Agostino - I soliloqui 2000


:LIBRO SECONDO: VERSO LA TRASCENDENZA MEDIANTE DIALETTICA.

IMMORTALITA DELL'ANIMA

Primo momento: Il "vere esse" dell'anima nel vero e falso secondo parvenza (1, 1-5, 8)

Atto immediato di coscienza dell'essere vivere pensare.

2001
1. 1. A. - Per parecchio tempo è rimasta sospesa la nostra opera. Invece l'amore è impaziente e non si dà limite all'angoscia se non si concede all'amore l'oggetto amato. E per questo diamo inizio al secondo libro.

R. - Iniziamolo.

A. - Ed abbiamo fede che Dio ci assisterà.

R. - Abbiamo fede certamente, se questo è almeno in nostro potere.

A. - Egli stesso è il nostro potere.

R. - E allora prega con quanto maggiore brevità e sincerità ti è possibile.

A. - O Dio che sei sempre il medesimo, che io abbia conoscenza di me, che io abbia conoscenza di te. Ho pregato.

R. - Tu che desideri la conoscenza di te, hai coscienza d'esistere?

A. - Si.

R. - Come ne hai coscienza?

A. - Non so.

R. - Hai esperienza di esser uno o plurimo?

A. - No.

R. - Hai coscienza di esser soggetto al divenire? A. - No.

R. - Hai coscienza di pensare?

A. - Si.

R. - Dunque è vero che tu pensi?

A. - Si

R. - Hai coscienza di essere immortale?

A. - No.

R. - Di tutti questi significati che, come hai ammesso, trascendono l'atto della tua coscienza, di quale per primo desideri avere scienza?

A. - Della mia immortalità.

R. - Desideri vivere dunque?

A. - Lo confesso.

R: - E quando raggiungerai scienza della tua immortalità, cesserà la tua ricerca?

A. - Sarà una grande conquista, ma per me è sempre poco.

R.- E quanto godrai di questo poco?

A. - Moltissimo.

R. - E non ti abbandonerai più all'angoscia?

A. - No certamente.

R. - E se la vita ti apparisse tale che in essa non ti fosse concesso di conoscere di più di quanto hai già conosciuto, porresti un limite alla tua angoscia?

A. - Anzi aumenterebbe tanto che la vita non avrebbe più senso.

R. - Dunque non desideri vivere per vivere, ma per avere scienza.

A. - Ammetto la conclusione.

R. - E se anche avere scienza ti rendesse infelice?

A. - Escludo in forma assoluta tale possibilità. Data l'ipotesi non ci sarebbe felicità per l'uomo. In definitiva non per altro ora sono infelice se non a causa dell'ignoranza. Che se scienza rende infelici, l'infelicità è stato definitivo.

R. - Ora comprendo il significato del tuo desiderio. Dalla tua convinzione che l'uomo non è infelice a causa di scienza, risulta probabile che avere scienza rende felici. E poiché felice non è chi non vive e non vive chi non è, tu desideri essere, vivere e pensare o meglio essere per vivere e vivere per pensare. Dunque hai coscienza di essere, vivere e pensare. Ma tu desideri ancora avere scienza se tali principi sempre rimangono o se non ne rimanga alcuno ovvero se di essi qualcuno rimanga e qualcuno cessi e se possano diminuirsi o accrescersi qualora tutti rimangano.

A. - Si.

R. - Se dunque riusciremo a dimostrare che il nostro vivere non cessa, ne conseguirà che anche il nostro essere non cessa.

A. - Ne seguirà.

R. - Rimarrà tuttavia aperta la ricerca sul pensare.

Soltanto la verità è innegabile e fuori ipotesi.

2002
2. 2. A. - Ritengo che il procedimento sia molto chiaro e breve.

R. - Allora sta' pronto a rispondere con discernimento e attenzione alle mie domande.

A. - Sono pronto.

R. - Nell'ipotesi che il mondo rimanga per sempre, è vero che esso rimarrà per sempre?

A. - Chi ne puo dubitare?

R. - E nell'ipotesi che non rimanga, è vero che non rimarrà?

A. - Non faccio obiezioni.

R. - E quando venisse a cessare, nell'ipotesi che sia destinato a cessare, non è allora vero che il mondo è venuto a cessare? Difatti fin quando non è vero che il mondo è cessato, non è cessato; quindi è assurdo che il mondo sia cessato e che non sia vero che il mondo è cessato.

