Agostino Qu. Heptateuco 7049

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Jg 11,29-35) A proposito della figlia di Iefte offerta in olocausto a Dio dal padre, alcuni sono soliti porsi un problema importante e assai difficile. Nella guerra il padre aveva fatto il voto che, se avesse vinto, avrebbe offerto in olocausto la persona che uscendo dalla propria casa gli si fosse presentata. Fatto il voto riportò la vittoria e presentataglisi la propria figlia mantenne la promessa fatta nel voto. Questo problema se lo pongono alcuni desiderosi di sapere che significato ha questo fatto e cercano di risolverlo con spirito di fede, mentre se lo pongono alcuni altri che però sono contrari alle Sacre Scritture per blasfema empietà e le accusano soprattutto perché il Dio della Legge e dei Profeti si sarebbe compiaciuto anche dei sacrifici umani. Alle loro copiose obiezioni rispondiamo in primo luogo che il Dio della Legge e dei Profeti e, per dirlo più chiaramente, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe 59 non si compiacque nemmeno dei sacrifici in cui venivano offerti in olocausto animali ma, poiché erano riti di significato simbolico e come ombre delle realtà future, Dio volle indicarci le realtà simboleggiate da quei sacrifici; Dio volle inoltre indicarci che anche questo fu un buon motivo perché quei sacrifici fossero cambiati e adesso non fosse comandato, anzi fosse proibito di offrirli, affinché non credessimo che Dio si compiacesse davvero di quei sacrifici secondo un sentimento carnale.

49. 2. Ma a ragione si pone il quesito se era conveniente indicare simbolicamente i beni futuri anche mediante i sacrifici umani. Non è che l'immolazione, per questo motivo, di vittime umane, presto o tardi destinate a morire, dovrebbe ispirarci orrore e terrore, se queste vittime votatesi volontariamente con gioia a subire un simile sacrificio acquistassero con ciò presso Dio il premio eterno. Ma se questo fosse vero, non dispiacerebbe a Dio questo genere di sacrifici; ora invece la medesima Scrittura ci attesta che siffatti sacrifici non gli sono affatto graditi. Infatti, sebbene avesse voluto e comandato che tutti i primogeniti fossero consacrati a lui e che fossero suoi, volle tuttavia che i primogeniti degli uomini fossero riscattati 60, perché non credessero di dover immolare a Dio i propri figli che avessero avuti per primi. Dio inoltre espone ciò più chiaramente per il fatto che riprova i sacrifici umani in modo da detestarli e proibirli negli altri popoli e da comandare al suo popolo di non osare imitarli. Quando però - è detto - il Signore tuo Dio avrà sterminato dalla tua presenza le nazioni verso le quali tu entri per ereditare la loro terra lontano dalla tua faccia e li avrai ricevuti in eredità ed abiterai sulla loro terra, guàrdati di cercare di seguirli dopo che saranno stati sterminati lontano dalla tua faccia; non cercherai i loro dèi dicendo: Come queste nazioni agiscono riguardo ai loro dèi, così agirò anch'io. Tu non agirai così riguardo al Signore tuo Dio; poiché le pratiche abominevoli che il Signore detesta esse le hanno compiute per i loro dèi, poiché bruciano con il fuoco i loro figli e le loro figlie per i loro dèi 61.

49. 3. Con i suddetti testi della Sacra Scrittura, per non citarne altri di tal genere, che cosa può dimostrarsi con maggiore evidenza che Dio, dal quale questa Scrittura è stata data al genere umano, non solo non si compiace di siffatti sacrifici, per cui vengono immolati degli uomini, ma li odia? Si compiace invece senza dubbio e premia quei sacrifici quando un giusto, soffrendo con pazienza l'ingiustizia fino alla morte, combatte recisamente per la verità o viene ucciso dai nemici offesi da lui nel difendere la giustizia, rendendo loro bene per male, cioè amore per odio. È questo il sangue che il Signore chiama " giusto " a cominciare da quello di Abele fino a quello di Zaccaria 62, ma soprattutto perché versò lui stesso il suo sangue per noi e offrì se stesso come sacrificio a Dio e certamente lo offrì in modo che dai suoi nemici fu ucciso perché difendeva la verità. Seguendo il suo esempio migliaia di martiri lottarono in difesa della verità fino alla morte e furono immolati dai nemici inferociti. Di essi la Scrittura dice: Li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come olocausto 63, e perciò l'Apostolo dice: poiché io sto ormai per essere immolato 64.

49. 4. Iefte però di sua figlia non fece un olocausto al Signore in questo modo, ma nel modo in cui era stato comandato di offrire gli animali ed era stato proibito di offrire in sacrificio gli uomini. Questa azione (di Iefte) sembra piuttosto simile a quella compiuta da Abramo, come gli era stato ordinato da Dio con un comando particolare 65 non in forza di una legge generale con cui aveva ordinato che gli si offrissero talora sacrifici simili, anzi aveva anche proibito assolutamente che gli fossero offerti. C'è quindi una differenza tra l'azione compiuta da Iefte e quella compiuta da Abramo, poiché questi offrì il figlio in sacrificio in forza d'un comando, mentre Iefte fece ciò che non solo era proibito dalla legge ma non era stato imposto con alcun ordine particolare. Dio inoltre non solo in seguito con la sua legge ma anche allora con lo stesso figlio di Abramo dimostrò come non si compiacesse di siffatti sacrifici, quando trattenne il padre - del quale aveva messo alla prova la fede dandogli quell'ordine - dall'uccidere il figlio e gli presentò un ariete con cui compiere lecitamente il sacrificio secondo la consuetudine degli antichi rispondente a quei tempi.

