LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 1019

Scienza e conoscenza.

1019
7. 19. Io intervenni: "Prima di tutto io non denomino scienza la conoscenza che puo eventualmente indurre in errore chi l'acquista. La scienza infatti non è costituita da una qualsiasi rappresentazione, ma da una rappresentazione tale che chi l'ha formulata non commetta errore e, anche se sottoposto a qualsiasi critica, non possa dubitare. Ne consegue la indiscussa verità dell'affermazione di alcuni filosofi che in nessuno essa si puo ritrovare se non nel filosofante. Egli non deve soltanto aver conoscenza della dottrina che sostiene, ma trovarle anche un fondamento incrollabile. Sappiamo invece di quel tale da te nominato che assai spesso ha detto il falso. E non ho avuto tale informazione soltanto da qualcuno che me ne abbia riferito, ma l'ho costatato io di persona. E dovrei considerare in possesso di scienza un tale anche se ha detto sovente il falso, quando non lo considererei tale se avesse detto sempre il vero? E tenete ben presente che io penso altrettanto degli aruspici, degli auguri, degli astrologi e degli interpreti dei sogni. O presentatemi qualcuno di tal genia, se ci riuscite, il quale interpellato non abbia dubitato dei suoi responsi e che, alla fine, giammai abbia sbagliato. Non debbo preoccuparmi dei profeti perché essi esprimono il pensiero di un Altro.

La mantica non è filosofia.

1020
7. 20. Inoltre, concesso che cose umane sono cose degli uomini, penseresti che sia nostro qualcosa che il caso ci puo dare o togliere? O quando si parla di scienza delle cose umane, s'intende quella con cui si conoscono il numero e la qualità dei poderi, la quantità d'oro e argento che possediamo o anche il giudizio che formuliamo sulle poesie degli altri? E scienza di cose umane quella che conosce la luce della prudenza, la dignità della temperanza, la forza del coraggio, la santità della giustizia. Questi sono i beni che, senza temere la soggezione alla fortuna, possiamo chiamare veramente nostri. E se quell'Albicerio li avesse conosciuti, giammai, credimi, sarebbe vissuto con tanta dissolutezza e licenza. E non penso che debba essere annoverato fra le cose nostre il fatto che indovino il verso che aveva in mente chi lo interpello. Con questo non intendo negare che le arti liberali siano, per un certo aspetto, proprie del nostro spirito. E concesso tuttavia anche agli inesperti di cantare o declamare i versi di un altro. E percio non c'è da meravigliarsi se cio che noi abbiamo in mente puo essere avvertito da certi esseri animati estremamente sottili, chiamati geni che, ammetto, ci possono superare per l'acutezza e la penetrazione dei sensi ma non per la ragione. Non saprei in qual modo occulto e ignoto alle nostre facoltà avviene il fatto. Infatti ci meravigliamo che l'ape, deposto il miele con non so qual avvedutezza superiore all'umana, torna a volare qua e là alla ricerca. Ma non per questo dobbiamo preporla o solo paragonarla a noi.

Interpretazione naturalistica.

1021
7. 21. Pertanto avrei voluto sperimentare se quell'Albicerio, per richiesta di qualcuno desideroso d'apprendere, fosse stato capace d'insegnare la metrica ovvero, costrettovi da chi lo frequentava, avesse saputo comporre versi suoi su un argomento improvvisato. E tu stesso più volte hai ricordato che lo stesso Flacciano la pensava cosi. Egli per la sua alta intelligenza scherniva e disprezzava quel tipo di divinazione, lo attribuiva, secondo il suo modo di dire, al più basso e vile genietto, non saprei quale. E quegli, quasi avvertito e ispirato da tale suggestione, era solito dare i suoi responsi. E quell'uomo assai colto a chi si meravigliava chiedeva se Albicerio fosse capace d'insegnare la grammatica, la musica o la geometria. Al contrario chi lo conosceva era costretto ad ammettere la sua completa ignoranza di tali discipline. E per questo Flacciano ammoniva con insistenza coloro che le avevano apprese a preferire senza esitazioni la propria intelligenza alla divinazione e ad adoperarsi nel formare e fornire la mente di tali discipline con cui si ottiene di superare e trascendere gli influssi di tali sottili e invisibili geni.

Diversità dell'oggetto di filosofia e mantica.