A. - Ammetto pure questo.

R. - Ed ancora: ritieni che si dia il vero e che la verità non esista?

A. - No assolutamente.

R. - Dunque rimarrà la verità anche se il mondo cessasse d'essere.

A. - Non posso negarlo.

R. - E nell'ipotesi che la verità stessa venisse a cessare, è vero che la verità è venuta a cessare?

A. - Ed anche questo chi lo nega?

R. - Ma il vero non puo esistere se la verità non esiste.

A. - L'ho ammesso dianzi.

R - E dunque assurdo che la verità venga a mancare.

A. - Continua come hai cominciato, poiché codesta tua argomentazione è assolutamente vera.

Vero e falso come parvenza.

2003
3. 3. R. - Ora rispondimi: ritieni che il sentire appartiene all'anima ovvero al corpo?

A. - Ritengo che all'anima.

R. - E ritieni che l'intelligenza è parte dell'anima?

A. - Certamente.

R. - Dell'anima soltanto o anche di qualche altro essere?

A. - Ritengo che oltre che nell'anima l'intelligenza esiste in Dio.

R. - Ed ora esaminiamo il seguente argomento. Che penseresti se qualcuno ti dicesse che codesta parete non è parete, ma un albero?

A. - Che o il mio senso o il suo s'inganna ovvero che con tale nome da lui è designata la parete.

R. - E nell'ipotesi che a lui appaia l'immagine dell'albero e a te quella della parete, non potrebbe l'una e l'altra esser vera?

A. - No assolutamente, perché una sola e medesima cosa non puo essere albero e parete. E se a me e rispettivamente all'altro appaia con due diverse immagini, è evidente che uno di noi due ha una falsa rappresentazione.

R. - E se non fosse né albero né parete ed entrambi v'ingannaste?

A. - Cio è possibile.

R. - Dianzi avevi trascurato questa possibilità.

A. - Difatti.

R. - E nell'ipotesi che vi accorgiate che vi appare diversa da com'è, ancora v'ingannereste?

A. - No.

R. - E possibile pertanto che sia falso cio che appare e non s'inganni colui cui appare.

A. - E possibile.

R. - Bisogna dunque ammettere che non s'inganna chi vede il falso, ma chi presta assenso al falso.

A. - Bisogna proprio ammetterlo.

R. - E perché il falso è falso?

A. - Perché è diverso dal suo apparire.

R. - Dunque nell'ipotesi che non esista qualcuno cui appare, non ci sarebbe il falso.

A. - Ne consegue.

R. - Pertanto la falsità non è nelle cose, ma nella conoscenza sensibile e s'inganna soltanto chi presta l'assenso al falso. Ne consegue che altro è il nostro essere interiore, altro la conoscenza sensibile, poiché mentre essa accetta l'illusione, puo non accettarla il nostro essere interiore.

A. - Non ho nulla da opporre.

R. - E potresti dire che se l'anima s'inganna, tu non ti sei ingannato?

A. - E come lo potrei?

R. - Ma non v'è conoscenza sensibile senza l'anima e non v'è parvenza senza la conoscenza sensibile. Dunque o l'anima genera la parvenza o vi coopera.

A. - Le promesse postulano tale conclusione.

Il mondo dei fenomeni è indefettibile?

2004
3. 4. R. - Ed ora rispondi a questa domanda: ritieni possibile che, ad un certo momento, il mondo delle parvenze non si dia più?

A. - Come posso ritenere una tale opinione, se v'è tanta difficoltà a trovar la verità che sarebbe più assurda l'impossibilità della parvenza che della verità?

R. - E ritieni che chi non vive puo avere conoscenza sensibile?

A. - E assurdo.

R. - Si conclude dunque che l'anima vive per sempre.

A. - Con troppa precipitazione mi spingi alla gioia. Un po' alla volta, scusa.

R. - Ma se le cose ammesse sono state ragionevolmente accertate, non vedo di che dubitare sull'argomento.

A. - E avvenuto con troppa precipitazione, ripeto. Sono più disposto ad ammettere di avere concluso qualche punto senza sufficiente esame che essere già certo dell'immortalità dell'anima. Comunque, deriva meglio la conclusione e chiarisci come è stata raggiunta.

R. - Hai ammesso che il mondo delle apparenze non si puo dare senza la conoscenza sensibile e che è assurdo che non si dia. Per sempre quindi esiste la conoscenza sensibile. Ma non si dà conoscenza sensibile senza 1'anima; quindi l'anima è immortale. Né potrebbe conoscere se non vivesse. Per sempre quindi l'anima vive.