49. 5. Se però ciò crea a qualcuno il problema di sapere come mai Abramo poté credere con spirito religioso che Dio si compiacesse di siffatti sacrifici se vengono offerti a Dio in modo illecito e perciò pensa che anche Iefte credette che un simile sacrificio potesse essere gradito a Dio, consideri anzitutto che una cosa è fare un voto spontaneamente, un'altra è ubbidire a uno che comanda. Poiché se a un servo si comanda qualcosa di contrario al costume stabilito in una casa dal padrone e lo fa con lodevole ubbidienza, non per questo non dev'essere castigato se oserà farlo spontaneamente. D'altra parte Abramo aveva motivo di credere che non doveva risparmiare il figlio a cagione del supremo comando di Dio, pur non credendo che Dio accettasse con piacere siffatte vittime, ma credendo che gli aveva dato quel comando per risuscitare il figlio ucciso e con ciò dimostrare qualcosa d'importante in quanto Dio sapiente. A proposito di lui si legge ciò anche nella Lettera intitolata agli Ebrei e se ne loda la fede poiché aveva creduto che Dio avrebbe potuto risuscitare suo figlio 66. Iefte invece, senza che Dio né lo comandasse né lo chiedesse, anzi contro il precetto della legge di Dio promise in voto un sacrificio umano. Poiché così sta scritto: Iefte fece voto al Signore e disse: " Se metterai nelle mie mani i figli di Ammon e chiunque uscirà dalle porte di casa mia (per venire) incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, sarà per il Signore e glielo offrirò in olocausto ".

49. 6. Con queste parole non fece di certo il voto di offrire in olocausto un animale che potesse offrire in olocausto secondo la legge; poiché non è né era abituale che ai capitani tornanti vittoriosi dalla guerra andassero incontro degli animali. Quanto agli animali muti i cani sono soliti correre incontro ai loro padroni ruzzando con lusinghevoli gesti di ossequiosità, ma Iefte non avrebbe potuto pensare ai cani nel fare il suo voto, per non dare l'impressione di aver promesso in voto qualcosa non solo di illecito ma anche di spregevole e di impuro secondo la legge, offendendo così Dio. E non disse: " qualunque cosa uscirà dalle porte della mia casa incontro a me lo offrirò in olocausto ", ma disse: chiunque uscirà lo offrirò. Dicendo così non pensò di certo ad altro che a un essere umano, forse tuttavia non alla sua unica figlia. Sennonché in un momento di tanta gloria per suo padre chi l'avrebbe potuta precedere nel corrergli incontro se non forse la moglie? Poiché quanto al fatto che non disse: quaecumque (chiunque, al femminile), bensì quicumque (chiunque, al maschile) uscirà dalle porte della mia casa, la Scrittura suole usare il genere maschile per qualsiasi genere, come a proposito di Abramo che dice: si allontanò dal suo morto 67, sebbene la morta fosse sua moglie.

49. 7. Ora, sembra che la Scrittura non abbia pronunciato alcun giudizio su questo voto e su questo fatto, come invece lo pronunciò assai chiaramente a proposito di Abramo quando offrì in sacrificio il figlio per ordine di Dio, ma l'azione di Iefte l'ha solo lasciata scritta perché fosse giudicata dai lettori; così pure a proposito dell'azione di Giuda, figlio di Giacobbe, quando si unì carnalmente alla sua nuora, senza saperlo - è vero - ma per quanto dipendeva da lui fornicò con lei che egli aveva creduto fosse una meretrice 68, la Scrittura né l'approvò né la riprovò, ma lasciò che venisse giudicata ed esaminata in base alla giustizia e alla legge di Dio. Poiché dunque di quell'azione di Iefte la Scrittura di Dio non pronunciò un giudizio né in senso favorevole né in senso contrario, affinché la nostra intelligenza si sottoponesse continuamente a uno sforzo di riflessione nel giudicare, potremmo dire adesso che quel voto dispiacque a Dio e che perciò fu indotto a castigare Iefte facendogli andare incontro proprio l'unica sua figlia, poiché se quello lo avesse sperato e voluto, non si sarebbe stracciato le vesti appena lo vide e avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei. Inoltre, pur avendo il padre dato alla figlia una proroga tanto lunga di sessanta giorni, il Signore non gli impedì di uccidere l'unica figlia carissima, come aveva impedito Abramo, fino a quando compiendo il sacrificio promesso in voto diede da se stesso un colpo al suo cuore con la perdita assai grave della figlia 69, senza tuttavia riuscire a placare affatto Dio con l'immolazione d'una persona umana. Potremmo perciò dire che il padre fu punito (per il suo peccato) in questo modo, perché non fosse lasciato senza castigo l'esempio di un voto di tal crudeltà con la conseguenza che gli uomini avrebbero potuto pensare che promettevano in voto a Dio qualcosa d'importante quando gli facessero voto di offrirgli vittime umane e - cosa più orribile - i propri figli, o che i medesimi voti non fossero veri ma piuttosto delle finzioni, come se coloro che avevano fatto il voto, rifacendosi all'esempio di Abramo, sperassero che Dio avrebbe impedito il compimento di siffatti voti.