1022
8. 22. E poiché le cose divine sono, per comune consenso, molto più alte e più nobili delle umane, in che maniera ne poteva avere conoscenza quel tale che non conosceva neanche il proprio essere? Ma forse riteneva che gli astri, continuamente da noi osservabili valgano qualche cosa nel confronto con Dio sommamente vero e ineffabile che forse l'intelligenza raramente puo raggiungere, mai un senso qualsivoglia. Quelli al contrario sono sempre alla portata della nostra vista. E dunque neanche essi sono le cose divine che soltanto la filosofia intende conoscere. E tutte le cose naturali, di cui non saprei quale genia di divinatori abusa, o per vanagloria o per guadagno, sono certamente inferiori agli astri. Dunque Albicerio non possedette la scienza di cose umane e divine. Ma tu hai tentato inutilmente per questa via di attaccare la nostra definizione. Infine noi riteniamo ignobile e privo d'interesse ogni oggetto, fuorché le cose umane e divine. Ti chiedo dunque di quale oggetto il filosofante, come tu l'intendi, dovrà cercare la verità". "Di cose divine, rispose Licenzio, poiché la virtù è senza dubbio divina anche nell'uomo". "Allora Albicerio già ne aveva scienza mentre il tuo filosofo dovrà sempre andarne alla ricerca?". "Ma Albicerio aveva scienza di certe cose divine, ma non delle stesse che sono oggetto della ricerca del filosofante. E non sarebbe completamente sovvertito il comune modo di dire se gli si concede la divinazione e gli si negano cose divine, da cui è denominata la divinazione? E quindi quella vostra definizione ha implicato non saprei quale motivo che non appartiene al concetto di filosofia".

La filosofia come scienza e ricerca.

1023
8. 23. Intervenne Trigezio: "Il nostro giudice, se vorrà, difenderà la definizione data. Ora rispondimi in maniera da venire finalmente all'argomento". "Sono pronto", rispose l'altro. "Mi concedi che Albicerio conosceva il vero?". "Lo concedo". "Era migliore allora di un filosofo come tu l'intendi". "Ma no, ribatté Licenzio; infatti il tipo di vero che è oggetto dell'indagine del filosofo, non solo non lo possiede quel folle indovino ma neanche il filosofo mentre è in vita. Ma esso è tuttavia di tanta ampiezza che è molto più onorevole sempre ricercarlo che raggiungerlo alfine". "E indispensabile, ribatté Trigezio, che, trovandomi a disagio, la definizione data mi suffraghi. Essa forse ti è parsa difettosa per il fatto che ha implicato chi non possiamo denominare filosofo. Ti chiedo dunque se sei d'accordo nel definire la filosofia scienza di cose umane e divine, ma di quelle soltanto che riguardano la felicità". "Anche questa, disse l'altro, è filosofia, ma non solo questa. E se la prima definizione ha occupato posizioni che non le spettano, questa ha abbandonato le proprie. Quindi quella puo essere accusata di avarizia, questa di prodigalità. E tanto per decidermi, una buona volta, a indicare cosa intendo con la definizione, sono d'opinione che la filosofia è di cose umane e divine che riguardano la felicità non solo scienza, ma anche indagine diligente. E se ne vuoi la partizione, la prima parte che ne afferma la scienza è di Dio; la seconda che si limita all'indagine è dell'uomo. Di quella è beato Dio, di questa l'uomo". "Mi meraviglio, rispose l'altro, come puoi affermare che il filosofante come tu l'intendi deve sprecare la fatica". "E come sprecherebbe la fatica, rispose Licenzio, se ricerca con profitto tanto notevole? Infatti per il fatto stesso che ricerca è filosofante ed è felice per il fatto stesso che è filosofante. Avviene, per quanto ne è capace, quando sprigiona la mente da tutti i vincoli del corpo e raccoglie sé in se stesso e non permette di lasciarsi dilacerare dai piaceri, ma sempre tranquillo si rende presente a sé e a Dio. Cosi in questa terra egli vive di pensiero poiché in cio, come ci siamo dianzi accordati, consiste la felicità. E all'ultimo giorno della vita si trova pronto a ottenere il bene desiderato e gode meritatamente della divina beatitudine dopo aver precedentemente goduto di quella umana".

Riepilogo ed epilogo (9, 24-25)

Metodo didattico dell'epoca: il riepilogo dell'insegnante.