Indebita teoresi dall'idea di anima cosmica (Platone e Plotino)...

2005
4. 5. A. - O pugnale di piombo! (Cicerone, De fin. 4, 18, 48). Potresti concludere che l'uomo è immortale se ti avessi concesso che questo mondo non si puo concepire senza l'uomo e che esso è eterno.

R. - Fai buona guardia. Tuttavia, non è poco quanto abbiamo concluso e cioè che il mondo del divenire non si concepisce senza l'anima, salva l'ipotesi che eventualmente nel mondo del divenire non si dia più l'apparenza.

A. - Ammetto la conseguenza. Ma ritengo che si deve ancora esaminare la possibile inconsistenza di alcune nostre ammissioni. Scorgo infatti che è stato marcato un passo troppo precipitoso verso la dimostrazione dell'immortalità dell'anima.

R. - Hai riflettuto abbastanza per non ammettere qualche cosa pregiudizialmente?

A. - Certo che abbastanza, e non rilevo in che accusarmi di ammissioni pregiudiziali.

R. - Dunque è stato accertato che il mondo del divenire non si concepisce senza l'anima viva.

A. - Fino a questo momento è stato accertato che nell'avvicendarsi alcune cose possono esser generate, altre morire.

R. - E nell'ipotesi che nel mondo del divenire fosse eliminata la parvenza, tutto diverrà vero?

A. - Veggo che ne consegue.

R. - Dimmi per quale criterio ritieni che questa parete è vera.

A. - Perché non m'inganno nel vederla.

R. - Dunque perché è come appare?

A. - Certamente.

R. - Sia l'ipotesi che qualche cosa è falsa perché appare diversamente da com'è, e sia vera perché appare com'è. Sottratto dunque il soggetto cui appare, nulla rimane di vero, nulla rimane di falso. E nell'ipotesi che non esiste più la parvenza nel mondo del divenire, tutto è vero. Inoltre qualsiasi cosa puo apparire soltanto all'anima che vive. Dunque l'anima persiste nel mondo reale se è assurdo eliminare la parvenza; persiste se non è assurdo.

A. - Osservo che quanto era stato assodato ha acquistato maggior validità, ma con questa aggiunta neanche di un po' abbiamo avanzato. Difatti rimane fermo il motivo che mi rende molto incerto, e cioè che le anime sono generate e muoiono e che non dalla loro immortalità, ma dall'avvicendarsi proviene che non manchino nel mondo.

... e dal concetto di vero e falso (Zenone).

2006
4. 6. R. - Ritieni che i vari oggetti corporei, cioè sensibili, si possono comprendere con l'intelletto?

A. - No.

R. - E ritieni che Dio usa i sensi per conoscere le cose?

A. - Nora vorrei avanzare affermazioni pregiudiziali sull'argomento. Ma, per quanto è concesso alla congettura, sembra assurdo attribuire i sensi a Dio.

R. - Pertanto ammettiamo che soltanto 1'anima puo conoscere sensibilmente.

A. - Per adesso ammetti quanto è possibile secondo probabilità.

R. - E concedi che codesta parete, se non è vera parete, non è parete?

A. - Niente concederei con tanta facilità.

R. - E che qualsiasi cosa, se non è vero corpo, non è corpo?

A. - Anche qui d'accordo.

R. - Ammesso dunque che è vero soltanto cio che è come appare, che l'oggetto corporeo puo apparire soltanto ai sensi, che l'anima soltanto puo sentire ed infine che non è corpo se non è vero corpo, si deve concludere che il corpo non puo esistere se non esiste l'anima.

A. - Sei troppo convincente e non ho da eccepire.

Dalle premesse l'insignificanza e le aporie del non essere di cio che non appare...

2007
5. 7. R. - Piuttosto rifletti con maggior ponderazione su tali concetti.

A. - Sono pronto.

R. - Certamente questa è pietra; ed è vera se non ha struttura diversa da come appare; e non è pietra se non è vera; e puo apparire soltanto ai sensi.

