiunge: e il vostro paese resterà deserto e le vostre città rimarranno deserte. Allora il paese accetterà i suoi Sabati per tutti i giorni della sua desolazione, e voi sarete nel paese dei vostri nemici? In che modo li annienterà la spada se saranno nel paese dei loro nemici? Li annienterà forse nello stesso paese in quanto dopo quella carneficina non esisteranno più in quel paese? Oppure dice: vi annienterà come se volesse dire: " vi ucciderà " di modo che appartengano a tale sterminio solo coloro che moriranno di spada, non tutti dal momento che poco dopo dice: e a quelli tra voi che rimarranno, introdurrò nel loro cuore il terrore? Oppure l'espressione vi annienterà è un'iperbole, secondo il quale modo di esprimersi è detto che il loro grande numero è come la sabbia del mare 153? Alla stregua di questo modo di parlare è detto anche ciò che segue: e li perseguiterà il fruscio di una foglia che cade, cioè saranno in preda a un terrore sì grande che avranno paura perfino delle cose più futili.






Agostino Qu. Heptateuco 2177