1024
9. 24. Trigezio tardava nel dare la risposta. Allora io intervenni: "Non credo, o Licenzio, che a Trigezio mancheranno argomenti se gli diamo il tempo di riflettere. Finora gli è forse mancata in qualsiasi tema la risposta? Difatti sorto il problema della felicità, egli ha dimostrato la necessità che solo il filosofo è felice poiché, anche per ammissione degli indotti, la mancanza di conoscenza è infelicità. Ha affermato inoltre che il filosofo deve esser perfetto, ma perfetto non è, e quindi neanche felice, chi ancora ricerca la verità. A questo punto tu gli hai opposto il peso dell'autorità. Egli è rimasto un po' sconcertato dal nome di Cicerone. Ma s'è subito ripreso e con una certa generosa caparbietà ha affermato in pieno i diritti della libertà d'indagine e ha riafferrato cio che gli era stato violentemente sottratto dalle mani. Ti ha chiesto se ti sembrava perfetto chi ancora ricerca. Intendeva tornare al principio, se tu lo avessi negato, e dimostrare, per quanto poteva, che, in base alla definizione, è perfetto l'uomo che regola la vita secondo la legge della mente e quindi che felice non puo essere se non l'uomo perfetto. Tu hai evitato l'insidia con maggiore destrezza di quanto non pensassi ed hai affermato che un uomo perfetto è chi con tutta diligenza ricerca la verità. Hai combattuto con eccessiva sicumera e allo scoperto nel dimostrare, sulla base della definizione data, che vita felice è quella che viene regolata secondo ragione. Egli allora ti ha costretto con facilità a ritirarti e ha occupato le tue posizioni. E tu scacciatone avresti perduto la battaglia se non ti avesse salvato la tregua. Dove infatti gli accademici hanno stabilito la rocca se non nella definizione dell'errore? E se essa durante la notte, forse in sogno, non ti fosse tornata in mente, non avevi più di che ribattere. L'hai ammesso tu stesso in precedenza mentre esponevi la teoria di Cicerone. Poi si giunse alla definizione della filosofia. Tu hai tentato di demolirla con tale astuzia che forse neanche il tuo alleato Albicerio avrebbe compreso il tuo stratagemma. Ma Trigezio ti ha resistito con tanta vigilanza e tale vigore fino ad aggirarti e sconfiggerti se tu non fossi ricorso alla difesa della tua nuova definizione che la filosofia è la ricerca della verità da cui, a causa della tranquillità dell'animo, deriva la felicità. Egli non risponderà, soprattutto se chiederà tregua almeno per la restante parte del giorno.

Elogio dei dialoganti.

1025
9. 25. Ma per non andare alle lunghe, si chiuda ormai la disputa, se siete d'accordo, anche perché ritengo che sia superfluo prolungarla. L'argomento è stato sufficientemente trattato per quel che era il nostro scopo e poteva essere condotto a termine definitivamente in poche parole. Ma io desidero tenervi in esercizio ed esplorare le vostre capacità e la vostra preparazione. Questo è il mio più vivo interesse. Infatti, avendo incominciato ad esortarvi insistentemente alla ricerca della verità, cominciavo anche a chiedermi quale importanza davate a tale ricerca. Ne avete data tanta che più non desidero. E poiché tutti desideriamo la felicità sia che si possa ottenere col possesso della verità sia con la ricerca diligente, noi, posposte tutte le altre occupazioni, se vogliamo esser felici, la dobbiamo ricercare. E per questo, come ho detto, poniamo fine a questa disputa e mandiamola trascritta soprattutto, o Licenzio, a tuo padre di cui conosco ormai la buona disposizione alla filosofia. Cerco tuttavia ancora la buona occasione che ve lo introduca. E potrà esser preso più intensamente da questi studi quando saprà, non per aver udito soltanto ma leggendo, che tu ti ci applichi assieme a me. Se poi a te, come noto, piacciono gli accademici, prepara una più valida difesa perché ho deciso di citarli come rei". Appena finito di parlare ci fu annunziato il pranzo e ci alzammo.


LIBRO SECONDO

L'ESPOSIZIONE STORICA DI ALIPIO:

GLI ACCADEMICI E LA FILOSOFIA

A Romaniano: altro protrettico alla filosofia (1, 1-3, 9)

La mediocrità spirituale ha favorito l'Accademia.