A. - D'accordo.

R. - Poste tali premesse, nel più riposto grembo della terra non vi sono pietre o dovunque non siano presenti soggetti senzienti. E questa pietra non vi sarebbe se non la vedessimo e non rimarrà pietra quando noi ci saremo allontanati e nessun altro sarà presente per vederla. Ed anche se chiuderai bene gli scrigni, essi non conterranno nulla quantunque tu vi abbia rinserrato molte cose. E lo stesso legno degli scrigni dalla parte interna non è legno poiché cio che è nascosto nell'interno d'un corpo opaco è nascosto a tutti i sensi e quindi per necessaria conseguenza non esiste. Difatti se fosse, sarebbe vero, ma è vero soltanto cio che è come appare; ma esso non appare, quindi non è vero. A meno che tu non abbia qualche motivo da opporre a questa conclusione.

A. - Mi sto accorgendo che essa è derivata da quanto ho già ammesso, ma è cosi assurda che negherei più facilmente qualsiasi delle precedenti ammissioni anziché ammettere come vera una simile conclusione.

R. - Non ho da ribattere. Sta' dunque attento a quanto intendi dire, e cioè: o che gli oggetti sensibili possono apparire soltanto ai sensi o che sente soltanto l'anima o che la pietra e qualsiasi altro corpo puo esser ma non essere vero o che il vero stesso si deve definire diversamente.

A. - Ti prego, esaminiamo quest'ultimo punto.

... o del non essere assoluto della parvenza.

2008
5. 8. R. - Definisci allora il vero.

A. - Vero è cio che è cosi come appare a chi conosce, se vuole e puo conoscere.

R. - Non è dunque vero cio che non si puo conoscere? Inoltre se è falso cio che appare altrimenti da com'è e se questa pietra ad uno appare pietra ed a un altro legno, si dovrà forse dire che la medesima cosa è falsa e vera?

A. - Mi rende incerto soprattutto quanto è stato detto dianzi sulla possibilità che non sia vero cio che non si puo conoscere. Non mi preoccupa tanto il motivo che una medesima cosa possa insieme esser vera e falsa. Penso infatti che una medesima cosa, messa a confronto con oggetti diversi, puo esser insieme maggiore e minore. Appunto da questo principio deriva che nessun oggetto, in sé considerato, è maggiore o minore, poiché questi sono termini d'un rapporto.

R. - Ma se tu dici che nessuna cosa è di per sé vera, non temi la conseguenza che nessuna cosa di per sé è? Difatti dallo stesso principio per cui questo è legno deriva che sia vero legno. E non è possibile che di per sé, cioè senza il riferimento ad un soggetto conoscente, sia legno e non sia vero legno.

A. - Allora mi decido a definire il vero nei termini seguenti, senza temere che la mia definizione sia riprovata perché è troppo breve. Ritengo che è vero cio che è.

R. -Nulla dunque è falso, poiché tutto cio che è, è vero.

A. - Mi hai sospinto nelle aporie del pensiero e non trovo modo di formulare una risposta. Pensare che proprio io ho voluto essere ammaestrato soltanto mediante il dialogo ed ho finito per temere di subirlo.

Secondo momento: Il "vere esse" dell'anima nel vero e falso secondo mimesi (6, 9 - 14, 26)

a) Primo principio:

Falso e divenire secondo Il Sofista

e la sfera mimetica da trascendere (6, 9 - 10, 18)

Di nuovo fede e preghiera.

2009
6. 9. R. - Dio, cui ci siamo affidati, senza dubbio ci reca aiuto e ci affranca da tali aporie, purché crediamo e lo preghiamo con molta devozione.

A. - A questo punto nulla faro più volentieri, poiché giammai sono stato avvolto da tanta caligine. Dio Padre nostro, che ci esorti a pregarti e ci dai cio di cui sei pregato, poiché, quando ti preghiamo, viviamo meglio e diventiamo migliori, esaudisci me che rabbrividisco in queste tenebre e porgimi la destra. Fammi vedere la tua luce, richiamami dagli errori e fa' che, dietro la tua guida, rientri in me ed in te. Amen.

R. - Sta' attento quanto puoi e rifletti con molta diligenza.

A. - Dimmi, ti prego: ti s'è svelato un motivo qualsiasi per non smarrirci del tutto?

R. - Sta' attento.

A. - Vedi che non sto facendo altro.

Mimetica visiva.

2010
6. 10. R. - Prima di tutto indaghiamo a fondo che cos'è il falso.

