LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 3004

... e nella morte.

3004
2. 4. "Tuttavia replicai, anche la nostra vita terrena è in potere della fortuna e non si diviene saggi se non si vive. Non si deve dunque ammettere che ci è indispensabile il suo favore perché possiamo giungere alla saggezza?". "Ma la saggezza, mi rispose, è necessaria soltanto a chi vive; terminata la vita non c'è alcun bisogno della saggezza. Dunque nel prolungare la vita non temo affatto la fortuna. Desidero la saggezza perché vivo e non perché aspiro alla saggezza voglio vivere. Quindi se la fortuna mi toglierà la vita, mi toglierà anche la ragione di ricercare la saggezza. Non ho pertanto alcun motivo, allo scopo di divenir saggio, di dover desiderare il favore della fortuna o temerne gli ostacoli, a meno che non mi addurrai altri motivi". Ed io: "Non ti pare dunque che chi aspira alla saggezza puo essere dalla fortuna impedito di raggiungerla anche se non gli toglie la vita". "No, rispose, non mi pare".

Il fondamento: Nonostante l'aporia innegabilità del filosofare (3, 5 - 6, 13)

La scienza del filosofare e il probabile.

3005
3. 5. - "Desidero, replicai, che tu mi esponga la differenza che esiste fra filosofante e iniziato al filosofare". "Ritengo, rispose, che il filosofante differisce da chi aspira al filosofare soltanto perché nel filosofante si ha un certo abito di quelle cose, di cui nell'iniziato si ha il solo desiderio ardente". "E quali sarebbero queste cose?, richiesi. Io opino che non si dia altra differenza se non che uno ha scienza del filosofare e l'altro attende ad averla". "Se, mi rispose, definisci brevemente la scienza, esponi più chiaramente il tuo pensiero". "Comunque la definisca, replicai, è dottrina comune che scienza non ha per oggetto l'opinabile". "Proprio per questo, egli disse, mi è sembrato opportuno frapporti come ostacolo simile premessa. Altrimenti il tuo discorso, dietro un'incauta mia ammissione, avrebbe cominciato a cavalcare indisturbato per i campi di questo problema di fondo". "Ma per la verità, obiettai, non mi hai lasciato spazio dove cavalcare. Comunque, salvo errore, ed è quanto da tempo preparo, siamo arrivati alla meta. Infatti, come hai affermato acutamente e secondo verità, la differenza fra l'iniziato e il filosofante consiste nel fatto che quegli aspira e questi possiede scienza di filosofare. Allo scopo non hai esitato a usare il termine di una certa disposizione abituale. Inoltre non si puo nella mente avere scienza se non si è appreso e non si è appreso se non si ha intellezione e non si ha intellezione dell'opinabile. Ne consegue che il filosofante, del quale tu stesso hai ammesso che ha scienza del filosofare, ne ha, cioè, l'abituale disposizione, conosce la verità". "Non so proprio, ribatté Alipio, quanto apparirei sfacciato se negassi di avere affermato che nel filosofante esiste l'abituale disposizione della ricerca di cose umane e divine. Non riesco a comprendere perché ritieni che non puo esistere la disposizione abituale a risultati opinabili dell'indagine". "Mi concedi, replicai, che non si dà scienza dell'opinabile?". "Ma ben volentieri". "E allora afferma, ribattei, se ne hai il coraggio, che il filosofante non ha scienza del filosofare". "Ma perché, obietto, vuoi conchiudere l'argomento in termini tali da escludere che il filosofante opini di aver raggiunto scienza del filosofare?". "Dammi la mano, gli dissi. Se ben ricordi, è proprio questo l'argomento che ieri ho detto di voler trattare. Ed ora son felice che non è stato da me conchiuso, ma m'è stato ripresentato da te. Ho detto infatti che fra me e gli accademici esiste questa differenza: che essi ritengono probabile che la verità non si puo raggiungere mentre io opino di non averla ancora raggiunta, ma che puo essere raggiunta dal filosofante. Ed ora tu, incalzato dalle mie domande se il filosofante ha scienza del filosofare, hai risposto che opina di averla". "E allora?", ribatté. "Se opina, continuai, di aver scienza del filosofare, opina che il filosofante puo avere scienza di qualche cosa, a meno che tu non affermi che il filosofare è nulla".

Inoppugnabilità dell'atto dei filosofare.

