LA CONTROVERSIA ACCADEMICA 3038

Gli scolarchi Polemone, Arcesila, l'esoterismo e Zenone.

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17. 38. Ritengo che tali dottrine ed altre simili furono conservate esclusivamente tra i suoi successori, per quanto possibile, e difese con dottrina esoterica. Infatti o esse non sono intese agevolmente se non da coloro che, purificandosi da tutti i vizi, si ritraggono in una specie di associazione di spiriti eletti ovvero non commette grave colpa chi conoscendole le vorrà insegnare a qualsiasi uomo. Ed ecco la mia ipotesi. Zenone, capo degli Stoici, entro nella scuola fondata da Platone e allora diretta da Polemone dopo che era stato uditore e seguace di alcuni filosofi. Ma fu ritenuto sospetto e non stimato tale che gli si potessero liberamente manifestare e affidare come leggi sacre le dottrine platoniche. Prima doveva dimenticare le teorie che, derivate da altri, aveva introdotto nell'Accademia. Muore Polemone e gli succede Arcesila, condiscepolo di Zenone mentre era uditore di Polemone.. Zenone stava formulando una sua tesi sul mondo ed in particolare sull'anima, a favore della quale veglia la vera filosofia. Affermava che essa è mortale e che non v'è se non questo mondo sensibile e che in esso non si compie attività alcuna se non mediante il corpo. Pensava perfino che anche Dio fosse fuoco. Il male cominciava a diffondersi. Mi pare quindi attendibile che Arcesila, con singolare avvedutezza e capacità organizzativa, occultasse del tutto la vera dottrina dell'Accademia e che la sotterrasse come oro da trovarsi più tardi dai posteri. Ora la moltitudine è più incline a cadere in false opinioni e per il continuo contatto con la materia si finisce col credere, facilmente ma dannosamente, che tutte le cose siano corporee. Egli dunque, uomo assai intelligente e colto, decise di far disimparare piuttosto a coloro che doveva tollerare come male istruiti anziché fare imparare a coloro che reputava meno capaci d'istruirsi. Da qui provennero tutte le tesi che si attribuiscono alla Nuova Accademia. I predecessori non ne avevano bisogno.

Carneade scolarca e Crisippo.

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17. 39. Che se Zenone, svegliatosi una buona volta, si fosse accorto che nulla si puo rappresentare come vero se non è un oggetto tale quale egli definiva e che questo oggetto non puo essere del mondo sensibile, cui egli tutto riduceva, da tempo sarebbero cessate completamente le discussioni di tal genere. Erano divampate per vera necessità. Ma Zenone, ingannato dallo specioso pretesto della coerenza di pensiero, come ritenevano gli accademici ed io anche, fu ostinato e la sua dannosa teoria materialistica si trasmise a Crisippo. Questi era assai capace. Le avrebbe quindi potuto conferire grande energia di più larga diffusione se da quella parte non gli avesse resistito Carneade, più rigido e vigile di tutti i predecessori. Mi meraviglio anzi come la dottrina stoica possa essere rimasta in vita negli anni successivi. Carneade prima di tutto, perché non sembrasse che voleva ribattere quasi per ostentazione tutte le affermazioni degli altri, abbandono il sistema sfrontato della diatriba. A causa di essa vedeva infamato, e non poco, Arcesila. Si propose comunque di sconvolgere e abbattere gli stoici e Crisippo.

La vita pratica e il probabilismo di Carneade.

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18. 40. In seguito fu attaccato da ogni parte col motivo che se non v'è nulla di accettabile, il saggio non avrebbe agito. Ed egli, uomo ammirevole e nel contempo non ammirevole se si pensa che proveniva dalle sorgenti di Platone, esamino filosoficamente quali azioni coloro ritenevano morali. Vedendole simili alle vere, non saprei quali, denomino verosimile la norma dell'agire in questa vita. Ma sapeva per dottrina e occultava per prudenza a quale cosa fosse simile e parlava anche di probabile. Considera facilmente probabile la copia chiunque ne intuisce il modello. Il filosofo non puo infatti approvare o seguire il simile al vero se ignora che c'è il vero in sé. Quindi essi conoscevano e ritenevano probabili le false apparenze, nelle quali scorgevano una notevole imitazione delle cose vere. Ma non era né permesso né facile manifestare il concetto agli altri considerati profani. Lo lasciarono quindi ai posteri e ai contemporanei cui fu possibile come un distintivo della loro dottrina. Ed evitavano gli altri, ferrati dialettici, accusandoli con scherno di far questione di parole. E per questo si dice che Carneade fu capo e fondatore anche della Terza Accademia.