2001
1. 1. Non si dà filosofo che sia privo dell'apprendimento e della scienza della filosofia. Ma se a questa necessità seguisse quella del possesso quando la si ricerca, certamente sarebbero seppellite, assieme a quel periodo e ai cadaveri di Carneade e di Cicerone, la diatriba, l'ostinazione e la caparbietà degli accademici ed anche la loro problematica, opportuna tuttavia, come io frattanto ritengo, in quel momento. Ma avviene che pochi e di tanto in tanto raggiungono la vera scienza. Ne son causa le frequenti e varie disavventure della vita, come tu stesso, o Romaniano, puoi sperimentare, ovvero un certo stordimento delle menti intorpidite o dalla infingardaggine o dalla mancanza di talento, ovvero la sfiducia nella filosofia. Difatti la luce spirituale non apparisce alle menti come quella materiale agli occhi. Infine per un pregiudizio comune a tutta l'umanità, gli uomini non ricercano diligentemente, seppure ricercano, e non pongono impegno all'indagine nella illusione di essere in possesso della verità. Ne consegue che in uno scontro con gli accademici, le loro armi, maneggiate non da pivelli ma da gente perspicace e ferratissima, appaiono invincibili e quasi forgiate da Vulcano. E per questo contro i marosi e le tempeste della fortuna si deve resistere con i remi di tutte le virtù e soprattutto si deve implorare l'aiuto divino con ogni devozione e pietà affinché il fermo volere di applicarsi agli studi liberali segua il suo corso, dal quale nessun avvenimento lo faccia dirottare. Lo accoglierà allora il porto sicuro e tranquillo della filosofia. Questo è il tuo vero problema; ne consegue che io temo per te, che bramo la tua liberazione e, se ora alfine son degno d'impetrare, non cesso con quotidiane preghiere di invocare per te un vento favorevole. E per questo prego la Potenza e la Sapienza di Dio Altissimo (
1Co 1 1Co 24). Con questo termine la Scrittura sacra denomina il Figlio di Dio.

Attitudini di Romaniano alla filosofia.

2002
1. 2. Molto aiuterai le mie preghiere se non disperi che saremo esauditi e t'impegni non solo col desiderio, ma anche con la volontà e con la nativa forza della mente, per la quale ti voglio bene, da cui ricevo un singolare diletto, che sempre ammiro. Ma essa, a causa delle preoccupazioni domestiche, in te si cela come un fulmine tra le nubi ed è ignota a molti e quasi a tutti. Non puo comunque essere ignota a me e forse all'uno e all'altro dei tuoi amici intimi. Noi non solo abbiamo potuto riconoscere in qualche tua espressione il brontolio del tuono, ma abbiamo anche ravvisato qualche lampeggiamento assai simile al corruscare del fulmine. Tacero sul momento il resto e ricordo un sol caso. Chi mai uni inaspettatamente il fragore del tuono e il bagliore della luce mentale al punto che, ad un solo leggero tuonare della ragione e ad un certo lampeggiamento della temperanza, riusci in un solo giorno ad estinguere in sé una passione assai vigorosa? Si manifesterà alfine la tua virtù e muterà gli scherni di molti increduli in indicibile stupore? Ed essa dopo aver manifestato in terra segni, per cosi dire, del futuro, ritornerà verso il cielo abbandonando il peso delle cose sensibili? Agostino avrà formulato invano tali giudizi su Romaniano? Non lo permetterà colui al quale mi sono interamente dedicato, che soltanto ora ho ricominciato un po' a conoscere.

Benemerenze di Romaniano verso Agostino.