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3. 6. "Quasi quasi stavo pensando, mi rispose, che eravamo giunti alla meta definitiva, ma all'improvviso, quando mi hai steso la mano, mi sono accorto che siamo in pieno disaccordo e che la tireremo a lungo. In effetti ieri mi sembrava che non esistesse altra discussione fra noi se non che, mentre tu affermavi, io negavo che il filosofante puo giungere alla rappresentazione del vero. Adesso invece avverto di non averti concesso altro se non che il filosofante puo opinare di avere raggiunto conoscenza filosofica con risultati opinabili e nessuno di noi puo mettere in dubbio che io ho considerato tale conoscenza come indagine su cose divine e umane". "Non imbrogliando te la sbroglierai, lo ammonii. Mi pare che ormai stai discutendo per tuo esercizio personale. Sai bene che questi giovanetti sono ancora appena capaci di comprendere argomenti trattati con acume e sottigliezza. Stai dunque abusando, per cosi dire, dell'ignoranza dei giudici per parlare a tuo piacere senza subire recriminazioni. Poco fa, quando ti ho chiesto se il filosofante ha scienza del filosofare, hai risposto che opina di averla. Ne consegue che chi opina che il filosofante ha scienza del filosofare, non puo non opinare che il filosofante ha scienza di qualche cosa. Tale conseguenza è inoppugnabile a meno che non si osi dire che il filosofare è nulla. Ne consegue che le nostre opinioni sono concordi. Difatti io opino che il filosofante ha scienza di qualche cosa e, a mio avviso, anche tu, sebbene preferisci dire che il filosofante opina che il filosofante ha scienza del filosofare". Ed egli: "Penso che in fatto d'esercizio della mente siamo alla pari e me ne meraviglio perché tu non hai alcun bisogno d'esercitarti sull'argomento. Io forse sono ancora cieco, ma opino che esista differenza fra opinare di sapere e sapere e fra il filosofare, che consiste nell'indagine, e la verità. Noi sosteniamo l'una e rispettivamente l'altra parte dell'alternativa. Non riesco proprio a comprendere dunque come esse coincidano". Eravamo già stati chiamati a pranzo. Gli dissi frattanto: "Non mi dispiace la tua lunga resistenza. Comunque o entrambi non sappiamo quel che diciamo e dobbiamo provvedere a non disonorarci a tal punto, ovvero uno soltanto di noi due non lo sa ed è egualmente disonorevole rinunciare per noncuranza. Ma nel pomeriggio c'incontreremo ancora. E proprio quando anche a me sembrava di esser giunti alla meta, hai stretto i pugni". Al motto tutti risero e ce ne andammo.

Licenzio si vuol dissetare alla fonte Ippocrene.

3007
4. 7. Al nostro ritorno trovammo Licenzio affannato a far versi. L'Elicona non avrebbe mai soddisfatta la sua sete. A metà pranzo, sebbene del nostro la fine fu un tutt'uno con l'inizio, s'era alzato alla chetichella senza aver bevuto. Gli dissi: "Desidero che tu alfine possegga l'arte del poetare, come hai bramato, non perché mi dia molto piacere codesta tua abilità, ma perché osservo che ne sei tanto preso da potertene liberare soltanto col disgusto, come di solito avviene una volta conseguita l'abilità. E poi, giacché hai una bella voce, preferirei che ci faccia udire versi tuoi anziché, col tono delle tragedie greche, secondo il costume degli uccellini che vediamo chiusi in gabbia, cantare parole che non intendi. Ti prego tuttavia di andare a bere, per favore, e di ritornare alla nostra scuola se qualche benemerenza hanno verso di te L'Ortensio e la filosofia. Ad essa hai libato primizie assai dolci con la precedente vostra disputa, la quale ti aveva acceso, con maggiore ardore che l'arte del poetare, alla scienza di cose grandi e veramente utili. Ma mentre io desidero di richiamarvi alla palestra di queste discipline con cui si educa lo spirito, temo che essa possa divenire per voi un labirinto. Quasi mi pento di averti distolto dalla tua infatuazione". Arrossi e si allontano per bere. Aveva molta sete e gli si presentava il destro di allontanarsi da me che avrei potuto dire molte altre parole e più dure.

Il sapere e l'opinare di sapere.