A. - Mi meraviglierei se non fosse cio che è diverso da come appare.

R. - Rifletti piuttosto. Intanto interroghiamo prima i sensi. Cio che gli occhi vedono non si dice certamente falso se non ha qualche cosa di somiglianza col vero. Ad esempio, l'uomo che vediamo nel sogno non è vero uomo, ma falso perché ha somiglianza col vero. Difatti chi, vedendo in sogno un cane, direbbe che ha sognato un uomo? Ed anche quel cane è falso perché è simile al vero.

A. - E come tu dici.

R. - E se qualcuno nella veglia vede un cavallo e reputa di aver visto un uomo, s'inganna perché gli appare una certa somiglianza dell'uomo. Se non gli apparisse che la figura del cavallo, non potrebbe reputare di aver visto un uomo.

A. - Accetto in pieno.

R. - Allo stesso modo diciamo falso l'albero che vediamo dipinto e il viso che viene restituito dallo specchio e falso l'oscillare delle torri agli occhi dei naviganti e falso lo spezzarsi del remo nell'acqua non per altra ragione che sono simili al vero.

A. - Lo ammetto.

R. - Allo stesso modo possiamo ingannarci nel vedere due oggetti gemellari, le uova, vari sigilli impressi con un solo anello e altre cose del genere.

A. - Ti seguo bene e sono d'accordo.

R. - Pertanto la somiglianza degli oggetti propri della percezione visiva è generatrice di apparenze.

A.- Non posso negarlo.

Fattori mimetici nella percezione visiva.

2011
6. 11. R - Ma tutto il complesso, salvo svista, si puo ricondurre a due categorie. L'apparente si ha infatti fra oggetti simili di egual grado e fra oggetti simili di diverso grado. Si ha il primo caso quando si dice indifferentemente che il primo è simile al secondo e il secondo al primo come è stato detto degli oggetti gemellari e dei sigilli. Si ha poi il secondo caso quando cio che è di grado inferiore si dice simile all'oggetto di grado superiore. Chi si guarda allo specchio non direbbe ragionevolmente di esser simile all'immagine ma piuttosto che essa è simile a lui. Questa seconda categoria raccoglie tanto le impressioni interiori quanto gli oggetti che appaiono. L'impressione, a sua volta, o avviene nell'organo, come l'oscillare inesistente delle torri, ovvero nell'anima stessa in cio che ha ricevuto dai sensi, come sono le immaginazioni dei sognanti e forse anche dei pazzi. Inoltre le somiglianze degli oggetti che appaiono sono prodotte ed espresse alcune dalla natura, altre da esseri animati. La natura produce somiglianze di grado inferiore nel generare o nel riflettere: nel generare quando i generati sono simili ai generanti; nel riflettere come avviene nei vari specchi, anche in quelli prodotti dagli uomini perché, sebbene costruiscano vari tipi di specchi, non sono tuttavia essi a creare le immagini che vengono restituite. Infine le somiglianze prodotte dagli esseri animati sono nelle pitture e in qualsiasi composizione del genere. In questa categoria si possono includere anche le opere che fanno i demoni, se tuttavia avvengono. Le ombre si possono pressappoco dire simili ai corpi e quasi falsi corpi, e non si puo negare che appartengono alla percezione degli occhi. Ci sembra quindi opportuno porle in quella categoria di cose simili che per riflesso provengono dalla natura. E riflesso infatti ogni corpo esposto alla luce, poiché restituisce l'ombra in direzione opposta. Ti sembra di poter opporre motivi in contrario?

A. - No, nulla. Ma sto aspettando con impazienza a che mirino le tue parole.

Mimetica degli altri sensi.

2012
6. 12. R. - Al contrario è indispensabile che attendiamo con pazienza all'esame anche degli altri sensi i quali possono garantire che l'apparire consiste nella somiglianza col vero. Difatti anche nell'udito si verificano altrettanti generi di somiglianze. Ad esempio, nell'udire la voce di un uomo che parla e che noi non vediamo, crediamo che sia un'altra persona con la voce di egual timbro. Delle somiglianze di grado inferiore sono argomento l'eco, il ronzio degli orecchi, l'imitazione negli orologi del merlo e del corvo e quei suoni che ai sognanti e agli allucinati sembra di udire. E incredibile poi quanto contribuiscano alla dimostrazione della verità, che apparirà in seguito, quelli che i musici definiscono falsi suoni. Anche essi, per quanto riguarda il tema in parola, non sono lontani dalla somiglianza con quelli che essi chiamano veri suoni. Segui l'assunto?