49. 8. Potremmo - dico - affermare ciò, se non fossimo impediti di pensare così da due testi soprattutto della Sacra Scrittura che ci spingono ad esaminare con maggiore attenzione e a considerare con maggior cautela, per quanto ci aiuterà il Signore, questo avvenimento tramandato alla posterità nei libri di sì grande autorità, per non pronunciare un giudizio temerario né favorevole né contrario. Uno dei testi (della Scrittura) è quello della Lettera agli Ebrei, in cui Iefte è menzionato tra personaggi talmente qualificati che non oso biasimarlo come colpevole; in quel testo sta scritto: E che cosa potrei dire ancora? Poiché mi manca il tempo per parlare di Gedeone, di Barac, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei Profeti, i quali con la fede conquistarono regni, praticando la giustizia, ottennero quanto Dio aveva loro promesso 70. L'altro testo è quello in cui si narrano queste azioni a proposito di lui, che cioè fece un siffatto voto e lo adempì; la Scrittura prima di narrare questo fatto dice: Lo Spirito del Signore scese su Iefte, (il quale) percorse Galaad e Manasse, attraverso la vedetta di Galaad (giunse) alle spalle degli Ammoniti e Iefte fece un voto al Signore 71, e tutto il resto relativo al voto, in modo che tutto ciò che avvenne in seguito pare debba interpretarsi come azioni dello Spirito del Signore che era sceso su di lui. Questi testi ci costringono a ricercare per qual motivo avvenne ciò che avvenne anziché a riprovare il fatto.

49. 9. Anzitutto il testo della Lettera agli Ebrei ricordato da me, tra i personaggi degni di lode lì menzionati, ricorda non solo Iefte ma anche Gedeone, del quale la Scrittura dice ugualmente: Allora lo Spirito del Signore rafforzò Gedeone 72. Con tutto ciò non solo non possiamo lodare, ma anche, poiché la Scrittura pronuncia un giudizio contrario su di essa, non esitiamo a riprovare la sua azione di aver confezionato con l'oro del bottino l'efud e tutto Israele si prostituì nel seguirlo e divenne motivo di rovina per la casa di Gedeone 73 ma ciononostante da ciò non deriva alcuna offesa allo Spirito del Signore che lo aveva reso tanto forte che vinse con sì gran facilità i nemici del suo popolo. Perché allora Gedeone è menzionato tra coloro che in virtù della fede conquistarono regni praticando la giustizia, se non perché la Sacra Scrittura, che ne loda per davvero la fede e la giustizia, non per questo si trattiene dal biasimare davvero anche i peccati se ne conosce alcuni o giudica doveroso riprovarli? Infatti, anche per il fatto che lo stesso Gedeone tentò Dio con il vello chiedendogli un segno, come disse lui stesso 74, non so se non trasgredì il precetto, enunciato dalla Scrittura con la seguente espressione: Non tenterai il Signore Dio tuo 75. Tuttavia, pur essendo stato tentato, Dio mostrò ciò che voleva predire, cioè con il vello bagnato di rugiada e con l'aia asciutta, tutto all'intorno voleva prefigurare prima il popolo d'Israele, dove si trovavano i santi con la grazia celeste come se fosse una pioggia spirituale, e poi con l'aia bagnata e il vello asciutto prefigurare la Chiesa diffusa in tutto il mondo, la quale possiede la grazia celeste non già nel vello come in un velo, ma in modo manifesto, una volta che il precedente popolo si era allontanato, per così dire, dalla rugiada della medesima grazia e si era essiccato. Tuttavia non senza ragione egli meritò una testimonianza così esimia nella Lettera agli Ebrei fra i fedeli cooperatori di giustizia a causa della sua vita onesta e fedele, in cui si deve credere che morisse.

49. 10. Siccome però, dopo che la Scrittura dice: E su Iefte scese lo Spirito del Signore, racconta immediatamente che fece quel voto, vinse i nemici e mantenne la promessa fatta in voto, non saprei se tutto ciò debba attribuirsi allo Spirito del Signore in modo che anche questo sacrificio debba considerarsi come se il Signore avesse comandato di offrirlo allo stesso modo che era stato ordinato da Abramo. Poiché a proposito di Gedeone potrebbe essere addotta questa differenza che, dopo il peccato commesso da lui, allorché costruì l'efud al quale si prostituì tutto quanto il popolo, la Scrittura non menziona alcun suo successo, mentre dopo che Iefte fece il voto ne seguì come effetto quella straordinaria vittoria per conseguire la quale aveva fatto il voto e per averla conseguita adempì quanto aveva promesso. Bisogna dunque osservare di nuovo che Gedeone ottenne la salvezza per il popolo vincendo e sbaragliando i nemici con una grande strage, quantunque non dopo aver fatto l'efod, tuttavia dopo aver tentato il Signore, che di certo è un peccato; la Scrittura infatti dice così: E Gedeone disse al Signore: " Non si adiri contro di me il tuo sdegno e parlerò ancora una sola volta e ancora una sola volta ti tenterò con la prova del vello " 76. Aveva infatti paura della collera di Dio poiché sapeva di commettere un peccato con il tentare Dio, come è proibito da Dio in modo assolutamente chiaro nella sua legge 77. Tuttavia a questo suo peccato fece seguito un miracolo assai chiaramente manifesto e la felicità d'una vittoria senza uguale che assicurò la salvezza del popolo. Poiché Dio aveva stabilito già di venire in aiuto al popolo oppresso duramente e si serviva dell'animo non solo fedele e devoto ma anche alquanto difettoso e peccatore di questo capo che aveva scelto per questa impresa e per predire ciò che voleva e per compiere quel che aveva detto.