2003
2. 3. Dunque applicati con me al filosofare. In esso c'è tutto cio che di solito ti stimola in modo meraviglioso all'ansietà e alla problemizzazione. Non ho timore per il tuo ingegno né da parte della infingardaggine morale né della limitatezza mentale. Chi infatti apparve più pronto di te nei nostri colloqui, quando ti fu permesso di respirare un po'? Chi più acuto? Ed io non potro mai sdebitarmi con te? O forse ti son debitore di poco? Tu mi hai accolto in casa sovvenzionandomi e, quel che più conta, fosti di grande liberalità quando, giovanetto povero, mi recai a studiare fuor di casa. Tu, quando ho perduto mio padre, mi hai confortato con l'amicizia, mi hai spronato con i consigli, mi hai somministrato il mantenimento. Tu con la tua simpatia e amicizia e col considerarmi di casa mi hai reso, come te, illustre e fra i primi nel nostro municipio. Poi decisi di andare a Cartagine per ottenere un insegnamento più alto. A te solo e a nessuno dei miei manifestai il mio disegno e le mie speranze. Dapprima hai temporeggiato un po' a causa del grande amore, in te innato, per il tuo paese. D'altronde già v'insegnavo. Tuttavia non avendo potuto contrastare il desiderio d'un giovane che intendeva migliorare, a suo modo di vedere, le proprie condizioni, con grande benevolenza e moderazione passasti dalla dissuasione all'aiuto. Tu mi somministrasti il necessario per il viaggio. Poi in quella città, in cui tu avevi riscaldato, per cosi dire, la culla e il nido dei miei studi, hai sostenuto i miei sforzi nel tentativo di volare da solo. Ed io presi il mare in tua assenza e a tua insaputa. Ma tu non ti sei adirato perché non te ne avevo fatto parola come ero solito; attribuisti il fatto a tutt'altro che alla mia continua irrequietezza e sei rimasto fermo nell'amicizia. E non ti furono davanti agli occhi tanto i tuoi figli abbandonati dall'insegnante quanto piuttosto la segreta buona intenzione della mia anima.

Romaniano strumento della Provvidenza nella vita di Agostino.

2004
2. 4. Infine tu mi hai spronato, stimolato e hai ottenuto che io ora possa godere della quiete spirituale, che sia sciolto dal legame dei desideri superflui, che respiri, mi ravveda e torni in me dopo aver deposto il fardello delle preoccupazioni terrene, che io cerchi con grande applicazione la verità, che sia vicino a possederla e che abbia fiducia di arrivare alla stessa misura ideale. E ho ammesso per fede più di quanto non abbia compreso con la ragione di chi sei lo strumento. Difatti in alcuni colloqui intimi io ti ho manifestato i miei movimenti interiori, ho confidato spesso e con passione che nessuna eventualità mi sembrava favorevole se non quella che mi consentisse di filosofare e che la vita non mi sembrava felice se non trascorsa nel filosofare; ma che ero trattenuto dal peso notevole dei miei familiari, la cui vita dipendeva dalla mia professione e da vari impedimenti sia di vergogna come dell'inettitudine dei miei a guadagnare. Tu hai mostrato allora una viva gioia e sei rimasto infiammato di santo entusiasmo per questa vita. Hai perfino detto che, una volta libero dalle preoccupazioni di certe liti importune, avresti eliminato gli ostacoli anche col mettere a disposizione il tuo patrimonio.

La lettura dei Neoplatonici e di Paolo.

2005
2. 5. Cosi, quando fosti partito, dopo aver suscitato in me tal desiderio, giammai ho cessato di aspirare alla filosofia. Non pensavo quasi ad altro se non a quella vita che era di comune gradimento e convenienza, e con assiduità ma senza eccessivo ardore. Ritenevo tuttavia di fare già abbastanza. E poiché ancora non si era accesa la fiamma che mi avrebbe invaso col suo più vivo ardore, pensavo perfino che fosse la più viva quella che appena mi riscaldava. Ed eccoti che alcuni libri pieni, come dice Celsino, diffusero su di me buoni odori d'Arabia e fecero cadere su quella fiammella pochissime gocce d'unguento prezioso. Ma accesero in me un incendio incredibile, incredibile più di quanto tu stesso possa di me supporre e, che dovrei dir di più?, incredibile perfino a me di me stesso. Quale onore, quale fasto umano, quale desiderio di inutile fama, quale stimolo o ritegno mondano aveva ancora interesse per me? Ritornavo tutto in me di corsa. Volsi gli occhi tuttavia, per cosi dire, di passaggio, lo confesso, a quella religione che ci fu inculcata fin dalla fanciullezza e quasi impressa nell'intimo. Essa mi attraeva senza che me ne avvedessi. Cosi fra perplessità, entusiasmi ed incertezze comincio a leggere l'apostolo Paolo. Costoro, pensavo, non avrebbero potuto compiere opere tanto grandi e vivere come è evidente che erano vissuti se i loro scritti e le loro idee fossero stati contrari a un bene si grande. Me lo lessi tutto con grande attenzione e interesse.