A. - Ed anche con molta facilità. Non stento affatto a capire.

R. - Dunque per non trattenerci ancora, ritieni che in odore giglio differisca da giglio e che in sapore miele di timo di un alveare differisca dal miele di timo di un altro alveare o che al tatto la morbidezza delle penne di cigno si possa distinguere da quella delle penne d'oca?

A. - No.

R. - Talora noi sogniamo di odorare, gustare e toccare. In tal caso non cadiamo forse in errore per la somiglianza d'immagini che è di grado tanto inferiore quanto è più labile?

A. - E giusto.

R. - E manifesto quindi che nell'esercizio di tutti i sensi, siano le immagini imitative di pari o d'inferiore grado, ci lasciamo ingannare da una somiglianza che opera da mediatrice. Ed anche se non c'inganniamo perché sospendiamo il giudizio e discriminiamo le note differenti, dobbiamo riconoscere che denominiamo false le parvenze che riconosciamo simili alle vere.

A. - Non ne posso dubitare.

La mimetica è nella somiglianza o dissimiglianza?

2013
7. 13. R. - Ed ora rifletti bene mentre riesaminiamo questi concetti affinché divenga più manifesto cio che vogliamo chiarire.

A. - Eccomi pronto, di' cio che vuoi. Tanto ormai ho stabilito di sopportare codesto lungo giro di parole. Non mi stanchero nell'ascoltarlo, perché ho ferma fiducia di raggiungere la meta alla quale, come avverto, stiamo tendendo.

R.- Bravo. Ed ora rifletti attentamente. Quando vediamo delle uova simili, possiamo affermare che qualcuna è falsa?

A. - No certamente. Tutte le uova, se sono uova, sono vere uova.

R. - E quando vediamo una immagine riflessa dallo specchio, da quali segni comprendiamo che è apparente?

A. - Ma evidentemente perché non si afferra, non ha suono, non si muove da sé, non vive e da parecchi altri motivi che sarebbe lungo enumerare.

R. - Noto che non vuoi trattenerti e bisogna un po' accondiscendere alla tua fretta. Pertanto, a scanso di ripetizioni, supponiamo che gli uomini immaginati nel sogno possano vivere, parlare ed esser toccati da chi è desto e che non differiscano in nulla da quelli cui, desti e sani di mente, rivolgiamo la parola. In tale supposizione potremmo dire che sono falsi?

A. - Come si potrebbe dirlo ragionevolmente?

R. - Supponiamo dunque che siano in tanto veri in quanto appaiono molto simili ai veri e non esiste alcuna differenza fra essi e i veri; allo stesso modo che siano in tanto falsi in quanto si puo dimostrare che sono dissimili per le suddette e altre note differenti. In tale ipotesi non si dovrebbe ammettere che la somiglianza è madre della verità e la dissimiglianza madre della falsità?

A. - Non ho nulla da opporre ed ho vergogna della pregiudiziale ammissione di poco fa.

Un momento di sosta per il richiamo all'interiorità.

2014
7. 14. R. - Sarebbe da ridere se te ne vergogni veramente, come se, proprio a questo scopo, non avessimo scelto questo procedimento nel tener discorsi. Vorrei appunto, giacché discorriamo fra di noi, che siano denominati e intitolati I Soliloqui. E un nome nuovo e forse anche non elegante, ma assai adatto ad indicarne il contenuto. Non si puo infatti meglio investigare la verità che col dialogo. Tuttavia si trova difficilmente qualcuno che non s'indisponga se viene confutato nella disputa. Anzi avviene quasi sempre che l'incomposto gridare degli ostinati eluda l'attinenza all'argomento già ben avviato nella discussione con offesa dell'amor proprio, il più delle volte dissimulata, ma talora anche manifesta. Per tali motivi m'è sembrato opportuno, mediante un dialogo interiore e con l'aiuto di Dio, di ricercare la verità con calma, per quanto mi riguarda e con largo impiego di tempo. Pertanto se pregiudizialmente hai dato una soluzione non ti devi affatto vergognare di tornare indietro e darne un'altra maniera non se ne viene fuori.

Il pensiero di Agostino naufraga nel mare delle aporie.

2015
8. 15. A. - Giusto, ma io non vedo chiaro che cosa ho ammesso inconsideratamente. Faccio eccezione per il motivo che ragionevolmente si poteva definire falso cio che ha una qualche relativa somiglianza col vero perché non ho in mente altro concetto adatto a designare il falso. D'altra parte sono costretto ad ammettere che le cose denominate false in tanto sono false in quanto differiscono dalle vere. Ne deriva che anche la dissimiglianza è principio della falsità. E per questo rimango perplesso, poiché non mi viene in mente nulla che sia prodotto da opposti principi.