3008
4. 8. Quando fu tornato, nell'attenzione generale, cosi cominciai: "Allora, Alipio, le cose stanno al punto che non andiamo d'accordo su un argomento, a mio avviso, tanto evidente?". "Tu affermi, rispose, di avere in mano l'argomento. Ma niente di strano che esso sia oscuro per me. Argomenti evidenti potrebbero essere più evidenti per alcuni ed egualmente argomenti oscuri più oscuri per altri. E se questo argomento è per te evidente, credimi, v'è qualcuno per cui è più evidente ed egualmente v'è qualche altro per cui l'argomento a me oscuro è ancora più oscuro. Ma non pensare che io voglia essere troppo polemico. Ti pregherei pertanto di rendere più evidente quanto è già evidente". "Per favore, gli risposi, ascoltami con attenzione trascurando per un po' la preoccupazione di rispondere. Se conosco bene te e me, facilmente con l'impegno dovuto sarà chiarito il concetto che sto esprimendo e ci persuaderemo a vicenda. Hai detto dianzi, o forse ero diventato sordo, che il filosofante opina di avere scienza del filosofare?". Fece un cenno d'assenso. "Per un po', ripresi, lasciamo andare codesto filosofante. Tu stesso sei filosofante o no?". "Ma niente affatto", rispose. "Vorrei tuttavia, continuai., che tu mi dichiari l'interpretazione che dài del filosofo accademico. Ti sembra che abbia scienza del filosofare?". "Ma per te, egli ribatté, è la medesima cosa o no se opina di avere scienza o se l'ha veramente? Temo che la mancanza di chiarezza possa offrire una scappatoia a uno di noi".

Anche l'opinare di sapere è inoppugnabile.

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4. 9. "Quanto stai dicendo, gli risposi, è simile a quella che si suol denominare contesa toscana. Avviene quando a una domanda proposta non sembra ovviare la risposta confacente, ma la presentazione di un'altra domanda. Anche il nostro poeta, tanto per dedicarmi un po' agli orecchi di Licenzio, nelle Bucoliche, ha giustamente giudicato che tale atteggiamento è da campagnoli e senz'altro da pastori. Difatti un tizio domanda ad un altro dove il cielo non abbia estensione superiore a tre gomiti, e quegli risponde: E tu dimmi in quali regioni nascono fiori con sopra stampatovi il nome dei re (Virgilio, Ecl. 3, 105-106). Scusami, Alipio, ma non credere che questo ci sia permesso perché ci troviamo in campagna. Anche questo piccolo bagno valga a farci rievocare in qualche modo lo splendore dei ginnasi. Ed ora rispondi, se vuoi, alla mia domanda: Opini che il filosofo degli accademici ha scienza del filosofare?". "Non meniamo la cosa in lungo, rispose, rapportando parole a parole. Opino che egli opina di averla". "Tu opini dunque, replicai, che non ne ha scienza? Ma io non ti chiedo che cosa opini che opina il filosofante, ma se opini che il filosofante ha scienza del filosofare. Puoi, a mio avviso, indifferentemente affermare o negare". "Magari, rispose, l'argomento fosse facile per me come lo è per te o difficile per te come lo è per me. Non saresti tanto molesto e non avresti alcuna fiducia nella discussione. Tu mi hai domandato la mia opinione sul filosofo accademico. Ho risposto che opino che egli opina di avere scienza del filosofare sia per non affermare pregiudizialmente che io ho scienza, sia per non affermare non meno pregiudizialmente che egli ha scienza". "Come grande favore, lo ammonii, ti prego di concedermi, prima di tutto, che ti degni rispondere alle domande che ti rivolgo io e non a quelle che tu formuli. In secondo luogo che lasci da parte la mia fiducia perché so che ti è a cuore non meno della tua. Ed abbi per certo che se io saro indotto in errore con questa mia interrogazione, passero subito dalla tua parte e porremo fine alla discussione. Infine ti prego che, scacciata non so quale preoccupazione dalla quale ti vedo preso, tu esamini con maggiore attenzione per intendere con esattezza la risposta che io desidero da te. Hai detto che non intendevi né affermare né negare. Al contrario è indispensabile che tu lo faccia allo scopo per cui ti rivolgo domande. Non deve avvenire che incautamente tu affermi di avere scienza di cio di cui non hai scienza come se io ti avessi chiesto cio di cui hai scienza e non cio su cui opini di averne. Quindi adesso ti rivolgo la stessa domanda in termini più espliciti per quanto è possibile: Opini che il filosofante abbia scienza del filosofare o non l'abbia?". "Se si potesse, mi rispose, trovare un filosofante come lo esige il pensiero filosofico, potrebbe opinare che egli ha scienza del filosofare". "Il pensiero, filosofico dunque, replicai, ti presenta il filosofante come colui che non ignora di filosofare. Fin qui bene. E non era conveniente che tu avessi una differente opinione.

