LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 3022

Contro Carneade assonnato s'introduce il problema della certezza.

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10. 22. Sebbene questi motivi potrebbero esser sufficienti per la vittoria, non lo sono tuttavia per la piena vittoria. Vi son due affermazioni degli accademici, alla cui confutazione, per quanto ne siamo capaci, vogliamo accedere: Nulla puo esser dato per certo, e: Non si dà apodissi per l'assenso. Parleremo dell'apodissi fra poco; ora qualche altro concetto sulla certezza. Dite che proprio nulla si puo dar per certo? A questo punto s'è svegliato Carneade. Nessuno di costoro ha dormito più sodo di lui. Ha volto intorno lo sguardo sull'evidenza delle cose. E cosi, credo, parlando con se stesso, come avviene, si è detto: "Dunque, o Carneade, ma dici davvero che non sai se sei uomo o formica? Ovvero Crisippo avrà vittoria su di te? Noi affermiamo di non avere scienza delle cose che sono oggetto dell'indagine dei filosofi e che le altre non sono di nostra competenza. Se avro perplessità sulla mia dottrina alla luce di ogni giorno e comune a tutti, posso appellarmi alle tenebre degli ignoranti nelle quali veggono soltanto certi occhi divini. Se essi mi vedranno andare a tastoni e cadere, non possono svelarlo ai ciechi, soprattutto se orgogliosi e tali da vergognarsi d'imparare qualche cosa". Veramente, o greca abilità, te ne vai in giro pulitamente vestita e paludata, ma non ti accorgi che quella definizione non è soltanto l'insegnamento di un filosofo ma che è anche stabilmente fondata nel vestibolo della filosofia. Se tenterai di scalzarla, ti darai la scure sulle gambe. Infatti se essa verrà demolita e tu ce la farai a rovesciarla, non solo si puo dar per certo un qualche cosa, ma anche cio che è il più simile al falso. C'è un tuo nascondiglio dal quale ti avventi furiosamente contro gli incauti che vogliono passare. Ma un qualche Ercole ti soffocherà nel tuo antro come l'uomo bestia Caco e ti coprirà con le tue rovine insegnando che nel filosofare c'è un qualche cosa che tu non puoi rendere incerto come se fosse simile al falso. In verità stavo passando ad altro. Chiunque, o Carneade, mi spinge a farlo t'insolentisce enormemente perché suppone che io ti possa superare in qualsiasi tema e con qualsiasi dimostrazione come se tu fossi un morto. Se poi non lo suppone, è spietato perché mi costringe a lasciare la rocca incustodita e a combattere con te in campo aperto. Ho cominciato a venirti incontro, ma poi atterrito dal solo tuo nome, ho voltato le spalle e dall'alto della rocca ho lanciato una freccia a caso. Se ti ha colpito e che cosa ti ha fatto, lo vedranno i giudici del nostro duello. Ma di che cosa ho paura, imbecille che altro non sono? Se ben ricordo, sei morto. Anche Alipio non combatte più per la tua tomba. Ed è possibile che Dio mi difenda contro i tuoi mani.

Le antinomie sul mondo ridotte alla non contraddizione.

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10. 23. Sostieni che nel filosofare nulla si puo dare per certo. E per diffondere in lungo e in largo il tuo discorso, tiri fuori le liti e i dissensi dei filosofi e pensi di usarli come armi contro di loro. Quale giudizio, dici, potremo emettere fra Democrito e i primi naturalisti in merito alla discussione sull'unità o molteplicità dei mondi, quando non fu possibile l'accordo fra lui e il suo erede Epicuro? Infatti questo filosofo del piacere permette agli atomi, cioè i corpuscoli, di non seguire la retta ma di deviare di continuo, spontaneamente nelle linee degli altri atomi. Sembrerebbero quasi le sue concubine che a scopo di piacere abbraccia di nascosto. Ma cosi ha scialacquato tutto il patrimonio anche nelle liti. A me il problema non interessa. Se è di competenza della filosofia avere scienza di tale argomento, al filosofo non puo essere ignoto. Ma se è ben qualche cosa d'altro, del filosofare cosi inteso il filosofo ha scienza e quei problemi non cura. Io tuttavia, che sono ancora ben lontano anche dall'esser vicino a diventar filosofo, ho qualche nozione in materia naturalistica. Ritengo che il mondo o è uno o non è uno, se è uno o è di numero finito o infinito. Carneade insegnerebbe che tale dottrina è simile a una falsa. Allo stesso modo ho scienza che questo nostro mondo è stato cosi ordinato o dal meccanismo delle cose ovvero da una qualche provvidenza e che esso o è sempre stato e sempre sarà o ha cominciato ad essere ma non finirà o non ha avuto inizio nel tempo ma avrà fine o ha cominciato ad esistere ma non esisterà per sempre. E conosco in tal maniera innumerevoli altre nozioni in materia naturalistica. Simili proposizioni, in quanto implicano contraddizione, sono vere e non si puo negarne la validità in un rapporto qualsiasi col falso. "Ma, mi obietta l'accademico, prendi una delle parti della contraddizione". "No! perché sarebbe come affermare: non dire cio di cui hai scienza, di cio di cui non hai scienza. "Ma l'enunziazione rimane sospesa". "Piuttosto che cadere terra, è meglio che rimanga sospesa. Per l'appunto è piana, quanto dire che potrebbe esser riconosciuta come vera o falsa. Ed io dico che ne ho scienza. Tu affermi che questi concetti non appartengono alla filosofia e che non se ne puo avere alcuna scienza. Dimostrami piuttosto che io non ne ho scienza. O anche dimostra che le due parti della contraddizione sono ambedue false o che hanno qualche cosa di comune col falso sicché non si possa distinguere la vera dalla falsa".