L'uomo estetico e la concezione classico-pagana della vita.

2006
2. 6. Al diffondersi di quella luce, per quanto fioca, mi si mostro il volto del filosofare con piena evidenza. Magari avessi potuto mostrarlo, non dico a te che ne hai avuto sempre fame, ma a quel tuo avversario, di cui non so se sia per te più un incitamento che un ostacolo. Anche egli subito disprezzando e abbandonando le piscine circondate di palme e gli ameni frutteti e i delicati e suntuosi banchetti e i buffoni domestici ed infine quanto suscita in lui l'acre desiderio del piacere, convertitosi in amante tenero e rispettoso, volerebbe ammirato, bramoso e appassionato verso la bellezza di quel volto. Anche egli possiede, bisogna ammetterlo, una certa dignità spirituale o meglio un germe di dignità che, tentando d'ingemmarsi della bellezza vera, finisce per ramificare contorto e deforme fra la pietraia e i rovi delle false filosofie. Tuttavia riesce a frondeggiare e, per quanto gli è concesso, ad elevarsi ma soltanto per la piccola schiera di coloro che sanno acutamente e attentamente penetrare fra il fogliame. Da qui l'ospitalità, i molti manicaretti di gentilezza nei banchetti, da qui la stessa eleganza, la dignità esteriore, la grande cortesia delle maniere, il garbo discreto e aggraziato che si diffonde dovunque e su tutto.

La vita estetica primo gradino al filosofare.

2007
3. 7. In gergo popolare si chiama filocalia. Non disprezzare questo termine a causa dell'uso non letterario, poiché filocalia e filosofia sono denominate quasi da una medesima radice e vogliono apparire sorelle e lo sono. Che cosa è infatti la filosofia? L'amore della sapienza. Che cosa è la filocalia? L'amore della bellezza. Informati dai greci. Ma che è dunque filosofia? Non è essa la vera bellezza? Son dunque veramente sorelle e nate da un medesimo genitore. Ma questa, impedita di salire al suo cielo dal visco della libidine e chiusa nella fossa dei profani, ha tuttavia ritenuto la comunanza del nome per avvertire chi la usa a non disprezzarla. Spesso dunque la sorella, che vola nel libero cielo, la riconosce, sebbene sia senza penne, insudiciata e bisognosa, ma raramente la libera. Difatti soltanto la filosofia è competente a riconoscere le origini della filocalia. La favola da me inventata (sono diventato un Esopo estemporaneo) ti sarà esposta con maggiore ornatezza da Licenzio in una composizione poetica. E infatti un poeta quasi perfetto. Dunque se quel tuo nemico, per quanto appassionato della falsa bellezza, potesse con occhi guariti e riaperti appena un po', intuire la vera bellezza, con quanta soddisfazione tornerebbe in grembo alla filosofia. E quando ti riconoscerà, ti abbraccerà come fratello. Ti stai meravigliando delle mie parole e forse sorridi. E se ti avessi esposto l'argomento come intendevo? E se tu avessi potuto per lo meno udire la voce della filosofia se ancora non puoi vederne il volto? Ti meraviglieresti certamente, ma non rideresti e non saresti sfiduciato. Credimi, di nessuno si deve avere sfiducia e molto meno di uomini come lui. Infine se ne sono dati dei casi. Uccelli di quella famiglia facilmente si liberano e tornano a volare fra lo stupore di molti che rimangono in gabbia.

Due ostacoli al filosofare: la pregiudiziale scettica e dommatica.