R. - E se si trovasse in natura un caso unico e singolare? Ad esempio, non sai che, se ti dài a scorrere le innumerevoli specie degli animali, si trova soltanto il coccodrillo che nel masticare muove la mandibola superiore? In definitiva nessun oggetto si puo reperire tanto simile ad un altro che non sia anche dissimile per qualche aspetto.

A. - Comprendo codesti concetti. Tuttavia quando considero che cio che diciamo falso ha qualche cosa di simile e dissimile dal vero, non so decidere da quale parte debba dirsi falso. Se dico dall'aspetto per cui è dissimile, ne consegue che tutto si puo dir falso, perché non v'è oggetto che non sia dissimile da un altro che riconosciamo come vero. Se poi dico che si deve chiamar falso perché è simile, reclameranno le famose uova che sono vere per il fatto che sono molto simili. Nello stesso tempo io non sfuggiro a colui che volesse costringermi ad ammettere che tutto è falso, poiché non posso negare che tutte le cose per qualche aspetto si rassomigliano. Ma poniamo come ipotesi la risposta che la somiglianza e la dissimiglianza insieme concorrono a far si che qualche cosa ragionevolmente sia denominato falso. Quale via di scampo mi lasceresti? S'insisterà difatti ancora nel rinfacciarmi che io ritengo tutte le cose false poiché tutte le cose, come è stato detto dianzi, si rassomigliano e si differenziano per qualche aspetto. Mi rimarrebbe da dire che è falso cio che è altro da come appare. Ma temo d'imbattermi in tutti quei mostri che m'illudevo di avere or ora evitato. Dalla vertigine del dubbio sono infatti di nuovo spinto al punto di dire che il vero è cio che è cosi come appare. Ma ne deriva che non si dà il vero senza chi conosce; e in tal caso devo temere il naufragio in quegli scogli molto nascosti che sono veri anche se non sono conosciuti. Che se poi affermero che è vero cio che è, mi si ribatterà concordemente che il falso non esisterebbe. Pertanto mi tornano tutte le perplessità e mi accorgo che nulla ho conquistato dopo avere sopportato cosi a lungo i tuoi indugi.

Il falso come inganno e come finzione...

2016
9. 16. R. - Presta attenzione piuttosto. Non posso convincermi di aver chiesto invano l'aiuto divino. Penso che, dopo aver saggiato, per quanto abbiamo potuto, tutti i concetti, non ci sia rimasto altro che si possa, a rigor di logica,- definire il falso se non cio che si assimila ad essere cio che non è o in genere che ha parvenza di essere e non è. Nel primo dei due concetti sono inclusi tanto l'inganno quanto la finzione. Ingannevole si dice ragionevolmente l'essere che ha una certa tendenza, inconcepibile fuori dell'anima, a trarre in inganno. Tale tendenza si manifesta tanto mediante il pensiero quanto mediante l'istinto naturale: mediante il pensiero, in esseri ragionevoli come nell'uomo; mediante l'istinto, in esseri bruti come la volpe. Cio che denomino finzione viene prodotta dagli esseri che creano illusioni. Ed essi differiscono dagli esseri ingannevoli in quanto l'essere ingannevole tende a trarre in inganno, ma non necessariamente chi crea illusioni vuol trarre in inganno. Difatti i mimi, le commedie e gran parte della poesia sono pieni di finzioni, ma per dilettare e non per ingannare. Anche i prestigiatori usano tali finzioni. Ma ingannevole o ingannatore si dice secondo logica colui che ha intenzione di trarre qualcuno in inganno. Nessuno puo dubitare tuttavia che coloro che non intendono indurre in errore, ma comunque producono una imitazione, si chiamino operatori di finzioni e, se questo è troppo, creatori di illusioni. A meno che tu abbia sull'argomento una tua opinione in contrario.

...e come artificio imitativo.

2017
9. 17. A. - Continua, ti prego. Ora soltanto forse cominci ad impartirmi nozioni non false sul falso. Ma ormai attendo il significato dell'altra categoria espressa da te in questi termini: ha parvenza d'essere e non è.