Certezza del dato immediato di coscienza circa l'esistenza dei mondo.

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11. 24. "Come mai, mi obietta, che il mondo esiste se i sensi s'ingannano?". "Giammai le vostre argomentazioni hanno potuto eliminare la funzionalità dei sensi fino al punto da convincermi che niente si percepisce. Non avete nemmeno osato talora di tentarlo. Avete soltanto compiuto ogni sforzo per persuadere che il sensibile puo esser diverso da come appare. Io comunque chiamo mondo tutto questo, qualunque struttura abbia, che ci contiene e ci nutrisce, questo, dico, che appare ai miei sensi e che da me viene percepito come formato di terra e cielo o apparenza di terra e cielo. Se affermi che nulla mi appare, non saro in errore. Erra infatti chi pregiudizialmente annette apodissi alle apparenze. Voi dite che ai soggetti senzienti puo apparire il falso, ma non dite che nulla appare. Si toglierà completamente ogni motivo di discussione, che è il vostro dominio preferito, se non solo non abbiamo scienza di qualche cosa, ma neanche opinione. Se poi affermi che cio che mi appare non è il mondo, fai questione di nomi per puntiglio perché io l'ho chiamato mondo

Certezza delle verità matematiche.

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11. 25. "Anche se dormi, obietterai, il mondo è questo che ti appare?". "E stato già detto che chiamo mondo tutto cio che appare in tal modo. Ma se proprio vuoi chiamare mondo quello che appare a chi è desto e sano di mente, dimostra, se ce la fai, che coloro che dormono o son pazzi, non nel mondo dormono o son pazzi. E per tal motivo affermo che tutto questo meccanismo della massa dei corpi in cui siamo, sia che dormiamo, sia che siamo pazzi, sia che siamo svegli, sia che siamo sani di mente, o è uno o non è uno. Dimostra che questa enunziazione puo esser falsa. Se dormo infatti, non è assurdo che non dica nulla. Se poi mentre dormo, mi escono, come avviene talora, parole di bocca, non è assurdo che le dica non in questo posto, non seduto come ora, non con questi ascoltatori. Ma è assurdo che tutto questo sia falso. E non affermo di averne certezza perché son sveglio. Puoi anche contestarmi che mi puo apparire mentre dormo e che per tal motivo puo avere molta somiglianza col falso. Se ci sono uno e sei mondi, è evidente che fanno sette mondi in qualsiasi maniera io li abbia percepiti e non pregiudizialmente io posso affermare di averne scienza. Dimostra che tale enunziato ovvero le anzidette parti della contraddizione possono esser false o a causa del sonno o della pazzia o per la fallacia dei sensi e mi arrendo se svegliatomi ricordero di averli sognati". Credo che ormai è abbastanza evidente che cio che appare falso perché immaginato nel sonno o nella pazzia dipende esclusivamente dai sensi del corpo. Il prodotto di tre per tre eguale a nove e le potenze dei numeri puri è necessario che siano veri anche se l'uman genere russa. Comunque osservo che anche a favore dei sensi si possono allegare molte ragioni che non ritroviamo contestate dagli accademici. Penso che non si dia colpa ai sensi per il fatto che i pazzi soffrono di allucinazioni e che nel sonno vediamo false immagini. Se essi hanno trasmesso a chi è sveglio dei sensibili veri, non si deve loro attribuire cio che l'animo del dormiente o del pazzo immagina.