Anche l'opinare di sapere è qualche cosa.

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4. 10. Ormai posso chiederti dunque se puo esservi un vero filosofo. Se puo esservi, puo anche avere scienza del filosofare ed ha termine il nostro dibattito. Se poi affermi che non puo esservi, non vi sarà più il problema se il filosofante ha scienza di qualche cosa, ma se si puo esser filosofo. Stabilito questo punto, dobbiamo lasciare andare gli accademici ed esaminare il problema con molto senso critico per quanto ci è possibile. Infatti essi insegnarono o meglio ritennero probabile che si puo esser filosofo e che tuttavia la scienza non è di competenza dell'uomo. E per questo affermarono che l'uomo non ha scienza di qualche cosa. Tu opini che abbia scienza del filosofare e questo certamente non significa aver scienza di nulla. Nello stesso tempo abbiamo ritenuto noi due concordemente che non si puo avere scienza del falso. Lo ritennero pure concordemente gli antichi e perfino gli accademici. Ti rimane quindi o di sostenere che il filosofare è un nulla o che dagli accademici viene configurato il filosofo in termini che il pensiero umano non consente. Ma, abbandonando tale argomento, permetti d'indagare se all'uomo puo spettare tale filosofare quale il pensiero esige. Non esiste altro filosofare che possiamo cosi denominare".

Insorgenza dell'aporia e postulazione della fede.

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5. 11. "Supponiamo, rispose Alipio, che io conceda l'assunto che tu vuoi derivare a tutti i costi. Nell'ipotesi il filosofante ha scienza del filosofare e dalla nostra disputa è emerso un qualche cosa che il filosofante puo ritenere come certo. Tuttavia non m'è affatto ovvio che la tesi degli accademici sia del tutto crollata. Osservo che dispongono, al contrario, di uno spazio notevole per la difesa. Non è stata eliminata la sospensione dell'assenso. Proprio per il fatto che ritieni di averli convinti, essi non possono venir meno alla loro causa. Continueranno a sostenere che nulla si puo rappresentare come vero, che non si dà apodissi per l'assenso a qualsiasi enunziato. Arriveranno al punto da dire che lo stesso principio dell'impossibilità di ritenere con certezza, di cui fino a te si son formati una persuasione probabile, è stato motivato in loro da un ragionamento come il tuo. Ne consegue che, come allora, la forza di un'argomentazione quale la tua, sia essa invitta a causa della mia tarda intelligenza ovvero per vera apodissi, non riesce a farli rimuovere dalla loro posizione. Son tuttora capaci di affermare audacemente ancor oggi che neanche dopo tale argomentazione si deve prestar l'assenso per obiettiva apodissi. Soggiungono che contro di essa eventualmente, in futuro, o da loro da altri, potrebbero esser formulati pensieri acuti e probabili che sarebbe opportuno ravvisare la loro figura, per cosi dire riflessa, nell'antico Proteo. Di lui si dice che di solito era afferrato appunto per non essere afferrato e che coloro i quali lo cercavano non riuscivano a scoprirlo se non per indicazione di qualche potere divino. Ed esso ci assista e si degni manifestarci la verità che tanto ci interessa. Allora io pure confessero che sono stati superati. E non penso che se ne dispiacciano".

Possibilità dell'apodissi.

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5. 12. "Proprio bene, risposi. Di più non desideravo. Osservate infatti, per favore, quanti e quanto grandi vantaggi me ne sono derivati. Il primo è l'ammissione che gli accademici sono stati confutati al punto da non avere altra difesa che nell'assurdo. Non si puo infatti pensare in alcun modo o ritener probabile che chi è vinto, per il fatto stesso che è vinto, si vanti di esser vincitore. Quindi se rimane un punto da discutere con essi, non deriva dalla loro affermazione che non si puo avere scienza di qualche cosa, ma dalla loro contestazione che non si dà oggetto di cui si abbia apodissi. E qui finalmente siamo d'accordo. Infatti io come loro, opino che il filosofo possiede scienza del filosofare. Soltanto che essi richiamano all'assenza di ogni apodissi. Affermano infatti soltanto l'opinabilità e negano completamente la scienza. Ma anche io ritengo di non avere scienza. Anche io dico di avere soltanto opinione su questo punto. Sono infatti non filosofo come loro che non hanno scienza del filosofare. Ma io ritengo che c'è qualche cosa cui associare l'apodissi. E la verità. E chiedo se essi son di parere contrario su tale argomento e cioè se ritengono che alla verità non si deve associare l'apodissi. Non lo diranno mai. Affermeranno soltanto che non si puo raggiungere. E dunque mi hanno concorde in questo particolare aspetto che io e loro non riteniamo improbabile e quindi necessariamente riteniamo probabile che alla verità si deve associare l'apodissi. Ma chi ce la farà vedere?, dicono. Su questo punto non intendo contendere con loro. Mi basta la improbabilità della tesi che il filosofante non ha scienza di qualche cosa. Non potranno più affermare l'enorme assurdità o che il filosofare è nulla o che il filosofante non ha scienza del filosofare.