2008
3. 8. Ma tornero a noi, o Romaniano. Diamoci al filosofare. Tuo figlio, e te ne sono riconoscente, ha cominciato a filosofare. Io lo sorveglio perché si applichi e si rafforzi nelle discipline indispensabili. Ma affinché anche tu non tema di esserne incapace, se ben ti conosco, ti auguro la piena libertà spirituale. Che dire dell'attitudine? Magari non fosse tanto rara negli uomini come è certa in te! Rimangono due difetti o impedimenti a trovar la verità, dei quali non molto mi preoccupo nei tuoi confronti. Comunque mi preoccupo che da una parte tu possa disistimarti e non abbia fiducia di trovare, dall'altra che tu presuma di aver trovato. Il primo ostacolo, se pur esiste, sarà eliminato dalla presente trattazione. Spesso infatti hai criticato gli accademici e tanto più gravemente quanto ne eri meno a conoscenza, ma con tanto maggiore soddisfazione poiché eri attratto dall'amore della verità. Ed ormai, col tuo appoggio, mi battero con Alipio e ti convincero con facilità al filosofare, tuttavia su fondamento probabile. Difatti non raggiungerai il vero se non ti porrai tutto nel filosofare. L'altro ostacolo riguarda la tua possibile presunzione di aver trovato, sebbene ti sei allontanato da noi con problemi e dubbi. Tuttavia se qualche residuo di superstizione è rimasto in qualche piega del tuo spirito, sarà certamente eliminato o quando ti mandero qualche nostra disputa sulla religione o quando potro conferire con te di persona.

Criterio e metodo nella ricerca.

2009
3. 9. Ora io non faccio altro che liberarmi dalle vane e malsane opinioni. E per questo non dubito di star meglio di te. C'è soltanto una cosa per cui invidio la tua buona sorte, che sei solo a goderti il mio Luciliano. O anche tu hai invidia perché ho detto "il mio"? Ma che altro ho detto se non che è "tuo" e di noi tutti che siamo una sola cosa? Ma per quanto lo riguarda, perché dovrei rivolgerti la raccomandazione di venire incontro ad un mio desiderio? O dovro forse convincerti? Tu stesso ne sei cosciente perché è tuo dovere. Ma ora dico a tutti e due: guardatevi dal ritenere che conoscete qualche cosa se non l'avete appreso almeno di quella conoscenza con cui sapete che la progressione aritmetica di uno, due, tre e quattro è dieci. Ma guardatevi egualmente dal ritenere che voi col filosofare non potete conoscere la verità o che in nessun modo qualcuno la possa conoscere filosofando. Piuttosto fidatevi di me o meglio di colui che ha detto: Cercate e troverete (
Mt 7,7). Non si deve disperare di raggiungere la conoscenza e che essa diverrà più manifesta di quanto non sia il suddetto calcolo numerico. Troppo tardi ormai mi sono accorto che questa mia introduzione ha passato la misura. E la misura è senza dubbio cosa divina, ma ci puo sfuggire quando ci guida con dolcezza. Saro più cauto quando diverro filosofo.

La tesi della Media e Nuova Accademia (4, 10-6, 15)

Ricollegamento con la precedente disputa.

2010
4. 10. Dopo la prima disputa che abbiamo raccolto nel primo libro, per circa una settimana non ci occupammo di continuarla. Commentammo tuttavia dopo il primo, tre libri di Virgilio. Volevamo poi riprendere la trattazione nel tempo che sembrasse più conveniente. Inoltre, dalla lettura dell'Eneide Licenzio fu tanto infiammato allo studio della poetica che mi parve di doverlo moderare. Mal sopportava di essere richiamato da quella a qualsiasi altra occupazione. Finalmente si piego, senza tante resistenze, a riprendere la rimandata discussione sul problema degli accademici quando gli feci comprendere, per quanto mi riusci, il valore della filosofia. E per buona fortuna era sorta una giornata tanto luminosa e serena. Sembrava fatta a bella posta per serenare i nostri animi. Pertanto lasciammo il letto un po' più presto del solito, ci trattenemmo con i campagnuoli qualche istante soltanto. Il tempo stringeva. Alipio osservo: "Prima che ascolti la vostra discussione sugli accademici, vorrei che mi si leggesse il discorso che dite di aver tenuto durante la mia assenza. Lo chiedo perché l'attuale discussione si deve rifare alla precedente ed io non potrei, nell'ascoltarvi, non sbagliarmi o per lo meno non trovarmi in difficoltà". Cosi si fece. Nella lettura si trascorse quasi tutto il mattino. Pertanto dalla campagna, in cui ci eravamo trattenuti passeggiando, riprendemmo il cammino verso casa. Licenzio mi prego: "Scusami, ma non ti dispiaccia di espormi in breve, prima di pranzo, tutta la filosofia degli accademici affinché non me ne sfugga qualche elemento che venga in mio favore". "Lo faro, gli risposi, e tanto più volentieri in quanto tu, pensandovi su, potresti mangiar di meno". "Ma in quanto a questo sta' tranquillo, replico, perché ho osservato che molti, e soprattutto mio padre, avevano un appetito più formidabile se erano preoccupati. E per quanto mi riguarda, hai sperimentato tu stesso che quando attendo a far versi, il mio appetito è garantito dal gran daffare. E di solito me ne meraviglio dentro di me. Perché infatti abbiamo un appetito più formidabile quando applichiamo lo spirito ad altro? Ovvero perché nell'occupazione del nostro essere interiore, lo spirito esercita il potere sulle nostre mani e sui nostri denti?". "Ascolta piuttosto, risposi, quanto avevi chiesto sugli accademici perché, se continui a rimuginare le misure metriche, rischio di doverti sopportare non solo durante i pranzi senza misura, ma anche durante le discussioni. E se io tralascero qualche elemento che mi favorisce, lo esporrà Alipio". "Si esige al contrario la tua lealtà, protesto Alipio. Se si deve temere che tu possa occultarci qualche cosa, penso che sia piuttosto difficile che io trovi mende a colui dal quale, e chi mi conosce lo sa, ho appreso tutto. Nel manifestare il vero non ti dovrai preoccupare tanto della vittoria quanto del tuo modo di pensare".