Certezza del dato immediato di coscienza circa i sensibili.

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11. 26. Rimane da esaminare se, quando essi trasmettono, trasmettono il vero. Supponiamo dunque che un epicureo dica: "Non ho da lamentarmi dei sensi. E ingiusto pretendere da essi oltre le loro possibilità; tutto cio che possono percepire lo percepiscono". "Dunque è vero cio che vedono del remo immerso nell'acqua?". "Certamente vero poiché esiste una causa per cui appare cosi. Se il remo, immerso nell'acqua, apparisse dritto, piuttosto allora accuserei gli occhi di una falsa impressione. Infatti non vedrebbero cio che, date quelle cause, doveva esser veduto. E perché andare a lungo? Altrettanto si dica delle oscillazioni delle torri, delle penne degli uccelli e degli innumerevoli altri casi". "Io tuttavia, dirà qualcuno, m'inganno se presto l'assenso". "Non prestar l'assenso più di quanto tu ritenga certo che cosi ti appare e non vi sarà inganno". Non capisco come l'accademico puo ribattere chi dice: "Io ho coscienza che questo oggetto mi appare candido, che da questo suono il mio udito prende diletto, ho coscienza che questa cosa ha buon odore, che questa vivanda ha buon sapore, che questo oggetto è per me freddo". "Dimmi piuttosto se le foglie dell'ulivo selvatico, che il becco appetisce con tanto gusto, sono per se stesse amare". "O uomo disonesto! Il becco stesso è più assennato di te. Io non ho coscienza come siano per il becco, per me sono amare. Che vuoi di più?". "Ma v'è forse anche qualche uomo per cui sono amare". Ma vuoi proprio diventare insopportabile? Ho detto forse che sono amare per tutti? L'ho detto per me e non l'affermo per tutte le circostanze. Che cosa v'è di strano se, in circostanze diverse e per altre cause, una medesima cosa si sente in bocca ora dolce ora amara? Io affermo questo: che l'uomo, nell'atto di gustare un cibo, puo giurare in buona fede che esso è piacevole al suo palato, o il contrario, e che non puo essere smosso da questa sua persuasione da qualsiasi sorite di marca greca. Nessuno puo osare di dirmi, mentre sto assaporando gustosamente qualche vivanda: "Bada che non lo stai gustando, è soltanto un sogno". Ma io non ribatto. Tuttavia mi arrecherebbe diletto anche nel sonno. Quindi non v'è somiglianza con cose false che possa rendere incerto cio di cui affermo di esser cosciente. Epicuro e i cirenaici potrebbero addurre a favore dei sensi molti altri motivi contro dei quali non conosco obiezioni degli accademici. Ma a me che importa? Se vogliono e riescono ad eliminare tali motivi, possono farlo anche con la mia approvazione. Le loro obiezioni contro i sensi non riguardano tutti i filosofi. Ce ne sono molti infatti i quali ammettono che le conoscenze derivate all'intelligenza dal senso possono generare l'opinione, ma non scienza. E ritengono che essa è propria del pensiero e, separata dai sensi, sussiste nella mente. E forse nel loro numero c'è anche il filosofo che stiamo cercando. Ma sull'argomento altrove. Passiamo ad altri concetti. Ormai, grazie a quanto abbiamo già detto, potremo, a mio avviso, spiegarli in poche parole.

Principi morali e non contraddizione.

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12. 27. In che cosa il senso favorirebbe od ostacolerebbe chi indaga sulla moralità? Il collo della colomba, la eco, un peso grave per l'uomo e leggero per i cammelli e mille altri casi non impediscono coloro stessi, i quali riposero il bene sommo e ideale dell'uomo nel piacere, di affermare che hanno coscienza di ritrar piacere dalle sensazioni piacevoli e dolore da quelle dolorose. E non veggo che cosa si potrebbe loro obiettare. Molto meno costituiscono difficoltà per chi ripone la perfezione del bene nello spirito. "Quale scegli fra le due opinioni?". Se chiedi la mia opinione, ritengo che il bene sommo dell'uomo è nella mente. Ma ora qui si parla di scienza. Quindi chiedilo al filosofo che non puo non avere scienza del filosofare. Frattanto a me, che sono tardo e indotto, è lecito sapere che il fine della perfezione umana, cui è connessa la felicità, o non esiste o è nello spirito o nel corpo o in entrambi. Convincimi, se ti riesce, che io non ho scienza di tale motivo poiché le vostre celebri dimostrazioni non convincono affatto. Non ci riuscirai dal momento che non troverai a quale falso si rassomigli. Non devo dunque esitare a concludere l'attendibilità della mia opinione che il filosofo ha scienza di tutte le verità contenute nella filosofia quando io già ne ho conosciute tante.