Probabilità e fede.

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6. 13. Tu, o Alipio, hai detto chi puo manifestare il vero ed io devo fare un notevole sforzo per non dissentire. Hai affermato tanto brevemente quanto religiosamente che soltanto un potere divino puo manifestare all'uomo che cosa è il vero. E in questa nostra discussione non ho udito tanto volentieri parole più ponderate, più probabili e, se il potere divino mi assiste come spero, più vere. Anche perché voi, giovani, notiate che i poeti non sono del tutto disprezzati dalla filosofia, viene presentato come allegoria della verità il mitico Proteo. E stato da te chiamato in causa con molta profondità di pensiero e con viva applicazione al più genuino significato del filosofare. Intendo dire che Proteo rappresenta con esattezza, attraverso la favola poetica, la personificazione di un'idea che l'uomo non puo cogliere se, ingannato dalle apparenze fenomeniche, rallenterà o aprirà le nocche della rappresentazione del vero. Sono appunto tali apparenze che, nel contatto con gli oggetti corporei, mediante i sensi che usiamo per le necessità della vita, riescono a trarci pienamente in inganno anche quando si possiede e, per cosi dire, si tiene in mano la verità. E questo è il terzo vantaggio che me n'è derivato. Non saprei quanto apprezzarlo. Infatti un mio intimo amico concorda con me non solo su quanto v'è di probabile nella vita umana, ma anche nella religione. E indizio assai manifesto del vero amico. L'amicizia molto rettamente e giustamente è stata definita come comunicazione, mediante benevolenza e amore, di cose umane e divine (Cicerone, Lael. 6. 20 ).

La rappresentazione o esprimibilità del vero (7, 14-9, 21)

Nel passaggio all'analisi delle parti del filosofare...

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7. 14. Non deve sembrare tuttavia che gli argomenti degli accademici continuino a spargere nebbie su di noi né d'altra parte si deve pensare che vogliamo per orgoglio resistere all'autorità di uomini assai dotti. Intanto fra di essi Tullio non puo non avere influsso su di noi. Pertanto dapprima, se lo gradite, esporro in breve dei pensieri contro coloro i quali ritengono che le nostre dispute sono contrarie alla verità. Poi manifestero, secondo una mia interpretazione, il motivo che ebbero gli accademici di occultare la propria dottrina. Pertanto, o Alipio, sebbene sappia che condividi pienamente la mia opinione, assumi momentaneamente la difesa degli accademici e rispondimi". "Oggi, mi rispose, hai conquistato terreno sotto favorevoli auspici, come dicono. Quindi non continuero a contrastare la tua piena vittoria e tentero di assumere la difesa con sicurezza maggiore poiché mi viene assegnata da te. Ma forse preferisci, se ti rimane comodo, presentare in un discorso continuato l'argomento che dici di voler trattare col metodo dialogico. Io, ormai tuo prigioniero, non sarei bersagliato da tante minute frecce come nemico che non si vuole arrendere. Disdice troppo alla tua magnanimità".

... è preferibile la lezione al dialogo.