R. - Ma perché lo attendi? Si tratta appunto di quei casi che dianzi abbiamo citato in gran numero. Non ti sembra che la tua immagine rimandata dallo specchio voglia quasi essere te stesso, ma è falsa perché non è?

A. - Sono perfettamente d'accordo.

R. - Ed ogni pittura o figurazione simile e tutti i prodotti artificiali di tal genere non hanno parvenza di essere quell'oggetto, a cui somiglianza sono stati modellati?

A. - Sono del tutto convinto.

R. - E ammetti anche, come penso, che le immagini con cui sono indotti in inganno i dormienti e gli allucinati appartengono alla stessa categoria.

A. - Ma esse soprattutto; difatti più di ogni altra imitazione hanno parvenza di essere simili agli oggetti percepiti da persone deste e sane di mente. Sono percio false in quanto non possono essere cio di cui hanno parvenza.

R. - Che aggiungere sull'oscillare delle torri o sul remo spezzato ovvero sulle ombre dei corpi? E ovvio, come penso, che si devono giudicare secondo tale criterio.

A. - E ovvio certamente.

R. - Taccio degli altri sensi. Chi usa la propria ragione non troverà difficoltà a convincersi che il falso degli oggetti sensibili è cio che ha parvenza d'essere qualche cosa e non lo è.

Coesistenza di vero e falso nella mimetica artificiale.

2018
10. 18. A. - Giusto. Ma mi meraviglio perché hai ritenuto di dover discriminare da tale categoria la poesia, i giuochi di prestigio e le altre finzioni.

R. - Perché evidentemente altro è voler esser falso ed altro non poter esser vero. Pertanto possiamo associare alle rappresentazioni dei pittori e degli scultori anche le rappresentazioni dovute all'azione umana, come le commedie, le tragedie, i mimi ed altre del genere. Cosi un uomo dipinto non puo esser vero sebbene ha la parvenza della figura umana. Altrettanto si dica dei fatti narrati nei libri dei comici. Essi non sono stati inventati per esser falsi e non sono falsi per una loro particolare tendenza, ma per una certa necessità, nella misura con cui hanno potuto seguire l'inventiva di chi li componeva. Per tal motivo sulla scena Roscio era per volontà una falsa Ecuba, per natura un uomo vero, ma per quella stessa volontà anche un vero attore tragico nell'atto che eseguiva l'azione. Ed era un falso Priamo, poiché si assimilava a Priamo ma non lo era. Da cio ha origine qualche cosa di singolare del cui significato tuttavia non si puo dubitare.

A. - Di che si tratta?

R. - Devi ammettere che tutte le finzioni anzidette in certi aspetti sono vere per lo stesso motivo per cui in altri aspetti sono false e che contribuisce al loro esser vere il solo motivo per cui in altro senso sono false. Quindi in nessuna maniera possono essere cio che vogliono e devono essere, se rifuggono d'esser false. Colui, di cui ho parlato dianzi, non sarebbe stato vero attore tragico se non avesse voluto essere un falso Ettore, una falsa Andromaca, un falso Ercole e altri ancora. Cosi non sarebbe vera pittura se non fosse un falso cavallo. E nello specchio non sarebbe una vera immagine dell'uomo se non fosse un falso uomo. Quindi per certe cose, ad essere in qualche parte un vero, contribuisce il fatto stesso che siano in qualche parte un falso. Perché dunque abbiamo tanto timore dell'apparenza e desideriamo come grande bene la verità?

A. - Non lo so e me ne meraviglio assai anche. Tuttavia io negli esempi addotti non scorgo che cosa sia degno della nostra imitazione. Noi, per esser veri nel genuino nostro modo d'esserlo, non dobbiamo come i commedianti, le immagini riflesse dagli specchi e le vitelle bronzee di Mirone, essere modellati e assimilati al modo d'essere di un'altra cosa e cioè esser falsi. Dobbiamo piuttosto cercare quel vero che non sia, per cosi dire, di struttura bifronte e in contraddizione con se stesso sicché da una parte è vero e dall'altra è falso.

R. - Tu vai in cerca di alti e divini valori. E dovremo ammettere, se li ritroveremo, che di essi è composta e, per cosi dire, forgiata la verità da cui si denomina tutto cio che in qualche maniera è vero.

A. - Volentieri lo concedo.

b ) Secondo principio:

Dialettica come puro pensiero

o atto del trascendere per la verità (11, 19 - 21)

Dialettica e grammatica.


Agostino - I soliloqui 2000