Il dato immediato di coscienza e l'agire.

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12. 28. Ma forse teme di scegliere il bene sommo mentre dorme. Poco male. Quando si sveglierà, lo rifiuterà se gli dispiace, lo accetterà se gli piace. Nessuno lo puo giustamente biasimare perché ha commesso un errore nel sonno. O forse temerai che smarrisca la saggezza se nel sonno accetterà l'errore a posto della verità? Neanche uno che dorme oserebbe sognarsi di chiamare filosofo un tale se è sveglio e di negarlo se dorme. Altrettanto si puo dire della pazzia. Ma ho fretta di passare ad altri argomenti. Tuttavia non lascio questo tema senza una fondata conclusione: o la filosofia si smarrisce con la pazzia e quindi non sarà filosofo colui di cui gridate che ignora il vero; o la scienza che possiede rimane nell'intelligenza anche se la rimanente parte dello spirito ricostruisce, come nel sonno, cio che ha ricevuto dai sensi.

Non contraddizione, dialettica e certezza.

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13. 29. Rimane la dialettica. Certamente il filosofo ne ha adeguata conoscenza e non si puo avere scienza del falso. Se poi non ne ha scienza, la conoscenza di essa non è di pertinenza del filosofare se senza di essa è potuto esser filosofo. Ma in tal caso indaghiamo inutilmente se è vera e se puo esser ritenuta come certa. A questo punto mi si potrebbe dire: "Tu, o uomo indotto, sei solito parlare di quel che sai ovvero non hai potuto avere qualche nozione sulla dialettica?". Ma io ne so più di qualsiasi altra parte della filosofia. Proprio essa mi ha insegnato che son vere tutte quelle proposizioni che dianzi ho formulato. Inoltre per suo mezzo conosco molte altre verità. E voi contate, se ce la fate, quante sono: se in natura vi sono quattro elementi, essi non sono cinque; se il sole è uno, non sono due; non puo la medesima anima perire ed essere immortale; non si puo essere insieme felici e infelici; in questo luogo non è contemporaneamente giorno e notte; in questo momento o siamo svegli o dormiamo; o è corpo cio che mi appare o non è corpo. Ho appreso per mezzo della dialettica che queste, e molte altre proposizioni, che sarebbe lungo enumerare, sono vere, qualunque sia l'attitudine dei nostri sensi, cioè vere in se stesse. Mi ha insegnato che se si verifica la parte antecedente di una delle proposizioni condizionali da me formulate, essa trae necessariamente quanto vi è implicito e che le proposizioni da me formulate secondo il principio di contraddizione e del terzo escluso hanno questa caratteristica che, se si escludono le altre parti, una o più, ne rimane una che ha la sua verifica dall'esclusione delle altre. Mi ha insegnato anche che quando è chiaro il concetto che viene espresso con le parole, non si deve far questione di parole. Chiunque lo fa, se agisce per impreparazione deve essere istruito, se per slealtà si deve lasciare a se stesso. Se non puo essere istruito, deve essere esortato a dedicarsi a qualche altra occupazione anziché perdere tempo e possibilità inutilmente; se non dà ascolto, si deve non calcolarlo. Breve è l'ammaestramento nei riguardi dei paralogismi e sofismi. Se la loro illazione deriva da illegittima conseguenza, si deve riesaminare quanto è stato indebitamente concesso. Se mescolano in una sola proposizione vero e falso, si deve isolare cio che è oggetto di pensiero e lasciare cio che è illogico. Se poi il significato di alcune nozioni è completamente nascosto all'uomo, non se ne deve ricercare la conoscenza. Dalla dialettica ricevo questo insegnamento e molti altri che non è necessario ricordare. Non vorrei proprio diventar noioso. Comunque il filosofo disprezza le false argomentazioni. Se poi, com'è difatti, la consummante dialettica è scienza per sé di verità, la conosce in maniera che disprezzando e non avendo pietà faccia morir di fame il sorite ricattatore degli accademici: Se è vero, è falso e se è falso, è vero. Penso che basti sul problema della certezza. Quando comincero a parlare dell'apodissi, tutto l'argomento sarà riesaminato.