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7. 15. Mi accorsi che era questo che anche gli altri si aspettavano. Quindi col tono di chi introduce in altro modo il discorso, dissi: "Faro come volete. M'ero ripromesso, dopo la fatica del l'insegnamento della retorica un po' di riposo in questa leggera armatura del trattare l'argomento col dialogo anziché con la lezione. Tuttavia siamo cosi pochi che non si richiede di parlare alto con danno della mia salute. Ho voluto inoltre, per riguardo alla mede sima salute, che lo stilo dello stenografo sia quasi l'auriga e il rallentatore del mio dire acciocché non m'infervori più di quanto esige la preoccupazione per il mio stato fisico. Ascoltate dunque in un discorso continuato il mio pensiero. Ma prima di tutto esaminiamo l'argomento di cui i seguaci degli accademici son soliti vantarsi eccessivamente. V'è nei libri di Cicerone scritti in difesa di tale tesi un passo ornato di ammirevole eleganza e, secondo alcuni, non privo di robustezza. E piuttosto difficile che i concetti ivi espressi non destino interesse in ognuno. Da tutti i seguaci delle altre sette che si reputano filosofi si dà un posto secondario al filosofo accademico. E ovvio che ciascuno si attribuisca il primo posto. E da questo si puo dedurre probabilmente che è primo in base al proprio criterio chi è secondo in base al criterio degli altri.

Un passo di Cicerone sul filosofo accademico.

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7. 16. Supponi, ad esempio, che sia presente un filosofo stoico. Soprattutto contro di loro s'infervoro la dialettica degli accademici. Or dunque se si domanda a Zenone e Crisippo chi è il vero filosofo, risponderanno che è quello da loro ideato. Al contrario Epicuro o un altro avversario qualunque lo negherà e sosterrà che il vero filosofo è il suo raffinato uccellatore di piaceri. Da qui l'alterco. Urla Zenone e tutto il portico grida tumultuosamente: " Per nessun altro fine è nato l'uomo se non per la virtù, essa avvince gli animi col suo decoro, senza alcun utile estrinseco e senza alcuna ricompensa che faccia quasi da paraninfa, il piacere di Epicuro è comune con gli animali che si accoppiano ed è oltraggioso sospingere l'uomo e il filosofo in loro compagnia". Al contrario Epicuro, novello Bacco, raduna in aiuto dai giardinetti una torma di ubriachi i quali cercano chi sbranare, a modo delle Baccanti, con le unghie sudice e la bocca ferigna, ammassa per trincea, dietro approvazione del volgo, le parole piacere, placamento, serenità e resiste vigorosamente affermando che non si puo esser felici se non mediante il piacere. Supponiamo che l'accademico s'imbatta nel loro alterco. Ascolterà gli uni e gli altri che si adopereranno per indurlo a parteggiare con loro, ma se si aggregherà agli uni ovvero agli altri, sarà, dai non preferiti, titolato, con schiamazzi, di idiota, analfabeta e scimunito. E percio, dopo aver aguzzato l'orecchio or qua or là, richiesto di quel che gliene sembra, risponderà che è in dubbio. Domanda poi allo stoico chi è migliore: Epicuro che gli rinfaccia con grida la pazzia ovvero l'accademico che giudica di dover riflettere ancora su un argomento tanto importante. Nessuno dubita che l'accademico avrà la preferenza. Rivolgiti poi all'altro, e chiedigli chi preferisce: Zenone, dal quale viene gratificato di bestia, o Arcesila, dal quale ascolta: "Tu forse dici il vero, ma io devo indagare più attentamente". Non è evidente che ad Epicuro tutto il portico sembra matto e gli accademici, in paragone, uomini moderati e cauti?(Cicerone, Varro, framm. 34 t. A). Allo stesso modo Cicerone offre con molta erudizione, nei confronti di quasi tutte le sette, come uno spettacolo divertente ai lettori per far notare che non v'è alcuno il quale non si arroghi il primo posto e non attribuisca un posto secondario a chi avverte che non controbatte ma dubita. Il fatto d'altronde è ineluttabile. E su questo punto io non li avversero e non togliero nulla della loro gloria.

Al consesso dei filosofi, contro l'arringa di Cicerone, Agostino accusa la vanagloria accademica.