49. 11. Dio infatti concesse al suo popolo molti benefici, non solo per mezzo di questi personaggi i quali, anche se peccarono, sono menzionati tra i giusti, ma perfino per mezzo dello stesso Saul che, pur riprovato in ogni modo, era stato investito dallo Spirito del Signore e aveva profetizzato, e non quando agiva rettamente, ma quando sfogava il suo furore contro Davide 78. Poiché lo Spirito del Signore ciò che decide di fare lo effettua non solo per mezzo dei buoni ma anche per mezzo dei cattivi, per mezzo sia di coloro che lo sanno, sia di coloro che non lo sanno. Perfino mediante Caifa, il più accanito persecutore del Signore, il quale, senza sapere che cosa stesse dicendo, proferì la famosa profezia che Cristo dovesse morire per la nazione 79. Chi infatti se non lo Spirito del Signore, pensando di predire realtà future, al Giudice Gedeone che voleva tentare il Signore e non credeva a ciò che per suo mezzo gli era stato già detto riguardo alla salvezza del popolo, fece venire in mente (di chiedere) proprio la prova del vello prima bagnato e poi asciutto, la prova dell'aia prima asciutta e poi bagnata? La scarsezza di fede deve essere attribuita alla sua debolezza e dev'essere considerata un suo peccato; al contrario il fatto che Dio si servisse di una siffatta disposizione del suo animo per la realtà che si doveva prefigurare simbolicamente per il genere umano si deve intendere che si riferisce alla misericordia e alla mirabile provvidenza di Dio.

49. 12. Se però uno dirà che Gedeone fece e disse tutto consapevolmente per una rivelazione profetica, perché per mezzo di lui fossero mostrati quei tali segni e non mancò di fede e credette ciò che Dio gli aveva già promesso, ma volle tentare Dio mediante un'azione profetica e pertanto il suo atto di tentare Dio non fu colpevole come l'inganno di Giacobbe 80 e la frase con cui si rivolge al Signore: Non divampi la tua ira contro di me 81 non è l'espressione della paura che egli aveva della collera del Signore ma della fiducia che Dio non si sarebbe adirato dal momento che compiva un'azione che, come profeta, pensava doversi compiere avendogliela ispirata lo Spirito Santo; se uno la pensa così, dica pure ciò che gli pare, purché non osi giustificare - quale che sia il suo significato - il fatto dell'efud dicendo che non è un peccato, mentre è biasimato dalla stessa Scrittura. Poiché si ha l'impressione che fosse stata - per così dire - un'iniziativa presa di proprio arbitrio da Gedeone il fatto che trecento guerrieri, aventi, a causa dello stesso numero, relazione con il segno della croce, presero delle brocche di terracotta e vi nascosero dentro delle fiaccole accese e dopo essere state infrante le brocche le numerose torce accese atterrirono una sì grande moltitudine di nemici: la Scrittura infatti non dice che fosse Dio a spingerlo a fare quell'azione. Ciononostante chi, se non il Signore, ispirò la sua mente e gli fece prendere quella decisione per compiere un sì gran prodigio? Il Signore fece comprendere in anticipo con quel simbolo che i suoi santi avrebbero portato il tesoro della luce del Vangelo in vasi di creta, come dice l'Apostolo: Noi però portiamo in noi questo tesoro in vasi di terracotta 82; nell'atto in cui i santi subivano il martirio, come i vasi spezzati, risplendette più sfolgorante la loro gloria, che vinse gli empi nemici della predicazione del Vangelo con lo splendore di Cristo da essi inaspettato.

49. 13. Lo Spirito di Dio quindi effettuò, attraverso fatti simbolici, la predizione e la divulgazione delle realtà future mediante persone sia consapevoli che inconsapevoli al tempo dei Profeti 82, ma non perciò si deve dire che i loro peccati non erano peccati, perché anche Dio, il quale sa servirsi anche dei nostri mali, si servì altresì degli stessi loro peccati per indicare attraverso simboli ciò che ha voluto. Di conseguenza se non era peccato fare o compiere il voto di sacrificare sia una persona qualsiasi sia addirittura un membro della propria famiglia, poiché era simbolo di qualcosa d'importante e spirituale, senza ragione Dio proibì e dichiarò di odiare siffatti sacrifici in quanto anche quelli che ordinò di fare sono registrati naturalmente per indicare simbolicamente una particolare realtà spirituale e importante. E allora perché avrebbe dovuto proibirli, dal momento che a causa del medesimo significato prefigurativo per il quale anch'essi si compivano lecitamente nondimeno potevano essere fatti lecitamente? L'unica ragione è che i sacrifici umani, che prefigurano qualcosa d'importante, conviene credere che il Signore non li gradisce quando uno non viene ucciso dai nemici a causa della giustizia, poiché ha voluto vivere con rettitudine e non ha voluto commettere il peccato, ma quando una persona viene immolata alla maniera di un animale da un'altra persona come una vittima eccellente.