Il problema dell'apodissi (14, 30-17, 37)

Apoditticità e aporeticità del filosofare.

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14. 30. Veniamo a quel settore del problema, sul quale Alipio ancora mantiene il dubbio. E prima di tutto esaminiamo proprio il significato di quel concetto che, appunto per la sua validità come pensiero, t'impone l'aporia. Si tratta appunto del tema della più solida innegabile probabilità che il filosofo ha scienza del filosofare in opposizione alla tesi che il filosofo non ha scienza di qualche cosa. A più forte ragione non si dà apodissi, hai detto, se questa tua nuova intuizione abbatte la dottrina degli accademici suffragata da tante e tante ragioni. Con questo si verrebbe ad ammettere che anche con abbondanti e sottilissime argomentazioni non si puo ottenere una persuasione, alla quale, da parte degli avversari, se c'è ingegno, non si puo resistere non meno e forse anche più vigorosamente. Ne consegue che l'accademico, nell'atto stesso che è sconfitto, sconfigge. Magari fosse sconfitto! Non otterrebbe col raggiro proprio dei greci di allontanarsi da me assieme vinto e vincitore. Certo che se non trovo altro da affermare contro la tesi accademica, anche io dichiarero la mia resa senza condizioni. Non disputiamo per acquistarci la gloria, ma per raggiungere la verità. A me basta passare al di là di questo ingombro che s'incontra da chi si avvia al filosofare. Esso, ammassando tenebre in non saprei quali angoli, incute il timore che cosi sia tutto il filosofare e non permette la speranza di trovare un po' di luce. Per il momento non ho da desiderare di più poiché è già probabile che il filosofante ha scienza di qualche cosa. Infatti non per altro motivo era verosimile che egli dovesse sospendere l'assenso se non perché era verosimile che nulla puo essere espresso come vero. Ma è superato questo punto. E stato già ammesso che il filosofante ha come certo per lo meno il filosofare. Non dovrebbe quindi rimanere alcun dubbio che il filosofante accetti l'apodissi per lo meno del filosofare. Sarebbe certamente più assurdo che il filosofante non ammetta l'apodissi del filosofare anziché il filosofante non abbia scienza del filosofare.

Per assurdo il filosofante contro l'apoditticità del filosofare.

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14. 31. E per favore poniamoci, per cosi dire, davanti agli occhi per un momento, se ci riusciamo, una immaginaria lite tra il filosofante e il filosofare. Il filosofare puo affermare soltanto che è filosofare. E quegli di rimando: "Non credo". Ma chi dice al filosofare: "Non credo che è il filosofare"? E proprio colui al quale esso ha potuto parlare e nel quale s'è degnato abitare, cioè il filosofante stesso. Avete un nuovo genere di combattimento, il duello fra filosofante e filosofare. Io me ne sto tranquillo con voi ad osservare. Chi non penserebbe che il filosofare deve rimanere invitto? Tuttavia riforniamoci di qualche dilemma. In questo combattimento o l'accademico sconfiggerà il filosofare e rimarrà sconfitto da me perché non sarà più filosofo, o rimarrà sconfitto e gli insegneremo che il filosofante deve ammettere l'innegabilità del filosofare. Pertanto o l'accademico non è filosofante o il filosofante deve ammettere come innegabile qualche cosa. Chi non ha avuto il coraggio di dire che il filosofante non ha scienza del filosofare, non l'avrà neanche per dire che il filosofante non ammette l'innegabilità del filosofare. Ma è già verosimile che spetta al filosofante per lo meno la conoscenza certa del filosofare e non v'è motivo perché non si ammetta l'apodissi di quanto si puo ritenere come certo. Noto quindi che è verosimile il mio assunto e cioè che il filosofante deve ammettere l'apodissi del proprio filosofare. Se mi chiederai dove trova il filosofare, rispondo che lo trova nel suo Io. Se mi obietti che egli non ha scienza di cio che ha nel suo Io, ritorni nell'assurdo che il filosofante non ha scienza del filosofare. E se affermi che non si puo dare il filosofante, tratteremo il problema in altri termini e non già con gli accademici ma con te, chiunque tu sia che cosi pensi. Comunque, quando essi parlano sull'argomento, parlano certamente del filosofante. Cicerone grida che egli è un grande formulatore d'opinioni, ma che egli indaga su filosofo (Cicerone, Lucullus, 20, 66). E se questo passo vi è ignoto, o giovani, avete certamente letto ne L'Ortensio: Se dunque nulla v'è di certo e non è del filosofo l'opinare, il filosofo giammai presterà l'assenso a qualche (Cicerone, Hort. Framm. 100 t. A). Da qui appare che essi con le loro discussioni portano l'indagine sul filosofante. Per questo le stiamo ribattendo.