I fati della Nuova e Nuovissima Accademia con Cicerone e Antioco.

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18. 41. In seguito la lotta, ormai esauritasi del tutto, continuo fino al nostro Tullio, quasi a render tronfia con l'estremo anelito la letteratura latina. Mi sembra infatti che non si dia discorso più tronfio di quello di uno scrittore, il quale, con tanta profusione ed eleganza, espone molte dottrine e la pensa diversamente. Tuttavia da tali venti abbastanza, a mio avviso, fu spazzato via e disperso il celebre platonico di paglia Antioco. I greggi degli epicurei intanto avevano costruito negli animi degli individui dediti al piacere degli stazzi esposti al sole. Antioco era stato uditore di Filone, uomo, a mio avviso, molto accorto, il quale aveva cominciato ad aprire le porte ai nemici costretti alla resa e a richiamare all'autorità di Platone le leggi dell'Accademia. Aveva già tentato di fare altrettanto Metrodoro. Questi, si dice, per primo manifesto che gli accademici non per tematica propria avevano insegnato che non si dà rappresentazione del vero, ma per necessità avevano usato simili armi contro gli stoici. Or dunque Antioco, avevo iniziato a dirlo, uditi l'accademico Filone e lo stoico Mnesarco, aveva fatto irruzione come cittadino e soccorritore, nella Vecchia Accademia priva, per cosi dire, di difensori e tranquilla per mancanza di nemici. Vi aveva diffuso dalle ceneri degli stoici non saprei quale contagio che violava il santuario di Platone. Ma riafferrate le vecchie armi resisté Filone fino alla morte e il nostro Tullio distrusse quanto rimaneva. Non tollerava che, lui vivo, fosse insozzato e contaminato cio che aveva amato. Cosi da quell'epoca dopo non molto tempo cessarono l'ostinatezza e la caparbietà. La parola di Platone, la più pura e limpida in filosofia, fugate le nubi dell'errore, torno a risplendere soprattutto in Plotino. Egli, filosofo platonico, fu giudicato tanto simile al maestro da sembrare che fossero contemporanei, ma è tanto l'intervallo di tempo da far ritenere che il primo si sia reincarnato nel secondo.

Filosofia e rivelazione (19, 42 - 20, 43)

Lo stato della filosofia al tempo di Agostino.

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19. 42. Oggi quasi non notiamo più filosofi se si eccettuano cinici, peripatetici e platonici. I cinici sono coloro che hanno una concezione materialistica ed edonistica della vita. Per quanto riguarda la concezione intellettualistica e quella spiritualistica dell'anima, non sono mancati uomini assai perspicaci e studiosi, i quali hanno affermato che Aristotele e Platone, nell'esposizione della loro dottrina, sono stati cosi concordi che soltanto agli ignoranti e meno perspicaci possono sembrare discordi. Quindi attraverso molti secoli e molte controversie è stato, a mio avviso, configurato un comune insegnamento della vera filosofia. Essa infatti non è filosofia del mondo sensibile, che le nostre sacre Scritture giustamente detestano, ma di un mondo sovrasensibile. Ma ad esso questa profonda speculazione non richiamerebbe le anime, accecate dalle multiformi tenebre dell'errore e rese dimentiche da un cumulo di scorie corporee, se il sommo Dio per benevolenza verso la massa, non avesse abbassato e calato l'autorità dell'intelligenza divina all'umana sensibilità. Le anime, mosse non solo dal suo insegnamento ma anche dalle sue opere, sono potute tornare in sé e ricordarsi della patria anche senza il concerto delle filosofie.

Fede ragione e l'esperienza di Agostino.