49. 14. Qualcuno potrebbe avanzare un'ipotesi come la seguente: Poiché le vittime di animali, per il fatto stesso che erano diventate abituali, sebbene dalle persone che ne comprendevano bene lo scopo fossero considerate anche esse dirette alla prefigurazioni di realtà spirituali, tuttavia rendevano gli uomini meno attenti a indagare il mistero di Cristo e della Chiesa, e per questo motivo Dio volle destare lo spirito, per così dire addormentato, delle persone, tanto più per il fatto che aveva proibito che gli venissero offerti sacrifici di quella specie; a questo scopo si fece offrire qualcosa di così importante che lo stupore generasse un gran problema, il quale gran problema destasse il desiderio dello spirito timorato di Dio a scrutare in modo approfondito il grande mistero, mentre lo spirito dell'uomo, scrutando alla luce della fede la profondità della prefigurazione profetica, prende, come servendosi dell'amo, il pesce, Cristo Signore dalla profondità della Scrittura. Noi non ci opponiamo a questa opinione o considerazione. Ma uno è il problema dell'intenzione di chi fa un voto e un altro problema è quello della provvidenza di Dio che nel modo migliore si serve dell'intenzione, qualunque essa sia, di chi fa un voto. Ecco perché lo Spirito del Signore che scese su Iefte gli ordinò senz'altro di promettere in voto ciò che la Scrittura in verità non ci manifesta. Tuttavia se lo ordinò Colui, del quale non è lecito disprezzare i comandi, non solo non si deve accusare l'insipienza, ma si deve lodare anche l'obbedienza. Poiché ciò che certamente è illecito fare per volontà e decisione umana, anche se una persona si uccide dobbiamo pensare senza dubbio che si fa per obbedienza anziché con scellerataggine qualora sia comandata da Dio. Questo problema lo abbiamo discusso sufficientemente nel primo libro de La città di Dio 84. Se invece Iefte, seguendo un errore umano, pensò di dovere offrire un sacrificio umano, il suo peccato relativo a sua figlia fu, sì, punito giustamente - come sembra bene mostrare anche lui con le sue parole, quando dice: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei!, e stracciandosi anche le vesti - tuttavia anche questo suo errore merita una certa lode per la fede con la quale ebbe il timore di Dio mantenendo la promessa fatta con il voto, e non cercò di allontanare da sé la sentenza del giudizio di Dio contro di lui, sia sperando che Dio lo avrebbe trattenuto, come aveva fatto con Abramo, sia decidendo di compiere la volontà di Dio pensando anche che non lo avrebbe trattenuto, anziché disprezzarla.

49. 15. Sennonché anche qui ci si può domandare con ragione se è più conforme alla verità pensare che Dio non vuole si faccia un tale sacrificio e così l'obbedienza a Dio consisterebbe piuttosto nel non offrirlo, poiché Dio aveva mostrato di non volere quella sorta di sacrifici sia riguardo al figlio di Abramo 85, sia con la proibizione promulgata nella legge. Tuttavia, se Iefte si fosse astenuto dall'offrire il sacrificio per questo motivo, avrebbe dato l'impressione di aver avuto riguardo per la propria persona risparmiando la propria figlia anziché di aver osservato la volontà di Dio. Per il fatto che gli andò incontro la figlia comprese sempre meglio che Dio lo puniva e, con spirito di fede, si sottomise al giusto castigo temendo una punizione ancora più rigorosa a causa della sua - diciamo così - esitazione. Iefte infatti credeva anche che l'immolazione della figlia, virtuosa e vergine, sarebbe stata gradita a Dio, poiché non era stata lei stessa a far voto di essere sacrificata, ma non si era opposta al voto e alla volontà del padre e si era sottomessa al decreto di Dio. Come infatti nessuno deve darsi di propria volontà la morte, né dev'essere procurata a nessuno per volontà altrui, così non si deve rifiutare, se lo comanda Dio, per decreto del quale può capitarci in qualunque momento; nessuno che rifiuta di sopportarla fatica per evitarla assolutamente ma cerca solo di ritardarla.

49. 16. Cerchiamo ora di esaminare ed esporre brevemente, con l'aiuto di Dio, che cosa lo Spirito del Signore, con questa azione, volle prefigurare per mezzo di Iefte (che fosse o non fosse consapevole), per mezzo della sua imprudenza o della sua ubbidienza, per mezzo della sua offesa o della sua fede. Poiché questo passo delle Sacre Scritture ci richiama alla mente e ci spinge in certo qual modo a ben considerare un personaggio forte e valoroso. Tale infatti è detto dalla Scrittura Iefte, il cui nome significa " colui che apre "; orbene Cristo,nostro Signore, come ci mostra il Vangelo 86, ai suoi discepoli aprì la mente perché capissero le Scritture 87. I suoi fratelli rifiutarono questo Iefte e lo cacciarono dalla casa paterna, rinfacciandogli di essere figlio di una prostituta 88, come se essi fossero nati da una moglie legittima. Così fecero contro il Signore anche i capi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei che davano l'impressione di vantarsi di osservare la legge come se egli, invece, distruggesse la legge 89 e perciò come se non fosse un figlio legittimo. Inoltre, sebbene egli avesse preso il corpo dalla Vergine certamente santa, come sanno bene i fedeli, tuttavia sua madre, per quanto riguarda il popolo, può chiamarsi anche la sinagoga giudaica. Chi lo vorrà legga i Libri profetici e veda quante volte e con quali espressioni severe e con quanto sdegno del Signore quel popolo sia accusato delle sue fornicazioni. A questo riguardo in questo libro c'è anche quanto abbiamo letto poco prima, non solo, cioè, che tutta Israele si prostituì al seguito dell'efud confezionato da Gedeone 90, ma anche che seguirono gli dèi dei popoli dei quali erano circondati 91. Da questi peccati fu eccitata la collera di Dio di modo che per diciotto anni furono oppressi dai figli di Ammon 92. Ma non erano forse nati dal medesimo popolo d'Israele anche i sacerdoti, scribi e farisei, nei quali erano prefigurati coloro che perseguitarono e scacciarono Iefte come se fosse un bastardo, allo stesso modo che trattarono Cristo Signore? Ma il significato simbolico relativo a Iefte è adombrato nel fatto che a questi tali - come ho detto - credendosi i veri osservanti della legge, sembrò di aver fatto un'azione giusta a scacciare come bastardo Colui che a loro, che si ritenevano legittimi, sembrava che agisse contro i precetti della legge. In realtà quella nazione è accusata di fornicare poiché, non osservando i precetti della legge non dimostravano - per così dire - la fedeltà (a Dio) suo sposo.