La tesi degli accademici: il filosofo non deve mai affermare nulla.

2011
5. 11. "Usero lealtà, risposi, perché me lo ordini nel tuo buon diritto. La tesi degli accademici riguarda soltanto l'oggetto della filosofia. Carneade affermava di non curarsi del resto. Insegnarono dunque che l'uomo non ne puo raggiungere scienza e che tuttavia si puo esser filosofo. Tutto il compito del filosofo consisterebbe dunque, come tu, o Licenzio, hai spiegato nella disputa precedente, nella ricerca del vero. Ne consegue che il filosofo non deve prestar l'assenso ad alcuna enunziazione e che non puo non errare, e al filosofo non è lecito, se presta l'assenso ad enunciati non certi. E non solo affermavano che non si dà certezza, ma lo confermavano anche con numerosi argomenti. Son d'avviso che abbiano accettato la tesi che il vero non si puo esprimere in seguito alla celebre definizione del vero data dallo stoico Zenone. Questi ha insegnato che si puo esprimere come vero cio che appare al soggetto in rappresentazione dell'oggetto in maniera tale da non apparire come rappresentazione di un altro oggetto. Più brevemente e chiaramente si puo dire che il vero è riconosciuto da caratteri che non puo avere cio che è falso. E gli accademici s'impegnarono con ardore a dimostrare che tali caratteri non si possono riconoscere. E per questo a difesa della loro tesi furono allegati i dissensi dei filosofi, gli errori dei sensi, il sogno e la pazzia, i paralogismi e i soriti. Avevano appreso dallo stesso Zenone che non si dà stoltezza maggiore che affermare opinativamente. Con grande astuzia dunque imbastirono la teoria che, se nulla puo essere ritenuto con certezza e che l'opinare è da stolti, il filosofo non deve mai affermare nulla.

Il probabile, il verosimile e il trattenere l'assenso.

2012
5. 12. Contro di loro esplose uno sdegno enorme. Sembrava infatti conseguente che non puo autodeterminarsi chi non presta l'assenso. Si riteneva insomma che gli accademici avessero coniato una figura di saggio il quale, dal momento che nulla ritiene come certo, non fa altro che dormire e trascura i propri doveri. Allora essi, inventata la teoria del probabile, che denominavano anche verosimile, ribattevano che il saggio non si asteneva affatto dall'agire poiché ha una norma da seguire. La verità sfugge tuttavia o perché avvolta in non so quali tenebre naturali o perché confusa nella somiglianza delle cose. Ma soggiungevano che il trattenere e quasi sospendere l'assenso era la vera grande azione del filosofo. Mi pare di avere esposto tutto come volevi e di non aver trasgredito, o Alipio, il tuo ordine. Ho agito, cioè, come si dice, con lealtà. Se poi non ho esposto le cose come sono o per caso non ho detto tutto, non è avvenuto per mia volontà. Dunque è lealtà secondo la mia coscienza. D'altra parte è evidente che si deve istruire l'uomo che s'inganna, ma ci si deve salvaguardare da chi vuole ingannare. Il primo caso esige un buon maestro, il secondo un allievo cauto".


LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 1019