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8. 17. E sia pure concesso a qualcuno di ritenere che nel passo citato Cicerone non abbia inteso scherzare, ma conoscere e raccogliere alcune futili e vuote raccomandazioni perché rifuggiva dalla leggerezza dei minori filosofi greci. Nulla m'impedirebbe, se volessi ribattere la boria accademica, di dimostrare che è minor male non essere filosofo che essere incapaci di divenirlo. Ne consegue che quell'accademico vanagloriosetto, presentatosi ad ognuno e non avendo alcuno potuto persuaderlo della propria opinione, venga infine schernito con unanime consenso. Ormai infatti ognuno giudicherà che qualsiasi altro avversario non ha appreso nulla, ma che quegli è perfino incapace di apprendere. Da quel momento egli sarà buttato fuori da ogni scuola non con le sferze, il che produrrebbe più vergogna che dolore, ma con le clave e i bastoni di quei tali che portano soltanto il mantello. Non sarà davvero una grande impresa invocare contro una comune peste le forze ausiliatrici dei cinici come se fossero quelle di Ercole. E se mi andasse a genio di disputar con loro per una gloria tanto meschina, e a me filosofante ma non ancor filosofo si dovrebbe consentire più facilmente simile intento, non avrebbero da ribattere. Supponiamo dunque che io e un accademico ci imbattiamo nelle suddette liti filosofiche. Siano tutti presenti ed espongano brevemente, secondo il tempo disponibile, le rispettive opinioni. Si chieda a Carneade la sua opinione. Affermerà di dubitare. Percio ognuno lo preferirà agli altri. Dunque tutti a tutti gli altri. Grande e altissima gloria in verità. Chi non vorrebbe imitarlo? Anche io percio interrogato rispondero alla stessa maniera. Eguale sarà la lode. Dunque un filosofo viene fregiato di una gloria, in cui un non filosofo viene eguagliato a lui? E se lo superasse anche? La vergogna rimarrebbe senza effetto? Comunque io fermero l'accademico che si affretta a sgusciar via dal tribunale poiché la stoltezza è troppo avida di una gloria simile. Dunque io, trattenutolo, manifestero ai giudici cio che ignorano e diro: Io, o uomini eccellenti, ho in comune con costui che dubito se qualcuno di voi è capace del vero. Ma abbiamo anche due diverse opinioni sulle quali vi prego di giudicare. Ho udito le vostre decisioni, ma per me, ad esser sincero è incerto dove sia il vero appunto perché non so se qualcuno di voi è filosofo. Ma costui afferma che anche il filosofante non ha scienza di qualche cosa, neanche del filosofare da cui si denomina filosofante. Ognuno vede di chi sarà la palma. Infatti se il mio avversario ammetterà simile conclusione, lo superero in gloria. Se poi, arrossendo di vergogna, confesserà che il filosofo ha scienza del filosofare, lo vincero per la validità della mia tesi.

Il dubbio accademico e la definizione di Zenone.

3018
9. 18. Ma passiamo da questo tribunale di contese in un altro luogo dove non ci molesti la turba e magari nella stessa scuola di Platone. Si dice appunto che abbia ricevuto la denominazione dal fatto che era separata dal popolo. Quivi non discutiamo più della gloria, il che è futile e fanciullesco, ma per quanto è possibile a noi, della vita e di una certa speranza dell'animo felice. Gli accademici negano che si possa avere scienza di qualche cosa. E perché codesta vostra opinione, o uomini pensosissimi e dottissimi? Ci ha indotto, rispondono, la definizione di Zenone. E, scusate, perché? Se è vera, conosce qualche cosa di vero chi conosce almeno quella. Se poi è falsa, non avrebbe dovuto mettere in subbuglio uomini tanto coerenti. Ma vediamo cosa dice Zenone. Puo essere rappresentato e ritenuto come certo l'oggetto che non abbia caratteri comuni col falso. E questo proprio, o platonico, ti ha spinto a ritrarre con tutte le energie gli allievi dalla speranza di apprendere? Ne consegue che, anche a causa d'un certo lacrimevole torpore mentale, abbandoneranno completamente l'esercizio del filosofare.

Un dilemma: o l'uomo non è filosofante o se lo è, è filosofo.

3019
9. 19. Ma come non dovrebbe metterlo in subbuglio se non si dà il vero e se non si puo ritenere con certezza se non cio che è vero? E se è cosi, si doveva dire che il filosofare non spetta all'uomo piuttosto che il filosofo non sa perché vive, non sa come vive, non sa se vive ed infine anche, e nulla si puo affermare di più perverso, di più maniaco e pazzesco, che è filosofante e non ha scienza del filosofare. Fra le due cose qual è la più atroce: che l'uomo non puo esser filosofo o che il filosofante non ha scienza del filosofare? Su questo secondo punto non si puo discutere se il problema non è stato impostato in maniera da essere risolto. Ma se fosse affermata la prima parte, gli uomini sarebbero completamente distolti dal filosofare. Al contrario devono essere attratti dal soave e augusto nome della filosofia. Non deve avvenire che, giunti alla tarda età senza avere nulla appreso, ti scaglino le peggiori imprecazioni poiché non avendo provato almeno i piaceri sensibili, ti son venuti dietro verso i tormenti dello spirito.