49. 17. Di Iefte la Scrittura dice anche: I figli nati dalla moglie legittima crebbero e cacciarono via Iefte 93. Il verbo qui usato crebbero preso in senso simbolico significa " ebbero il sopravvento ", cosa che si avverò per quanto riguarda i Giudei, i quali prevalsero sulla debolezza di Cristo, poiché questi volle sopportare ciò che doveva soffrire da parte loro nella passione; il medesimo significato simbolico ebbe il fatto che Giacobbe riuscì a superare l'angelo con il quale lottava allo scopo di preannunciare lo stesso mistero 94. I fratelli dissero dunque a Iefte: Tu non avrai parte nell'eredità di nostro padre, poiché sei figlio di una prostituta 95, come se dicessero ciò che dice il Vangelo: Quest'uomo non viene da Dio, poiché non osserva il Sabato 96; essi invece, vantandosi come se fossero figli legittimi, dissero al Signore: Noi non siamo nati da una prostituta; abbiamo un solo padre, Dio 97. Iefte allora fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tab 98. Fuggì in quanto nascose la propria grandezza, fuggì in quanto si nascose a coloro che vedevano la debolezza di lui che moriva, ma non videro la potenza di lui che resuscitava; poiché, se lo avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 99. Si stabilì però in una terra buona, anzi, per dirlo con maggior precisione, " ricca e ferace ", poiché ciò, che in greco si dice (buono), in latino significa " ricca e felice ", e questo è il significato di Tob (" buono "). Mi sembra che queste parole si debbano intendere della risurrezione di Cristo. Perché quale terra è più felice del corpo terreno rivestito della eminente condizione d'immortalità e d'incorruzione 100?

49. 18. Quanto poi a ciò che la Scrittura dice di Iefte, che cioè dopo essere fuggito lontano dai suoi fratelli ed essersi stabilito nella terra di Tob, si raccolsero presso di lui dei predoni e andavano con lui 101 (si ricordi che) sebbene anche prima della passione fosse stato rinfacciato al Signore il fatto di mangiare con i publicani e i peccatori, quando rispose che non hanno bisogno del medico i sani ma gli ammalati 102, e fu annoverato tra gli iniqui 103, quando fu crocifisso tra i briganti e uno di loro lo trasferì dalla croce al paradiso 104, tuttavia dopo che risuscitò e cominciò a stare nella terra di Tob secondo la spiegazione da noi data sopra, si unirono presso di lui gli scellerati che cercavano la remissione dei peccati e andarono con lui poiché vivevano in conformità con i suoi precetti. Ma ciò non smette di accadere finora e continuerà ad accadere fino a quando si rifugiano da lui i malvagi affinché egli giustifichi gli empi che tornano a lui, e i malvagi imparino le sue vie 105.

49. 19. Orbene il fatto che coloro i quali avevano scacciato Iefte - era anche un Gaaladita - si rivolsero a lui e cercarono di essere liberati dai loro nemici per suo mezzo, con quanta evidente prefigurazione simboleggia che coloro i quali rigettarono il Cristo, tornando a lui trovano la salvezza. Si può pensare che questi siano coloro che l'apostolo Pietro avendoli accusati del medesimo peccato, come si legge negli Atti degli Apostoli 106, ed esortati di convertirsi a Colui che avevano perseguitato, si sentirono come trafitti nel cuore e desiderarono di aver la salvezza da Colui che essi avevano respinto - che cosa infatti vuol dire essere liberati dai nemici se non essere liberati dai peccati? Poiché Pietro così disse loro: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore Gesù Cristo; e vi saranno perdonati i vostri peccati 107 -, o piuttosto si può pensare sia simboleggiata la chiamata del popolo d'Israele che si spera alla fine del mondo 108. Sembra infatti che si tratti piuttosto di quella " chiamata " per il fatto che l'agiografo dice: e avvenne dopo i giorni 109, che per certo significa dopo un certo tempo, e perciò ci fa vedere che non si deve intendere il tempo successivo immediatamente dopo la passione del Signore, ma quello che verrà in seguito. A ciò sembra riferirsi anche il fatto che gli anziani di Galaad andarono da Iefte 110 perché per età senile si debbano intendere i tempi successivi e ultimi. Galaad infatti significa " colui che rigetta " o " rivelazione ". Tutt'e due questi fatti si confanno a pennello all'oggetto figurato, poiché prima rigettarono il Cristo, il quale però in seguito sarà loro rivelato.

49. 20. Quanto invece al fatto che Iefte era richiesto come comandante contro i figli di Ammon 111, una volta sconfitti i quali sarebbero stati liberati coloro che desideravano combattere contro di loro sotto il comando di Iefte, poiché Ammon significa " figlio del popolo mio " o " il popolo del dolore ", senza dubbio sono simboleggiati o quei nemici dei quali era stato predetto che si sarebbero ostinati nell'infedeltà, o tutti quanti senza eccezione i predestinati alla geenna dove per loro sarà il pianto e lo stridore dei denti 112, come se appartenessero al popolo della tristezza. Sennonché può intendersi come " popolo del dolore " anche il diavolo e i suoi angeli sia perché procurano l'eterna infelicità per le persone ingannate da loro sia perché essi stessi sono destinati all'eterna infelicità.