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20. 43. Io mi son fatto, frattanto opinativamente, come m'è stato possibile, questa opinione degli accademici. Se è falsa, non m'importa. Mi basta ormai di non ritenere pregiudizialmente che la verità non puo esser raggiunta dall'uomo. Chiunque poi pensa che tale fu la tesi degli accademici, ascolti lo stesso Cicerone. Ha detto che fu loro usanza occultare la propria dottrina e che erano abituati a non manifestarla ad alcuno a meno che fino alla vecchiaia non fosse vissuto con loro (Cicerone, Varro, fr. 35 t. A). Quale fosse, Dio lo sa. Penso che fosse quella di Platone. E poiché in poche parole conosciate ogni mia intenzione, vi manifesto che, qualsivoglia sia il contenuto dell'umana filosofia, sono consapevole di non averla ancora raggiunta. Ma ho appena trentatré anni, ritengo quindi di non dover disperare di raggiungerla alfine. Disprezzate comunque tutte le altre cose che i mortali reputano beni, mi son proposto di attendere alla sua ricerca. E poiché i ragionamenti degli accademici mi distoglievano da tale occupazione, con questa disputa, a mio avviso, mi sono abbastanza premunito contro di essi. Tutti sanno che noi siamo stimolati alla conoscenza dal duplice peso dell'autorità e della ragione. Io ritengo dunque come certo definitivamente di non dovermi allontanare dall'autorità di Cristo perché non ne trovo altra più valida. Riguardo poi a cio che si deve raggiungere col pensiero filosofico, ho fiducia di trovare frattanto, nei platonici, temi che non ripugnano alla parola sacra. Tale è infatti la mia attuale disposizione che desidero di apprendere senza indugio le ragioni del vero non solo con la fede ma anche con l'intelligenza".

Conclusione (20, 44-45)

La resa finale e la lode di Alipio uditore anziano.

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20. 44. 1 miei giovani uditori a questo punto si accorsero che avevo terminato di parlare. Era già notte e qualche parte del discorso era stata trascritta al lume della lucerna. Attendevano tuttavia, con lo sguardo fisso, se Alipio intendeva rispondere magari in un altro giorno. Ma egli disse: "Son disposto ad affermare che giammai da una discussione ho tratto tanto vantaggio quanto dal fatto che rimango sconfitto nell'attuale disputa. Ne rendero partecipi anche voi, commilitoni miei e giudici nostri. Forse anche gli accademici hanno desiderato talora di essere sconfitti dai posteri a queste condizioni. Infatti non si sarebbe potuto presentare o far udire a noi un discorso più piacevole per l'eleganza del dire, più ponderato per la serietà delle opinioni, più improntato all'umanità, più profondo in dottrina. Non riesco ad ammirare, come converrebbe, il fatto che i problemi che richiedevano asprezza sono stati trattati con tanta buona grazia, quelli difficili nella soluzione con tanto vigore, quelli polemici con tanta moderazione, quelli oscuri con tanta chiarezza. Quindi ormai, o miei alleati, mutate l'attesa, con cui m'incitavate alla risposta, in una più fondata speranza d'apprendere assieme a me. Abbiamo una guida che puo introdurci, con l'aiuto di Dio, nell'arcano santuario della verità".

Allievi troppo diligenti.

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20. 45. Essi mostrarono dal viso, con una specie di fanciullesco disappunto, d'essere quasi stati defraudati. Era chiaro che Alipio non intendeva rispondere. Dissi allora sorridendo: "Siete invidiosi delle lodi tributatemi? Ma poiché, sicuro della costanza di Alipio, non lo temo affatto, vi armo contro di lui che ha deluso la vostra viva attesa affinché anche voi mi ringraziate. Leggete Gli Accademici e vi riscontrerete che Cicerone ribatte vittoriosamente le bagatelle da me esposte. E un'impresa estremamente facile. Ma Alipio sia costretto a difendere il nostro discorso contro quella dimostrazione insuperabile. O Alipio, ti offro una spiacevole ricompensa in cambio della falsa lode tributatami". Scoppiarono a ridere. Cosi ponemmo fine al lungo dibattito. Era stato condotto non saprei se su solide basi, ma con maggiore moderazione e prestezza di quanto avessi sperato.







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