Reversibilità fra certezza e apodissi.

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14. 32. Dunque io penso che per il filosofante il filosofare è certezza, quanto dire che il filosofante ha conoscenza certa del proprio filosofare. Pertanto egli non opina quando associa apodissi al filosofare perché ritiene innegabile quel qualche cosa che se non avesse ritenuto come certo, filosofante non sarebbe. E costoro non negano che si debbano ritenere innegabili le nozioni che possono essere conosciute con certezza. Ora il filosofare è qualche cosa. Poiché dunque il filosofante ha scienza del filosofare e ritiene innegabile il filosofare, ne consegue che egli ha scienza di qualche cosa e annette apodissi a qualche cosa. Che volete di più? Ma indaghiamo anche sull'errore. Essi affermano che si puo evitare con assoluta certezza se l'apodissi non induce il pensiero a qualche enunziazione., Erra, dicono, chiunque formula un giudizio non solo falso, ma anche dubbio, sebbene vero, ma io trovo che ogni conoscenza è dubbia. Ma il filosofante, come dicevamo, trova lo stesso filosofare.

Apodissi e vita pratica.

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15. 33. Voi. desiderate forse che io abbandoni questo argomento. Ma non si dovrebbero lasciare con tanta facilità le posizioni sicure. Stiamo battendoci con uomini astutissimi. Tuttavia faro come volete. Ma che devo dire a questo punto? Che cosa? Che cosa mai? Si deve certamente tornare al vecchio argomento, sul quale anche essi hanno una loro tesi. Ma non so come comportarmi se mi costringete ad uscire dal mio accampamento. Dovro forse invocare le forze ausiliarie dei dotti? Se con essi non potro vincere, sarà meno vergognoso esser vinto. Scagliero dunque, con quante forze m'è possibile, il piuttosto affumicato e graffiato ma, salvo errore, sempre efficientissimo dardo: Chi non raggiunge apodissi, non agisce (Sensi Emp., Adv. math. 7, 158). "O individuo villereccio! E il probabile dov'è andato a finire? E il verosimile?". Questo volevate allora. Udite come risuonano gli scudi ellenici. Hanno ricevuto un colpo molto forte. Ma con qual mano l'abbiamo lanciato? E questi miei amici non sanno suggerirmi qualche cosa di più valido. Non abbiamo prodotto, come osservo, neanche una ferita. Mi volgero agli argomenti che mi forniscono la villa e la campagna. I sussidi culturali mi appesantiscono, non mi difendono.

Il racconto dell'incredulo e del credulone e l'errore come inganno.