49. 21. In modo sicuramente appropriato per indicare assai più chiaramente la profezia così Iefte rispose agli anziani di Galaad: Non siete forse voi che mi avete odiato e m'avete cacciato dalla casa di mio padre e mi avete mandato via lontano da voi? E perché siete venuti ora che siete angosciati? 113 Qualcosa di simile fu simboleggiato a proposito di Giuseppe, che i fratelli vendettero allontanandolo da loro 114 e quando erano afflitti dalla fame si rivolsero al suo aiuto e alla sua misericordia 115. Nel caso di Iefte però si manifesta molto più chiaramente il significato allegorico delle realtà future poiché si recarono da Iefte non proprio gli stessi fratelli che lo avevano scacciato ma gli anziani di Galaad, supplicandolo a nome di tutto il popolo. Allo stesso modo si chiama Israele l'insieme della medesima stirpe, sia che si tratti di coloro che vivevano al tempo di Cristo e lo rigettarono, sia che si tratti di coloro che in seguito si rivolsero a lui per implorare il suo aiuto. Poiché a un popolo nemico che conserva e si trascina dietro il lungo odio (contro Cristo) ereditato sia dagli antenati sia dalla generazioni posteriori, a questo popolo, che alla fine si sarà convertito nella persona di quelli che allora dovranno convertirsi, è detto: Non siete stati forse voi a odiarmi e a cacciarmi dalla casa di mio padre? In effetti a coloro che lo perseguitarono sembrò giusto scacciare Cristo dalla casa di Davide, in cui il suo regno non avrà fine 116.

49. 22. Gli anziani di Galaad risposero a Iefte: Non è così, ora siamo venuti da te 117. E come se i Giudei convertiti a Cristo gli dicessero: Allora venimmo per perseguitarti, ora invece per seguirti. Dichiararono apertamente anche che sarà lui il loro capitano contro i nemici. Egli risponde che sarà il loro capo se vincerà i loro nemici 118, cosa che Gedeone non volle, quando lo avevano voluto gli Israeliti, poiché rispose loro: Vostro capo sarà il Signore 119, poiché sotto il termine capo s'intende il re, dignità che quel popolo ancora non aveva al tempo dei Giudici, ma cominciarono ad averla con Saul 120 e in seguito con i suoi successori che si leggono nel Libro dei Re. Infatti nel Deuteronomio, quando si ordina al popolo quale specie di re debba avere, qualora ad essi piacerà averlo, non viene chiamato re ma capo 121. Ma siccome questo Iefte era una figura di Colui che è il vero re - come stava scritto nell'iscrizione affissa sulla croce, che Pilato non osò cancellare o correggere 122 -, perciò si deve pensare che fu detto: Io sarò vostro re 123. Quelli invece avevano detto: Sarai nostro capo 124 poiché capo dell'uomo è Cristo 125, ed egli è il Capo del corpo della Chiesa 126. Finalmente, dopo averli liberati da tutti i nemici Iefte non fu fatto re perché comprendessimo che l'espressione usata dalla Scrittura riguardo a Iefte era una predizione riguardante piuttosto Cristo che propriamente Iefte in persona, l'esposizione delle cui gesta la Scrittura la conclude così: Iefte fu giudice in Israele per sei anni. Iefte il Galaadito morì poi e fu sepolto nella sua città di Galaad 127. Egli dunque giudicò Israele come tutti gli altri Giudici; lì non regnò come un sovrano, come quelli contenuti nei Libri dei Re.

49. 23. Ora poi nel fatto che il medesimo Iefte, dopo essere stato costituito capo, inviò prima ai nemici messaggeri recanti dichiarazioni di pace 128 si mostra quanto dice l'Apostolo, per mezzo del quale parlava Cristo: Per quanto è possibile e dipende da voi vivete in pace con tutti gli uomini 129. Ma siccome ho fretta sarebbe troppo lungo esporre a fondo tutte le parole stesse che Iefte ordinò ai messaggeri di riferire: tuttavia, per quanto riguarda il loro senso profetico delle realtà future mi sembra siano da intendere in modo da riconoscere in esse l'insegnamento di Cristo che ci ammonisce come dobbiamo comportarci, vale a dire vivere tra coloro i quali non sono stati chiamati (alla salvezza) secondo il progetto di Dio 130, poiché il Signore conosce quelli che sono suoi 131.

49. 24. Oltre a ciò il fatto che su Iefte venne lo Spirito del Signore quando si accingeva a sbaragliare i nemici 132 è simbolo dello Spirito Santo partecipato ai membri di Cristo.

49. 25. Il fatto poi che Iefte percorse Galaad e Manasse e passò per la vedetta di Galaad e dalla vedetta di Galaad raggiunse alle spalle gli Ammoniti 133, è simbolo del progresso che fanno le membra (del corpo) di Cristo per conseguire la vittoria sui nemici. Galaad infatti significa " dispregiatore " e Manasse " necessità ". Da coloro che progrediscono devono quindi essere superati i dispregiatori cioè coloro che disprezzano e dev'essere superata anche la necessità perché non avvenga che passando chi sopravanza gli spregiatori si arrenda a coloro che incutono paura; si deve superare anche la vedetta di Galaad, poiché Galaad significa anche " rivelazione ". Una vedetta è un luogo eminente da cui si possa vedere in lontananza o guardare dall'alto verso il basso, cioè guardare dal di sopra. Per questo mi sembra che la vedetta di Galaad simboleggi la superbia della rivelazione e perciò l'Apostolo dice: E io non monti in superbia per le grandi rivelazioni che ho ricevuto 134. Anche essa dunque si deve sorpassare, cioè non si deve perdurare in essa per il pericolo di cadere. Superati questi ostacoli facilmente si superano i nemici come indica la frase che segue: e dalla vedetta di Galaad arrivò alle spalle dei figli di Ammon, i nemici di cui abbiamo parlato sopra.