Gli uomini non devono esser distolti dal filosofare.

3020
9. 20. Ma vediamo chi soprattutto li potrebbe distogliere dal filosofare. Ci potrebbe esser qualcuno che dica: "Ascolta, amico, il filosofare, non è la filosofia; è soltanto esercizio alla sapienza. Se tu ti ci applicherai, non diverrai certamente sapiente nella vita terrena poiché la sapienza è presso Dio e non puo spettare all'uomo. Ma quando con tale esercitazione ti sarai abbastanza esercitato e purificato, il tuo spirito facilmente godrà di essa dopo questa vita, cioè quando avrai cessato di essere uomo". Un altro potrebbe dire: "Applicatevi, o mortali, al filosofare. Se ne ha un grande vantaggio poiché non v'è cosa più preziosa del filosofare per l'uomo. Applicatevi dunque per essere filosofanti e non avere scienza del filosofare". "Ma io, obietterebbe, non direi cosi". "Ma il tuo è ingannare poiché non si troverà altro insegnamento. Ed avviene che, se dici cosi, ti fuggono come un pazzo, se li addurrai in altro modo, rendi pazzi loro. Ma ammettiamo che gli uomini non vogliano filosofare tanto per l'uno come per l'altro modo d'intenderlo. Se la definizione di Zenone ti costringeva a dire qualche cosa di svantaggioso per il filosofare, o pover'uomo, si dovevano dire al tuo simile parole che lo inducessero al travaglio e non parole che ti esponessero al suo scherno".

Altro dilemma contro Arcesila: o si puo esprimere il vero o non si dà filosofia.

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9. 21. Non siamo ancora filosofi, ma esaminiamo egualmente, nei limiti consentiti, la definizione di Zenone. Egli ha detto che quell'oggetto puo essere rappresentato come vero che appare in maniera da non apparire falso. Ed è manifesto che è impossibile darne un altro come certo. "Ma, dice Arcesila, anche io lo ammetto e per questo appunto insegno che nulla puo esser dato come certo. In definitiva è impossibile trovare un tale oggetto". "Forse da te o da altri non filosofi; ma perché non si potrebbe dal filosofo? Ed io son d'avviso che anche all'indotto non si potrebbe rispondere se ti dicesse di ribattere col tuo famoso acume questa stessa definizione di Zenone e di dimostrare che essa puo esser falsa. Se non lo potrai, devi ammettere che la puoi dare per certa. Se poi riuscirai a ribatterla, devi ammettere che non lo puoi fare senza dar per certo qualche cosa. Io poi non scorgo che puo essere ribattuta e la giudico del tutto vera. Quindi quando ne ho scienza, sebbene non sia filosofo, ho scienza di qualche cosa. Ma sottoponiamola ad uno dei tuoi metodi dialettici. Usero un dilemma ben solido: o è vera, o è falsa. Se è vera, penso rettamente, se è falsa, si puo ritenere come certo qualche cosa anche se ha caratteri in comune col falso". "Ma com'è possibile?", obietta. "Quindi Zenone ha definito secondo verità e non ha errato chi, anche in questo punto, gli ha acconsentito. Non possiamo reputare di poca importanza e proprietà tale definizione. Essa, contro coloro che avrebbero addotto molti argomenti contrari alla conoscenza certa, nell'indicare le proprietà di cio che puo esser dato come certo, s'è mostrata essa stessa certa. E dunque definizione e modello di oggetti esprimibili come veri". "Se sia vera anche essa, mi obietta, non so. Ma poiché è probabile, su tale premessa dimostro che non v'è cosa alcuna che sia tale quale essa dichiara potersi rappresentare come certa". "Ma tu forse dimostri indipendentemente da tale premessa e, a mio avviso, ne vedi egualmente la conseguenza. Ma anche posto che non ne abbiamo conoscenza certa, anche in tal caso la scienza non ci abbandona. Sappiamo che essa o è vera o è falsa, dunque qualche cosa sappiamo. E sebbene non sia proprio essa a rendermi noioso, torno a giudicarla del tutto vera. Infatti o puo esser dato per certo anche il falso, ed è proprio questo che gli accademici temono ed in verità è assurdo, o non puo esser dato per certo neanche cio che è molto simile al falso. Quindi la definizione è vera. Ma esaminiamo quanto rimane.

Il problema della certezza (10, 22 - 13, 29)


LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 3004