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15. 34. Libero da occupazioni, ho meditato a lungo, in questa campagna, come possa il probabile ossia verosimile difendere le nostre azioni dall'errore fino a tal punto. Dapprima la tesi, come allora quando vendevo chiacchiere, mi sembro ben coperta e difesa. In seguito, quando l'ho esaminata più attentamente da ogni lato e nel complesso, mi parve di scoprire un passaggio attraverso il quale l'errore si poteva avventare sui troppo fiduciosi. Penso in definitiva che non solo va fuori strada chi segue il cammino sbagliato, ma anche chi si astiene dal seguire il retto cammino. Supponiamo che due viandanti tendano alla medesima meta. Uno ha deciso di non credere a nessuno e l'altro è fin troppo credulone. Si giunge a un bivio. Il credulone si rivolge a un pastore o a un contadino presente: "Salve, buon uomo, dicci per favore da qual parte si va per tale località". Gli si risponde: "Se vai di qua, vai bene". E quegli al compagno: "Dice bene. Andiamo di qua". Se la ride l'uomo troppo diffidente e motteggia scherzosamente l'altro che tanto facilmente ha creduto. Frattanto, mentre l'altro se ne va, si ferma al bivio. Ma comincia ad accorgersi che non è dignitoso arrestarsi.. Ed ecco che dall'altro capo della strada si avvicina un uomo a cavallo. Ha l'aspetto elegante e piacevole. Il nostro uomo si rallegra. L'altro sopraggiunge ed egli lo saluta. Poi gli indica la meta che deve raggiungere e chiede il cammino. Espone anche il motivo del proprio indugio per aggraziarselo col preferirlo al pastore. Quegli per caso era un ciurmadore, proprio di quelli che ormai il popolo chiama samardoci. Il farabutto, pur senza vantaggio, si comporto da quel che era. "Passa di qua, disse, ne vengo io stesso". Inganno e prosegui. Ma perché poté essere ingannato quest'uomo? "Io, disse a se stesso, non accetto l'indicazione come vera, ma come verosimile. E rimaner qui ozioso non è né onesto né utile, me ne devo andare". L'altro forse erro reputando vere con tanta disinvoltura le parole del pastore. Ma intanto, prestando fede, si stava già ristorando nel luogo dove erano diretti. Costui al contrario non erra perché si fa dirigere dal probabile. Ma intanto vaga per non so quali selve e non trova più nessuno cui sia noto il luogo prefisso come meta. Vi confesso sinceramente che non ho potuto trattenermi dal ridere quando ho pensato che nella tesi degli accademici si ha, non saprei come, una insignificanza. Erra chi, sia pure per caso, tiene il giusto cammino e pare almeno che non erri chi è stato indirizzato, in base a indicazione probabile, per monti senza sentieri e non ha raggiunto la meta prefissa. E tanto per condannare una ingiustificata apodissi, dico che errano tutti e due anziché dire che questi non erra. Reso quindi più vigile nei confronti della terminologia accademica, ho cominciato ad esaminare le loro azioni e i loro costumi. Mi vennero allora in mente molti motivi e cosi importanti che smisi di ridere, ma sentii in parte nausea ed in parte dolore che uomini assai dotti e intelligenti fossero incorsi in tanta ipocrisia e falsità di pensiero.

L'errore come peccato.

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16. 35. A ben riflettere infatti, forse non chiunque erra pecca Tuttavia si deve ammettere che chiunque pecca commette errore o qualche cosa di peggio. Mettiamo il caso che un giovane li oda mentre affermano: "E indegno commettere errore, percio non dobbiamo nulla accettare per apodissi. Se qualcuno esegue un'azione che gli sembra probabile, non pecca e non erra. Basta ritenere che ogni oggetto che gli si presenta alla mente ovvero ai sensi non si deve per apodissi accettare come vero". Il giovane, che ha udite tali cose, insidierà la donna altrui. Chiedo l'assistenza legale a te, proprio a te, Marco Tullio. Stiamo trattando dei costumi e della vita dei giovani, alla cui educazione e formazione (Cicerone, De div. 2, 2, 4) è stata rivolta tutta la tua produzione letteraria. Tu dirai che per te non è probabile il comportarsi del giovane in tal modo. Ma per lui è probabile. Infatti se regoliamo la vita secondo cio che è probabile agli altri, anche tu non avresti dovuto amministrare lo Stato. Ad Epicuro è sembrato che non si dovesse fare. Dunque quel giovane farà adulterio con la donna d'altri. Se sarà scoperto, dove ti troverà per farsi difendere? Ma anche posto che ti trovasse, che potrai dire? Certamente negherai l'addebito. E se fosse flagrante da non poterlo negare? Cercherai di persuadere, come hai fatto nell'adunanza di Cuma e ancor più in quella di Napoli, che egli non ha commesso colpa, anzi perfino che non ha errato. Difatti non ha ritenuto come vero che non si deve commettere adulterio, gli si è presentato soltanto come probabile, l'ha seguito, l'ha commesso. Ma forse non l'ha commesso, ma ha opinato di averlo commesso. Il marito, uno sciocco, va scompigliando ogni cosa con processi reclamando il riconoscimento della fedeltà della moglie. E forse, anche in questo momento, senza averne coscienza certa, sta dormendo con lei. I giudici, se ben comprenderanno la situazione, o non si cureranno degli accademici e puniranno il reato come veramente commesso, ovvero dando ascolto a loro condanneranno l'uomo in base al criterio di verosimiglianza e probabilità. Il difensore non saprà più che cosa fare. Non avrà più alcuno con cui prendersela. Tutti affermeranno di non avere errato dal momento che, senza dare per certo qualche cosa, hanno fatto cio che ritenevano probabile. Egli abbandonerà quindi il ruolo di difensore e assumerà quello di filosofo consolatore. Cosi potrà agevolmente persuadere il giovane, il quale ormai avrà fatto notevoli progressi nell'Accademia, che si convinca di essere stato condannato in sogno. Ma voi state pensando che io burli. Potrei giurare per tutti gli dèi che non so proprio come quel tale ha potuto commettere colpa se non la commette chiunque potrà fare cio che ritiene probabile. Ma forse dimostreranno che sono completamente diversi l'errare e il peccare, che si sono adoperati con quella teoria a non farci errare e che non hanno tenuto in alcuna considerazione il commettere colpa.