49. 26. Iefte fece allora un voto (a Dio) dicendo: Se consegnerai nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalle porte della mia casa incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, apparterrà al Signore e glielo offrirò in olocausto 135. Qualunque fosse la persona a cui Iefte pensava in questo passo secondo il pensiero umano non sembra che pensasse all'unica sua figlia, altrimenti nel vedersela venire incontro non avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei 136. Poiché Iefte dice: mi hai messo in un impaccio come ad indicare di essere impedito dal mantenere ciò che aveva pensato di offrire. Iefte però, che non aveva altri figli, chi avrebbe potuto pensare che gli sarebbe uscito incontro per primo? Aveva forse pensato a sua moglie? Ma Dio non volle forse che non solo non avvenisse ciò, ma anche che non restasse senza castigo affinché in seguito non osasse farlo nessuno e mediante la sua grande provvidenza anche con ciò stesso che accadde prefigurasse il mistero della Chiesa? Il significato profetico risulta quindi formato da due fatti: sia da ciò che Iefte pensò nel fare il voto sia da ciò che gli capitò contro la sua volontà. Se infatti pensò alla sposa, la sposa di Cristo è la Chiesa; perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e saranno due in una carne sola. Questo è un grande mistero - dice l'Apostolo - e lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa 137. Ma siccome la moglie di questo Iefte non poteva essere vergine, nel fatto che invece della moglie gli andò incontro la figlia e non restò invendicata, è prefigurata l'audacia di chi fa voto d'un sacrificio proibito e la verginità della Chiesa. Inoltre non è in contrasto con la verità che anche nel nome di "figlia" è simboleggiata la medesima Chiesa; poiché di chi altri era figura quella donna che era stata guarita dopo aver toccato l'orlo del vestito del Signore che le disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata; va' in pace 138? Di certo poi, in una espressione di cui nessuno può dubitare, il Signore in persona chiamò figli dello sposo i suoi discepoli indicando assai chiaramente di essere lui lo sposo: I figli dello sposo -disse - non possono digiunare finché è con loro lo sposo. Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà tolto loro e allora digiuneranno 139. Sarà dunque un olocausto la Chiesa che il beato Apostolo chiama vergine casta 140 quando nella risurrezione universale dei morti avverrà quanto sta scritto: La morte è stata ingoiata per la vittoria 141; allora consegnerà il regno a Dio e al Padre 142; questo regno è la stessa Chiesa, il re era raffigurato da colui che aveva fatto il voto. Ora, poiché ciò succederà quando sarà compiuta la sesta età del mondo, per ciò fu chiesta una dilazione di sessanta giorni per piangere la sua verginità 143. In effetti la Chiesa è formata da persone di tutte queste sei età del mondo. La prima va da Adamo al diluvio, la seconda dal diluvio, cioè da Noè, fino ad Abramo, la terza da Abramo fino a Davide, la quarta da Davide alla deportazione di Babilonia, la quinta da questa deportazione fino al parto della Vergine, la sesta dalla nascita di Cristo alla fine di questo mondo. Durante queste età, come se si trattasse di sessanta giorni, la Chiesa, questa vergine santa, pianse la sua verginità; poiché, nonostante la sua verginità, aveva dei peccati da piangere, a causa dei quali questa vergine dice (al Signore): e rimetti a noi i nostri debiti 144. Secondo me l'agiografo preferì chiamare due mesi quei sessanta giorni a causa di due uomini: l'uno per mezzo del quale è venuta la morte, l'altro per mezzo del quale è venuta la risurrezione dei morti 145; a causa dei quali due uomini si parla anche dei due Testamenti.

49. 27. Quanto invece al fatto che nacque in Israele l'usanza che (le ragazze) si radunavano di tempo in tempo quattro giorni all'anno per celebrare il lamento della figlia di Iefte 146, io non penso che quanto avvenne dopo l'offerta dell'olocausto sia simbolo di qualcosa relativo alla vita eterna, ma lo sia ai tempi passati della Chiesa, nei quali erano felici coloro che piangono 147. Con l'espressione spazio di quattro giorni è raffigurata invece la universalità della Chiesa a causa delle quattro parti del mondo, nelle quali si è diffusa per lungo e per largo. Per quanto però attiene al significato proprio della storia, non credo che furono gli Israeliti a stabilire una tale usanza salvo che comprendessero che in quel caso si era manifestato il giudizio di Dio reso manifesto a tutti piuttosto per punire il padre affinché in seguito nessuno osasse fare il voto di offrire un siffatto sacrificio. Poiché per qual motivo si sarebbe istituito un lutto e un lamento, se questo voto fosse stato un voto di allegrezza?.

49. 28. Se però deve riferirsi al giudizio finale di Dio anche il fatto che il popolo di Efraim fu in seguito vinto da Iefte 148, come dice lo stesso Signore: (quanto poi ai miei nemici) quelli che non volevano che io regnassi su di loro conduceteli qua e uccideteli alla mia presenza 149, quei quarantaduemila che caddero (in quella battaglia) non sono menzionati senza un motivo 150. Poiché allo stesso modo che i due mesi a causa dei sessanta giorni sono simbolo del numero sei delle sei età del mondo, così anche qui il numero sette moltiplicato per sei è simbolo della medesima realtà per quanto riguarda le sei età del mondo, poiché sei per sette fa quarantadue. Inoltre lo stesso Iefte non senza una ragione fu giudice del popolo per sei anni 151.

Perché vietato il vino alla madre di Sansone incinta.


Agostino Qu. Heptateuco 7049