Il probabile non ci fa evitare la colpa.

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16. 36. Non parlo degli omicidi, parricidi, sacrilegi ed insomma di tutte le trasgressioni e delitti che si possono commettere o pensare e che vengono giustificati con poche parole e, quel che è peggio, davanti a giudici molto saggi. "Nulla ho accettato per apodissi e quindi non ho errato. E perché non avrei dovuto fare cio che m'è sembrato probabile?". Ma ci potrebbero essere alcuni, i quali ritengano che non si puo persuadere col criterio della probabilità a commettere delitti. Leggano allora il discorso di Catilina, col quale costui rese accettabile il parricidio della patria, scelleratezza che tutte le contiene. Ma ormai chi non schernirà tale tesi? Essi dicono che nell'agire seguono soltanto il probabile e cercano con impegno la verità sebbene sia per loro probabile che non puo essere raggiunta. Incredibile assurdità! Ma abbandoniamo questo soggetto. Esso non riguarda noi, la norma del nostro vivere, la problematicità del nostro destino. Cio che è fondamentale, angoscioso e temibile da ogni uomo onesto è che egli puo commettere, senza condannare non solo il delitto ma neanche l'errore, qualsiasi colpa se sarà probabile la tesi del dover compiere l'azione che ad ognuno sembra probabile. Basta che nulla si accetti come vero. "E allora? Ma costoro non hanno riflettuto su tali cose?". Anzi vi hanno riflettuto con molta capacità e accortezza. Diversamente io non avrei osato per nessun motivo seguire in certi limiti Marco Tullio per la sua capacità, diligenza, ingegno ed insegnamento. Tuttavia, mentre egli afferma che l'uomo non puo avere, scienza di qualche cosa, non avrebbe nulla da ribattere se gli si obiettasse soltanto: "Ho scienza di opinare cosi".

Esame critico storico: l'esoterismo dell'Accademia (17, 37-19, 41)

Formazione e dottrina di Platone.

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17. 37. Perché dunque uomini tanto eccellenti insegnarono con dispute interminabili ed ostinate l'opinione che all'uomo non spetta scienza del vero? Ascoltate ancora per un po' non una mia conoscenza precisa ma una mia teoria in proposito. Ho lasciato l'argomento per ultimo allo scopo di spiegare, se m'è possibile, la mia opinione sul modo di pensare degli accademici. Platone fu l'uomo più sapiente e colto del suo tempo e parlo in maniera da render grandi le teorie che esponeva e ne espose di tali che, comunque le avesse esposte, non sarebbero divenute piccole. Si dice che dopo la morte di Socrate suo maestro, che aveva amato in maniera singolare, aveva appreso anche molte idee dai Pitagorici. Ora Pitagora non era pienamente soddisfatto della filosofia greca che allora era pressoché inesistente o per lo meno era molto segreta. Quindi era stato convinto dalle dispute di un certo Ferecide siriaco a creder nell'immortalità dell'anima. Aveva in seguito udito molti filosofi viaggiando in varie parti. Si dice dunque che Platone associo alla finezza e perspicacia di Socrate sui problemi morali la conoscenza di cose naturali e divine che aveva derivato con assidua applicazione dagli anzidetti filosofi. Vi aggiunse la dialettica quasi creatrice e ordinatrice di quelle parti in maniera che essa s'identificasse con la filosofia e fosse tale che senza di essa non si desse filosofia. Diede dunque una perfetta sistemazione alla disciplina filosofica. Ma ora non è opportuno discuterne. E sufficiente al mio intento che Platone ha ideato l'esistenza di due mondi: uno intelligibile nel quale sussiste la verità stessa, e questo sensibile che noi, com'è manifesto, percepiamo con la vista e il tatto, quello vero e questo simile al vero e prodotto come immagine di quello. Di conseguenza da quello la verità si partecipa tersa e limpida, per cosi dire, nell'anima che conosce se stessa e da questo, al contrario, non la scienza ma l'opinione puo essere determinata nell'anima degli indotti. Ne conseguiva che puo essere considerato soltanto verosimile tutto cio che si compie in questa vita con l'esercizio delle virtù che definiva civili, simili alle vere virtù note soltanto a pochi sapienti.


LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 3022